Abstract capitolo 3 del Manuale dei contratti pubblici di L. Carbone, F. Caringella, G. Rovelli, 2024 DIKE Giuridica

Costituisce una novità di assoluto rilievo il ruolo demandato ai principi dal nuovo Codice dei contratti pubblici, come dimostrato dalla scelta di dedicare agli stessi un intero Titolo e, segnatamente, quello di apertura dell’impianto normativo. Si mira - così - ad attuare un importante cambio di paradigma, dato dall’abbandono della logica del sospetto e dal conseguente riconoscimento di una più ampia discrezionalità amministrativa. In tale prospettiva, è evidente, infatti, come l’obiettivo cui mira la nuova codificazione è quello di consegnare all’operatore delle preziose chiavi di lettura ermeneutica, assicurando organicità e coerenza al nuovo corpo normativo.

Ne deriva, quindi, che i principi, lungi dal tradursi in un mero compendio di regole puntuali sull’aggiudicazione delle commesse pubbliche, sono destinati ad operare in funzione di contrappeso della maggiore libertà di iniziativa e auto-responsabilità delle Stazioni appaltanti. Paradigmatico in tal senso è l’art. 4, d.lgs. n. 36/2023 sul “criterio interpretativo e applicativo, secondo cui, in caso di dubbio interpretativo, la soluzione ermeneutica da privilegiare è quella che sia funzionale al raggiungimento del risultato amministrativo, coerente con la fiducia da riporre nella Pubblica Amministrazione, nei suoi funzionari e negli operatori economici nonché tesa a favorire il più ampio accesso al mercato di questi ultimi.

La centralità plastica del principio del risultato di cui all’art. 1 del nuovo Codice dimostra, in particolare, come il diritto dei contratti pubblici sia un capitolo fondamentale del diritto amministrativo nazionale: l’obiettivo non è la gara, ma la stipulazione di un negozio che assicuri prestazioni utili con il miglior rapporto qualità-prezzo-tempo. La portata innovativa del Codice, quindi, risiede proprio nella volontà di elevare il risultato a principio giuridico, con conseguente superamento dell’equazione secondo cui dal rispetto della concorrenza discende sempre l’affidamento del contratto migliore in termini qualitativi e quantitativi.

In stretta connessione con la predetta disposizione si pone il successivo art. 2 che enuncia il principio della fiducia. Il conseguimento dell’interesse pubblico primario, infatti, postula l’esistenza di un rapporto di reciproca fiducia tra amministrazione e cittadini. Anche in tal caso, quindi, la ratio ispiratrice della norma è quella di superare l’impostazione che vedeva prevalere il valore della prevenzione e del contrasto alla corruzione per approdare verso un assetto normativo fondato sulla fiducia nelle amministrazioni e negli operatori economici.

Si ricollega al risultato anche il principio dell’accesso al mercato di cui all’art. 3, che mira a garantire la realizzazione di un sistema concorrenziale volto ad assicurare agli operatori economici pari opportunità di accesso alle procedure di evidenza pubblica. Nella nuova prospettiva, dunque, il risultato rappresenta il fine, mentre la concorrenza il mezzo: quest’ultima cioè mira al perseguimento dell’interesse pubblico primario. Ciò sul presupposto che il confronto competitivo tra imprese, incentivando l’innovazione e innalzando il livello qualitativo delle prestazioni rese all’Amministrazione, consente di addivenire alla scelta del contraente migliore in termini di rapporto qualità-prezzo.

Centrale è altresì il principio di buona fede, scolpito dall’art. 5, la cui portata innovativa risiede nell’aver precisato, al comma 2, che l’affidamento sul legittimo esercizio del potere sussiste anche prima dell’aggiudicazione. Infatti, mentre in passato si tendeva a riconoscere un legittimo affidamento soltanto rispetto al vincitore della gara, il nuovo Codice, ampliando il novero delle ipotesi suscettibili di dar luogo a una lesione di tale principio, vi ricomprende anche le scelte assunte nel corso della procedura di evidenza pubblica. Inoltre, sebbene la disposizione in esame non affronti la questione relativa al riparto della funzione giurisdizionale, depone a favore della giurisdizione amministrativa il rilievo secondo cui, nella prospettiva del rapporto amministrativo a latere civis, la buona fede costituisce regola reciproca del potere.

Ulteriore testimonianza del superamento della logica pro-concorrenziale è anche l’art. 7 che introduce il principio di auto-organizzazione amministrativa. Tale disposizione, in particolare, codifica la sostanziale equiparazione tra l’internalizzazione e il ricorso al libero mercato.

Al riguardo, un primo profilo problematico attiene al rischio di un onere motivazionale a geometrie variabili, a fronte del quale si impone la necessità di coordinare, con l’art. 7 citato, l’art. 17, comma 2, d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, concernente la disciplina dell’affidamento in house dei servizi di interesse economico generale di livello locale. Ciò in quanto l’art. 17, comma 2, cit., nel richiedere che la motivazione dell’affidamento dia conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato, conferma, per i servizi pubblici locali, il carattere subordinato del modello di affidamento in house rispetto a quello del ricorso al mercato.

Quanto, invece, al principio di autonomia contrattuale, l’art. 8 muove dal rilievo secondo cui la Pubblica Amministrazione presenta una doppia anima, essendo destinataria, oltre che del potere autoritativo, anche di una generale e piena capacità negoziale. Il principio di tipicità, infatti, è da riferirsi ai fini perseguiti, e non anche ai mezzi impiegati, venendo pur sempre in rilievo un’attività nel complesso amministrativa e, come tale, assoggettata al vincolo di scopo. L’enunciato normativo in parola consente, poi, di mettere a fuoco la distinzione tra atti di liberalità, privi di qualsiasi interesse economico, e contratti a titolo gratuito, suscettibili di produrre un vantaggio patrimoniale per il contraente: questi ultimi, infatti, pur se non rientranti nell’ambito applicativo del Codice (art. 13, comma 2), soggiacciono ai principi generali di derivazione europea.

Costituisce, infine, un’innovazione di grande rilievo nel panorama italiano il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale di cui all’art. 9. Si perviene - così - a cristallizzare il diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali, in presenza di sopravvenute circostanze straordinarie e imprevedibili e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto.

La portata dirompente dell’art. 9, cit. impone, però, di interrogarsi in ordine alla natura di tale diritto. Sul punto si contendono il campo, da un lato, la tesi che propende per la qualificazione come interesse legittimo pretensivo, che rinviene la propria causa nella procedura di gara e, dall’altro, quella che aderisce alla ricostruzione in termini di diritto soggettivo, nascente dal contratto.

Sotto altro profilo, non può sottacersi come detta disposizione, pur avendo imposto l’obbligo di rinegoziazione, non abbia disciplinato cosa accade in caso di stasi delle trattative. Al riguardo, è ragionevole ritenere che venga in rilievo un vincolo de contrahendo quante volte vi siano dei parametri esterni da cui ricavare riferimenti certi, oggettivi e specifici, con conseguente applicabilità della tutela specifica di cui all’art. 2932 c.c.. Al contrario, sarebbe configurabile un vincolo de conctractando quante volte manchino i predetti criteri, venendo in rilievo soltanto dati incerti, soggettivi e generici, tali da consentire la sola tutela risarcitoria.

A completare l’assetto delineato dalla nuova codificazione soccorrono, infine, i principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale (art. 6), il principio di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione (art. 10) e il principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore (art. 11).