Principio di conservazione dell'equilibrio contrattuale

1. Se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all'ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l'equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. Gli oneri per la rinegoziazione sono riconosciuti all'esecutore a valere sulle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell'intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d'asta.

2. Nell'ambito delle risorse individuate al comma 1, la rinegoziazione si limita al ripristino dell'originario equilibrio del contratto oggetto dell'affidamento, quale risultante dal bando e dal provvedimento di aggiudicazione, senza alterarne la sostanza economica.

3. Se le circostanze sopravvenute di cui al comma 1 rendono la prestazione, in parte o temporaneamente, inutile

o inutilizzabile per uno dei contraenti, questi ha diritto a una riduzione proporzionale del corrispettivo, secondo le regole dell'impossibilità parziale.

4. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono l'inserimento nel contratto di clausole di rinegoziazione, dandone pubblicità nel bando o nell'avviso di indizione della gara, specie quando il contratto risulta particolarmente esposto per la sua durata, per il contesto economico di riferimento o per altre circostanze, al rischio delle interferenze da sopravvenienze.

5. In applicazione del principio di conservazione dell'equilibrio contrattuale si applicano le disposizioni di cui agli articoli 60 e 120.

 

1 - Diritto alla rinegoziazione

L’enunciazione del principio di conservazione del contratto si traduce in un vero diritto alla rinegoziazione azionabile da parte del soggetto colpito dalla scure di sopravvenienze perturbatrici esogene al ciclo economico fisiologico della “scommessa” contrattuale. Affascinanti gli scenari misteriosi innescati da una previsione che profuma di modernità, con particolare riferimento alla mappa dei rimedi, con riguardo  all’enucleazione del riparto di giurisdizione (viso che si tratta di un diritto soggettivo partorito dall’integrazione  reciproca, ex bona fide, del programma contrattuale,  dovrebbe prefigurarsi la giurisdizione civile) e alla praticabilità di interventi giudiziari correttivi ex art. 2932 c.c., caratterizzati da un taglio ortopedico e da una metodica surrogatoria che conduce a una sentenza atipica di carattere costitutivo ove il contratto, alla luce dei canoni ermeneutici di cui al codice civile, preveda già i criteri di ripartizione del rischio e i canoni per il relativo riequilibrio, in guisa da legittimare una correzione giudiziale non esterna, ma interna al contratto ossia un’operazione strettamente interpretativo-integrativa scaturente da  un obbligo de contrahendo e non de contractando  (obbligo di risultato e non di mezzi). In questi termini si segnata la relazione tematica dell’ufficio massimario della Cassazione n. 56 dell’8 luglio 2020; e Trib.. Firenze III, 8/9/2022, secondo cui, in presenza di ripartizione dei rischi e di enucleazione dei criteri di adeguamento individuabili in base all’intercettazione ex bona fide del contatto, l’operazione non sarà invasiva in quanto si tratterà di un’azione interna e non esterna al contratto. Evidenti sono gli echi a dottrina americana dei relational contracts, propria dei contratti di scambio caratterizzati dall’ampio orizzonte temporale (long term agreements).

In sede di commento a Cons. Stato,  VII, n. 7200/2023, la dottrina (A. Basilico) ha rilevato che, tra i principi generali applicabili sia agli appalti, sia alle concessioni, sono compresi quelli di buona fede e tutela dell’affidamento (art. 5) nonché di conservazione dell’equilibrio contrattuale (art. 9), corollario del quale è il riconoscimento del “diritto” alla rinegoziazione finalizzato al “ripristino dell’originario equilibro del contratto” in presenza di circostanze straordinarie e imprevedibili.   Specificazione di questi principi nell’ambito delle concessioni è l’art. 192, che prevede che, al verificarsi di eventi sopravvenuti straordinari e imprevedibili, non imputabili al concessionario, che incidano in modo significativo sull’equilibrio economico-finanziario dell’operazione, il privato “può chiedere la revisione del contratto” al fine di ricondurlo ai livelli di equilibro e di traslazione del rischio pattuiti al momento della conclusione del contratto, purché non sia alterata la natura delle concessione. Si deve ritenere che la rinegoziazione possa comprendere anche una proroga della durata del contratto, dato che l’art. 178, comma 5, del codice la esclude “salvo per la revisione di cui all’articolo 192”.

Sul tema, Cons. Stato, Sez. IV, 1° febbraio 2024, n. 1048 ha ritenuto che la facoltà di prevedere specifici requisiti di capacità professionale, riconosciuta dall’art. 10, comma 3, del nuovo codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36), al pari di quanto statuito dal previgente art. 83, comma 2, D. Lgs. 50/2016, è attuazione del principio affermato dalla Corte di giustizia (17 settembre 2002, in causa C-513/99) e trasfuso della direttiva 2014/24/UE secondo cui: “le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e l'esperienza necessarie per eseguire l'appalto con un adeguato standard di qualità” (art. 58, paragrafo 4).  A tale scopo, all’Amministrazione è garantita un’ampia discrezionalità nell’individuazione dei requisiti tecnici, ancorché più severi di quelli sanciti a livello normativo, purché la loro previsione sia correlata a circostanze giustificate e risulti funzionale rispetto all’interesse pubblico perseguito e, dunque, rispetti i limiti della congruità e della proporzionalità.

In tema di successione dei contratti collettivi e conseguente rispetto del principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale cfr.TAR Campania, I Sez., 13 giugno 2024, n. 3735, secondo cui: “I rinnovi contrattuali che hanno determinato l’incremento del costo della manodopera, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte e ad intervenuta aggiudicazione dell’appalto, non impongono alla S.A. di rinnovare la verifica di anomalia per appurare la sostenibilità economica dell’offerta economica.

Al contrario, si può addivenire ad una modifica del contratto volto a riequilibrare il contratto, a seguito della “sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti”, di cui all’art. 120, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 50/2016, vigente all’epoca dell’indizione della procedura di gara; disposizione confermata dall’art. 106, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 36/2023 e soprattutto dal principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale, di cui all’art. 9 del medesimo Codice.

Secondo il Cons. Stato, Sez. V, 15 gennaio 2024, n. 453: “La verifica di anomalia eseguita dall’Amministrazione non può prescindere dall’esame delle voci di costo ragionevolmente attendibili in sede esecutiva, ivi incluse le variazioni retributive ascrivibili all’adozione di un nuovo CCNL, ancorché sopraggiunto alle offerte”.

In relazione a una procedura aperta per l’affidamento quadriennale del servizio di pulizia e sanificazione, risultava aggiudicatario un RTI la cui offerta, unitamente a quella dell’appellante, veniva resa oggetto di rivalutazione a seguito dell’annullamento dell’originaria aggiudicazione effettuato successivamente alla pubblicazione di diverse sentenze.

All’esito di tale rivalutazione, l’RTI veniva nuovamente individuato come aggiudicatario, ragione per la quale l’appellante della sentenza in commento impugnava l’aggiudicazione dinanzi al TAR competente allo scopo di far rilevare, tra l’altro, che sulle voci contestate ai fini dell’anomalia dell’offerta le giustificazioni fornite fossero non ragionevoli e plausibili.

Il TAR rigettava il ricorso e, pertanto, veniva frapposto appello che avrebbe infine condotto all’annullamento del provvedimento gravato con conseguente declaratoria di inefficacia del contratto stipulato.

In tema di giustificazioni e di offerte anormalmente basse il Consiglio di Stato ha avuto modo di confermare che, come correttamente rilevato dall’appellante, la verifica di anomalia eseguita dall’amministrazione non può prescindere dall’esame delle voci di costo ragionevolmente attendibili in sede esecutiva, ivi incluse le variazioni retributive ascrivibili all’adozione di un nuovo CCNL, ancorché sopraggiunto alle offerte e diverso da quello tenuto in considerazione dall’amministrazione ai fini del calcolo del costo della manodopera.

A tale conclusione il Supremo Consesso è pervenuta per mezzo del richiamo della più recente giurisprudenza secondo cui: “la stipula del nuovo CCNL di settore, sopravvenuta nel corso della procedura di verifica della congruità dell’offerta, per un verso comporta la sua applicazione al personale impiegato nell’esecuzione dell’appalto; per altro verso, impone alla stazione appaltante di tenere conto dei nuovi livelli retributivi previsti, in quanto sicuramente applicabili alla futura esecuzione del contratto da affidare, e conseguentemente di verificare se l’offerta economica dell’impresa individuata come possibile aggiudicataria sia in grado di sostenere anche i nuovi costi” (Cons. Stato, V, 7 luglio 2023, n. 6652; cfr., al riguardo, anche Id., 24 marzo 2020, n. 2056, ove si afferma che “le tabelle introdotte dal sopravvenuto contratto collettivo […] potevano essere considerate nel sub-procedimento di valutazione dell’offerta per stimarne l’affidabilità. Bene strano sarebbe stato il contrario […] anche in ragione del fatto che è il nuovo contratto collettivo a trovare applicazione in sede di esecuzione del contratto”; cfr. peraltro anche alcuni passaggi in Id., III, 3 maggio 2022, n. 3460, ove si evidenzia che “un conto è la normativa e i dati vigenti e disponibili al momento della formulazione dell’offerta, altra cosa sono le giustificazioni nel procedimento di anomalia. Quest’ultimo tende a prevenire un vulnus di qualità e affidabilità in executivis, e dev’essere condotto in relazione a dati ed elementi, il più possibile concreti e attuali, destinati a caratterizzare l’esecuzione del rapporto: è dunque evidente che in sede di giustificazioni avrebbero dovuto essere considerati i costi del lavoro derivanti dalla nuova tornata di contrattazione collettiva”; in diverso senso, cfr. la più risalente Cons. Stato, III, 27 marzo 2014, n. 1487)”.

Alla luce di ciò, il Consiglio di Stato conclude affermando che andavano senz’altro considerati, in sede di (ri)verifica di anomalia gli incrementi retributivi di cui al nuovo CCNL nelle more adottato.

 

Di recentissima attualità in giurisprudenza è il dibattitto sugli effetti della sopravvenienza in corso di gara di un nuovo CCNL di settore prima della stipula del contratto di appalto, segnatamente con riferimento alle conseguenze che tale sopravvenienza determina ai fini dell’equilibrio dell’offerta formulata sulla scorta del CCNL previgente.

Il Consiglio di Stato sembra aver consolidato l’orientamento a mente del quale in sede di verifica di anomalia vadano senz’altro considerati gli incrementi retributivi di cui al nuovo CCNL nelle more adottato, concludendo, nelle ipotesi in cui il nuovo CCNL sopraggiunga alla formulazione dell’offerta e sia diverso da quello preso in considerazione dalla S.A. ai fini del calcolo dei costo della manodopera, per l’annullamento della aggiudicazione e per il conseguente obbligo della stazione appaltante di riesaminare l’attendibilità economica dell’offerta alla luce della contrattazione collettiva nazionale attualmente vigente.

L’indirizzo giurisprudenziale trova fondamento nel seguente principio: “la stipula del nuovo CCNL di settore, sopravvenuta nel corso della procedura di verifica della congruità dell’offerta, per un verso comporta la sua applicazione al personale impiegato nell’esecuzione dell’appalto; per altro verso, impone alla stazione appaltante di tenere conto dei nuovi livelli retributivi previsti, in quanto sicuramente applicabili alla futura esecuzione del contratto da affidare, e conseguentemente di verificare se l’offerta economica dell’impresa individuata come possibile aggiudicataria sia in grado di sostenere anche i nuovi costi” (Cons. Stato, V, 7 luglio 2023, n. 6652; cfr., al riguardo, anche Id., 24 marzo 2020, n. 2056, ove si afferma che “le tabelle introdotte dal sopravvenuto contratto collettivo […] potevano essere considerate nel sub-procedimento di valutazione dell’offerta per stimarne l’affidabilità. Bene strano sarebbe stato il contrario […] anche in ragione del fatto che è il nuovo contratto collettivo a trovare applicazione in sede di esecuzione del contratto”; cfr. peraltro anche alcuni passaggi in Id., III, 3 maggio 2022, n. 3460, ove si evidenzia che “un conto è la normativa e i dati vigenti e disponibili al momento della formulazione dell’offerta, altra cosa sono le giustificazioni nel procedimento di anomalia. Quest’ultimo tende a prevenire un vulnus di qualità e affidabilità in executivis, e dev’essere condotto in relazione a dati ed elementi, il più possibile concreti e attuali, destinati a caratterizzare l’esecuzione del rapporto: è dunque evidente che in sede di giustificazioni avrebbero dovuto essere considerati i costi del lavoro derivanti dalla nuova tornata di contrattazione collettiva”; in diverso senso, cfr. la più risalente Cons. Stato, III, 27 marzo 2014, n. 1487)”. (Cfr.  Cons. Stato, Sez. V, n. 453/2024; Sez. V, n. 6652/2023 e VII, n.5659/2024).

Sul punto, tuttavia di recente si coglie un’inversione di tendenza.

Il Tar Napoli nella recentissima pronuncia del 13 giugno 2024 n. 3735, ha sostenuto che la stipula di un nuovo contratto collettivo nazionale (CCNL) di settore, obbliga al riequilibrio del contratto d’appalto, sia in corso di esecuzione, sia prima della stipula, trattandosi di sopravvenienze normative espressamente indicate come condizioni legittimanti dall’art.106 del D.lgs. 50/2016 e, oggi, dall’art.9 e 120 del D.lgs. 36/2023.

Il Tar, dunque, sulla scorta delle stesse premesse e dunque sulla base del richiamato orientamento ormai consolidato del Consiglio di Stato, secondo il quale “la stipula del nuovo CCNL di settore, sopravvenuta nel corso della procedura di verifica della congruità dell’offerta, […] impone alla stazione appaltante di tenere conto dei nuovi livelli retributivi previsti, in quanto sicuramente applicabili alla futura esecuzione del contratto da affidare, e conseguentemente di verificare (…) se l’offerta economica dell’impresa individuata come possibile aggiudicataria sia in grado di sostenere anche i nuovi costi”, giunge, tuttavia, a conclusioni diverse.

Secondo tale diversa prospettazione, la sopravvenienza del nuovo CCNL non ricade sulla legittimità dell’aggiudicazione disposta, ma va a incidere sulla fase esecutiva del contratto d’appalto comportando la rinegoziazione delle condizioni del contratto medesimo; ciò a fronte dei principi sanciti dagli artt.9 e 120 del nuovo codice dei contratti pubblici (D.lgs. 36/2023).

Nella specie la Corte Territoriale ha così statuito: “ 3.2. In tale ottica, la preoccupazione manifestata dalla ricorrente in ordine all’attuale insostenibilità dell’offerta non ha ragion d’essere, essendo i nuovi livelli retributivi “sicuramente applicabili alla futura esecuzione del contratto da affidare” (Cons. Stato, n. 6652/2023, cit.).

Da ciò discende che, da un canto, occorrerà assicurare l’adeguamento dei livelli retributivi e, d’altro canto, la censurata mancanza non si riverbera in vizio dell’aggiudicazione. Va premesso che all’adeguamento si sarebbe dovuto far fronte anche qualora il procedimento amministrativo non avesse subito la stasi prodotta dal contenzioso instaurato e, avviato il rapporto sulla base dei costi della manodopera stimati, si fosse posto l’obbligo di applicare i nuovi livelli salariali.

Questo aspetto concerne il tema del riequilibrio del contratto di appalto, che trova corrispondenza nelle previsioni del codice che consentono la modifica dei corrispettivi. In particolare, l’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che i contratti di appalto possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento, ove la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste o imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice, tra le quali “la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti” (co. 1, lett. c), n. 2). È da ritenersi che in quest’ambito vi debbano rientrare i contratti collettivi nazionali di lavoro, in ragione della loro inderogabilità e per la natura che rivestono (dall’art. 2 del d.lgs. n. 40/2006 che, modificando l’art. 360 c.p.c., ammette al n. 3 il ricorso per cassazione per violazione di norme dei contratti accordi collettivi nazionali di lavoro, la dottrina giuslavoristica ne ha finanche desunto la riconducibilità alle fonti di diritto). In conclusione, la questione prospettata dalla ricorrente rientra tra i rimedi manutentivi del contratto, di tal che non può essere predicata l’illegittimità dell’aggiudicazione”. (Cfr. Tar Napoli 3735/2024).

 

Si veda anche Cons. Stato, Sez. III, 14 ottobre 2022, n. 3460.

Ritiene il Collegio, ad una valutazione più approfondita – in sede di cognizione piena - rispetto alla sommaria delibazione di cui all’ordinanza cautelare n. 558/2022, che il primo motivo di appello sia fondato.

Va anzitutto osservato che la ricorrente lamentava “l’illegittimità degli atti di gara, in quanto - in tesi - redatti senza tener conto delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei “Criteri ambientali minimi per il servizio di ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari” di cui al decreto ministeriale 10 marzo 2020 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (d’ora innanzi anche CAM), in assenza, peraltro, di alcun rinvio funzionale esterno per la ricezione/applicazione dei medesimi”.

Il T.A.R. ha ritenuto il ricorso di primo grado inammissibile sia perché la ricorrente non ha impugnato subito il bando, poi contestato dopo l’esito della gara; sia perché la ricorrente, quarta graduata, non ha “svolto censura alcuna avverso il posizionamento in graduatoria di ciascuno degli operatori economici che la precedono con rango potiore nella graduatoria finale” (in realtà, come si specificherà ulteriormente, il ricorso mira alla riedizione dell’intera gara).

L’impugnata sentenza del giudice di primo grado però non afferma che la clausola contestata fosse escludente, né che impedisse di formulare l’offerta: queste essendo le uniche due categorie di clausole che la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, a seguito della richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria, grava dell’onere di immediata impugnazione.

Pertanto, non può essere condivisa l’affermazione contenuta nella sentenza del T.A.R. secondo la quale “A tal riguardo è la stessa ricorrente a precisare nei propri scritti difensivi che “l’omesso rispetto dei CAM per il servizio posto in affidamento non ha integrato una condizione direttamente impeditiva per la partecipazione alla gara, non ne ha precluso l’utile partecipazione, né l’omesso rispetto dei CAM ha reso impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla procedura”, dando prova testuale del tenore evidentemente contraddittorio delle proprie contestazioni”.

La difesa della ricorrente in primo grado in realtà non è affatto contraddittoria, perché elenca la non sussistenza, nel caso di specie, delle condizioni che, secondo la Plenaria, avrebbero imposto/consentito l’impugnazione immediata del bando: anzi, la prospettazione della ricorrente in primo grado risulta – a differenza delle conclusioni tratte dalla sentenza gravata – coerente ai princìpi di diritto enunciati dalla Plenaria.

Se poi si scende dal piano dei princìpi alla materia specificamente attinente l’oggetto delle clausole in questione, va rimarcato che in forza di uno stabile indirizzo giurisprudenziale, che il Collegio condivide, la non conformità della legge di gara agli articoli 34 e 71 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, in tema di criteri ambientali minimi (C.A.M.) non è vizio tale da imporre un’immediata e tempestiva impugnazione del bando di gara, non ricadendosi nei casi eccezionali di clausole escludenti o impeditive che, sole, consentono l’immediata impugnazione della lex specialis di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2021, n. 972).

Conseguentemente, la partecipazione alla gara in un’ipotesi del genere non può considerarsi acquiescenza alle regole di gara, essendo l’impugnazione proponibile solo all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, senza che ciò possa qualificarsi come un venire contra factum proprium come invece ritenuto dal primo giudice (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 972/2021, cit.).

6. Quanto alla circostanza che la stessa offerta dell’odierna appellante non fosse rispettosa dei C.A.M., va osservato che, in disparte il fatto che ciò non configura vizio finché detta offerta era conforme alla lex specialis, in ogni caso la controinteressata, ove avesse inteso farlo valere quale motivo di necessaria esclusione della ricorrente dalla gara (assumendo, in sostanza, che la sua offerta era affetta dagli stessi vizi che rimproverava agli altri concorrenti), avrebbe dovuto farlo proponendo impugnazione incidentale avverso l’ammissione in gara della stessa ricorrente e non con mera eccezione.

Ciò posto, l’indicata circostanza non rileva neppure sul piano dell’interesse a ricorrere, come accennato in precedenza.

Una volta chiarita l’ammissibilità del gravame rivolto contro un’aggiudicazione viziata dal mancato inserimento dei criteri ambientali minimi nella legge di gara, la conseguenza dell’accoglimento di tale censura è la caducazione dell’intera gara e l’integrale riedizione della stessa, emendata dal vizio in questione.

Ladisa deduce in argomento che «il ricorso di prime cure è carente di interesse attuale e concreto, non essendo chiarito come e in quale parte l’introduzione dei CAM asseritamente carenti avrebbe potuto sovvertire gli esiti della gara comunque ampliare la sfera degli interessi della società Pastore che ha partecipato e concorso ad armi pari con gli altri operatori economici alle condizioni date».

In realtà, come già chiarito, è pacifico che in un caso del genere rilevi (e sia sufficiente) l’interesse “strumentale” alla riedizione della procedura di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 972/2021, cit., con richiami di giurisprudenza).

Dal che la fondatezza anche del motivo di appello che deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per mancata dimostrazione della prova di resistenza.

In verità l’art. 18.1 del disciplinare, invocato dall’appellata, prevede il criterio dei “servizi migliorativi aggiuntivi”, per il quale sono attribuiti 5 punti per l’utilizzo di prodotti biologici”.

Ciò implica che la legge di gara ha dato rilievo ai C.A.M. unicamente sul piano dei punteggi aggiuntivi per i servizi migliorativi: il che comporta che, in assenza, ben avrebbe potuto la gara essere aggiudicata ad un’offerta del tutto non conforme alla disciplina dei C.A.M..

La conseguenza della richiamata disciplina di gara è infatti quella di relegare un contenuto necessario all’alea delle offerte migliorative.

La più volte citata sentenza n. 972/2021 di questo Consiglio di Stato ha, al contrario, chiaramente affermato che le disposizioni in materia di C.A.M., “lungi dal risolversi in mere norme programmatiche, costituiscono in realtà obblighi immediatamente cogenti per le stazioni appaltanti, come si desume plasticamente dal terzo comma dell’art. 34, il quale sancisce che “L’obbligo di cui ai commi 1 e 2 si applica per gli affidamenti di qualunque importo, relativamente alle categorie di forniture e di affidamenti di servizi e lavori oggetto dei criteri ambientali minimi adottati nell'ambito del citato Piano d’azione”.

Anche la dottrina ha chiaramente argomentato che la peculiarità innovativa del dato normativo in esame è data dalla doverosità dell’inserimento del requisito ambientale già nel “momento della definizione dell’oggetto dell’appalto”.

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è pacifica nel rinvenire la ratio dell’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nell’esigenza di garantire “che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde” (così, da ultimo, la sentenza n. 6934/2022).

La previsione in parola, e l’istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un “segmento dell’economia circolare”.

9. Ne consegue che non possono ritenersi rispettate tali previsioni allegando il generico rinvio della legge di gara alle disposizioni vigenti, ovvero opponendo in memoria – in un’ottica di risultato - che l’aggiudicataria avesse comunque “offerto in gara prodotti biologici e possiede certificazioni idonee a minimizzare l’impatto ambientale nella fase esecutiva della commessa”.

Una simile affermazione non equivale a prospettare la conformità del risultato della gara allo scopo voluto dai parametri normativi evocati dalla ricorrente, perché – a tacer d’altro – esprime una rilevanza ambientale del contenuto dell’offerta che, oltre a non coincidere con lo schema normativo di riferimento, si connota per essere soltanto parziale, casuale ed occasionale: ma soprattutto, volontariamente “concessa” dall’offerente (che, in base alla legge di gara, a ciò non era tenuto).

 

 

In sede di verifica dell’anomalia la stazione appaltante deve tenere conto delle tabelle ministeriali sopravvenute nel corso della procedura

Sulla questione si registrano due orientamenti giurisprudenziali.

Secondo il primo orientamento, ad oggi maggioritario, “la verifica di anomalia eseguita dall’amministrazione non può prescindere dall’esame delle voci di costo ragionevolmente attendibili in sede esecutiva, ivi incluse le variazioni retributive ascrivibili all’adozione di un nuovo CCNL, ancorché sopraggiunto alle offerte e diverso da quello tenuto in considerazione dall’amministrazione ai fini del calcolo del costo della manodopera” (Cons. Stato, Sez. VII, 26 giugno 2024, n. 5659)

Pertanto, la stipula del nuovo CCNL di settore, sopravvenuta nel corso della procedura di verifica della congruità dell’offerta, per un verso comporta la sua applicazione al personale impiegato nell’esecuzione dell’appalto; per altro verso, impone alla stazione appaltante di tenere conto dei nuovi livelli retributivi previsti, in quanto sicuramente applicabili alla futura esecuzione del contratto da affidare, e conseguentemente di verificare se l’offerta economica dell’impresa individuata come possibile aggiudicataria sia in grado di sostenere anche i nuovi costi (Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2023, n. 6652).

Ciò in quanto occorre “valutare la tenuta economica dell’offerta, nel tempo dell’esecuzione del contratto, con riguardo al costo del personale impiegato. Il cui aumento, derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non dovrebbe essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l’imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell’offerta presentata in gara” (Cons. Stato, Sez. V, 7 giugno 2023, cit.). 

In base a tale orientamento giurisprudenziale, la valutazione dell’amministrazione appaltante non può prescindere, quindi, dal prendere in considerazione anche quei costi che con ragionevole certezza si presenteranno nel corso dell’esecuzione, nell’entità e nella consistenza prevedibile al tempo in cui la verifica di congruità sia effettuata (Cons. Stato, n. 5659/2024).

Va segnalata l’esistenza di un orientamento minoritario, in base al quale l’anomalia va riscontrata sulla base dello stesso quadro normativo complessivo che ha condotto all’elaborazione del bando da parte dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. III, n. 4210/2015; n. 1487/2014; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n. 4761/2022; TAR Piemonte, sez. I, n. 510/2020), ad eminente tutela del principio della par condicio competitorum.

Alla luce del quadro giurisprudenziale è, quindi, opportuno che l’operatore economico – in sede di formulazione dell’offerta economica – tenga conto di eventuali futuri, ove prevedibili, aggiornamenti delle tabelle ministeriali.

Sulla negoziazione del contenuto delle clausole contrattuali tra aggiudicazione e stipulazione del contratto cfr. TAR Cagliari, 16 novembre 2022 n. 770.

Con la sentenza in commento, il TAR Sardegna si è espresso sul tema inerente alla possibilità di “rinegoziare”, ed eventualmente entro che limiti, il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto.

Il TAR, esprimendosi su una fattispecie in cui il contratto veniva stipulato dopo diversi anni dalla gara, risponde al quesito in senso affermativo, discostandosi da recentissime posizioni del Consiglio di Stato.

Nel dettaglio, la controversia riguarda la validità dell’art. 3 del contratto stipulato tra le parti, che, premesso l’ammontare dell’appalto, “salvo quanto previsto riguardo gli eventuali adeguamenti del canone, da riconoscere all’Appaltatore, di cui al presente contratti (a solo titolo esemplificativo e non esaustivo: maggiori utenze (…)”, prevede l’adeguamento del canone non solo in riferimento all’indice FOI, ma anche “in base al maggior costo del personale rispetto a quello vigente alla data di presentazione dell’offerta (come da Tabelle pubblicate dal Ministero del Lavoro – Novembre 2010)”.

Per il Comune resistente tale previsione contrattuale sarebbe nulla, in quanto contrastante con lo schema di contratto allegato all’aggiudicazione, che riprendeva il contenuto del Capitolato e limitava la revisione prezzi entro il limite di cui all’indice FOI. Di conseguenza, il contratto stipulato sarebbe nullo in parte, per contrasto anche con quanto previsto dall’art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, ratione temporis applicabile, che prevede inderogabilmente la previsione di una clausola di revisione prezzi nel limite massimo dell’indice FOI, salva la ricorrenza di circostanze eccezionali ed imprevedibili, nonché perché, in tal modo, il contratto avrebbe sostanzialmente rinegoziato le condizioni poste a base della gara.

L’impresa ricorrente, invece, replica che “nella fattispecie non si discorre dell’adeguamento prezzi annuale (che è un evento fisiologico di ogni contratto d’appalto), bensì della determinazione del corrispettivo di base, che, in seguito ad una situazione patologica (la stipulazione del contratto a distanza di due anni dalla gara) non era più coerente, già al momento dell’avvio del servizio, con i costi del servizio messo in gara (perché, nelle more, era aumentato il numero di utenti da servire ed era aumentato, altresì, il costo del lavoro)”, risultando perciò inconferenti le considerazioni in merito all’insuperabilità dell’indice FOI.

Su tale questione, evidenzia il Collegio, sussistono due posizioni contrastanti.

Un primo orientamento, capeggiato dalla sentenza del TAR Lombardia Brescia n. 239/2022, ritiene che l’istanza di revisione del prezzo formulata prima della stipula del contratto non possa trovare accoglimento per la semplice ragione che la sua formulazione presuppone, appunto, l’esistenza di un contratto valido ed efficace (posizione, questa, condivisa in sede d’appello anche dalla pronuncia n. 9426/2022 del Consiglio di Stato).

Secondo tale pronuncia, la fase che precede la stipula del contratto è infatti contraddistinta dalla par condicio tra i concorrenti e dall’immodificabilità dell’offerta, principi che inibiscono qualsiasi tipo di cambiamento dell’oggetto del contratto o della proposta fatta dal privato (TAR Lazio Roma, Sez. III, 27.11.2017, n. 11732).

Una seconda e diversa tesi, invece, sostiene che “il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto” (come affermato da CGUE, Sez. VIII, 7.9.2016, C-549/14). Facendo applicazione di tale principio, è stato affermato come non contrasterebbe con il principio di parità di trattamento e con il correlato obbligo di trasparenza la possibilità di procedere ad una revisione dei prezzi in una fase antecedente la stipula del contratto (TAR Toscana, Sez. I, 25.2.2022, n. 228).

Tale possibilità è motivata, in particolare, dal fatto che l’indizione di una gara di appalto costituisce un impegno particolarmente gravoso per l’amministrazione, con la conseguenza che gli esiti della stessa non possono essere vanificati da eventuali sopravvenienze.

In un simile contesto, “la scelta dell’amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto si configura in fondo come prudente, poiché, posto che la rinegoziazione implica ovviamente l’accordo della controparte, ove tale accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe rafforzata in capo all’amministrazione una possibilità di revoca fondata sulle sopravvenienze organizzative e su un ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario” (TAR Piemonte, Sez. I, 28.6.2021, n. 667).

Il Collegio, nell’accogliere il ricorso, si allinea a questa seconda tesi.

In particolare, secondo i giudici, la correttezza della seconda tesi trova conferma nel fatto che poiché “non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto”, la legittimità di una rinegoziazione sarebbe da rinvenire nella ratio stessa dell’istituto, ossia riequilibrare il rapporto economico contrattuale; la “corretta applicazione del principio di economicità, dunque di buon andamento, dell’amministrazione (richiamato dall’art. 30, comma 1, del codice dei contratti pubblici), scongiura una riedizione della procedura, che diversamente s’imporrebbe in tutti i casi di modifica, ancorché non “essenziale”, delle condizioni”.

Fermo restando il principio secondo cui è possibile la modifica delle condizioni contrattuali anche in un momento antecedente la stipula del contratto, atteso che le modifiche non essenziali al contratto valorizzano la tipologia delle stesse e non il momento in cui esse intervengono – così come evidenziato dalla citata CGUE – il Collegio ha concluso per la legittimità della clausola contrattuale “nella parte in cui ha previsto un adeguamento del compenso per l’appalto rispetto alla procedura di gara, in ragione del lungo tempo trascorso tra la presentazione dell’offerta e la stipulazione del contratto stesso”.

Sul tema dell’equilibrio contrattuale, si veda - altresì - T.A.R. Piemonte-Torino, sez. II, 20.02.2023, n.180 secondo cui: “Costituisce onere dell’amministrazione assicurarsi di giungere alla stipula di un contratto in condizioni di equilibrio, valutando ogni sopravvenienza segnalata anche dagli operatori economici, alla luce delle normative vigenti.

È pertanto possibile, prima della stipula, rinegoziare i termini economici del contratto nel caso in cui, come accaduto nell’ultimo triennio, il mercato di riferimento faccia registrare una lievitazione dei costi delle materie prime tale da rendere insostenibile l’offerta presentata in gara dall’appaltatore designato.

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