Cons. Stato, Sezione V, 27 agosto 2025, n. 7119

(…) quando la stessa persona fisica, già sottoposta a verifica antimafia, tuttora “in corso di validità” (…), riveste - nell’arco temporale di validità del provvedimento interdittivo antimafia già adottato - più ruoli rilevanti ai sensi dell’art. 85, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, i limiti e divieti che sono effetto dell’interdittiva operano nei confronti di tutte le imprese nelle quali la medesima persona fisica è coinvolta (…)

Guida alla lettura

            La latitudine della sentenza in illustrazione sembra lumeggiare il complesso rilievo degli effetti temporanei di dodici mesi del provvedimento amministrativo d’informazione antimafia interdittiva, che pare essere ammantato nel portato motivazione di questa decisione velatamente adagiata sul nucleo centrale di un dibattito ancora aperto: gli esiti sulla reputazione personale e imprenditoriale di coloro che hanno ricoperto un ruolo di amministratore e/o di socio nella compagine sociale attinta da questa misura afflittiva. Non per ultimo per lo sfumare della riflessione finale posta a margine della lettura del provvedimento giurisdizionale in questione sulla tematica dell’esclusione di questi soggetti dalla titolarità di legittimazione attiva nell’impugnazione del provvedimento d’informazione antimafia interdittiva stesso, in omaggio all’insegnamento del giudice amministrativo di ultima istanza dello Stato italiano nella sua massima composizione (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 3/2022).

Ciononostante, però, si deve rilevare preliminarmente che l’ermeneutica della giustizia amministrativa contempera, in alcuni casi, la posizione soggettiva di tutela mediata. Nel negare la possibilità di emettere la misura interdittiva in trattazione nei confronti di una persona fisica, che non riveste la qualità di titolare d’impresa o di società, poiché i liberi professionisti non organizzati in forma d’impresa sono una categoria tassativamente non compresa tra quelle individuate dalla normativa primaria (Coniglio di Stato, Sezione Terza, sentenza n. 2212/2023).

Tuttavia, passando all’esame del nucleo essenziale che involge anche il merito del provvedimento giurisdizionale in questione non si può sottacere che lo stesso pare essere impostato sulla tesi dell’esegesi del giudice amministrativo che riposa sull’ultrattività della misura afflittiva, così come valorizzata dal ricomprendere altresì l’impossibilità di percepire somme dovuto a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività d’impresa (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 3/2018).

Pertanto, alla luce delle complesse premesse che precedono, si può denotare il divenire dei dettagli del caso di specie, ossia quelli di un esercente il servizio di attività funebre in forma individuale, che al momento della cessione dell’intero capitale sociale era stato destinatario già di una interdittiva antimafia, il quale presenta una S.C.I.A. per il cambio del rappresentante legale e della compagine sociale della società, al fine [ forse ] di recuperare la fiducia persa nei confronti delle Istituzioni repubblicane, che lo ritengono ormai non più affidabile.

In estrema sintesi, il fatto storico sembra essere quello di un tentativo dell’operatore economico di attuare una misura di self cleaning poi non ritenuta idonea dall’autorità amministrativa, in ordine al fine perseguito dalla legge, così come accertato e dichiarato dal giudice amministrativo di seconde cure, che ha confermato la sentenza di rigetto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

            Invero, l’iter logico della motivazione della sentenza in trattazione sembra essere orientato alla posizione consolidata che l'informativa antimafia interdittiva è un provvedimento amministrativo cautelare e preventivo previsto dall’ordinamento giuridico domestico, per la tutela dell'ordine pubblico economico, del buon andamento della pubblica amministrazione e della libera concorrenza tra le imprese nel mercato interno dell’Unione europea. Difatti, esso inerisce ai rapporti verticali tra l’amministrazione e le parti private in materia contrattuale e non a quelli orizzontali attinenti i soli soggetti giuridici privati. Segnatamente, in quanto i suoi effetti sono immediati e non sono subordinati alla sua definitività, poiché trattasi di un provvedimento di natura amministrativa fondato su una non sufficiente tipizzazione legislativa dei presupposti. D’altro canto, la misura di prevenzione non viene emessa e applicata con un provvedimento giurisdizionale del giudice ordinario, in funzione penale, bensì dell’autorità amministrativa prefettizia in un’ottica di anticipazione della difesa della legalità tesa a prevenire, e non a colpire, le pratiche e i comportamenti direttamente lesivi dei surriferiti valori costituzionalmente presidiati (artt. 2, 4, 16, 41, 97 e 139 Cost.).

In tale ambito, l’autorità pubblica accerta l’attualità della sussistenza delle ragioni cautelari e preventive attinenti il grave tentativo d’infiltrazione e di pericolo concreto di condizionamento mafioso della realtà imprenditoriale all’esito, però, di elementi di allarme concernenti l’occasione da contatto con la pubblica amministrazione e in un contraddittorio non più residuale e facoltativo, ma che ha assunto ormai la sostanza di regola generale derogabile solo con un’adeguata motivazione e nelle tassative ipotesi previste dalla legge  - come nel caso dell’accesso ai cantieri  - plasticamente orientate alle misure di self cleaning e di prevenzione collaborativa, per relegare l’interdittiva ad extrema ratio, in ossequio al principio euro-unitario di proporzionalità.

Va da sé che il procedimento amministrativo di questa misura preventiva e cautelare soggiace alle tutele previste in materia di annullabilità ex art. 21-octies, comma 2, secondo paragrafo, della legge n. 241/1990 del provvedimento inibitorio emesso in violazione delle forme di contraddittorio previste in caso di non comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art. 10-bis sempre della legge n. 241/1990 e non è attratta alla materia delle sanzioni formalmente amministrative, ma sostanzialmente penali.

Soprattutto, perché appartiene al diritto amministrativo tipizzato nel provvedimento amministrativo, i cui elementi costitutivi della sua struttura hanno una durata limitata nel tempo, con effetti inibitori temporanei di stipulazione nei soli rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione e non tra privati, oltre che delle modalità di attuazione non strettamente limitative del diritto soggettivo di libertà personale (art. 13 Cost.), perché non incide direttamente sull’inviolabilità della privazione della libertà personale fisica presidiata dall’art. 5 CEDU, in relazione all’art. 2 del suo Protocollo Addizionale n. 4, come interpretati dalla Corte EDU (Corte EDU sentenza del 23/02/2017 resa a Strasburgo nella causa De Tommaso contro Italia, per il ricorso n. 43395/09); ma sulla mera restrizione della circolazione (art. 16 Cost.) in una misura tollerabile dalla collettività.

Conseguentemente, il non superamento del limite della soglia di tollerabilità deve essere contenuto entro il perimetro di un oggettivo sacrificio apprezzabile della parte privata, per motivi di solidarietà sociale, esigibile nell’attuazione da parte della pubblica amministrazione della misura interdittiva nei soli casi in cui la stessa è il risultato di un ponderato equo bilanciamento degli interessi pubblici e privati contrapposti, il cui risultato finale e definitivo deve deporre a favore dell’opportunità della sua adozione, per l’evidenza fattuale indiziaria di cautela anticipata di pericolo concreto esplicitata in un provvedimento espresso, scritto e motivato adeguatamente pure nella sua opinabilità.

Sicché, in omaggio alle ragioni trattate dal giudicante nella sentenza in esposizione, si soggiunge che il legislatore ha inteso contrastare il fenomeno mafioso non solo con la misura amministrativa dell’informazione antimafia interdittiva, ma anche con la comunicazione antimafia attinente alle attività previste dall’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011; e che si demarca dalla prima per la sua minore gravità (Corte costituzionale sentenze n. 4/2018, n. 178/2021 e n. 118/2022; Consiglio di Stato in sede consultiva, Sezione Prima, parere n. 3088/2015 del 17/11/2015, adunanza di sezione del 14/10/2015 per l’affare n. 497/2015), in quanto le cause ostative al suo rilascio possono essere ricondotte ai provvedimenti definitivi d’applicazione delle misure di prevenzione ex art. 5 del d.lgs. n. 159/2011 e alle condanne con sentenza definitiva o confermata in appello, per taluno dei delitti consumati, oppure tentati, elencati dall’art. 51, comma 3-bis, del c.p.p.. Con la precisazione, peraltro, che se l’effetto interdittivo proprio dell’informazione antimafia è quello d’inibire la stipulazione, l’approvazione o l’autorizzazione di contratti e subcontratti con la pubblica amministrazione, nondimeno lo è, inoltre, quello tipico e sempre interdittivo che produce la comunicazione antimafia di preventivamente vietare i provvedimenti e le attività indicate dall’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011.

D’altronde, il rapporto tra i due istituti è sia di alternatività secondo quanto è previsto dall’art. 84 del d.lgs. n. 159/2011, nel senso che la comunicazione antimafia non deve essere acquisita quando è necessaria l’informativa antimafia e viceversa, sia assorbente ex art. 89-bis dello stesso d.lgs. n. 159/2011, in quanto la stessa informazione antimafia assorbe quanto già previsto per la comunicazione antimafia e attesta anche la sussistenza o meno di eventuali tentativi d’infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate.

            Infine, passando alla disamina della tassatività sostanziale anch’essa adombrata dalla decisione in rassegna si osserva che il presupposto dell’emanazione di una misura amministrativa interdittiva di permeabilità e contiguità mafiosa è la suffragazione di elementi sia di polizia sia giudiziari della magistratura penale requirente e giudicante o di quella amministrativa, che ha già delibato in ordine alla sua sussistenza. Tali elementi devono dimostrare fattualmente una serie d’indizi gravi, precisi e concordanti, all’esito di una compiuta istruttoria procedimentale fondata sulla regola della probabilità (id quod plerumque accidit), con un accertamento non atomistico, ma in chiave unitaria e secondo il canone inferenziale, che è alla base della prova indiziaria. Soprattutto, perché la ragionevolezza del provvedimento deve essere documentata nell’esistenza del pericolo che i mezzi economici dell’operatore economico possono essere tratti dal sostentamento della criminalità organizzata mafiosa. Questi principi sono desumibili dalla legislazione antimafia e dalle misure di prevenzione, di cui al d.lgs. n. 159/2011, che ha tipizzato, con un provvedimento amministrativo costitutivo, l’istituto con il quale si constata nei confronti di un operatore economico una obiettiva ragione d’insussistenza della perdurante fiducia sulla sua affidabilità e moralità nei rapporti contrattuali con l’amministrazione.

Sul punto, la giurisprudenza del giudice amministrativo (ex plurimis Consiglio di Stato, Sezione Terza, sentenze n. 1743/2016, n. 565/2017, n. 2211/2019 e n. 6105/2019) ha ampliato le previsioni normative di riferimento fornendo il seguente decalogo di tipizzazione di fatti sintomatici ed indiziari rilevatori di un rischio concreto ed attuale della possibile infiltrazione mafiosa nell’economica:

a. i provvedimenti sfavorevoli del giudice penale;

b. le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa;

c. la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dal d.lgs n. 159/2011;

d. i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare ed una regia collettiva dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia clanica;

e. i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza ed amicizia;

f. le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un volto di legalità idoneo a stornare sospetti od elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;

g. la condivisione di un sistema d’illegalità, volto ad ottenere i relativi benefici;

h. l’inserimento in un contesto d’illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

D’altra parte, il decalogo di rischiosità che precede è stato condiviso dalla Corte delle leggi come risultato di un nucleo consolidato nella giurisprudenza amministrativa di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni del legislatore, costituendone un sistema di tassatività sostanziale [ aperta ] come adattabilità della risposta dello Stato alle circostanze variabili delle situazioni e delle problematiche locali, nonché rispetto alle modalità di penetrazione pericolosa della forza intimidatoria del vincolo di associazione mafiosa sulla realtà imprenditoriale, con comportamenti atti a inquinare e falsare il libero e il naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltrati (Corte costituzionale sentenze n. 57/2020 e n. 109/2025).

            In conclusione, se dalle suesposte considerazioni si opina che la decisione in guida pare essere stata coerentemente delibata in aperta condivisione alla consolidata impostazione esegetica stratificatasi nel tempo nella giustizia amministrativa e costituzionale, in tema di tassatività sostanziale aperta delle condotte sintomatiche e indizianti di permeabilità mafiosa della compagine sociale di un operatore economico, poiché non è stato accolto il ricorso in appello essendo stata confermata la sentenza di primo grado, con la condanna parziale alle spese processuali della ricorrente in appello secondo il principio della soccombenza e la compensazione con le altre parti del giudizio. Per contro, la stessa decisione sembra, in ogni modo, celare il complesso rilievo degli effetti temporanei dei dodici mesi del provvedimento amministrativo d’informazione antimafia interdittiva. Lì dove non affronta neppure indirettamente rispetto alla fattispecie concreta decisa (forse in deferenza ai principi dispositivo e devolutivo previsti dal Codice del processo amministrativo concernenti l’appellabilità delle sentenze dei Tribunali amministrativi regionali al Consiglio di Stato, ai sensi degli artt. 64, 101 e 104 c.p.a.) il sottinteso nocciolo duro del dibattito che sta animando la dottrina, ossia gli esiti degli effetti della misura afflittiva interdittiva sulla reputazione personale e imprenditoriale di coloro che hanno ricoperto un ruolo di amministratore e/o di socio nella compagine sociale anche ai soli fini di curriculum professionale e per il quale, viceversa, si auspica un intervento chiarificatore definitivo del legislatore in tema di possibile apertura delle porte del processo.

 

  

 

N. 07119/2025REG.PROV.COLL.

N. 00819/2025 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 819 del 2025, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pasquale Rinaldi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

 

contro

 

Comune di Manfredonia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Teresa Siponta Totaro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ufficio Territoriale del Governo Foggia e Ministero dell'Interno, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 13/2025, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Manfredonia, dell’Ufficio Territoriale del Governo Foggia e del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2025 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e udito l’avvocato Rinaldi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - Bari ha respinto il ricorso proposto dalla -OMISSIS- contro il Comune di Manfredonia e il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Foggia per l’annullamento:

- della determinazione n. -OMISSIS- del 15 marzo 2024, a firma del dirigente del Settore 2° “Attività produttive” del Comune di Manfredonia, con la quale è stata rigettata la pratica SUAP per la variazione del legale rappresentante della società e revocata l’autorizzazione per l’esercizio di attività funebre rilasciata dall’amministrazione locale in data 3 ottobre 2022, prot. n. -OMISSIS-;

- della nota della Prefettura di Foggia prot.n.-OMISSIS- dell'11 marzo 2024, allegata in sede di notifica della determinazione predetta, con la quale il Dirigente dell'Area I ha comunicato all'amministrazione locale l'esito positivo di cui alla richiesta di certificazione antimafia;

- della richiesta di certificazione antimafia inoltrata alla Prefettura di Foggia dal Comune di Manfredonia tramite BDNA con prot.n.-OMISSIS- del 28 febbraio 2024;

- della nota prot.n.-OMISSIS- del 4 marzo 2024, con cui il Comune di Manfredonia ha avviato la procedura di preavviso di rigetto della pratica SUAP n.04410750717-29022024-0952, ex art.10 bis della legge n.241/1990.

  1. La sentenza premette in fatto quanto segue:

- la società a responsabilità semplificata con unico socio “-OMISSIS-", con sede in Manfredonia, è stata costituita il 28 aprile 2022;

- su istanza dell’allora socio e amministratore unico -OMISSIS-, con atto prot. n. -OMISSIS- del 3 ottobre 2022, è stata rilasciata l’autorizzazione per l’esercizio del servizio di attività funebre ai sensi dell’art. 115 del T.U.L.P.S., della legge della Regione Puglia n. 34 del 15/12/2008 e del Regolamento regionale n.8 dell’11/3/2015;

- con atto del 29 gennaio 2024, -OMISSIS- ha ceduto a -OMISSIS- l’intero capitale sociale della s.r.l.s.;

OMSSIS-, già esercente il servizio di attività funebre in forma individuale, al momento della cessione era stata attinta da interdittiva antimafia n. 2591 del 19 gennaio 2019;

- in data 29 febbraio 2024, -OMISSIS- ha presentato al Comune di Manfredonia una S.C.I.A. per il cambio del rappresentante legale e della compagine sociale della società;

- il Comune di Manfredonia, con nota del 4 marzo 2024, ha comunicato alla ricorrente il preavviso di rigetto, in considerazione della su indicata interdittiva;

- con nota prot. n. -OMISSIS- dell’11 marzo 2024, la Prefettura di Foggia ha riscontrato la richiesta trasmessa dal Comune tramite portale B.D.N.A. comunicando quanto segue:

Con riferimento alla richiesta di certificazione antimafia pervenuta tramite BDNA con prot. n. -OMISSIS- in data 28 febbraio 2024, si comunica che la stessa è stata definita con esito positivo, atteso che l’attuale amministratrice unica dell’impresa è stata già attinta da provvedimento interdittivo antimafia n. -OMISSIS- del 29 settembre 2021, tuttora in corso di validità, riguardante un’altra impresa operante nello stesso settore”;

- con provvedimento n. -OMISSIS- del 15 marzo 2024, il Comune ha rigettato la S.C.I.A. per variazione di legale rappresentante e ha revocato l’autorizzazione per l’esercizio del servizio di attività funebre rilasciata dal Comune di Manfredonia prot. -OMISSIS- del 3 ottobre 2022 al signor -OMISSIS-.

  1. Il T.a.r. ha dato atto che la ricorrente:

- ha dedotto l’illegittimità del provvedimento di decadenza per la “non consentita” estensione alla società degli effetti dell’informativa antimafia interdittiva adottata nei confronti di un soggetto diverso, ovvero dell’impresa individuale di -OMISSIS-, e conseguente violazione delle garanzie procedimentali;

- ha inoltre sostenuto che la Prefettura avrebbe potuto comunicare l’esito positivo della richiesta di certificazione antimafia solo dopo aver svolto un’attività istruttoria apposita nei confronti della s.r.l.s.

  1. Ha quindi respinto i motivi di ricorso affermando che:

- anche l’amministratore unico dell’impresa è soggetto alla verifica antimafia ai sensi dell’art. 85 del Codice Antimafia e se è già interdetto come imprenditore individuale è interdetto anche come amministratore di un’impresa-clone rispetto a quella individuale;

- -OMISSIS-, in quanto destinataria di un provvedimento interdittivo antimafia, non può esercitare alcuna attività imprenditoriale soggetta a provvedimenti autorizzatori;

- il carattere personale dell’autorizzazione all’esercizio di attività funebre esclude la possibilità di qualsivoglia subentro nella licenza precedentemente rilasciata a -OMISSIS- e impone la revoca della stessa in ragione della cessione totale del capitale detenuto quale socio unico e amministratore a -OMISSIS-.

  1. Le spese processuali sono state compensate.
  2. La -OMISSIS- ha proposto appello con cinque motivi.

Il Comune di Manfredonia si è costituito per resistere all’appello.

Il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Foggia hanno depositato un unico atto di costituzione di mera forma.

  1. Con ordinanza cautelare del 28 febbraio 2025 n. 763 è stata respinta l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza gravata.
  2. All’udienza del 12 giugno 2025 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di memoria difensiva dell’appellante e di memoria di replica del Comune.

2.2.1. Va dato atto che parte appellante, in data 4 giugno 2025, ha fatto istanza di rimessione in termini per il deposito tardivo dei documenti allegati all’istanza.

Il Comune appellato si è opposto con memoria del 10 giugno 2025.

Considerato che si tratta di documenti in parte sopravvenuti alla scadenza dei termini per il deposito ex art. 73 c.p.a., l’istanza di deposito tardivo va accolta. Resta impregiudicata la valutazione sull’utilità dei documenti, della quale si dirà nel prosieguo.

  1. I motivi primo, secondo e quarto vanno trattati congiuntamente perché connessi.

3.1. Col primo (Error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 85 D.Lgs. 159/2011) viene riproposto il motivo del ricorso col quale si era dedotta l’illegittimità dell’estensione “automatica” alla società -OMISSIS- degli effetti dell’informativa prefettizia adottata nei confronti della signora -OMISSIS-. Secondo l’appellante tale modus operandi sarebbe in violazione del d.lgs. n. 159 del 2011 perché:

a) l’estensione sarebbe stata effettuata da un’autorità – il Comune di Manfredonia – diversa da quella competente ai sensi di legge, cioè il Prefetto;

b) l’estensione sarebbe stata disposta in via automatica senza alcuna valutazione degli indici ritenuti necessari a tal fine dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato per le cc.dd. informative a cascata.

L’appellante sostiene inoltre che proprio l’art. 85, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 159 del 2011 - richiamato dal T.a.r. - avrebbe imposto al Comune di Manfredonia di richiedere l’informativa antimafia al Prefetto territorialmente competente e attendere la determinazione di quest’ultimo, senza alcun effetto automatico, che invece sarebbe stato illegittimamente affermato nella sentenza gravata.

  1. L’appellante prosegue osservando che l’interpretazione del detto art. 85, comma 2, lett. b), sostenuta in sentenza, darebbe luogo ad un preteso, illegittimo, automatismo estensivo degli effetti interdittivi radicalmente contrario al principio di legalità, con il corollario della tassatività, sostanziale e processuale, che anima il diritto della prevenzione antimafia (come da giurisprudenza richiamata in ricorso, tra cui Cons. Stato, 8 giugno 2022, n. 4673).
  2. L’appellante conclude l’illustrazione del motivo evidenziando come la società non sia stata destinataria di alcuna informativa antimafia e, quindi, il provvedimento di rigetto della pratica SUAP per la variazione del legale rappresentante nonché di revoca dell’autorizzazione sarebbe stato adottato senza un valido presupposto legittimante: diversamente da quanto ritenuto dal Comune di Manfredonia, non sarebbe utile allo scopo la nota della Prefettura di Foggia dell’11 marzo 2024 – su cui invece si fonda la determinazione impugnata del 15 marzo 2024 n. -OMISSIS- – in quanto si tratterebbe di una mera nota interlocutoria, non potendo essa stessa essere considerata un’informazione antimafia interdittiva.
  3. Col secondo motivo (Error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.Lgs. 104/2010. Violazione del dovere di motivazione) si denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata, sostenendosi che la motivazione di rigetto non sarebbe chiara ed intellegibile.
  4. Inoltre, secondo l’appellante, la sentenza non avrebbe considerato in alcun modo l’evidenziato difetto di istruttoria, consistente nel fatto che il Comune non si sarebbe avveduto che la società non era stata destinataria di alcuna informativa antimafia; tale difetto di istruttoria, a sua volta, avrebbe dato luogo al vizio di motivazione del provvedimento impugnato.
  5. Col quarto motivo (Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 67, 83, 84, 85, 86, 91 e 94 D.lgs. n. 159/2011) si sostiene che:

- 1. vanno tenute distinte la comunicazione antimafia e l’informazione antimafia interdittiva, aventi i differenti presupposti e contenuti specificati in ricorso;

- 2. il T.a.r. non avrebbe valorizzato la circostanza che la Prefettura di Foggia non avrebbe potuto rilasciare una comunicazione antimafia positiva, poiché la signora -OMISSIS- non è stata mai attinta da misura di prevenzione di carattere personale né condannata per uno dei reati contemplati nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.; in particolare, l’interdittiva antimafia disposta a suo tempo a carico della ditta individuale -OMISSIS- (provv. n. -OMISSIS- del 29 settembre 2021) non avrebbe potuto essere “invocata” all’autorità prefettizia agli effetti della comunicazione antimafia in danno dell’amministratore unico di un nuovo soggetto giuridico (la società -OMISSIS-) e nemmeno “valorizzata” dall’ente locale; quest’ultimo, a sua volta, non avrebbe potuto richiamare, come fatto col provvedimento impugnato, l’art. 94 del Codice antimafia, che disciplina l’informazione interdittiva antimafia poiché questa non sarebbe stata mai adottata nei confronti della società (ma nei confronti del diverso soggetto, persona fisica, -OMISSIS-).

Pertanto sarebbero illegittime sia la nota della Prefettura di Foggia prot. n. -OMISSIS- dell’11 marzo 2024 sia la determinazione del Comune di Manfredonia impugnata in via principale, nonché gli atti connessi, tra cui la nota comunale prot. n. -OMISSIS- del 4 marzo 2024.

  1. I motivi sono infondati.

4.1. Va premesso che – per come si evince inequivocabilmente dall’impugnato provvedimento del Comune di Manfredonia – questo è stato adottato dopo che l’ente locale ha inoltrato la richiesta di certificazione antimafia ai sensi dell’art. 83, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, tramite BDNA in data 28 febbraio 2024, e dopo che la Prefettura di Foggia -competente per territorio- ha riscontrato tale richiesta ai sensi degli artt. 92 e seg. dello stesso decreto legislativo.

La nota di riscontro - parimenti impugnata - è datata 11 marzo 2024 prot. n. -OMISSIS- e concerne un’informazione antimafia interdittiva, per tentativi di infiltrazione mafiosa ai sensi dell’art. 84, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 159 del 2011.

Dato ciò, non sono pertinenti le argomentazioni svolte dall’appellante, col quarto motivo, a proposito della comunicazione antimafia e dell’insussistenza, in capo alla signora -OMISSIS- o alla società odierna ricorrente, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del detto decreto legislativo.

4.2. Delimitato così il thema decidendum, va altresì premesso che ai sensi dell’art. 85 del d.lgs. n. 159 del 2011 i “soggetti sottoposti alla verifica antimafia” sono:

- per le imprese individuali, il titolare e il direttore tecnico, se previsto;

- per le società di capitali, oltre che il direttore tecnico, se previsto, il legale rappresentante e il socio in caso di socio unico.

Q’ultima norma si applica quindi alla società odierna ricorrente, in quanto società di capitali a socio unico.

Dal momento che la signora -OMISSIS- ha assunto la qualifica di socio unico e di legale rappresentante della -OMISSIS- a seguito delle vicende societarie esposte nella parte in fatto, non vi è alcun dubbio che le verifiche antimafia concernenti la società non avrebbero potuto che riguardare la predetta signora -OMISSIS-.

Totalmente infondato, oltre che generico, è perciò l’assunto dell’appellante secondo cui dette verifiche si sarebbero dovute svolgere nei confronti della “società”.

4.2.1. La nota della Prefettura di Foggia dell’11 marzo 2024 prot. n. -OMISSIS- riguarda appunto la signora -OMISSIS-, in qualità già di imprenditrice individuale, successivamente – cioè alla data della richiesta del Comune e della nota di riscontro della Prefettura – in qualità di legale rappresentante e socio unico della “-OMISSIS-”.

Contrariamente a quanto dedotto con i motivi di ricorso, la nota della Prefettura, non è “meramente interlocutoria”. Si tratta piuttosto di una segnalazione antimafia definitiva, per come si desume dal testo su riportato (in particolare dalla parte iniziale, che dà conto dell’oggetto e delle finalità della comunicazione attestando che: “con riferimento alla richiesta di certificazione antimafia pervenuta tramite BDNA con prot. n. 00-OMISSIS- in data 28.02.2024 si comunica che la stessa è stata definita con esito positivo”).

4.2.2. Il contenuto della nota smentisce per tabulas l’ulteriore assunto di parte ricorrente secondo cui la stessa sarebbe stata emessa in carenza di istruttoria e di motivazione. Essa è basata sul dato di fatto che “l’attuale amministratrice unica dell’impresa è stata già attinta da provvedimento interdittivo antimafia n. -OMISSIS- del 29.09.2021, tuttora in corso di validità, riguardante altra impresa operante nello stesso settore”.

Si tratta di motivazione per relationem, supportata dall’istruttoria che ha dato luogo alla precedente interdittiva.

Né tale istruttoria - dei cui esiti è ampiamente detto nella memoria di costituzione della Prefettura di Foggia nel primo grado di giudizio – né il citato provvedimento interdittivo antimafia formano oggetto immediato del presente procedimento.

4.2..3. Invece è stata impugnata la nota prefettizia che detto provvedimento richiama e, per di più, con l’unica, fondamentale, censura dell’asserita giuridica impossibilità della sua “estensione automatica” alla “società” odierna ricorrente.

Si tratta di censura infondata per quanto detto sopra a proposito dei soggetti che devono essere sottoposti alle verifiche antimafia: sono, cioè, le persone fisiche, che ricoprono determinati ruoli nelle imprese individuali ovvero nelle imprese gestite in forma societaria.

Ne consegue che quando la stessa persona fisica, già sottoposta a verifica antimafia, tuttora “in corso di validità” (come attestato nel caso di specie dalla nota prefettizia dell’11 marzo 2024, sul punto specifico non impugnata), riveste - nell’arco temporale di validità del provvedimento interdittivo antimafia già adottato - più ruoli rilevanti ai sensi dell’art. 85, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, i limiti e divieti che sono effetto dell’interdittiva operano nei confronti di tutte le imprese nelle quali la medesima persona fisica è coinvolta.

4.3. Respinto per le ragioni appena dette il primo motivo, risulta infondato anche il secondo.

L’affermazione della sentenza appellata per la quale se l’amministratore unico di un’impresa “è già interdetto come imprenditore individuale è interdetto anche come amministratore di un’impresa-clone rispetto a quella individuale” (quale è l’impresa gestita in forma societaria dalla ricorrente), esprime infatti, pur se sinteticamente, la ratio decidendi dell’intero giudizio, in specie con riguardo alla nota prefettizia impugnata in via diretta.

4.3.1. Per quanto riguarda il provvedimento comunale, sono corrette e vanno confermate le statuizioni del primo giudice circa il fatto che la signora -OMISSIS-, in quanto destinataria di un provvedimento interdittivo antimafia non può esercitare – giova aggiungere: né in forma individuale né quale legale rappresentante e socio unico di una società di capitali – alcuna attività imprenditoriale soggetta a provvedimenti autorizzatori, a maggior ragione quelli che sono a “carattere personale” come l’autorizzazione all’esercizio di attività funebre.

La determinazione del Comune di Manfredonia del 15 marzo 2024 n. -OMISSIS- è perciò conforme a legge e sorretta adeguatamente dal richiamato provvedimento prefettizio dell’11 marzo 2024 prot. n. -OMISSIS-, laddove – come rimarcato anche nella sentenza gravata – ha escluso la possibilità di subentro della signora -OMISSIS- nella licenza precedentemente rilasciata al signor -OMISSIS- e, dato atto dell’intervenuta cessione totale del capitale al socio unico -OMISSIS-, ha revocato l’autorizzazione all’esercizio dell’attività funebre da parte della società “-OMISSIS-”.

4.4. Le argomentazioni sopra svolte non sono intaccate dai documenti depositati tardivamente il 4 giugno 2025.

Essi consistono nella pratica di “aggiornamento” della precedente interdittiva avviata dalla signora -OMISSIS- con istanza, ex artt. 91, comma 5, e 94 bis del d.lgs. n. 159/2011, del 15 febbraio 2025 e nella risposta fornita dalla Prefettura di Foggia con nota prot. n. 46374 del 3 giugno 2025 secondo cui “l’istanza di riesame è inammissibile per inesistenza del soggetto giuridico ai sensi dell’art. 67 e seg. del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159”. La risposta è riferita alla ditta individuale -OMISSIS-, cancellata dal registro delle imprese in data 12 marzo 2020.

4.4.1. Non è condivisibile l’assunto di fondo illustrato dalla parte ricorrente nell’istanza ex art. 54 c.p.a. -che è a base del deposito della documentazione- secondo cui detta comunicazione prefettizia dimostrerebbe che la signora -OMISSIS-, a seguito della cancellazione dell’impresa individuale, avrebbe perso la qualifica di imprenditore – e perciò non sarebbe soggetta alla normativa antimafia di cui al d.lgs. n. 159 del 2011.

Si è già detto, e va qui ribadito, che le verifiche ai sensi del Codice antimafia sono state avviate dal Comune di Manfredonia e condotte dalla Prefettura di Foggia nei confronti di -OMISSIS-, perché socio unico e legale rappresentante della società ricorrente; la segnalazione positiva dell’11 marzo 2024 della Prefettura di Foggia si fonda sul provvedimento di interdittiva antimafia n. -OMISSIS- del 29 settembre 2021, che, pur in precedenza adottato, è indicato nella stessa nota come “tuttora in corso di validità”.

 

4.4.2. Pertanto, alla data di adozione del provvedimento prefettizio impugnato nel presente giudizio nonché del provvedimento comunale n. -OMISSIS- del 15 marzo 2024, parimenti impugnato, sussistevano i presupposti per la vigenza dell’informazione interdittiva antimafia e quindi per la produzione degli effetti di cui all’art. 94, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011.

4.5. Siffatta conclusione comporta il rigetto dei motivi di appello in esame, restando estranea al giudizio ogni questione ulteriore attinente alla nota prefettizia di diniego del 3 giugno 2025, da ultimo depositata da parte appellante.

5. Possono essere trattati congiuntamente i motivi terzo e quinto poiché entrambi riferiti all’asserita violazione da parte del Comune di Manfredonia delle garanzie procedimentali.

5.1. Col terzo motivo (Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 Legge n. 241/1990) si lamenta che non è mai stato comunicato alla -OMISSIS- l’avvio del procedimento, tenuto conto che non vi erano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento.

5.1.1. Si sostiene quindi che se il Comune di Manfredonia avesse inviato detta comunicazione e consentito alla società di prendere visione degli atti e presentare memorie, certamente avrebbe concluso l’istruttoria non adottando la determinazione impugnata.

Secondo l’appellante, vi sarebbe stata la violazione del principio del contraddittorio che trova riconoscimento nell’ordinamento comunitario e nell’art. 41 della Carta EDU, nonché la violazione dei diritti della difesa (ritenuto principio generale del diritto dell’Unione dalla CGUE, Nona Sezione, §28 dell’ordinanza del 28 maggio 2020).

5.2. Col quinto motivo (Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis della legge n. 241/1990) si denuncia la violazione dei principi del giusto procedimento amministrativo, per il mancato rispetto da parte dell’amministrazione di quanto previsto dall’art. 10 bis della legge n. 241/1990.

L’appellante sostiene che, nonostante che la società avesse ritualmente e nei termini di legge dato riscontro, a mezzo pec del 14 marzo 2024, al preavviso di rigetto della pratica SUAP, sollecitandone una rivalutazione in ragione di specifici argomenti difensivi, il Comune ha adottato il giorno immediatamente successivo la determinazione n. -OMISSIS- del 15 marzo 2024, senza neppure dare atto del ricevimento delle deduzioni di parte. Queste infatti non sarebbero state né considerate né valutate, per come si evincerebbe dal tenore del provvedimento gravato.

6. I motivi sono infondati.

6.1. La censura concernente la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento non tiene conto del dato di fatto inequivocabile che l’intervento dell’amministrazione comunale - pur se definito anche con la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività funebre - è stato sollecitato dalla presentazione da parte della signora -OMISSIS-, nelle qualità rivestite all’interno della società, di una SCIA per il cambio del legale rappresentante e della compagine sociale della “-OMISSIS-”.

In disparte la questione - sollevata sia dalla difesa erariale in primo grado che dalla difesa comunale in entrambi i gradi di giudizio - concernente la natura personale dell’autorizzazione per l’esercizio di attività funebre (arg. ex art. 8, del regolamento regionale di Polizia Mortuaria dell’11 marzo 2015 n. 8) e quindi l’impraticabilità del procedimento di SCIA, essendo invece necessaria la richiesta di autorizzazione (al subentro), la mancata presentazione di tale richiesta e la presentazione invece di una pratica di SCIA comporta l’inapplicabilità dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

Come è noto, la segnalazione di inizio attività non instaura alcun procedimento autorizzatorio destinato a culminare in un atto finale di assenso, sicché – mancando un vero e proprio procedimento – non c’è spazio per la comunicazione di avvio e per il preavviso di rigetto (cfr. Cons. Stato, n. 833/2023, n. 9125/2022 e n. 1111/2019).

6.2. Il Comune di Manfredonia ha peraltro regolarmente instaurato il contraddittorio, in quanto ha inviato preavviso di rigetto della pratica SUAP, con conseguente divieto di svolgimento della relativa attività, con nota del 4 marzo 2024, ai sensi dell’art. 10 bis della detta legge n. 241/1990, dando termine di dieci giorni per le osservazioni.

La società odierna ricorrente ha inviato le proprie osservazioni procedimentali in data 14 marzo 2024, per il tramite dei legali, e il provvedimento finale è stato adottato dopo che queste erano pervenute nella disponibilità del Comune di Manfredonia.

La circostanza che la determinazione n. -OMISSIS- sia stata adottata il giorno dopo (15 marzo 2024) non è, di per sé, significativa della violazione dell’art. 10 bis della legge sul procedimento amministrativo.

Il tenore delle osservazioni - sostanzialmente anticipatorie delle argomentazioni difensive svolte nel presente giudizio - è peraltro tale da escludere che il provvedimento finale avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

7. L’appello va quindi respinto.

7.1. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei confronti del Comune di Manfredonia.

Si compensano per giusti motivi nei confronti del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio territoriale del Governo di Foggia, considerata la difesa di mera forma in appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Manfredonia, che liquida nell’importo complessivo di € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge. Compensa le spese nei confronti delle altre parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità di -OMISSIS- e della società ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore

Marina Perrelli, Consigliere

Gianluca Rovelli, Consigliere

Annamaria Fasano, Consigliere