Tar Friuli Venezia Giulia, Sezione I, sentenza 26 novembre 2012, n. 431 / Tar Veneto, Sezione I, sentenza 16 ottobre 2012, n. 1278.

Tar Friuli Venezia Giulia, Sezione I, sentenza 26 novembre 2012, n. 431
Presidente Zuballi, Estensore Di Sciascio

L’art. 243-bis, comma 6, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, prevede che il diniego, espresso o tacito, di autotutela si impugna o unitamente al ricorso ovvero con successivi motivi aggiunti. La legge prevede la lesività dello stesso e il conseguente obbligo di impugnazione espressa. Pertanto, l’eventuale mancata impugnazione dello stesso costituisce una causa di inammissibilità del ricorso contro l’aggiudicazione

 


Tar Veneto, Sezione I, sentenza 16 ottobre 2012, n. 1278
Presidente Amoroso, Estensore Vitanza

1. Sebbene l’attivazione della procedura di cui all’art. 243-bis del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, non costituisce condizione di procedibilità del ricorso ed è meramente facoltativa per il ‘futuro’ ricorrente (il quale incorre solo nel rischio di una negativa valutazione ai fini delle spese di giudizio nonché ai sensi dell’art. 1227 c.c.), una volta attivata la stessa il ricorrente è obbligato a contestare le determinazioni negative, espresse o tacite, al riguardo assunte dalla stazione appaltante, nel termine decadenziale di trenta giorni.
 

2. Una volta decorso il termine di quindici giorni previsto dall’art. 243-bis del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, affinché la stazione appaltante possa esprimere le proprie determinazioni in ordine alla richiesta di aututela proveniente dal ‘futuro’ ricorrente, il ricorrente è tenuto ad impugnare il diniego tacito o con il ricorso introduttivo del giudizio o, qualora lo stesso fosse già stato proposto, con ricorso per motivi aggiunti da proporsi nel termine decadenziale di trenta giorni dalla formazione del diniego tacito.
 

3. Trascorsi i quindici giorni previsti dall’art. 243-bis del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 senza che la stazione appaltante abbia comunicato all’istante le proprie determinazioni circa la richiesta di autotutela, questa perde il potere previsto da tale disposizione e rischia di incorrere nelle conseguenze negative previste dal comma 5 della richiamata disposizione. Infatti, proprio per le finalità di rapida definizione della controversia, il legislatore ha equiparato l'inerzia della stazione appaltante al diniego di autotutela. Ne consegue che ogni ulteriore e tardiva espressione della stazione appaltante circa la fondatezza o meno della richiesta di autotutela è, nel contesto procedimentale già avviato dalla preannunciata intenzione di proporre ricorso avverso l'assegnazione del lavoro o del servizio, tanquam non essent. Un eventuale e successivo intervento della stazione appaltante sull’aggiudicazione dovrà dunque conformarsi, pertanto, esclusivamente ai canoni formali di cui all’art. 21 quinques, 21 sexies, 21 nonies della legge n. 241/1990.

 

 

BREVI ANNOTAZIONI

 

L’OGGETTO DELLE PRONUNCE

Oggetto delle sentenze del Tar Veneto e del Tar Friuli Venezia Giulia è lo strumento del preavviso di ricorso introdotto nel testo del codice dei contratti pubblici dal d.lgs. 53/2010 di recepimento della c.d. direttiva ricorsi. In particolare, entrambe le pronunce verificano quale siano le conseguenze, sul piano processuale, dell’omessa impugnazione del provvedimento amministrativo di diniego dell’annullamento in autotutela, ovvero del silienzio-rigetto formatosi sull’istanza contenente il preavviso di ricorso del privato. Entrambi i giudici di primo grado concludono che, sebbene la presentazione dell’istanza ex art. 243-bis non costituisce condizione di procedibilità del ricorso, una volta che la stessa è stata presentata, costituisce onere dell’istante impugnare l’eventuale atto di diniego emesso dalla stazione appaltante, ovvero il silenzio rigetto formatosi sull’istanza medesima, a pena di inammissibilità del ricorso proposto, a titolo esemplificativo, contro una esclusione, un’aggiudicazione o avverso gli atti di gara.

 

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

Il percorso argomentativo seguito dai due tribunali amministrativi è sostanzialmente comune.

I giudici si basano su una interpretazione letterale dell’art. 243-bis del d.lgs. n. 163/2006 e, in particolare, dei commi 5 e 6, secondo cui:

“5. L'omissione della comunicazione di cui al comma 1 [preavviso di ricorso, nda] e l'inerzia della stazione appaltante costituiscono comportamenti valutabili, ai fini della decisione sulle spese di giudizio, nonchè ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile.

6. Il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile solo unitamente all’atto cui si riferisce, ovvero, se quest’ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti”.

Su tale scorta, il Tar Friuli e il Tar Veneto concludono che:

a) la presentazione dell’istanza ex art. 243-bis, non costituisce una condizione di procedibilità del ricorso. Infatti, la sua omissione ha – per espressa previsione normativa – solo effetti in relazione alle spese di giudizio, ovvero alla quantificazione del danno in caso di richiesta di risarcimento (comma 5);

b) tuttavia, una volta attivata la procedura, non si può non trasporre a livello giurisdizionale le risultanze amministrative (espressamente o tacitamente manifestatesi) della stessa. In altri termini, non può non essere impugnato il diniego di autotutela. E in caso di omissione la sanzione è l’inammissibilità del ricorso avverso l’atto – aggiudicazione, esclusione, ecc. – originariamente contestato (comma 6).

La pronuncia del Tar Veneto si spinge inoltre a valutare i limiti dei poteri della stazione appaltante indirizzataria di un preavviso di ricorso.

In merito, nessun dubbio che l’Amministrazione possa ‘liberamente’ pronunciarsi sull’istanza nel termine di quindici giorni dalla sua proposizione, così come previsto dall’art. 243-bis, comma 4. Tuttavia, l'incombente imposto alla stazione appaltante dopo l’istanza del ricorrente per la definizione della controversia, comporta la necessità, per quest’ultima, di formulare le proprie determinazioni entro tale termine perentorio proprio perché tale fase procedimentale ha la precipua ed esclusiva funzione deflattiva del preannunciato conflitto e, pertanto, deve essere svolta e definita nei tempi rapidi imposti dal rito accelerato proprio del processo sugli appalti.

Ciò chiarito, consentire alla stazione appaltante di estendere, oltre i tempi normativamente previsti, l'utilizzazione di tale strumento, significherebbe snaturarne la funzione e le precipue finalità dell’istituto. Inoltre, secondo il Tar Veneto è proprio per determinare tempi certi ed obiettivi della peculiare sub-procedimento, che il legislatore ha previsto che tale determinazione sia comunicata agli istanti. In altri termini, la risposta amministrativa sul preavviso di ricorso viene formalmente definita come atto recettizio e, pertanto, se ne collega la validità a due presupposti: (i) la sua adozione; (ii) la sua comunicazione al destinatario entro quindici giorni.

I giudici veneziani concludono – coerentemente – che trascorsi i quindici giorni previsti dalla norma senza che la comunicazione del diniego sia pervenuta al richiedente l'autotutela, la stazione appaltante perde il diritto di manifestare ed assumere le determinazioni deflattive dell’instaurando conflitto, incorrendo, come detto, nelle conseguenze di cui all’art. 243-bis, comma 5, del codice. Del resto, proprio per tali finalità di rapida definizione della controversia, il legislatore ha equiparato l'inerzia della stazione appaltante al diniego di autotutela.

Qualora l’Amministrazione intenda intervenire nuovamente nelle forme dell’aututela, ella dovrà procedere con gli ordinari strumenti dei procedimenti di secondo grado e dare applicazione – a seconda del caso di specie – agli artt. 21-quinquies, 21-sexies e 21-nonies della legge n. 241/1990.

Ne consegue che ogni ulteriore e tardiva espressione della stazione appaltante circa la fondatezza o meno della richiesta di autotutela, nel contesto procedimentale già avviato dalla preannunciata intenzione di proporre ricorso avverso una procedura ad evidenza pubblica, è “tanquam non essent”.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Se questa è la tendenza della più recente giurisprudenza sugli adempimenti previsti dall’art. 243-bis del Codice dei contratti pubblici, non si può non perorare un pronto intervento del legislatore che – in certo modo – ‘corregga il tiro’ della questione specificando meglio quali siano gli ‘oneri’ (e le conseguenze in caso di loro violazione) che il privato deve sostenere per poter presentare un ricorso giurisdizionale in materia di contratti pubblici.

Con queste pronunce, infatti, i Tar del Nord-Est hanno intrapreso una strada interpretativa estremamente onerosa per il privato ricorrente che è così sottoposto ad un ‘nuovo’ obbligo (invero sufficientemente implicito e non così evidente nella norma) con un rischio altissimo di inammissibilità dei ricorsi presentati.

In pratica, da un adempimento (la presentazione del preavviso di ricorso) che, se non effettuato, non avrebbe inciso sulla proponibilità del ricorso medesimo (non costituendo, dunque, una condizione di procedibilità dello stesso), ma solo sulla condanna alle spese o sul risarcimento del danno, si è giunti ad un adempimento che, se effettuato, comporta la necessaria impugnazione giurisdizionale del diniego, tacito o espresso della P.A., con il rischio di inammissibilità del ricorso principale in caso di sua omissione.

In sintesi da non-condizione di procedibilità del ricorso giurisdizionale il preavviso di ricorso diviene una condizione di ammissibilità dello stesso.

Il ragionamento dei giudici, per quanto condivisibile a livello astratto, rischia di scontrarsi proprio con la realtà (e con la logica) del sistema impugnatorio super-accelerato del processo degli appalti che, al contrario, si pretenderebbe di tutelare.

In effetti, la riduzione a trenta giorni del termine decadenziale di impugnazione e l’indifferenza (quanto al profilo ad esempio dell’interruzione o della sospensione) della presentazione dell’istanza ex art. 243-bis circa “il decorso del termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale” (comma 3), rende lo strumento difficilmente utilizzabile e, quindi, poco efficace.

Si pensi al caso tipico: il secondo classificato riceve la comunicazione dell’aggiudicazione in favore di un altro concorrente. Tale soggetto ha dieci giorni per l’accesso diretto-informale. A tale termine occorre aggiungere il tempo tecnico materialmente necessario ad ottenere copia di tutta la documentazione della procedura (molto voluminosa soprattutto nelle gare all’offerta economicamente più vantaggiosa), a reperire una assistenza legale e allo studio della questione per la corretta impostazione di una difesa tecnica. Solo superati tali steps sarà possibile presentare un ‘consapevole’ preavviso di ricorso ex art. 243-bis. È gioco forza, dunque, che il privato non sia riuscito a compiere tali attività in meno di 15 giorni dalla comunicazione dell’avvenuta aggiudicazione.

Ne consegue che, vista l’irrilevanza della presentazione del preavviso sul decorso del termine di impugnazione, quest’ultimo verrà a scadenza prima che la P.A. si sia formalmente pronunciata sull’istanza ovvero si sia formato il silenzio-rigetto. Il privato sarà, dunque, costretto in ogni caso a predisporre e notificare un ricorso giurisdizionale, venendo così meno lo scopo deflattivo.

Nel quadro descritto pretendere, altresì, l’impugnazione specifica della risposta, espressa o tacita, sull’istanza ex art. 243-bis rischia di imporre al ricorrente un onere non giustificato con potenziale contrasto anche con le direttive comunitarie secondo cui deve essere garantito un rapido, efficace (e aggiungiamo) semplice accesso al rimedio giurisdizionale. Se poi si considera anche la debenza (quanto meno in caso di provvedimento di diniego espresso) di un ulteriore contributo unificato di importo di 4.000 euro, il ‘nuovo’ adempimento richiesto appare ancor più gravoso.

Una teorizzazione di questo tipo potrebbe, al limite, ‘reggere’ solo nel caso di diniego espresso di autotutela con motivazione nuova (o ulteriore) e non meramente confermativa degli atti e dei provvedimenti già emessi in gara. In caso contrario, il rischio è anche quello di scontrarsi con la pacifica giurisprudenza che non ritiene necessaria – ai fini dell’ammissibilità o procedibilità di un ricorso – l’impugnazione del successivo provvedimento meramente confermativo di quello già gravato in sede giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. V, 3 ottobre 2012, n. 5196; Tar Puglia, Lecce, 25 ottobre 2012, n. 1804).

Del resto anche altra giurisprudenza amministrativa ha concluso proprio in tal senso, specificando che la “disposizione di cui all'art. 243-bis u.c. del D. Lgs. n. 163/2006 […] lungi dall'imporre l'impugnazione del diniego di autotutela, è norma meramente processuale, volta ad assicurare che la necessaria impugnazione del provvedimento lesivo e quella - soltanto eventuale, secondo i principi generali - del diniego di autotutela, siano trattate nell'ambito di un simultaneus processus. Ciò chiarito, in ordine alla necessità o meno di impugnare (anche) il diniego di autotutela valgono i principi generali, secondo i quali quando l'amministrazione, di fronte ad un'istanza di riesame, si limiti a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione, si ha un atto meramente confermativo (c.d. conferma impropria), che non necessita di impugnazione, non rappresentando un'autonoma determinazione dell'amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo la manifestazione della decisione dell'amministrazione di non ritornare sulle scelte già effettuate” (Tar Valle d’Aosta, Sez. I, 17 febbraio 2012, n. 16; v. anche Tar Liguria, Sez. II, 29 marzo 2012, n. 450). Tale conclusione dovrebbe valere, a maggior ragione, nel caso di silenzio-rigetto.

Il dibattito in giurisprudenza è, comunque, aperto. Sono intervenute, infatti, pronunce che hanno radicalmente escluso un obbligo di impugnazione del diniego di autotutela amministrativa ai sensi dell’art. 243-bis (v. Tar Calabria, Catanzaro, Sez. II, 10 settembre 2012, n. 914) e sentenze che, al contrario, si pongono in linea con quelle in commento (v. Tar Sicilia, Palermo, Sez. III, 21 febbraio 2012, n. 406, pronunciata tuttavia su un caso prettamente specifico).

Da ultimo, sul punto, occorre rilevare – sebbene ciò non sia stato riportato espressamente nelle argomentazioni delle sentenze in commento – che la dizione del comma 6 è stata modificata dall’art. 3, all. 4, del Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010). Secondo l’originaria formulazione, “il provvedimento con cui si dispone il non luogo a provvedere, anche ai sensi dell’ultimo periodo del comma 4, non è impugnabile autonomamente e può essere contestato congiuntamente all’atto cui si riferisce o con motivi aggiunti al ricorso avverso quest’ultimo, da proporsi nel termine di quindici giorni”. Il nuovo testo, invece, prevede che “il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito, è impugnabile solo unitamente all’atto cui si riferisce, ovvero, se quest’ultimo è già stato impugnato, con motivi aggiunti”. Si può notare che nella formulazione novellata scompare l’utilizzo del verbo “potere”. Da questo dato potrebbe farsi, appunto, discendere che il legislatore non abbia più lasciato al privato la facoltà di decidere se gravare o meno il provvedimento, ma ne abbia previsto l’obbligatorietà. Tuttavia, anche a fronte di questo dato letterale, il confine logico dell’obbligo di impugnazione resta molto sottile.

Pienamente condivisibile, invece, appare la seconda parte della sentenza del Tar Veneto dove viene: (i) inquadrata come atto recettizio la risposta amministrativa all’istanza ex art. 243-bis; (ii) limitato temporalmente il potere ivi esercitabile ai quindici giorni previsti dalla norma (con necessario ‘passaggio’ alla disciplina ordinaria dei procedimenti di secondo grado – legge n. 241/1990 – in caso di suo superamento).

In effetti, occorre avere ben presente che la ratio dell’istituto è quella di deflazionare i contenziosi, non quella di rendere più complessa la vicenda contenziosa. Un’eventuale risposta tardiva, infatti, si andrebbe verosimilmente (e in alcuni casi in modo speculativo) ad inserirsi già a processo avviato, costringendo il ricorrente – sempre mantenendoci in tesi – ad una nuova impugnazione per motivi aggiunti, con nuovi e difficilmente giustificabili oneri a carico dello stesso. L’esclusione dal ‘mondo del diritto’ dell’atto tardivamente comunicato (riconosciuta dai giudici veneziani) garantisce, dunque e sotto questo profilo, il ricorrente dall’obbligo di gravare con specifiche censure anche tale atto.

In definitiva, l’impostazione interpretativa che sta maturando in giurisprudenza rischia di spostare l’impostazione sostanziale dell’istituto del preavviso di ricorso da strumento deflattivo del contenzioso nello spirito di leale collaborazione tra pubblico e privato, a strumento ‘scoraggiante’ il contenzioso perché impone un ulteriore e gravoso (anche in termini economici) onere sui ricorrenti. In altri termini, considerato il rischio di inammissibilità che si porterebbe dietro l’attivazione della procedura ex art. 243-bis, a fronte del mero rischio di condanna alle spese (maggiorate) nelle ipotesi di sua mancata attivazione, il privato potrebbe ragionevolmente decidere di omettere il passaggio di confronto stragiudiziale con la stazione appaltante, così – per un verso – non scoprendo a priori le proprie ‘carte’ e non incorrere in sicuri costi di successivi motivi aggiunti.

Come spesso accade, non si può che restare in attesa di successivi chiarimenti e affinamenti pretori o (sarebbe preferibile) di un nuovo intervento del legislatore che ritocchi l’istituto, a due anni e mezzo dalla sua introduzione, tenendo conto dell’esperienza applicativa maturata. Sul punto, parrebbe giuridicamente logico e sostanzialmente ragionevole che l’attivazione del procedimento stragiudiziale ex art. 243-bis non possa non produrre la sospensione del decorso del termine decadenziale di impugnazione. Solo in questo modo, infatti, si potrebbe garantire una reale efficacia deflattiva del preavviso di ricorso spingendo le stazioni appaltanti a rispondere nel più breve tempo possibile. Fermo restando, ovviamente, il silenzio-rigetto dell’istanza che maturerebbe allo scadere del termine di legge di quindici giorni (che, nell’ottica descritta, potrebbe anche essere ridotto). Se così fosse non si riscontrerebbero ostacoli all’obbligo (a pena di inammissibilità) per il privato di impugnare anche l’atto conclusivo del procedimento avviato ai sensi dell’art. 243-bis del Codice dei contratti pubblici.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
 

SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 318 del 2011, proposto da:


Dasit Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Tassone, Giuseppe Sbisà, Carlo Maria Muscolo, con domicilio eletto presso l’avv. Giuseppe Sbisà in Trieste, via Donota 3;
 

contro
 

Azienda Ospedaliera Universitaria S. Maria della Misericordia - Dipartimento Servizi Condivisi, rappresentato e difeso dall'avv. Federico Rosati, con domicilio eletto presso Federico Rosati Avv. in Trieste, via Donota 3;
 

nei confronti di
 

Instrumentation Laboratory Spa (da ora per brevità IL spa), rappresentata e difesa dall'avv. Piero Fidanza, con domicilio eletto presso l’avv. Alessandro Tudor Avv. in Trieste, Galleria Protti 1;
 

per l'annullamento
 

della Determinazione Dirigenziale n. 696 dd. 23 maggio 2011, comunicata alla ricorrente Dasit spa in data 24 maggio, con la quale il Direttore del Dipartimento Servizi Condivisi ha aggiudicato alla controinteressata I.L spa. la procedura aperta per l'affidamento della fornitura in "Full Service" di sistemi per l'esecuzione di test diagnostici in ematologia;
di qualsiasi atto e provvedimento annesso, connesso, coordinato, a quello impugnato, ivi compresi il bando di gara e la lettera di invito, il capitolato speciale d'appalto con relativi allegati e il capitolato tecnico;
dei verbali della Commissione di gara e della Commissione tecnica relativamente alla valutazione della documentazione tecnica ed all'assegnazione dei punteggi tecnici e il verbale di apertura delle offerte economiche con il quale è stato assegnato il punteggio definitivo all'offerta della società aggiudicataria;
di tutti i provvedimenti di ammissione della società aggiudicataria alle successive fasi della procedura concorsuale, con conseguente annullamento e/o declaratoria di nullità e/o inefficacia del contratto d'appalto eventualmente stipulato;
per il risarcimento del danno in forma specifica ed in subordine per equivalente economico, derivante alla società ricorrente dall'illegittimità degli atti impugnati, che si indica nella misura del 10 per cento dell'offerta o in altra misura ritenuta equa.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera Universitaria S. Maria della Misericordia - Dipartimento Servizi Condivisi e di Instrumentation Laboratory Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 novembre 2012 il dott. Enzo Di Sciascio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO
 

La ricorrente chiede l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione definitiva, di cui in epigrafe, deducendo:
1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 83 e segg. del D. Lgs. n. 163/2006 e dell’art. 3 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione e sviamento.
Illegittimamente la stazione appaltante avrebbe omesso di assegnare un punteggio numerico ai sottocriteri di valutazione dell’offerta tecnica, non predisponendo già nel bando di gara una loro ponderazione numerica, con ciò impedendo di ricostruire l’iter motivazionale seguito dalla Commissione giudicatrice, con ciò non consentendo ai concorrenti di articolare le loro offerte in armonia con la lex specialis e di apprezzare la rilevanza in termini di punteggio di ciascun criterio di valutazione e lasciando arbitra la Commissione stessa di determinarsi, in contrasto con la giurisprudenza nazionale e comunitaria, che ritiene necessario tale modus procedendi nelle gare col metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
2) Violazione ed errata applicazione del capitolato di gara per difetto dei requisiti tecnici dell’offerta aggiudicataria ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, nonché travisamento dei fatti ed errore nei presupposti
L’offerta della società aggiudicataria sarebbe difforme da quanto richiesto dalla disciplina di gara, in quanto avrebbe violato il capitolato, offrendo un sistema che prevede uno strisciatore e coloratore, direttamente collegato all’analizzatore ematologico offerto, che necessita di svolgere l’analisi emocromocitometrica per poter preparare un vetrino ematologico, onde avrebbe dovuto, per poter eseguire il numero di esami richiesto, processare almeno 35.700 emocromi e 35.700 vetrini, mentre ha offerto soltanto 35 confezioni di vetrini, per un totale di 35.000 esami, insufficiente rispetto a quanto richiesto.
Avrebbe inoltre dovuto offrire una fornitura di sangue di controllo per l’esecuzione di almeno 4 controlli di qualità giornalieri su tre livelli, secondo il capitolato, ed anche sotto questo profilo quanto offerto sarebbe inferiore a quanto necessario ed illegittimamente la stazione appaltante avrebbe giudicato meritevole di aggiudicazione una simile offerta.
Sarebbero inoltre immotivati i giudizi della stazione appaltante relativi alla maggiore o minore tossicità dei reattivi offerti, né corrisponderebbe al vero che non siano stati offerti dalla ricorrente test aggiuntivi, come risulterebbe dalla sua offerta stessa, né che non sarebbe stata offerta un’implementazione strumentale, addirittura migliore di quanto richiesto.
Sarebbe stato violato il capitolato là dove prevede una sensibilità minima per il conteggio dei liquidi biologici, che non potrebbe dirsi raggiunta dalla strumentazione offerta dall’aggiudicataria, mentre tale requisito sarebbe posseduto da quella offerta dalla ricorrente.
Anche sotto altri profili (p. es. conteggio dei WBC) solo la strumentazione offerta dalla ricorrente sarebbe in grado di effettuarla correttamente, a differenza di quella offerta dalla controinteressata.
La mancata esclusione dell’offerta della controinteressata, perciò, violerebbe palesemente la par condicio fra i concorrenti, in quanto, in conseguenza dell’accettazione, da parte della stazione appaltante, di un’offerta che non rispetterebbe appieno le esigenze del capitolato avrebbe consentito alla ricorrente di beneficiare di un notevole risparmio economico.
Si è costituita in giudizio la controinteressata IL spa che, dopo aver ricordato che i rilievi svolti in questa sede dalla ricorrente hanno formato oggetto di sue formali osservazioni in corso di gara in data 4.4 e 8.4.2011 che sono state esaminate dalla Commissione di gara e ritenute infondate dall’amministrazione che ha confermato l’aggiudicazione provvisoria a suo favore con provvedimento dd. 24.2011, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione di detta nota, che costituirebbe un provvedimento negativo lesivo degli interessi della ricorrente, e non è stato, come avrebbe dovuto, impugnato.
Ha quindi controdedotto nel merito ai motivi di gravame, che ritiene infondati.
Si è altresì costituita l’amministrazione intimata, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, nella parte in cui (secondo motivo) contesta il punteggio attribuito per il primo e terzo sub criterio per difetto di interesse, in quanto anche se anche fosse stato, nella parte contestata, attribuito alla società ricorrente il massimo dei punteggi non avrebbe potuto superare il punteggio attribuito alla controinteressata.
Nel merito ha analiticamente controdedotto a ciascun motivo di gravame, ritenendoli tutti infondati.
Ha replicato con memoria la società ricorrente.
 

DIRITTO
 

Il ricorso è inammissibile.
Invero l’art. 243 bis del D. Lgs. n. 163/2006 stabilisce, al primo comma, che i soggetti che intendono gravarsi contro provvedimenti in materia di contratti pubblici debbono informare la stazione appaltante, e per essa il responsabile del procedimento, delle violazioni che si assumono commesse in corso di gara e dell’intenzione di proporre ricorso.
La stazione appaltante, come recita il quarto comma, entro quindici giorni da detta informativa, deve comunicare le proprie definitive determinazioni in ordine alle censure proposte dall’interessato e stabilire se intervenire o meno in autotutela.
Contro il diniego totale o parziale di autotutela, espresso o tacito – come stabilisce il sesto comma va proposta impugnazione solo unitamente all’atto cui si riferisce o, se questo è già stato impugnato, con motivi aggiunti.
Nella presente fattispecie l’aggiudicazione provvisoria è intervenuta con il verbale n. 4 della Commissione giudicatrice dd. 4 aprile 2011 e, in data 8.4.2011 la società ricorrente ha fatto pervenire l’informativa dell’intenzione di proporre ricorso ai sensi del succitato art. 243 bis.
In data 19.4 la Commissione ha confermato le valutazioni già espresse e in data 22.4.2011, e quindi entro i termini di legge, il Dipartimento Servizi Condivisi ne ha informato la ricorrente.
In data 23.5.2011 è intervenuto il provvedimento dirigenziale n. 696 del 23.5.2011 di aggiudicazione definitiva.
Il ricorso in esame, pur con numerose ed articolate censure, che si rivolgono sia contro detto provvedimento terminale sia tutti gli atti presupposti, non investe in nessuna sua parte il diniego di autotutela a fronte delle osservazioni mosse e l’atto, ossia l’aggiudicazione provvisoria, cui detto diniego si riferisce, - a parte la considerazione che, se ciò anche facesse, la censura sarebbe tardiva e il ricorso irricevibile - ma espone soltanto motivi di merito circa le carenze della lex specialis e i difetti delle strumentazioni e dei materiali offerti dalla controinteressata.
Essendo quindi stata omessa l’impugnazione di un atto, di cui la legge prevede la lesività e l’obbligo di impugnazione, va dichiarata l’inammissibilità del ricors
Considerata la relativa novità della questione le spese possono essere compensate.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Compensa le spese di giudizio tra le parti;
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente
Enzo Di Sciascio, Consigliere, Estensore
Oria Settesoldi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 26/11/2012 . N. 431/2012


_________________________________________________________________________________________________________________________________

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
 

SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 45 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
 

Servizi Ospedalieri S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Gaetano Di Giacomo, Enza Maria Accarino, con domicilio eletto presso Daniela Ajese in Venezia-Mestre, via Felisati, 16; Ti.Esse Triveneta Servizi S.r.l., rappresentato e difeso dall'avv. Gaetano Di Giacomo, con domicilio eletto presso Daniela Ajese in Venezia-Mestre, Via Felisati, 16;
 

contro
 

I.S.R.A.A. Istituto Per Servizi di Ricovero e Assistenza Gli Anziani - Tv, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriele Maso, Franco Zambelli, con domicilio eletto presso Franco Zambelli in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22; Consiglio di Stato Sez. 3^;
 

nei confronti di
 

Eureka Cooperativa Sociale, rappresentato e difeso dagli avv. Vittorio Miniero, Erika Zanierato, con domicilio eletto presso Erika Zanierato in Mestre, Galleria Teatro Vecchio, 15;
 

per l'annullamento
 

della nota prot. n. 10307 datata 1 dicembre 2011 avente ad oggetto "gara d'appalto. Servizio lavanderia ISRAA. lotto unico". Non aggiudicazione con cui sono stati comunicati alla ricorrente la non aggiudicazione della gara e l'avvenuta aggiudicazione a favore della cooperativa sociale Eureka; della delibera del Consiglio di amministrazione ISRAA n.92 del 28 novembre 2011; dei verbali di gara dal n.1 al numero 8; dell’ordinanza del Presidente IRSAA n. 26 del 26 settembre 2011 che ha nominato la commissione e della delibera di ratifica del consiglio di amministrazione ISRAA .69 del 24 ottobre 2011; della delibera n. 47 del 25 luglio 2011 dell’ISRAA, nonché del bando di gara, del capitolato speciale e modelli allegati, di tutti gli atti connessi, presupposti ed allegati, nonché, infine del contratto, ove sottoscritto.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di I.S.R.A.A. Istituto Per Servizi di Ricovero e Assistenza Gli Anziani - Tv e di Eureka Cooperativa Sociale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2012 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
 

In primo luogo il Collegio non ritiene di accogliere la richiesta, avanzata dalla parte resiste in udienza, circa la cancellazione, negli scritti difensivi del ricorrente, delle frasi asseritamene offensive e sconvenienti.
Invero la disamina della censura non consente di considerare, tali espressioni, intrinsecamente offensive, né così vengono intese dal Collegio, in quanto la peculiare vicenda processuale ed i rilevanti interessi sottesi, hanno comportato un contrasto dialettico tra le parti, che, comunque, non è configurabile quale attività dispregiativa della natura e della funzione dell’Ufficio del difensore.
Nel merito.
Preliminarmente il Collegio intende scrutinare l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla parte resistente, che censura la mancata e rituale contestazione, nei termini di legge, della nota n.11081, datata 30 dicembre 2011, a firma del direttore generale dr. G. Pavan, ratificata dal presidente dell’Ente con la nota n. 34 del 30 dicembre 2012, con la quale la stazione appaltante ha respinto la richiesta di annullamento degli atti di gara e dell’aggiudicazione in via di autotutela.
Sostiene la parte resistente che tale nota è stata comunicata al ricorrente già in data 30 dicembre 2011, così che le conseguenti censure, da svolgere per motivi aggiunti, dovevano essere notificate entro il 30 gennaio 2012, mentre il ricorso per motivi aggiunti è stato avanzato solo il 17 febbraio 2012.
Sostiene, invece, il ricorrente che l'eccezione non ha fondamento giuridico avendo appreso del provvedimento del citato provvedimento di diniego di autotutela solo al momento della costituzione in giudizio della parte resistente ( 19 gennaio 2012), così che, solo da quella data decorre il termine decadenziale sopra ricordato.
Ritiene il Collegio che la questione incidentale è fondata nei termini che seguono.
Consta dagli atti di causa che la parte ricorrente, in data 23 dicembre 2011, pervenuta alla parte resistente in data 27 dicembre 2011, ha manifestato l'intenzione – invero inizialmente solo la capo gruppo della costituita ATI - di proporre ricorso avverso l’aggiudicazione.
L’indicata istanza è stata poi, in data 27 dicembre 2011 - pervenute alla stazione appaltante in data 29 dicembre 2011- formulata ed estesa anche per l'intera ATI.
Il punto merita un migliore approfondimento.
In primo luogo deve osservarsi che l’attivazione della indicata procedura deflattiva non costituisce un requisito di procedibilità del ricorso.
Invero essa impedisce, anche per la parte ricorrente, unicamente l’adozione delle conseguenze negative di cui al 5° comma dell’art. 243 bis citato.
Ad ogni modo, però, una volta attivata tale procedura, il ricorrente è obbligato a contestare le negative determinazioni, espresse o tacite, al riguardo assunte dalla stazione appaltante, nel termine decadenziale di trenta giorni.
A ciò deve, altresì, aggiungersi che il contratto associativo atipico, posto in essere con la costituzione dell’ATI, non comporta la nascita di un nuovo soggetto giuridico unitario, ma, in disparte le responsabilità dei singoli partecipanti nella realizzazione del progetto, il mandato collettivo conferito alla capogruppo comporta, esclusivamente, la rappresentanza esclusiva e processuale della mandataria nei confronti della stazione appaltante, nondimeno le diverse imprese conservano la loro autonomia, anche processuale, così che esse mantengono la piena legittimità processuale ( Cons.St.,15 aprile 2010, n.2155).
Ne consegue l’irrilevanza giuridica della integrazione, circa la formulazione della preannunciata intenzione a ricorrere, prodotta dalla capogruppo l’ATI in data 29 dicembre 2011.
La precisazione è utile per escludere che la indicata integrazione, pervenuta alla stazione appaltante il 29 dicembre 2011, sia stata presenta dopo la notifica del ricorso principale ( 29 dicembre 2011), così confermando l’avvenuta attivazione della procedura deflattiva.
Ciò detto, recita il 4° comma dell'articolo citato : " La stazione appaltante. Entro quindici giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela".
Or bene, ritiene il Collegio, che l'incombente imposto alla stazione appaltante dopo l’istanza del ricorrente per la definizione della controversia, comporta la necessità, per quest’ultima, di formulare le proprie determinazioni nel termine perentorio indicato ( quindici giorni) proprio perchè tale fase procedimentale ha la precipua ed esclusiva funzione deflattiva del preannunciato conflitto e, pertanto, deve essere svolta e definita nei tempi rapidi imposti dal rito accelerato di cui al D.Lgs citato.
Consentire alla stazione appaltante di estendere, oltre i tempi normativamente previsti, l'utilizzazione di tale strumento, significherebbe snaturarne la funzione e le precipue finalità dell’istituto.
Non solo. Proprio per determinare tempi certi ed obiettivi della peculiare sub procedimento, il legislatore ha previsto che tale determinazione sia comunicata agli istanti.
Ciò significa che trascorsi i quindici giorni previsti dalla norma senza che la comunicazione sia pervenuta al richiedente l'autotutela, la stazione appaltante perde il diritto di manifestare ed assumere le determinazioni deflattive dell’instaurando conflitto, incorrendo, come detto, nelle conseguenze di cui al comma 5° dell'articolo citato. Ogni eventuale e successivo intervento sull’aggiudicazione dovrà conformarsi, pertanto, esclusivamente ai canoni formali di cui all’art. 21 quinques, 21 sexies, 21 nonies della L.241/91.
Pertanto, proprio per tali finalità di rapida definizione della controversia, il legislatore ha equiparato l'inerzia della stazione appaltante al diniego di autotutela.
Ne consegue che ogni ulteriore e tardiva espressione della stazione appaltante circa la fondatezza o meno della richiesta di autotutela è, nel contesto procedimentale già avviato dalla preannunciata intenzione di proporre ricorso avverso l'assegnazione del lavoro o del servizio, tanquam non essent.
E’, inoltre, irrilevante che la determinazione negativa assunta dalla stazione appaltante sia stata pubblicata negli organi ufficiali della stessa, perché è necessario che il provvedimento, nei termini perentori indicati dalla legge, deve essere comunicato all'interessato.
Di contro è obbligo del ricorrente quello di impugnare, contestualmente al ricorso principale, ovvero con motivi aggiunti, anche la tacita manifestazione di volontà nel consueto termini di trenta giorni che decorrono dalla comunicazione della determinazione, ovvero dallo spirare dei quindici giorni previsti dal comma 4 dell'art. 243 bis D.Lgs 163/2006.
Nel caso in questione, quindi, non avendo le parti provato il giorno entro cui sarebbe stata effettuata comunicazione della determinazione n. 11081 del 30 dicembre 2011, così come ratificata con la nota n.34, la stessa deve ritenersi non comunicata, quindi inesistente sotto il profilo giuridico ed il conseguente comportamento si deve configurare meramente omissivo.
In tal caso il ricorrente, che aveva già proposto il ricorso principale in data 29 dicembre 2011, aveva l’onere di impugnare, con motivi aggiunti, il silenzio significativo entro il giorno 13 gennaio 2012.
Alla luce delle indicate premesse non assume alcuna rilevanza giuridica il fatto che detta determinazione non è stata partecipata al ricorrente, se non al momento della costituzione in giudizio della parte resistente, il ricorrente, avendo presentato la richiesta di cui all’art 243 bis, comma 1 cit., aveva l’onere di impugnare, il silenzio significativo così formatosi, nel termine decadenziale sopra indicato.
La mancata impugnazione, come nel caso in questione, della ulteriore determinazione, rectius dell’inerzia, della stazione appaltante comporta la inammissibilità del ricorso principale.
Il Collegio non ignora l’attuale dibattito che ha investito la nota decisione della Plenaria n. 4/2011.
Le diverse soluzioni adottate dalla giurisprudenza : TAR Lazio, 10 gennaio 2012, n.197, che ha superato la posizione adottata dall’alto consesso perché : "… L'accoglimento del ricorso incidentale in una controversia in materia di procedure concorsuali se fa venir meno l'interesse del ricorrente principale a contestare l'aggiudicazione della gara, non elimina il diverso e distinto interesse a coltivare il ricorso al fine di conseguire il rinnovo della procedura"; quello espresso con l’ordinanza TAR Piemonte del 9 febbraio 2012, che ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia.
E’ di palese evidenza che il delicato problema merita una chiara ed univoca soluzione da parte della giurisprudenza, la cui composizione non è certo facilitata da antitetiche e singolari pronunce, le quali, nel lodevole intento di definire una reale giustizia al caso concreto, in realtà provocano soluzioni contrastanti e contraddittorie proprie all’esigenza di certezza dei cittadini.
Ritiene, pertanto, il Collegio che, in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia, ovvero di conseguenti e diversi orientamenti della Adunanza Plenaria, allo stato deve ritenersi prevalente ed esclusivo l’insegnamento espresso dalla citata decisione n. 4/2011, proprio per la funzione nomofilattica svolta dalle pronunce della Plenaria, così come concepita dal nuovo cpa (art. 99).
Ciò comporta, conseguentemente, la necessità, per il giudice amministrativo, di conformarsi ai principi di diritto ivi enunciati.
Pertanto, in accoglimento del ricorso incidentale, resta impedito al Collegio di ogni altro aspetto motivazionale, introdotti con il ricorso principale e con i motivi aggiunti; nonchè di ogni atto annesso, connesso o presupposto.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima,)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso incidentale e, pertanto, dichiara improcedibile, per carenza di interesse, il ricorso principale.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Bruno Amoroso, Presidente
Silvia Coppari, Referendario
Roberto Vitanza, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 16/10/2012. N. 1278/2012