TAR Lazio, Roma, sez. I quater, 6 novembre 2025, n. 19730

La sentenza del TAR Lazio, Sezione I Quater, n. 19730 del 6 novembre 2025, affronta il delicato tema della responsabilità dell’operatore economico per dichiarazioni non veritiere rese in fase di iscrizione al Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA). L’Autorità Nazionale Anticorruzione aveva irrogato ad un operatore economico una sanzione ex art. 213, comma 13, D.Lgs. 50/2016 per aver dichiarato il possesso di un’attestazione SOA inesistente. Il TAR, pur riconoscendo la particolarità del caso, ha confermato la sanzione, valorizzando il principio di diligenza qualificata che grava sull’operatore e il nesso con il principio del risultato introdotto dal D.Lgs. 36/2023. La decisione rappresenta un significativo passaggio interpretativo nella transizione dal “Codice del 2016” al “nuovo Codice degli appalti”.

Guida alla lettura

  1. Introduzione

Il tema delle dichiarazioni non veritiere nel sistema degli appalti pubblici rappresenta uno degli snodi più complessi del diritto amministrativo contemporaneo. L’assetto normativo delineato dal D.Lgs. 50/2016, ora sostituito dal D.Lgs. 36/2023, attribuisce all’ANAC un potere sanzionatorio di natura amministrativa volto a garantire l’integrità e l’affidabilità degli operatori economici, tutelando la trasparenza e la leale concorrenza nelle procedure di affidamento.
Nel caso deciso dal TAR Lazio, Sez. I Quater, n. 19730/2025, la vicenda ruota attorno alla dichiarazione resa da un’impresa in sede di iscrizione al MEPA, nella quale era stato attestato il possesso di una certificazione SOA OG1, in realtà non posseduta. L’impresa sosteneva di averlo fatto solo per accedere alle procedure riservate e che il requisito sarebbe stato integrato successivamente mediante avvalimento.
La decisione offre lo spunto per riflettere su tre questioni centrali: i) la distinzione tra falso doloso e falso colposo ai sensi dell’art. 213, co. 13, D.Lgs. 50/2016; ii) la diligenza professionale qualificata richiesta agli operatori economici; iii) la compatibilità tra il principio di massima partecipazione e quello del risultato che informa il nuovo Codice dei Contratti Pubblici.

  1. La dichiarazione non veritiera tra colpa lieve e principio del risultato: la responsabilità dell’operatore economico nel sistema del MEPA

La pronuncia in commento si colloca in un contesto evolutivo del diritto dei contratti pubblici in cui il legislatore ha progressivamente ampliato il ruolo della responsabilità amministrativa degli operatori economici, svincolandola da una concezione meramente sanzionatoria per ricondurla nell’alveo della collaborazione fiduciaria tra pubblico e privato.

Il TAR Lazio ricostruisce puntualmente il fondamento normativo della sanzione, richiamando l’art. 213, co. 13, del D.Lgs. 50/2016, oggi trasfuso nell’art. 222, co. 13, del D.Lgs. 36/2023. Tale disposizione prevede che l’ANAC possa irrogare sanzioni pecuniarie agli operatori economici che forniscano dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di qualificazione, “fatta salva l’eventuale sanzione penale”.

Ciò significa che la fattispecie amministrativa non coincide con il falso penale, ma si configura come illecito autonomo, anche in assenza di dolo o colpa grave. Il Giudice amministrativo ribadisce che la norma intercetta anche i casi di colpa lieve, ponendosi come presidio dell’affidabilità complessiva del sistema, e non come mera reazione repressiva a comportamenti fraudolenti.

La decisione valorizza, con argomentazione ampia e sistematica, l’orientamento già espresso in precedenti pronunce (TAR Lazio, Roma, sez. I quater, 28 febbraio 2025, n. 4487; Id., 1° marzo 2024, n. 4115;), secondo cui il “falso innocuo” o colposo è comunque sanzionabile in quanto pregiudica il buon andamento dell’azione amministrativa e mina la fiducia nel mercato pubblico. In tal senso, il TAR afferma che la sanzionabilità ai sensi dell’art. 213, comma 13, del D.Lgs. 50/2016 del falso commesso con colpa lieve appare coerente con la finalità del sistema di promuovere una condotta corretta da parte degli operatori economici, collegando la disposizione al principio del risultato di cui all’art. 1 del D.Lgs. 36/2023.

La centralità del principio di diligenza costituisce il nucleo concettuale della pronuncia. Il Collegio osserva che l’impresa che partecipa al mercato degli appalti pubblici è tenuta a un grado di professionalità superiore, non solo nell’esecuzione del contratto ma anche nella fase genetica e dichiarativa, richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 25 settembre 2024, n. 7798). Tale obbligo di diligenza qualificata implica un dovere di verifica preventiva dell’esattezza delle dichiarazioni e, soprattutto, di trasparenza comunicativa nei confronti della stazione appaltante e del gestore della piattaforma digitale.

Sul piano fattuale, la società ricorrente aveva dichiarato di possedere una SOA OG1 classifica VIII, pur non avendola, giustificandosi con la necessità di essere inserita tra i soggetti invitabili alle procedure RDO. Il TAR, tuttavia, sottolinea che “non è immaginabile che una dichiarazione debba essere ascritta a un significato diverso da quello percepibile secondo il senso comune”, ritenendo irrilevante la volontà interna dell’operatore di ricorrere successivamente all’avvalimento.
Da tale prospettiva, la pronuncia assume rilievo anche in chiave sistemica, chiarendo che l’iscrizione al MEPA non è una fase neutra, ma un momento dotato di effetti dichiarativi e selettivi idonei a incidere sull’invito alle gare. Pertanto, l’operatore che introduce nel sistema informazioni errate — anche senza dolo — altera la parità competitiva e compromette il funzionamento del mercato elettronico.

Interessante è la riflessione del TAR sul bilanciamento tra principio di massima partecipazione e principio di celerità e rotazione nelle procedure sottosoglia. Riprendendo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 12 settembre 2019, n. 6160), il Collegio afferma che non esiste un diritto soggettivo dell’operatore non qualificato a essere invitato alle procedure negoziate, essendo fisiologico un “contingentamento” del numero dei partecipanti. La pretesa di ampliare indefinitamente l’invito, anche a chi non possiede i requisiti, finirebbe per snaturare la funzione selettiva e acceleratoria delle procedure semplificate, violando il principio di buon andamento ex art. 97 Cost. e il divieto di aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, co. 2, L. 241/1990.

Il Collegio ne trae una conclusione di grande rilievo sistematico: la tutela della fiducia pubblica nel sistema degli appalti prevale sulla logica espansiva della partecipazione. In altri termini, la massima partecipazione non può tradursi in ammissione indiscriminata, specie quando essa implica la distorsione delle dichiarazioni rese.

Da un punto di vista critico, la sentenza conferma una linea interpretativa rigorosa ma coerente con la nuova impostazione del Codice 2023, che incentiva la responsabilizzazione degli operatori attraverso il principio del risultato e la leale collaborazione digitale tra amministrazione e mercato. Tuttavia, può osservarsi che la scelta di punire anche la colpa lieve rischia di produrre un effetto dissuasivo eccessivo, soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese, per le quali il MEPA rappresenta spesso l’unica via di accesso al mercato pubblico.

Una maggiore chiarezza nei moduli informatici, come suggerito dal Collegio stesso, avrebbe potuto prevenire il contenzioso, rafforzando la certezza del diritto e la prevedibilità del comportamento amministrativo.

Inoltre, la decisione offre uno spunto per riflettere sul rapporto tra digitalizzazione e responsabilità: la piattaforma MEPA, quale ambiente regolato da Consip sotto la vigilanza di ANAC, costituisce un vero e proprio “spazio amministrativo digitale”, nel quale le dichiarazioni assumono valore giuridico immediato e sono destinate a produrre effetti nei confronti di più amministrazioni. Ciò amplifica la responsabilità degli operatori ma anche quella del gestore del sistema, chiamato a garantire la correttezza e la trasparenza delle interfacce dichiarative.

Pertanto, la portata innovativa della sentenza risiede nel porre in relazione il dovere di veridicità dichiarativa con il principio del risultato, interpretando la sanzione ANAC non come strumento punitivo, bensì come leva di garanzia sistemica del corretto funzionamento dell’intero ecosistema digitale degli appalti pubblici.

  1. Conclusioni

La sentenza del TAR Lazio n. 19730/2025 si distingue per la capacità di armonizzare il quadro normativo previgente (D.Lgs. 50/2016) con la nuova architettura del D.Lgs. 36/2023, in cui il principio del risultato e quello di fiducia costituiscono il fulcro della legalità amministrativa. Essa riafferma che nel sistema degli appalti pubblici la veridicità delle dichiarazioni costituisce presupposto imprescindibile di affidabilità, anche in assenza di dolo.
Pur condivisibile nella logica, la decisione solleva un interrogativo di fondo: fino a che punto è compatibile una responsabilità per colpa lieve con l’obiettivo di favorire la partecipazione delle PMI? Forse la vera sfida del nuovo Codice sarà quella di coniugare la rigorosa tutela dell’affidabilità con un diritto amministrativo dell’accesso digitale inclusivo, capace di conciliare verità, semplicità e proporzionalità nella gestione del mercato pubblico elettronico.

 

 

Pubblicato il 06/11/2025

N. 19730/2025 REG.PROV.COLL.

N. 07554/2024 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7554 del 2024, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mario Caliendo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Anac - Autorita' Nazionale Anticorruzione, Istituto Superiore di Sanità, Consip Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

1. della Delibera ANAC n. 309 del 24.06.2024, notificata il 3.7.2024, recante irrogazione della sanzione pecuniaria di € 2.000,000 a carico della ricorrente;

2. di ogni altro provvedimento propedeutico o connesso alla presente;

3. di ogni altro provvedimento connesso, consequenziale e propedeutico a quelli impugnati;

4. del provvedimento di segnalazione all’ANAC effettuato della Stazione Appaltante;

5. del regolamento per poter essere iscritti nell’elenco delle imprese di fiducia presso ISS e CONSPI e MEPA poiché nullo e palesemente posto in violazione degli artt. 89 del d.lgd. 50 del 2016 ed articoli 104 del d.lgs. 36 del 2023;

6. del provvedimento di esclusione se ed in quanto lesivo degli interessi della ricorrente;

7. della nullità del regolamento per la iscrizione nell’elenco delle imprese di fiducia della CONSIP e MEPA e per la nullità del provvedimento di esclusione disposto dalla S.A. che ha, poi, generato la segnalazione ad ANAC e quindi la sanzione impugnata

 

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Anac -Autorita' Nazionale Anticorruzione, dell’Istituto Superiore di Sanita' e di Consip S.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2025 la dott.ssa Caterina Lauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente ha presentato domanda per l’iscrizione al mercato elettronico della pubblica amministrazione (di seguito “m.e.p.a.”) gestito dalla Consip S.p.a. nella categoria “OG1” e ha riferito di essere stata sorteggiata, per effetto di tale iscrizione, tra gli operatori economici in possesso del livello di qualificazione “SOA Cat. OG1 - Classifica IV” destinatari dell’invito dell’Istituto superiore della sanità (di seguito anche “I.S.S.”) tramite richiesta di offerta (r.d.o.) del 27 giugno 2023 ai fini della stipula di un accordo quadro per i lavori di manutenzione straordinaria presso le strutture del complesso immobiliare sede dell’Istituto.

Dopo aver espresso l’intendimento di partecipare alla gara soddisfacendo il possesso dell’attestazione SOA mediante avvalimento, ha ricevuto, in data 26 settembre 2023, apposita richiesta di chiarimenti con la quale la stazione le ha intimato di produrre un’attestazione SOA in corso di validità al momento di indizione della procedura.

In seguito, la ricorrente è stata esclusa dalla competizione, in quanto sprovvista di tale requisito di partecipazione.

La ricorrente ha sostenuto che tale esclusione sarebbe frutto di un equivoco, avendo la stazione appaltante confuso la “richiesta” di partecipare alle procedure di affidamento implicanti il possesso della SOA, quale è l’iscrizione nel corrispondente elenco del m.e.p.a., con la dichiarazione di avere l’immediata disponibilità del requisito, che, invece, avrebbe inteso garantire mediante avvalimento una volta ricevuto l’invito a partecipare ad uno specifico appalto, deducendo che all’atto della iscrizione al MEPA non è possibile stipulare un avvalimento “generalizzato” o per un numero indeterminato di gare e che né i moduli predisposti dalla Consip ai fini dell’iscrizione consentivano all’impresa di precisare tale condizione, né la piattaforma m.e.p.a. consentiva di allegare dichiarazioni integrative in tal senso.

In relazione a tale vicenda, l’I.S.S. ha indirizzato una segnalazione all’A.n.a.c., che ha comunicato l’avvio del procedimento sanzionatorio di cui agli artt. 80, co. 12, e 213, co. 13, del d.lgs. 50/2016 e, all’esito dell’istruttoria, ha adottato la delibera impugnata, con la quale ha irrogato alla ricorrente una sanzione pecuniaria di € 2.000,00, avendo ritenuto integrati sia l’elemento oggettivo della falsa dichiarazione, alla luce dell’espressa dichiarazione di possesso del requisito contenuta nella domanda di iscrizione nella categoria OG1 del m.e.p.a., sia quello soggettivo della colpa non grave, in quanto, ad avviso dell’Autorità, sarebbe stata acclarata “la mancata adozione dei parametri di diligenza richiesti ad un soggetto che partecipa a procedure di affidamento di contratti pubblici, parametri che se adottati lo avrebbero indotto ad indicare la volontà di ricorrere all’istituto dell’avvalimento” e sarebbe errato il convincimento dell’operatore economico di poter integrare/modificare successivamente, a seguito di invito, le dichiarazioni rese in fase di iscrizione al m.e.p.a.

1.1. La ricorrente, pertanto, si è rivolta a questo Tar, chiedendo l’annullamento, previa sospensione in via cautelare, del provvedimento sanzionatorio adottato dall’Anac sulla base dei seguenti motivi in diritto:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 cost – violazione e falsa applicazione del codice degli appalti – violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 48 del direttiva comunitaria – art. 89 e 36 del codice – violazione e falsa applicazione del dpr 207 del 2010 – violazione e falsa applicazione del d.lgs. 36 del 2023 - violazione del principio della massima partecipazione - violazione e falsa applicazione della legge 241 del 1990 – eccesso di potere – sviamento.”, in quanto la valutazione espressa dall’Anac si fonderebbe sull’inaccettabile pretesa che gli operatori economici debbano essere già in possesso dei requisiti di partecipazione al momento dell’iscrizione negli elenchi – quale è quello del m.e.p.a. – di cui all’art. 36, co. 2, del d.lgs. 50/2016 (ai quali le stazioni appaltanti attingono per le procedure negoziate di importo inferiore alle soglie comunitarie), negando alle piccole e medie imprese di partecipare tramite avvalimento, in tal modo completamente svilendo tale istituto. Mancherebbe, in ogni caso, l’elemento soggettivo per l’addebito della sanzione, tenuto conto dei vincoli incontrati nella compilazione della domanda di rinnovo dell’iscrizione al m.e.p.a., che non consentivano di iscriversi all’elenco per l’esecuzione di lavori appartenenti alla categoria OG1, classifica IV, senza contestualmente dichiarare il possesso del requisito.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 cost – violazione e falsa applicazione del codice degli appalti – violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 48 del direttiva comunitaria – art. 89 e 36 del codice – violazione del principio della massima partecipazione - violazione e falsa applicazione della legge 241 del 1990 – eccesso di potere – sviamento – sotto ulteriori aspetti”, con cui approfondisce i risvolti dell’interpretazione seguita dall’I.S.S. e dall’Anac, che pregiudicherebbe la legittima aspirazione degli operatori economici ad essere iscritti negli elenchi per concorrere all’aggiudicazione di appalti che implicano il possesso di determinati requisiti senza disporre immediatamente delle capacità all’uopo richieste e riservandosi di procurarsele in un secondo momento mediante avvalimento. Ciò sarebbe in contrasto con le stesse indicazioni rese dall’ex A.v.c.p. nella determinazione n. 2 del 1° agosto 2012 e con l’ontologica diversità della partecipazione ad una specifica gara dalla fase di pre-qualifica, nella quale anche il giudice amministrativo avrebbe riconosciuto l’inesigibilità della richiesta.

3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 cost. – violazione e falsa applicazione dei principi in ordine alle responsabilità personali – eccesso di potere - sviamento” con cui evidenzia l’incongruenza tra la sanzione applicata e la circostanza che, per l’iscrizione al m.e.p.a., non fosse necessario “dimostrare il possesso di specifici requisiti tecnici e dovevano limitarsi ad indicare esclusivamente la categoria e classifica per la quale intendevano essere inserite nell’elenco”, evidenziando le lacune istruttorie e il difetto di motivazione in cui sarebbe incorsa l’Anac, soprattutto nella verifica dell’elemento soggettivo dell’illecito. L’Autorità avrebbe, infatti, omesso qualsiasi autonoma indagine sui profili di rimproverabilità della condotta tenuta dall’impresa.

4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 cost – violazione e falsa applicazione del codice degli appalti – violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 48 della direttiva comunitaria – art. 89 e 36 del codice – violazione del principio della massima partecipazione - violazione e falsa applicazione della legge 241 del 1990 – eccesso di potere – sviamento.”, con cui ha rilevato come la stessa legge di gara – da cui è stata inspiegabilmente esclusa – prevedesse la possibilità di ricorrere all’istituto dell’avvalimento, dovendo, solo in fase di gara il concorrente dimostrare il possesso dei requisiti; -OMISSIS-, quindi, non avrebbe reso alcuna falsa dichiarazione in quanto, sulla base del bando, poteva partecipare alla gara, non commettendo alcun falso rilevante

1.2. L’Anac si è costituita con memoria di stile in data 16 luglio 2024 e ha depositato memoria il 27 luglio 2024, corredata degli atti del procedimento, in cui ha insistito per la correttezza del suo operato, evidenziando come la ricorrente non avesse impugnato né il provvedimento di esclusione né il Regolamento Consip sul m.e.p.a., con conseguente irricevibilità delle censure sollevate avverso l’esclusione “dalla RDO indetta dall’ISS, che travolge a cascata, per irricevibilità derivata, anche le censure di nullità formulate avverso il Capitolato d’oneri del Bando MEPA - Lavori di Consip”. Nel merito ha sottolineato come la tesi avversa non trova riscontro nel fatto per gli operatori economici che intendessero (in fase di negoziazione) ricorrere all’avvalimento o partecipare in forma aggregata - fin dal 2021 - è stata introdotta a Sistema proprio l’opzione “nessuna qualificazione”, che consente all’operatore di ottenere comunque l’abilitazione pur non essendo in possesso dell’attestazione SOA, potendo ricorrere all’avvalimento nelle procedure cui viene invitato, essendo irrilevante che solo a partire dal mese di dicembre 2023 sia stata introdotta l’opzione selezionabile “RTI/avvalimento”. Ciò sarebbe testimoniato dal fatto che ben 737 operatori economici sprovvisti di attestazione SOA sono stati iscritti nella categoria OG1 nello stesso periodo in cui è pervenuta la richiesta della -OMISSIS-.

Alla memoria è stata allegata una relazione L’I.S.S. in cui ha evidenziato che: - la domanda di iscrizione/rinnovo dell’iscrizione al m.e.p.a. comporta che l’operatore economico debba dichiarare i requisiti speciali eventualmente posseduti e tale dichiarazione entra a far parte della documentazione amministrativa valutabile dal committente in sede di gara; - il “Capitolato d’Oneri per l’Abilitazione degli Operatori Economici alla categoria di Lavori di Manutenzione Edili del Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione, di cui all’art. 36, comma 6, del D.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 s.m.i.” prevedeva specifici obblighi dichiarativi in capo agli operatori economici sui requisiti posseduti; - sulla scorta delle opzioni disponibili, la ricorrente avrebbe dovuto valorizzare la “B1.b)”, corrispondente al possesso “dei requisiti di cui all’art. 90 del d.P.R. 207/2010, per l’esecuzione di lavori aventi importo pari o inferiore ad € 150.000,00”, senza che ciò pregiudicasse la possibilità di partecipare a procedure di importo superiore mediante avvalimento o in forma aggregata; - la dichiarazione non veritiera caricata ha consentito alla ricorrente di essere sorteggiata dal m.e.p.a. tra le imprese destinatarie della r.d.o. in esecuzione del “filtro” impostato dal committente, così acquisendo indubbiamente una posizione di vantaggio rispetto agli altri.

L’amministrazione quindi concluso per il rigetto del ricorso e dell’annessa istanza cautelare.

1.3. Con ordinanza -OMISSIS-, n. -OMISSIS- è stata accolta la richiesta cautelare.

1.4. All’esito dell’udienza pubblica tenutasi il 18 marzo 2025 il Collegio, con ordinanza collegiale -OMISSIS-, n. -OMISSIS- ha ordinato il deposito del “provvedimento impugnato Delibera ANAC n. 309 del 24.06.2024, notificata il 3 luglio 2024, recante irrogazione della sanzione pecuniaria di € 2.000,000 a carico della ricorrente;”.

1.5. Il ricorrente ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 73 c.p.a. e all’udienza pubblica del 21 ottobre 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Al più approfondito esame che connota la fase di trattazione del merito il ricorso è infondato e va rigettato in tutti i suoi motivi che, di fatto, sono ripropositivi delle medesime doglianze e che, per tale ragione possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di economia processuale e coerenza espositiva.

3. Occorre premettere che l’art. 213, co. 13, del d.lgs. 50/2016, applicato nella specie, punisce, nel rispetto dei principi previsti dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, gli “operatori economici che forniscono alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione, dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di qualificazione, fatta salva l'eventuale sanzione penale”, intercettando così anche i casi di “colpa lieve” (diversamente dall’art. 80, co. 12, del d.lgs. 50/2016, che fa riferimento alle ipotesi di dichiarazioni non veritiere rese con dolo o colpa grave, sanzionandole con l’esclusione dalle procedure di affidamento di contratti e subappalti fino a due anni).

Ai fini della corretta disamina della questione sottesa al presente giudizio va rimarcato che la dichiarazione non veritiera sanzionabile da parte dell’Anac non è sovrapponibile alla condotta che integra il reato di falso ideologico; in questi termini si è già pronunciato questo Tar evidenziando “la mancanza di una piena sovrapponibilità tra la fattispecie penale e quella amministrativa è confermata dall’inciso – che fa salva “l’eventuale sanzione penale” – inserito all’interno dell’art. 213, co. 13, del codice, che si pone a fondamento di criteri di valutazione della falsa dichiarazione da parte dell’ANAC non necessariamente coincidenti con quelli tipici del giudizio penale” (T.a.r. Lazio, sez. I quater, 1 marzo 2024, n. 4115) e che “la sanzionabilità ai sensi dell’art. 213, comma 13, d.lgs. n. 50/2016 del falso commesso con colpa lieve appare coerente con «la complessiva finalità del sistema di sanzioni pecuniarie previsto dall’art. 213, comma 13, d.lgs. n 50/2016, che – tenuto conto delle fattispecie sanzionate – appare orientato a promuovere una condotta corretta da parte degli operatori economici, a tutela del buon andamento delle operazioni connesse alla stipula dei contratti pubblici (bene giuridico che è sempre inficiato dalla produzione di documenti falsi, anche solo in termini di aggravio e rallentamento del procedimento) (cfr. Tar Lazio, I-quater, 27 aprile 2023, n. 7236 sulla sanzionabilità ai sensi dell’art. 213, comma 13, d.lgs. n. 50/2016 del cd. “falso innocuo”) " (Tar Lazio, sez. I quater, 28 febbraio 2025, n. 4487).

4. Ciò posto, occorre stabilire, innanzitutto, se, nel caso di specie, ricorra il presupposto oggettivo della “dichiarazione non veritiera”, rifacendosi alle coordinate ermeneutiche definite in proposito dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale “la falsa dichiarazione consiste in una immutatio veri; ricorre, cioè, se l’operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero” (Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407).

Ebbene, la ricorrente era pacificamente priva dell’attestazione SOA OG1 al momento della trasmissione della domanda di iscrizione al m.e.p.a. presentata in data 26 gennaio 2023 in cui ha, invece, dichiarato il “Possesso della SOA Categoria OG1 classifica VIII oltre euro 15.494.000”. La dichiarazione posta a base della sanzione resa in fase di iscrizione al m.e.p.a. e, quindi senz’altro “non veritiera”, perché riporta un dato diverso da quello reale.

5. Possono ora essere esaminate le censure concernenti l’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo.

5.1. In termini generali si osserva che – per effetto del rinvio dell’art. 213, co. 13, del d.lgs. 50/2016 alla l. 689/1981 (oggi ripreso dall’art. 222, co. 13, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) – l’applicazione della sanzione è subordinata all’accertamento di una responsabilità anche solo per colpa (non necessariamente “grave”), ai sensi dell’art. 3 della citata legge, sicché l’ammonimento può scaturire anche da mere disattenzioni o leggerezze compiute dall’operatore economico nel rendere una dichiarazione rilevante ai fini della partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica, esigendo quest’ultima che la sua condotta si conformi ad uno standard di diligenza particolarmente elevato, al quale corrisponde inevitabilmente una significativa contrazione dello spazio entro il quale può operare l’errore scusabile (in tal senso Cons. Stato, sez. V, 25 settembre 2024, n. 7798, secondo cui “[a]ll’impresa che partecipa a pubblici appalti è richiesto un grado di professionalità e di diligenza superiore alla media: una diligenza che non riguarda solo l’esecuzione del contratto, ma anche le fasi prodromiche e genetiche, tra cui, in primo luogo quella della redazione degli atti necessari alla partecipazione alla gara (Cons. Stato, n. 448 del 2022)”). L’impresa che si appresta a rendere una dichiarazione sul possesso dei requisiti indicativi della sua capacità economica, tecnica o professionale è tenuta, pertanto, ad ogni sforzo possibile affinché la stazione appaltante – con la quale possa, anche solo in prospettiva, avvenire un contatto qualificato (ad esempio per effetto della manifestazione di interesse a partecipare alle future procedure selettive dalla stessa bandite) – sia messa in condizione di avere un quadro completo e veritiero delle competenze, ivi incluse le certificazioni, possedute.

Tale impegno è il presupposto necessario perché possa instaurarsi quella intensa collaborazione tra parte pubblica e parti private oggi imposta dal principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta (anche degli operatori economici) sancito dall’art. 2, d.lgs. n. 36/2023 e considerato, dal co. 2, servente rispetto alla stessa logica del risultato di cui al precedente art. 1.

5.2. Nella vicenda in esame la ricorrente sostiene, in sintesi, che la dichiarazione inesatta resa fosse una scelta obbligata per essere invitata alle procedure aventi ad oggetto lavori, nelle quali la richiesta del possesso dell’attestazione SOA sarebbe poi stata soddisfatta, di volta in volta, mediante avvalimento, e non essere “tagliata fuori” da tale segmento del mercato a causa dei filtri impostati sul m.e.p.a. dai vari r.u.p. al momento della scelta degli operatori ai quali rivolgere l’r.d.o. Allorché, infatti, questi ultimi decidano, in fase di predisposizione dell’r.d.o., di mettere la “spunta” sulla casella corrispondente al possesso della SOA, il sistema “isolerebbe” gli operatori economici che ne sono già in possesso, precludendo la partecipazione a tutte le (piccole e medie) imprese comunque interessate a partecipare ma intenzionate a farlo con l’ausilio di altre imprese qualificate per la specifica gara.

L’assunto, tuttavia, non è condivisibile.

5.2.1. La tesi postula, infatti, in primo luogo, che l’operatore economico abbia senz’altro un interesse giuridicamente qualificato (e protetto) a partecipare alle procedure negoziate e che questo sia “il fine che giustifica i mezzi”, cioè l’indicazione, in fase di iscrizione ad un elenco, di un requisito non posseduto.

Così, però, non è.

Si aderisce, sul punto, a quanto affermato dal Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 12 settembre 2019, n. 6160, secondo cui:

“[l]a procedura descritta si distingue…dalle ordinarie procedure di affidamento per essere l’amministrazione ad avviare il dialogo con il singolo operatore economico attraverso la lettera di invito individuale a presentare la sua offerta e non, come normalmente accade, l’operatore economico a proporsi con la domanda di partecipazione in adesione al bando di gara”;

“[c]onsentire…ad ogni operatore economico, non invitato dall’amministrazione, ma che sia venuto a conoscenza degli inviti (e, dunque, dell’esistenza di una procedura), di presentare la propria offerta significa, di fatto, ribaltare la sequenza descritta e ripristinare l’ordinarietà, ma in palese contrasto con le indicazioni normative” [che] “…si giustificano perché la procedura – di valore inferiore alle soglie comunitarie (anche se, invero, non certo modesta in senso assoluto) – possa svolgersi più rapidamente; rapidità – inutile negarlo – che deriva anche dal numero, che si vuole limitato, dei partecipanti”;

- diversamente “il numero degli operatori presenti in gara sarebbe destinato ad aumentare, teoricamente senza limiti, poiché non è preventivamente immaginabile quanti operatori possano venire a conoscenza della procedura ed avere interesse a prendervi parte, ed una procedura ipotizzata come di rapida conclusione finirebbe con il richiedere tempi (per l’esame dei requisiti di ammissione e delle offerte proposte, ma anche, è possibile pensare, per le eventuali contestazioni dell’operato della stazione appaltante) molto più lunghi di quelli preventivati; sicuramente, ad ogni modo, l’amministrazione non sarebbe più in grado di governare i tempi della procedura”;

- “…l’aggravio che la partecipazione di altri operatori economici oltre a quelli invitati dall’amministrazione può comportare sulla procedura dipende inevitabilmente dal numero, ma di questo si è occupato il legislatore – con la previsione di un numero di operatore economici da consultare diverso per ciascuna procedura di cui all’art. 36, comma 2, d.lgs. n. 50 – e così definendo una volta e per tutta il numero di partecipanti conciliabile con l’esigenza di celerità della procedura”;

- “il sacrificio della massima partecipazione che deriva dal consentire la presentazione dell’offerta ai soli operatori economici invitati è necessitato dall’esigenza di celerità, essa, poi, non irragionevole in procedure sotto soglia comunitarie; quanto, invece, alla scelta dell’amministrazione il contrappeso è nel principio di rotazione [che è]…l’unico principio espressamente richiamato per le procedure di gara relative ai contratti sotto soglia dal primo comma dell’art. 36, che, quanto agli altri principi, rinvia agli articoli 30, comma 1, 34 e 42 del medesimo codice e, per l’attuale formulazione, ha portata più ampia di quella della previgente norma. È, infatti, ora previsto che la rotazione abbia ad oggetto «gli inviti e gli affidamenti»; si vuole, dunque, che l’alternanza tra gli operatori economici avvenga proprio e già al momento della scelta di coloro che dovranno essere invitati a partecipare alla procedura di gara. Ricorre, dunque, nel sistema delineato dall’attuale codice dei contratti pubblici un adeguato bilanciamento tra potere di scelta delle amministrazioni degli operatori economici da invitare e rotazione degli inviti; l’introduzione dell’eccezione per l’operatore non invitato che sia, però, venuto a sapere della procedura e nutra interesse a prendervi parte, introdurrebbe una inevitabile distonia rispetto al descritto impianto normativo, e certo sarebbe elusa la necessaria rotazione degli operatori sin dalla fase dell’invito dei partecipanti”.

In sintesi, l’operatore economico non può giustificare l’indicazione di un requisito non posseduto con il pregiudizio che gli deriva dal non poter far parte dell’elenco degli operatori destinatari dell’invito in procedure che tale requisito presuppongono, essendo connaturato alla procedura negoziata il contingentamento del numero di operatori economici da invitare, purché il criterio di scelta sia oggettivo e non discriminatorio.

Ora, un criterio di selezione è oggettivo se consente di individuare preventivamente solo una “classe” di destinatari e non anche singoli operatori economici, mentre è non discriminatorio se non crea sperequazioni tra operatori economici dotati tutti del medesimo profilo professionale; ipotesi che non ricorre tra un’impresa qualificata per l’esecuzione di determinati lavori e un’impresa che non lo è.

È, infatti, una legittima prerogativa della stazione appaltante stabilire dei requisiti di partecipazione, anche nelle procedure negoziate, purché “proporzionati all'oggetto dell'appalto”, ai sensi dell’art. 83, co. 2, d.lgs. n. 50/2016.

Nel caso di specie, l’I.S.S. ha indetto una procedura negoziata per la stipula di un accordo quadro per lavori di manutenzione del patrimonio immobiliare per un importo di euro 2.228.665, per cui del tutto legittimamente ha deciso di rivolgere l’invito solo ad imprese in possesso della SOA per la categoria OG1, classifica IV.

Né è predicabile – come, invece, sembra adombrare parte ricorrente – un dovere del committente di aprire necessariamente la selezione anche agli operatori che non sono in possesso del livello di qualificazione richiesto solo perché questi potrebbero astrattamente ricorrere all’avvalimento o alla partecipazione in forma aggregata per soddisfare il requisito di cui sono singolarmente privi. Ciò equivarrebbe a pretendere che la stazione appaltante adotti obbligatoriamente – anziché, come ragionevolmente sostenuto dall’Anac nel parere in funzione consultiva n. 13 del 13 marzo 2024, “secondo le opportune valutazioni…in relazione alle caratteristiche del mercato di riferimento, alle peculiarità dell’affidamento e agli interessi pubblici ad esso sottesi” – una procedura aperta anche per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, in contrasto con il principio del buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, con il divieto di aggravamento del procedimento di cui all’art. 1, co. 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, e con quella peculiare declinazione che lo stesso assume nelle procedure di affidamento di contratti pubblici qual è il principio del risultato di cui all’art. 1 d.lgs. n. 36/2023.

5.2.2. In ogni caso, si osserva – anche volendo riconoscere agli operatori economici non qualificati qualche spazio per cercare di ottenere l’invito a procedure riservate ad operatori con qualifica superiore tramite l’iscrizione nei corrispondenti elenchi – che ogni tentativo in tal senso deve avvenire con la necessaria cautela e non adagiandosi sulla constatazione dell’indisponibilità di moduli appropriati per compiere indebite forzature ed immettere così informazioni non veritiere nel sistema, ma assumendo ogni possibile iniziativa per segnalare tempestivamente – e, soprattutto, preventivamente, cioè prima di completare l’operazione – le difficoltà incontrate al gestore del sistema, tramite p.e.c. o l’apertura di appositi ticket, al fine di trovare una soluzione che resti pur sempre nell’ambito della legalità. Solo una condotta ispirata alla massima trasparenza e correttezza manleva, infatti, l’operatore economico da qualsiasi responsabilità.

Nella condotta della ricorrente non è emerso alcun segno di una simile preoccupazione circa le conseguenze derivanti dal rilascio di una dichiarazione oggettivamente non veritiera, come era quella sul possesso della SOA.

Pur ammettendo che il sistema non consentisse a quella data l’inserimento di note, postille o dichiarazioni integrative – in contrasto, invero, con le rassicurazioni fornite in tal senso sia dalla Consip S.p.a. che dall’I.S.S. – è anche vero che la ricorrente non si è comunque premurata di segnalare, tramite altri canali, l’indisponibilità dell’opzione che intendeva valorizzare, cioè l’iscrizione nell’elenco delle imprese interessate alla categoria OG1, classifica IV, pur senza possedere la corrispondente certificazione SOA.

5.3. In definitiva, il fatto che la ricorrente non fosse tenuta a possedere l’attestazione SOA al momento dell’iscrizione negli elenchi del m.e.p.a. – principio che questo Collegio, in linea con la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, condivide – non significa che la stessa potesse senz’altro dichiarare requisiti non posseduti, adducendo che la propria intenzione fosse solo quella di manifestare interesse per la categoria OG1, classifica IV, e non anche quella di attestare l’attuale possesso del requisito. In un ordinamento nel quale ciò che rileva nei rapporti giuridici non è la volontà interna bensì quella esternata al destinatario della comunicazione, non è immaginabile che ad una dichiarazione debba essere ascritto un significato diverso da quello percepibile secondo il senso comune.

Poiché nella domanda di iscrizione al m.e.p.a. del 26 gennaio 2023 la ricorrente ha chiaramente dichiarato di essere in possesso della SOA e tali dichiarazioni vengono utilizzate dal m.e.p.a. per organizzare gli elenchi in base all’attuale disponibilità del requisito – e non dell’impegno a conseguirlo – è rinvenibile nella sua dichiarazione quantomeno una condotta superficiale, sussumibile nella colpa lieve rilevata dall’Autorità.

6. In conclusione, essendo la sanzione irrogata immune dai vizi denunciati dalla ricorrente, il ricorso è infondato e va rigettato.

7. Tenuto conto della particolarità e della novità delle questioni trattate, le spese vanno integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dispone l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2025 con l'intervento dei magistrati:

Orazio Ciliberti, Presidente

Agatino Giuseppe Lanzafame, Referendario

Caterina Lauro, Referendario, Estensore