Tar Lazio, Roma, sez. III-ter, 7 ottobre 2011, n. 7785
In caso di clausole di esclusione da gara non univoche la stazione appaltante deve interpretare il contenuto del bando in modo tale da non pregiudicare l’affidamento degli interessati in buona fede, in virtù del principio di favor partecipationis (che è sotteso alla disciplina nazionale ed europea sugli appalti) e del principio della necessaria prevalenza della sostanza sulla forma, affermato da ultimo dal nuovo art. 46, comma 1-bis, del Codice degli appalti pubblici.
Nella decisione in epigrafe il Tar Lazio si occupa del margine di discrezionalità della stazione appaltante nell'interpretare i requisiti di partecipazione a gare pubbliche, prospettando la necessità che l'interpretazione delle clausole del bando non sia meramente formalistica, ma volta a favorire la massima partecipazione delle imprese interessate. Il Tar, sia pure in sede di obiter dictum ed ad abundantiam, si sofferma altresì sugli aspetti sostanziali del recente inserimento del comma 1-bis nell'articolo 46 del Codice degli appalti (D.Lgs n. 163/2006) pubblici), ad opera del d. l. n. 70 del 13 maggio 2011.Il caso sottoposto al collegio amministrativo romano riguardava il ricorso di una impresa esclusa (esclusa da cosa? io direi qui "dall'ammissione alla gara" e lo toglierei dopo) sulla base di una interpretazione restrittiva di una clausola di bando che richiedeva ai fini dell'ammissione a gara l’avvenuta esecuzione nell’ultimo triennio antecedente alla data di pubblicazione del bando di almeno 2 contratti affidati da altrettanti committenti diversi tra loro, aventi ad oggetto servizi analoghi a quelli di gara. Per il Tribunale amministrativo la non univocità della relativa clausola non può essere utilizzata a detrimento delle imprese interessate alla partecipazione, ma deve necessariamente "tutelare l’affidamento degli interessati in buona fede, interpretandola in modo da evitare al concorrente ricostruzioni ermeneutiche ed integrative onde appurare la presenza di significati ulteriori ed inespressi". Le stazioni appaltanti, pure dotate di ampia discrezionalità nella formulazione dei requisiti di gara, non possono riservarsi una ulteriore discrezionalità nell'interpretare il bando a discapito degli interessati. Le clausole che possono determinare la non ammissione devono necessariamente essere chiare ed inequivocabili, proprio in quanto determinano una restrizione della platea dei possibili interessati. Il Collegio ricorda che "E’principio pacifico che il potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti per la partecipazione alle gare per l'affidamento di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando volte a prescrivere i requisiti speciali; tale funzione consiste nel delineare, attraverso l'individuazione di specifici elementi indicati della capacità economica, finanziaria e tecnica, il profilo delle imprese che si presumono idonee a realizzare il programma contrattuale perseguito dall'Amministrazione ed a proseguire nel tempo l'attività espletata in modo adeguato". La funzione dei requisiti è quella dunque di esplicitare le esigenze sottese alla procedura e le particolari qualità che debbono possedere le imprese perché sia garantita una adeguata realizzazione dell'oggetto dell'appalto. Costituisce un dovere dell'Amministrazione competente enucleare in forma chiara e inequivoca tali esigenze e tali particolari qualità, in modo da non ingenerare difficoltà ricostruttive ed eventuali affidamenti in buona fede da parte degli interessati. Nel caso in cui tale dovere non sia assolto adeguatamente la stazione appaltante è tenuta ad effettuare una lettura delle stesse clausole equivoche idonea a proteggere l'interesse alla partecipazione delle imprese che hanno posto affidamento in buona fede sulla possibile partecipazione a gara, confidando su una lettura loro favorevole. Al contempo sono da evitare interpretazioni formalistiche, in una materia così delicata come quella delle procedure ad evidenza pubblica. Ciò è anche confermato dalla tendenza della giurisprudenza amministrativa che sulla scorta degli insegnamenti della Corte di Giustizia dell'Unione europea, tende a ritenere prive di fondamento quelle interpretazioni eccessivamente formalistiche delle clausole equivoche che finiscono per pregiudicare in modo arbitrario il favor partecipationis, pur sotteso all'intero sistema degli appalti pubblici. A (ulteriore) sostegno di una simile impostazione sostanzialistica il Collegio richiama il principio di tassatività delle cause di esclusione da gara, forgiato dal nuovo comma 1-bis dell'articolo 46. Tale articolo del Codice si occupa delle cause di esclusione dei concorrenti dalle procedure concorsuali. La riforma del maggio del 2011 ha previsto la tassatività delle cause di esclusione da gara. In modo piuttosto circostanziato si prevede che: "La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle".La modifica è stata apportata al fine di superare quella prassi invalsa nelle procedure ad evidenza pubblica, consistente nella previsione di cause di esclusione ulteriori rispetto a quelle previste dal Codice degli appalti. Oggi il dato normativo è inequivocabile nel ricollegare (io direi "nel riconnettere"oppure "è inequivocabile, ad oggi, la volontà del legislatore di individuare in modo certo e puntuale la cause di esclusione") la discrezionalità della stazione nella previsione delle cause di esclusione a quanto ex ante previsto dallo stesso art. 46 del Codice medesimo: - mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento e dalla legge; - incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta- difetto di sottoscrizione o di elementi essenziali- non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione - altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, (beninteso), tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte.Nel comminare la nullità delle prescrizioni esorbitanti rispetto a quanto previamente autorizzato, il Codice afferma che le cause di esclusione non possono che riguardare la salvaguardia di alcuni (e solo alcuni) interessi, e non di altri (si pensi al principio di segretezza, richiamato expressis verbis dal comma 1-bis).Il Collegio osserva che "nell’escludere che i bandi e le lettere di invito possano contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle dalla stessa norma indicate, ha introdotto il principio di tassatività delle cause di esclusione dei concorrenti dalle procedure concorsuali, rafforzandosi, vieppiù, il principio di matrice comunitaria della prevalenza della sostanza rispetto a quella della forma.In altri termini, la gara per l’assegnazione di un contratto con la P.A. non deve trasformarsi in una sorta di caccia all’errore (di interpretazione delle clausole dubbie o nel rispetto di meri formalismi partecipativi), ma deve garantire la massima partecipazione di coloro che, in possesso del profilo astrattamente idoneo a sorreggere l’esecuzione di un contratto con la P.A., confidano nello svolgimento di procedure concorsuali imparziali e trasparenti".
Vale la pena di ricordare che l'orientamento qui espresso non contraddice (anzi è assolutamente in linea con) lo stesso Consiglio di Stato, il quale, recentemente (Sez. VI, ordinanza 14 settembre 2011, n. 3932) si è pronunciato nel senso che il nuovo principio di tassatività ha riguardo esclusivamente alle cause di esclusione di natura formale, e non preclude alla stazione appaltante di prevedere requisiti di carattere sostanziale anche rigorosi, purché non eccessivi e irragionevoli.
Alle stesse conclusioni bisogna pervenire con riferimento alla ben nota giurisprudenza sul “falso innocuo”, che si richiama esplicitamente alla ratio delle norme sui requisiti morali e professionali per escludere la rilevanza di dichiarazioni non veritiere ai fini della esclusione dalle procedure concorsuale laddove la ratio delle norme che prescrivono i requisiti (volta a salvaguardare l’affidamento riposto dalla stazione appaltante sul possesso dei requisiti) non sia pregiudicata in concreto nonostante la formale non veridicità delle dichiarazioni.
Anche questa giurisprudenza fa prevalere la sostanza sulla forma nei controlli sui requisiti, ricollegando la causa di esclusione al solo dato sostanziale del mancato possesso dei prescritti requisiti morali e professionali, e non già al mero dato formale della omissione/inesattezza delle dichiarazioni concernenti tale possesso.
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Precedenti Cons. St. Sez. VI, ordinanza 14 settembre 2011, n. 3932
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
[Omissis]
DIRITTO
Viene all’esame del Collegio il provvedimento con cui la stazione appaltante ha escluso la società ricorrente dalla procedura per l’affidamento del servizio di manutenzione degli impianti elevatori installati presso gli insediamenti della Rai di Roma, Napoli, Milano e Torino, limitatamente al lotto n. 1 (avente ad oggetto gli insediamenti di Roma e Napoli) per non avere dimostrato di possedere il requisito richiesto in relazione a tale lotto come indicato al punto III.2.3, lett. a) del bando di gara.In particolare, il seggio di gara ha rilevato che, mentre il contratto stipulato con la SIAR di Milano ha interessato 253 impianti ed ha avuto una dislocazione territoriale in 21 comuni della Provincia di Milano, invece il contratto stipulato con l’ATER di Roma, pure relativo a ben 931 impianti elevatori, (contro i 51 minimi previsti per il lotto 1) ha riguardato servizi dislocati nel solo comune di Roma; pertanto, ha ritenuto di non ammettere la società alla gara, con riferimento al lotto 1, in quanto, ancorché il primo dei due contratti fosse stato svolto in più comuni e per un numero di impianti superiore a quello minimo richiesto, il secondo, invece, ha interessato la sola città di Roma, e non corrisponde al requisito (esecuzione di ciascun contratto in almeno due diverse città) prescritto per la partecipazione.La ricorrente impugna tale determinazione sostenendo che il bando richiedeva lo svolgimento pregresso di analoghi servizi riferibili ad almeno due “città”, e che l’utilizzo di tale termine generico, senza alcun riferimento agli enti locali comunali, né l’esplicitazione di ulteriori criteri identificativi dal punto di vista geografico, territoriale, storico e amministrativo della nozione di città, non giustifica l’attività interpretativa che ha compiuto il seggio di gara, che solo in tale sede, ad offerte già pervenute e a verifica ex art. 48, d. lgs. 163/2006 già avviata, ha precisato che il termine “città” andava inteso nel senso di “comune”. Diversamente, ove la società ricorrente avesse avuto esatta contezza che il requisito avrebbe dovuto essere riferito a contratti svolti in almeno due diversi “comuni”, la medesima non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad evidenziare l’avvenuta manutenzione di impianti analoghi a quelli oggetto di gara in diversi comuni italiani, circostanza questa, peraltro, pacificamente ammessa anche dalla stessa stazione appaltante.Il ricorso è fondato.Con il bando di gara cui la ricorrente ha partecipato è stata prevista, tra le condizioni di partecipazione, una capacità tecnica il cui livello minimo, per quanto qui interessa, doveva desumersi da: “Avere complessivamente eseguito negli ultimi tre anni antecedenti alla data di pubblicazione del presente bando almeno due contratti affidati da altrettanti committenti tra loro diversi aventi ad oggetto servizi analoghi a quelli di gara, ciascuno dei quali eseguito in almeno due diverse città e per una capienza complessiva di almeno- in caso di partecipazione al solo lotto 1 di Roma e Napoli: n. 51 elevatori;- in caso di partecipazione al solo lotto 2 di Milano e Torino: n. 40 elevatori;- in caso di partecipazione sia per il lotto 1 di Roma e Napoli che per il lotto 2 di Milano e Torino: n. 91 elevatori.”(cfr. punto III.2.3), lett. a) del bando di gara).La prescrizione in ordine alla dimostrazione del requisito di capacità tecnica non appare ictu oculi connotata di linearità ed inequivocabile chiarezza circa la necessità di indicare l’avvenuta esecuzione di almeno due contratti per lotto, ciascuno di essi svolto in almeno due diversi comuni, così come invece ha ritenuto necessario il seggio di gara, che, nell’escludere la società ricorrente in relazione al lotto 1, non ha ritenuto idoneo il contratto eseguito nella “sola città di Roma”, ancorché relativo ad un numero di impianti di gran lunga superiore rispetto al numero minimo prescritto.Ed invero, per “città” si intende comunemente un centro abitato piuttosto esteso, con sviluppo edilizio organizzato, che sul piano amministrativo, economico, politico e culturale rappresenta il punto di riferimento del territorio circostante; il termine “comune” ha, invece, una connotazione prettamente tecnica, e rappresenta la più piccola suddivisione territoriale amministrativa dello Stato.Tanto precisato, non vi è dubbio che non sussista una piena e sicura sovrapposizione tra i due termini, come invece il seggio di gara ha ritenuto di fare, con una operazione che ha condotto all’aberrante conseguenza di espellere dalla gara una concorrente in possesso del requisito di capacità tecnica in misura di gran lunga superiore rispetto ai limiti minimi indicati nel bando, come, peraltro, successivamente ammesso dalla stessa stazione appaltante.Ed invero, un comune, in senso tecnico, può non essere una città nella accezione di cui sopra, e, viceversa una città, ancorché giuridicamente non possa essere qualificata quale ente locale territoriale, può avere una estensione ben più consistente del primo.E’evidente, allora, l’equivoco in cui è incorsa la società ricorrente, che, a causa di una non univoca indicazione del bando di gara ha omesso di dichiarare l’avvenuta esecuzione di altri contratti in diversi comuni italiani, ritenendo ampiamente soddisfatto il requisito dall’avere svolto il servizio di cui si tratta in forza di un contratto che ha avuto ad oggetto un notevole numero di impianti dislocati non solo a Roma “città”, ma anche in diverse frazioni della stessa, quali Ostia, Casal Palocco, Spinaceto, Acilia, che, per estensione territoriale, numero di abitanti, ecc, ben possono essere definite a loro volta città.E’principio pacifico che il potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti per la partecipazione alle gare per l'affidamento di appalti pubblici è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando volte a prescrivere i requisiti speciali; tale funzione consiste nel delineare, attraverso l'individuazione di specifici elementi indicati della capacità economica, finanziaria e tecnica, il profilo delle imprese che si presumono idonee a realizzare il programma contrattuale perseguito dall'Amministrazione ed a proseguire nel tempo l'attività espletata in modo adeguato.Con riferimento alla gara in controversia, é indubitabile che la ratio della richiesta capacità tecnica minima attiene, per il profilo in esame, alla dimostrazione della attitudine della impresa aspirante allo svolgimento del servizio di manutenzione in aree territorialmente diversificate (“almeno due città”).Pertanto, in assenza di univocità espressiva della relativa clausola afferente il requisito di capacità tecnica, il seggio di gara, onde evitare una determinazione sproporzionata rispetto alla ratio sottesa alle stesse regole di partecipazione alla gara de qua, avrebbe dovuto valutare gli elementi forniti a supporto del requisito da parte della concorrente al di fuori di una applicazione rigidamente formalistica della stessa norma di gara, e non omettere di considerare appieno il pure rilevante interesse alla più ampia partecipazione dei concorrenti alla procedura in questione che sola consente la scelta dell’offerta maggiormente corrispondente alla esigenza da soddisfare, facendo leva sul prevalente criterio teleologico rispetto a quello prettamente formale.Invece, l’applicazione rigida che nel caso in esame ha fatto il seggio di gara della clausola di partecipazione, peraltro sorretta da una personale e non univoca interpretazione della stessa, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto sopra evidenziate, ha infranto la fondamentale ed immanente esigenza di ragionevolezza dell'attività amministrativa, finendo così per porsi in contrasto con le stesse finalità di tutela cui sono preordinati i generali canoni applicativi delle regole della contrattualistica pubblica.Sul punto il Collegio ritiene, ad abundantiam, di evidenziare che la normativa in materia di contratti pubblici esprime sempre più la prevalenza dell’interesse sostanziale rispetto ai canoni meccanicamente formalistici, come può evincersi dalla recente modifica dell’art. 46, del d. lgs. 163/2006, cui il d. l. n. 70 del 13 maggio 2011 - in epoca di poco successiva ai fatti di causa - ha aggiunto il comma 1 bis, che, nell’escludere che i bandi e le lettere di invito possano contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle dalla stessa norma indicate, ha introdotto il principio di tassatività delle cause di esclusione dei concorrenti dalle procedure concorsuali, rafforzandosi, vieppiù, il principio di matrice comunitaria della prevalenza della sostanza rispetto a quella della forma.In altri termini, la gara per l’assegnazione di un contratto con la P.A. non deve trasformarsi in una sorta di caccia all’errore (di interpretazione delle clausole dubbie o nel rispetto di meri formalismi partecipativi), ma deve garantire la massima partecipazione di coloro che, in possesso del profilo astrattamente idoneo a sorreggere l’esecuzione di un contratto con la P.A., confidano nello svolgimento di procedure concorsuali imparziali e trasparenti.In definitiva, e in accoglimento della prima censura, è illegittima l’esclusione della società ricorrente dalla gara controversa.Ritiene il Collegio, con riguardo invece alla seconda censura, con cui sono dedotti non solo vizi di illegittimità derivata ma anche autonome censure avverso gli ulteriori provvedimenti adottati dalla Rai, ossia l’atto di escussione della cauzione e la segnalazione all’Autorità di vigilanza, che nessun interesse permane in capo alla deducente in ordine alla delibazione anche di questa, in quanto tali provvedimenti sono fondati unicamente sull’esclusione dell’impresa dalla gara, disposta per asserita assenza di un requisito di partecipazione, di talché l’annullamento di tale esclusione ha portata caducante anche dei provvedimenti di escussione della cauzione e di segnalazione di cui all’art. 48, d. lgs. 163/2006, costituendo l’esclusione l’unico e dichiarato presupposto sulla cui base sono state disposte le ulteriori penalizzanti determinazioni.Conclusivamente, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con annullamento, per l’effetto, del provvedimento di esclusione della società dalla gara de qua; all’annullamento del provvedimento impugnato accede, quale conseguenza derivata, la caducazione dei provvedimenti allo stesso conseguenti.Quanto, infine, alla pure introdotta istanza risarcitoria, la stessa non può trovare ingresso atteso che, a prescindere dalla genericità con cui la stessa è formulata, l’accoglimento del gravame è di per sé idoneo a soddisfare integralmente l’interesse fatto valere dalla parte ricorrente, consolidandosi gli effetti già prodottisi a seguito dell’ordinanza n. 1676/2011 di accoglimento dell’istanza cautelare con cui era stata sospeso il provvedimento di escussione parziale della garanzia fideiussoria prestata dalla società ricorrente, ed era stata disposta la riammissione con riserva della medesima società alla procedura concorsuale ancora in itinere.Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate giusta quanto stabilito in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti in epigrafe recanti, rispettivamente, l’esclusione della società [OMISSIS] dalla gara, la richiesta di escussione della cauzione e la segnalazione all’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture; respinge l’istanza di risarcimento del danno.Condanna la resistente [OMISSIS] alla refusione delle spese processuali in favore della ricorrente [OMISSIS], liquidate nella somma di €. 2.000,00 (duemila/00).Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:Giuseppe Daniele, PresidenteDonatella Scala, Consigliere, EstensoreRosa Perna, Primo Referendario