Cons. Stato, Sez. III, 16 giugno 2025, n. 5217
La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, del 16 giugno 2025, n. 5217, si confronta con il significato e la portata applicativa del principio del risultato, introdotto dal d.lgs. n. 36/2023, quale criterio guida dell’attività contrattuale pubblica. La pronuncia chiarisce che la finalità del risultato non può mai prevalere sulla legalità sostanziale della procedura né fungere da correttivo dei requisiti tecnici previsti nella lex specialis. In una gara per la fornitura di dispositivi medici, il Consiglio ribadisce che la qualità della prestazione, la sicurezza del servizio e la conformità formale sono componenti irrinunciabili del risultato amministrativo. L’articolo analizza la decisione, evidenziando come essa ridefinisca il bilanciamento tra efficienza, legalità e tutela dell’interesse pubblico.
Guida alla lettura
Con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), il principio del risultato ha assunto una valenza centrale nel disegno normativo della contrattualistica pubblica. Non più solo efficienza e celerità dell’azione amministrativa, ma una piena realizzazione dell’interesse pubblico tramite procedure conformi, prestazioni di qualità e rispetto delle regole. La giurisprudenza è chiamata a delinearne i contorni, specie nei casi in cui l’offerta appaia più vantaggiosa sotto il profilo economico, ma difetti di elementi tecnici essenziali. È in questa prospettiva che si inserisce la sentenza n. 5217/2025 del Consiglio di Stato, relativa a una gara per la fornitura di dispositivi medici indetta dalla Società di Committenza della Regione Piemonte. Il caso pone una questione dirimente: può il minor prezzo e la funzionalità apparente di un prodotto prevalere sull’assenza di una certificazione tecnica formalmente richiesta? La risposta della Sezione Terza del Consiglio è netta e si traduce in un messaggio giuridico chiaro: il risultato perseguito dall’Amministrazione deve essere pienamente conforme alla legge di gara e non può essere invocato per legittimare deroghe soggettive ai requisiti imposti a presidio della qualità e sicurezza della prestazione.
Come preannunciato, la controversia trae origine dalla procedura indetta dalla centrale di committenza piemontese per l’affidamento della fornitura di aghi, siringhe e dispositivi connessi, destinati a diverse ASL di più regioni. Il lotto n. 68, al centro della vertenza, era stato aggiudicato a Becton Dickinson Italia S.p.A. (BD), la cui offerta prevedeva una siringa priva di ago preassemblato. La concorrente GEPA S.r.l., risultata soccombente, impugnava l’aggiudicazione per la mancata dimostrazione del requisito tecnico dell’apirogenicità da parte del prodotto BD. Il Consiglio di Stato, confermando la sentenza del TAR Piemonte, ha ritenuto fondata la censura, chiarendo che il principio del risultato non può condurre a ritenere ammissibile un’offerta priva di un requisito tecnico minimo previsto dalla lex specialis.
L’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023 definisce il principio del risultato come guida dell’azione contrattuale volta a garantire “il miglior rapporto qualità/prezzo”, “l’effettività dell’azione amministrativa” e “la rapidità delle procedure”. Tuttavia, la sentenza in esame riafferma che questo principio non si pone in antitesi con la legalità della procedura, ma ne costituisce espressione sostanziale. Il risultato non è sinonimo di rapidità o economicità isolata: esso include necessariamente la conformità dell’offerta alla domanda pubblica, come cristallizzata nella legge di gara.
In questo contesto, il Consiglio ha respinto l’argomento difensivo di BD, secondo cui la presenza di un ago apirogeno compenserebbe la mancanza della medesima caratteristica nella siringa. Il Collegio ha sottolineato come la lex specialis prevedesse, in modo chiaro, l’apirogenicità anche della siringa, non essendo sufficiente una generica equivalenza funzionale né la comparazione con altri prodotti della stessa linea. Il requisito dell’apirogenicità rispondeva infatti a un’esigenza sostanziale: la sicurezza clinica dei dispositivi. La sua assenza non poteva essere surrogata in giudizio attraverso argomentazioni postume né colmata tramite un soccorso istruttorio che si era rivelato inidoneo.
È in tale prospettiva che la sentenza assume rilievo sistemico: respinge ogni lettura soggettiva del principio del risultato, riaffermando che l’interesse pubblico alla qualità del servizio è immanente alla legge di gara e deve trovare attuazione nella procedura, non nella discrezionalità dell’interprete. Il Giudice, infatti, ricorda che la verifica del possesso dei requisiti tecnici minimi deve avvenire “sul prodotto effettivamente offerto, attraverso certificazioni prodotte in sede di gara”, e non può basarsi su inferenze costruttive, equivalenze presunte o ragionamenti a posteriori.
La sentenza ha anche chiarito che, in presenza di una carenza tecnica sostanziale, non può trovare applicazione alcuna attenuazione in nome dell’efficienza. Né il minor prezzo né l’apparente funzionalità possono giustificare la violazione di regole tecniche prescritte a tutela dell’interesse pubblico. In questo senso, il Consiglio si richiama alla propria giurisprudenza (Cons. Stato, sez. III, sent. n. 11322/2023) secondo cui “la migliore offerta è quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti”. Ciò è tanto più rilevante nel settore sanitario, dove la qualità tecnica della fornitura si pone come condizione insostituibile della legittimità dell’aggiudicazione.
Un ulteriore profilo rilevante della pronuncia riguarda la tenuta sistemica della procedura rispetto alla gestione del soccorso istruttorio. Il RUP aveva attivato la procedura per chiarire i requisiti tecnici, ma BD non aveva fornito elementi oggettivi, limitandosi ad affermare una presunta identità di materiale tra dispositivi simili. Tale omissione non poteva essere rettificata in sede processuale, pena la lesione del principio di parità di trattamento e trasparenza. In questo passaggio si coglie con evidenza come il risultato, nel nuovo paradigma codicistico, non coincida con l’efficienza formale dell’aggiudicazione, ma con la legittimità sostanziale dell’intera sequenza procedimentale.
La sentenza n. 5217/2025 rappresenta un importante contributo alla delineazione del principio del risultato nella pratica applicativa del nuovo Codice dei contratti pubblici. Il Consiglio di Stato ribadisce che il risultato perseguito dalla pubblica amministrazione non può essere inteso in chiave utilitaristica, ma deve riflettere l’integrale attuazione del principio di legalità e la realizzazione dell’interesse pubblico come interesse conforme alla legge. Il requisito tecnico minimo, specie se incidente sulla sicurezza sanitaria, non può essere derogato, né interpretato in modo riduttivo o funzionalistico. La qualità della prestazione e la certezza della conformità all’oggetto della gara sono elementi costitutivi del risultato, non suoi antagonisti. In tale prospettiva, la sentenza si inserisce nella giurisprudenza più avveduta, che riconosce nella legalità e nella trasparenza i cardini della funzione amministrativa e nella coerenza tra domanda pubblica e offerta tecnica la vera misura del risultato.
Pubblicato il 16/06/2025
N. 05217/2025REG.PROV.COLL.
N. 02354/2025 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2354 del 2025, proposto da Becton Dickinson Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuliano Di Pardo e Flavio Lorusso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Società di Committenza Regione Piemonte S.p.A. - S.C.R. Piemonte S.p.A., non costituito in giudizio;
nei confronti
Regione Piemonte, non costituito in giudizio;
Gestione Elettromedicali Prodotti per Analisi S.r.l. (Gepa), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Micaela Grandi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 418/2025, resa tra le parti,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gestione Elettromedicali Prodotti per Analisi S.r.l. (Gepa S.r.l.);
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2025 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti gli Avvocati Giuliano Di Pardo, Flavio Lorusso e Micaela Grandi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.A.R. del Piemonte ha accolto il ricorso proposto da Gestione Elettromedicali Prodotti per Analisi S.r.l. (d’ora in avanti anche solo GEPA) per l’annullamento della Determinazione del Direttore Appalti della Società di Committenza Regionale della Regione Piemonte n. 263 del 7 agosto 2024, recante l’aggiudicazione a Becton Dickinson Italia S.p.A (d’ora in avanti anche solo BD) del lotto n. 68 della gara regionale centralizzata bandita dalla Società di Committenza Regionale della Regione Piemonte per la fornitura di aghi, siringhe e deflussori e la prestazione di servizi connessi per le ASR delle regioni Piemonte, Lombardia, Valle d'Aosta e Molise.
L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dall’aggiudicataria, soccombente.
Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, la ricorrente in primo grado.
La domanda cautelare dell’appellante è stata accolta dapprima con decreto monocratico, quindi con ordinanza cautelare ai soli fini della fissazione dell’udienza di merito.
Il ricorso è stato quindi definitivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 5 giugno 2025.
2. L’odierna appellante era stata originariamente esclusa dalla gara relativa ai lotti n. 68 e n. 69 per difetto di requisiti (requisiti minimi di atraumaticità dell’ago e di perfetta tenuta del tappino di chiusura della siringa) diversi rispetto a quello che qui viene in considerazione.
L’esclusione è stata annullata con sentenza del T.A.R. Piemonte (nn. 381 e 382 del 2024), confermate in appello (sentenza n. 8351/2024 e sentenza n. 8386/2024 di questo Consiglio di Stato).
Nel giudizio di primo grado BD ha eccepito l’inammissibilità del ricorso di GEPA, in quanto le relative censure si sarebbero dovute proporre con ricorso incidentale nel precedente giudizio relativo all’esclusione dell’offerta BD.
Invero il T.A.R., nella sentenza qui gravata, ha ritenuto che i motivi di ricorso sono “incentrati sulla difformità dei suoi prodotti ai requisiti minimi stabiliti dalla legge di gara, diverse ed ulteriori rispetto a quelle che la stazione appaltante aveva rilevato nell’originario provvedimento di esclusione di BD poi annullato da questo TAR”, ed ha respinto l’eccezione.
Il primo giudice ha infatti ritenuto che “Il precedente giudizio aveva, infatti, ad oggetto il provvedimento di esclusione dell’odierna controinteressata BD comunicatole il 21.07.2023 (ricorso principale), nonché il provvedimento di conferma di tale esclusione comunicatole il 19.09.2023 (ricorso per motivi aggiunti). Nessuno dei due provvedimenti in questione disponeva, al contempo, anche l’aggiudicazione in favore dell’odierna ricorrente GEPA, neppure in via provvisoria”.
3. La statuizione è impugnata con il primo motivo di appello, con cui, richiamandosi alle citate sentenze n. 8351/2024 e n. 8386/2024, si deduce, tra l’altro, che “il ricorso proposto da BD era teso a gravare l’esclusione ma, in via mediata, ad ottenere l’aggiudicazione, stante la propria migliore offerta economica, prospettata nel ricorso; tant’è vero che BD aveva gravato non solo il provvedimento di esclusione, ma lo stesso verbale da cui GEPA risultava prima classificata, domandando la riedizione delle operazioni di gara; infine, GEPA era perfettamente a conoscenza dei vizi solo ora proposti avverso l’aggiudicazione a BD, avendo espressamente spiegato e ottenuto accesso all’offerta dell’odierna appellante. In sostanza, l’accoglimento del ricorso proposto da BD avrebbe privato GEPA dell’aggiudicazione dell’appalto, come poi puntualmente avvenuto”.
L’appellante richiama altresì il fatto che “Il legislatore ha inteso rafforzare il principio di concentrazione delle tutele, l’economia dei giudizi e la ragionevole durata del processo (art. 6 CEDU, artt. 2 e 7 CPA)”.
Ad avviso del Collegio, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie quale risultante dai connotati strutturali e fattuali della stessa, il mezzo è infondato.
Risulta infatti dirimente il fatto che, a seguito del primo annullamento, l’amministrazione ha riesercitato il potere, aggiudicando il lotto in questione a BD.
Pertanto, anche il profilo dell’ammissione dell’offerta BD è stato oggetto di riedizione: sicché legittimamente GEPA ha impugnato l’ammissione dell’offerta solo a seguito del primo giudicato sui requisiti di BD e soprattutto solo a seguito dell’aggiudicazione a quest’ultima dei lotti in questione.
Il problema, pertanto, non è tanto quello – dibattuto fra le parti del presente giudizio – della qualifica di controinteressata in capo a GEPA, e delle conseguenze della stessa: ma quello della distinzione delle due fasi procedimentali, e delle consequenziali ricadute processuali.
È pertanto fondata l’affermazione di GEPA, secondo la quale “Fintanto che la procedura di gara non si è conclusa in senso sfavorevole a Gepa la stessa non aveva interesse a censurare la mancata esclusione di BD”.
In ogni caso altrettanto indiscutibile è il rilievo di Gepa secondo cui “se Codesto Ecc.mo Consiglio di Stato ritenesse che Gepa avrebbe dovuto far valere i motivi inerenti la carenza dei requisiti tecnici minimi del prodotti offerti da BD in via incidentale nei due ricorsi instaurati dalla medesima (rg 763/2023), devono, comunque, essere esaminati gli ulteriori profili di illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, dichiarati assorbiti dal Tar e qui riproposti relativi a vizi successivi del provvedimento (motivo III, sub III A e B, pagg 27-38 del presente atto)”.
Il mezzo è pertanto infondato.
4. Con il secondo motivo di gravame l’appellante ripropone l’eccezione d’inammissibilità del ricorso di primo grado, non esaminata dal T.A.R., per violazione del divieto di venire contra factum proprium, dal momento che neppure le siringhe di GEPA possiederebbero la caratteristica in contestazione.
GEPA deduce l’inammissibilità del motivo (che avrebbe dovuto essere posto in primo grado come motivo di ricorso incidentale e non come eccezione), e comunque lo contesta nel merito.
L’eccezione, in sé, non è condivisibile nella sua assolutezza: trattandosi di questione attinente ad una delle condizioni dell’azione, essa è rilevabile d’ufficio, dunque può essere esaminata dal Collegio indipendentemente dalla sua deduzione in forma d’eccezione, ovvero di motivo d’impugnazione incidentale, nel giudizio di primo grado.
L’indicato svolgimento processuale, e in particolare la delimitazione della materia del contendere, refluisce tuttavia indirettamente sul rigetto del mezzo. Come correttamente dedotto da GEPA, oggetto del giudizio di primo grado (e, conseguentemente, d’appello) è unicamente il possesso dei requisiti (rectius: di un particolare requisito) in relazione al prodotto offerto da BD.
L’interesse delle parti va pertanto parametrato agli esiti di un tale giudizio. Ove in ipotesi si dimostrasse – il che non è: essendo rimasta la deduzione a livello di mera allegazione – che anche il prodotto GEPA è affetto dal medesimo limite, ciò non avrebbe alcuna refluenza sull’ammissibilità del rimedio, stante il ridetto oggetto del giudizio.
Non essendo in discussione nel giudizio la conformità del prodotto di quest’ultima, essa ha comunque interesse a chiedere l’esclusione dalla gara della concorrente risultata aggiudicataria: posto che da una simile esclusione si gioverebbe sicuramente, proprio perché il provvedimento di ammissione della sua offerta ha consolidato i propri effetti.
Diversamente, il motivo di appello in esame sarebbe da condividere ove con ricorso incidentale di primo grado la materia del contendere si fosse estesa a tale profilo (quello della conformità del prodotto GEPA), e ove tale censura incidentale fosse risultata fondata: ma in assenza di tutto ciò, non può essere posto in discussione l’interesse ad impugnare in capo alla ricorrente in primo grado, sulla base della mera allegazione della mancanza dei requisiti in capo alla stessa.
5. Gli ulteriori motivi di appello riguardano il merito della questione (sul quale si tornerà infra), nonché il connesso profilo dell’“Omesso esame su un punto decisivo della controversia” (il parere pro veritate del dott. Micca, prodotto nel giudizio di primo grado), che secondo l’appellante avrebbe dovuto darsi per assodato in virtù del principio di non contestazione.
L’appellante pone poi le seguenti, ulteriori questioni:
1. la prima contesta il rigetto da parte del T.A.R. dell’eccezione relativa alla mancata impugnazione dei provvedimenti di adesione all’accordo quadro e alla mancata evocazione in giudizio delle Amministrazioni sanitarie che hanno aderito all’accordo stesso: anche in considerazione del fatto che la sentenza di primo grado ha dichiarato l’inefficacia «degli accordi quadro» e, contestualmente, riconosciuto alla GEPA il «risarcimento in forma specifica mediante subentro negli accordi quadro nonché nei contratti esecutivi di fornitura»;
2. l’erroneità del capo che condanna alle spese B
3. Anche tali argomenti risultano infondati, per le seguenti considerazioni:
6. Il mezzo non supera il consolidato orientamento di questa Sezione (che il Collegio condivide e al quale si riporta: non sussistendo ragioni per discostarsene, anche nella prospettiva di una corretta attuazione dei princìpi enunciati dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato n. 8 del 2018, in punto di applicazione dell’art. 41, comma 2, cod. proc. amm.), richiamato dal primo giudice, secondo cui “in caso di gara indetta e gestita in via esclusiva da una centrale di committenza, quest'ultima è l’unica e diretta responsabile della procedura, il che comporta che le aziende sanitarie non sono parti necessarie del giudizio neppure in ordine alla domanda di dichiarazione di inefficacia dei contratti e di subentro negli stessi (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 25/07/2024, n. 6721; Cons. Stato, Sez. III, 10/06/2016, n. 2497; Cons. Stato, Sez. III, 09/07/2013, n. 3639)”.
Né sussiste la necessità di discostarsene, come allegato dall’appellante, in ragione del peculiare svolgimento della vicenda per cui è causa, e del decisum della sentenza gravata, posto che essa comunque non si pone al di fuori della descritta connotazione strutturale (ed effettuale) della fattispecie e delle connesse ragioni che impongono la richiamata soluzione.
7. Per pacifica giurisprudenza (ex multis, e da ultimo, Consiglio di Stato, sentenza n. 4487/2025) “il principio di non contestazione non costituisce uno strumento di prova legale e quindi, se, per un verso, solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dalla controparte costituita, dall’altro non esclude, tuttavia, che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento (cfr. Cass. civ., sez. II, 31 maggio 2023, n. 15288, Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2023, n. 16028, con riferimento al corrispondente principio del processo civile). La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che «detto principio (il quale produce l’effetto della "relevatio ab onere probandi" …) può operare in relazione a fatti, costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato … e non anche rispetto a fattispecie giuridiche (….) a carattere fortemente valutativo, che devono essere necessariamente ricondotte al thema probandum come disciplinato dall’art. 2697 c.c. e la cui verificazione spetta al giudice» (cfr. Cass., sez. lav., 19 agosto 2019, n. 21460, con specifico riferimento al risarcimento del danno da esposizione all’amianto, ed altre)”.
7. Come chiarito, tra le altre, dalla sentenza n. 9202/2022 di questa Sezione, “il rinvio, in materia di disciplina delle spese processuali, operato dall’art. 26, primo comma, cod. proc. amm, agli artt. 91, comma 1, e 92,comma 2, cod. proc. civ. comporta che, ex art. 91 cod. proc. civ., il giudice sia vincolato alla condanna alle spese della parte soccombente; ritenuto pertanto che non sussiste alcun potere discrezionale del giudice di disporre diversamente, proprio perché la statuizione sulle spese “è processualmente accessoria alla pronuncia del giudice che la definisce in quanto tale ed èa nche funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.)” (Corte cost., sentenzan.77/2108); considerato che tale vincolo conosce un’unica eccezione, che è quello della compensazione per le ipotesi tassative indicate dall’art. 92, secondo comma (cui la sentenza additiva delle Corte ha parificato “altre analoghe, gravi ed eccezionali ragioni ”); rilevato che sia le due originarie ipotesi tipiche, che la clausola generale aggiunta dalla Corte, sono comunque eccezionali (la terza ipotesi peraltro non è neppure propriamente atipica: essa in tanto è configurabile in quanto la ragione della compensazione sia “analoga” alle prime due, “grave”, ed “eccezionale”)”.
Nel caso di specie non ricorre invero alcuna delle eccezionali ragioni cui la richiamata disciplina, come risultante dalla citata sentenza della Corte costituzionale, subordina il potere di compensazione delle spese
8. Venendo all’esame delle censure che riguardano propriamente il merito, il problema di fondo è il difetto – nel prodotto di BD - del requisito dell’apirogenicità delle siringhe: vale a dire, la garanzia che il prodotto non provochi eventuali reazioni febbrili al paziente.
Il tema era stato affrontato dal T.A.R. con la sentenza n. 860/2023, confermata in appello con sentenza n. 5375/2024), in relazione al lotto 67.
Secondo GEPA (la cui tesi è stata condivisa dal T.A.R.) i lotti 67, 68 e 69 avevano identiche caratteristiche, dunque l’esito deve essere il medesimo: “Tale statuizione deve trovare pedissequa applicazione anche al caso di specie tenuto conto che il requisito tecnico per i prodotti del lotto 67 e del lotto 68 era il medesimo, la richiesta del Rup per i due lotti era la medesima e BD ha reso la stessa risposta sia per la siringa del lotto 67 che per la siringa codice 364416 del lotto 68”.
Il dato è contestato in memoria conclusionale da BD: “In sede di costituzione in giudizio, GEPA ammette che i prodotti richiesti nel presente Lotto e nel Lotto n. 67 sono diversi (p. 19, memoria): nella presente fattispecie è richiesta la fornitura di una siringa con ago, nel Lotto n. 67 era richiesta la fornitura della sola siringa”
9. Questa essendo, nella prospettiva della “ragione più liquida”, la questione
dirimente, va osservato che la diversità dedotta dall’appellante è solo strutturale, e come tale non ha conseguenze in punto di requisito in contestazione.
In contrario il ricorso in appello deduce che “ai fini che qui rilevano, BD ha offerto la siringa codice 364416 unitamente all’ago codice 305891. È pacifico che i due prodotti siano destinati ad essere impiegati in combinazione fra loro, così come è pacifico che l’ago codice 305891 sia apirogeno. Ne consegue che la richiesta capitolare risulta soddisfatta nel caso di specie, posto che soltanto l’ago (apirogeno) viene a contatto con la pelle del paziente, non la siringa”.
Ora, la citata sentenza di questo Consiglio di Stato n. 5375/2024, relativa al lotto 67, ricorda che “L’articolo 4.2.1 del Capitolato tecnico recante Caratteristiche tecniche generali comuni prevede che “i Prodotti oggetto della fornitura devono essere conformi alle norme vigenti in campo nazionale e comunitario; dovranno rispondere ai requisiti previsti dalle disposizioni vigenti” e che dovranno essere “perfettamente puliti, privi di scorie di produzione, sterili ed apirogeni (ad eccezione del Lotto 75)”.
In sostanza si tratta di capire se questa prescrizione vada applicata testualmente, con conseguente conferma della sentenza impugnata, oppure in modo “selettivo”, come fa l’appellante, riferendola al solo materiale che entra direttamente in contatto con il paziente.
10. Questa seconda interpretazione non è però autorizzata né dal dato strutturale, né da quello funzionale, della legge di gara.
Correttamente, pertanto, il primo giudice ha chiarito che “Non conduce a diverse conclusioni il fatto che, mentre nel lotto 67 la siringa (priva di ago preassemblato) è stata offerta da sola, al contrario nel lotto 68 la siringa recante codice 364416 (anch’essa senza ago preassemblato) è stata offerta assieme all’ago avente codice 305891, quest’ultimo dotato del requisito di apirogenicità (come risulta dalla relativa scheda tecnica allegata all’offerta tecnica). Infatti, pur ammettendosi che le siringhe del lotto 68 potessero essere offerte senza ago preassemblato ma con ago separato da montare in fase d’utilizzo, nondimeno la “scomposizione” del prodotto offerto avrebbe comunque richiesto (per tutte le ragioni sopra già esposte) che entrambe le componenti avessero il requisito dell’apirogenietà, quindi non solo l’ago (come prescrive, peraltro, anche l’art. 4.1.1. del capitolato tecnico per i diversi lotti che hanno ad oggetto la fornitura di soli aghi), ma anche la siringa (come stabilisce il già richiamato art. 4.2.1. del capitolato tecnico per tutti i lotti aventi ad oggetto la fornitura di siringhe, tra cui appunto il lotto 68). In corso di causa, la controinteressata ha sostenuto che la apirogenicità della siringa in questione (come detto, quella senza ago preassemblato, recante codice 364416) si ricaverebbe comunque dal fatto che la conformità allo standard ISO 10993-1 (che attesta anche la sussistenza di tale requisito) sarebbe presente per le siringhe con ago preassemblato della stessa linea produttiva denominata BD ABG Present (come risulterebbe dal memorandum BD del 20.03.2023, depositato quale doc. 60). Tra tali siringhe figurerebbe, infatti, anche quella recante codice 364413 che avrebbe le stesse caratteristiche e sarebbe composta dagli stessi materiali di quella offerta in gara, pur avendo l’ago già montato (come si ricaverebbe dalle rispettive schede tecniche, depositate, rispettivamente come doc. 73 e doc. 76). Ora, al di là del fatto che tale tesi è stata avanzata dalla controinteressata solo in sede processuale e che la richiamata documentazione (ad eccezione, ovviamente, della scheda tecnica del prodotto offerto: doc. 73) non è stata trasmessa alla stazione appaltante né in sede di presentazione dell’offerta né in sede di chiarimenti sulla specifica questione dell’apirogenicità dei prodotti proposti, deve in ogni caso rilevarsi come il suddetto doc. 60 attesti l’effettuazione dei test di apirogenicità e la conformità allo standard ISO 10993-1 per i soli prodotti con ago preassemblato, mentre è pacifico che sulla siringa offerta in gara (quella senza ago preassemblato) tali test non sono stati effettuati e la conformità al predetto standard non è stata dichiarata (come risulta, peraltro, chiaramente dalla scheda tecnica del prodotto: doc. 73). Alla luce di ciò, non rileva l’asserita identicità costruttiva tra le siringhe con codici 364416 e 364413 (che divergerebbero solo per la presenza o meno dell’ago preassemblato), posto che l’apirogenicità di un prodotto non può trarsi in via indiretta attraverso la comparazione con un altro prodotto (sebbene appartenente alla stessa linea di produzione), ma richiede, per evidenti ragioni di sicurezza sanitaria, l’effettuazione sullo specifico prodotto di test mirati ed eseguiti nel rispetto di precisi standard di certificazione internazionale, anche per permettere alla stazione appaltante, prima, ed al giudice amministrativo, poi, di verificare la presenza di tale requisito tecnico minimo del prodotto offerto”.
Giova precisare che l’odierna appellante non ha provato in gara il possesso del requisito: il r.u.p. ha attivato il soccorso procedimentale, e BD non ha pienamente assolto a tale onere, avendo inferito autonomamente che per i lotti n. 68 e n. 69 questo potesse ritenersi sussistente in ragione delle caratteristiche strutturali del prodotto, dunque all’esito non di un argomento dimostrativo ma di un percorso valutativo soggettivo ed unilaterale llegittimamente (come rilevato dal primo giudice) condiviso dalla stazione appaltante.
Questo priva di rilievo ogni tentativo di recuperare in sede giurisdizionale e comunque successivamente un diverso accertamento del fatto rispetto alla prova dell’apirogenicità come acquisita – all’esito del soccorso istruttorio - in sede di gara (e in relazione al quale sono stati adottati i provvedimenti oggetto di scrutinio).
11. Pertanto, il problema non è stabilire in assoluto se il prodotto di BD abbia o meno il requisito in questione: ma se, in relazione allo specifico lotto in esame, rispetti o meno le prescrizioni della legge di gara, che cristallizzano il sottostante interesse dell’amministrazione committente.
La questione non è dunque esclusivamente in fatto, come pretende l’appellante, ma soprattutto in diritto (in relazione all’interpretazione della legge di gara): dal che discende l’inutilità, ai fini della decisione, degli approfondimenti tecnico-istruttori richiesti, potendosi addivenire alla soluzione della lite sulla base della documentazione di gara ritualmente prodotta in atti (e prescindendo pertanto anche dalle ulteriori questioni dedotte in limine litis dalle parti del presente giudizio circa l’ammissibilità di nuovi documenti, essendo questi ultimi non rilevanti ai fini della decisione della lite, come correttamente inquadrata, indipendentemente dal profilo della tempestività della loro produzione).
12. In tal senso non è pertanto pertinente il richiamo – operato in sede di discussione orale da difensore della parte appellante - alla verificazione disposta in altro giudizio con l’ordinanza di questa Sezione n. 3069/2024.
Peraltro tale giudizio si è concluso con la sentenza n. 1361/2025 la quale ha – in quella vicenda – formulato delle conclusioni di carattere generale che, ove applicate alla fattispecie oggetto del presente giudizio, costituiscono ulteriori ragioni per respingere la tesi dell’appellante: “deve concludersi nel senso che: a) è da escludersi una reale equivalenza funzionale, e dunque una conformità dell’offerta alla domanda pubblica, come cristallizzata nella legge di gara; b) una simile componente della domanda attiene alla sicurezza di una importante attività sanitaria, sicché essa per un verso non risulta irragionevole; e, per altro verso, del tutto ragionevolmente non ammette margini di tolleranza, trattandosi di requisito che la stazione appaltante aveva ancorato ad un elemento strutturale (che, ove posseduto, avrebbe al più legittimato una simile pretesa) che la ricorrente non possiede, e che pretende di recuperare allegando un’equivalenza funzionale che si è accertato on sussistere con i medesimi livelli di sicurezza; c) proprio il contenuto e i connotati dell’interesse pubblico connesso alla previsione del capitolato in discorso impedisce di accedere alla tesi che, deducendo la violazione del principio di proporzionalità, pretende di ricostruire la proporzione fra le componenti dell’offerta sul piano meramente quantitativo, laddove il requisito di cui si è accertata la mancanza attiene ad un profilo qualitativo della prestazione capace di incidere in modo decisivo, indipendentemente dall’incidenza quantitativa, sulla conformità dell’offerta alla domanda pubblica, proprio perché attinente alla sicurezza della sottostante attività sanitaria”
13. Non risulta neppure pertinente il richiamo operato dall’appellante al principio del risultato, disciplinato dall’art. 1 del d. lgs. n. 36 del 2023, in relazione alla maggiore economicità per la stazione appaltante della fornitura ove fosse stato prescelto il prodotto di BD.
Una volta chiarito che tale prodotto non risulta conforme all’interesse che la stazione appaltante ha tradotto nella prescrizione della legge di gara, perché questa non autorizza una riferibilità dell’attributo dell’apirogenicità a singole parti del dispositivo, il minor prezzo non può avere alcuna rilevanza sul piano del risultato, dal momento che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Sezione:
- “L’importanza del risultato nella disciplina dell’attività dell’amministrazione non va riguardata ponendo tale valore in chiave antagonista rispetto al principio di legalità, rispetto al quale potrebbe realizzare una potenziale frizione” (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 2866/2024);
- “il risultato avuto di mira dalla legge in questo caso non è “l’effettivo e tempestivo” svolgimento del servizio (a qualsiasi condizione)” (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 4701/2024);
- “il significato attribuito alla nozione di risultato dal d. lgs. n. 36 del 2023 «non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione»; «la “migliore offerta” è dunque quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti» (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 11322/2023).
L’applicazione al caso di specie del principio del risultato, come ricostruito dalla richiamata giurisprudenza, conduce semmai ad argomentare da esso una ulteriore ragione per dirimere la questione sopra indicata nel senso della estensione alla presente fattispecie del principio già sancito dalla richiamata sentenza di questo Consiglio di Stato n. 5375/2024 con riguardo al lotto 67, senza possibilità di inferire dalla diversità strutturale del prodotto l’ammissibilità di un’offerta che non soddisfi lo standard di sicurezza richiesto dalla legge di gara.
14. Tanto chiarito, non ricorrono neppure i presupposti per la rimessione delle questioni prospettate all’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, non sussistendo alcun contrasto di giurisprudenza rilevante ai fini della decisione del presente giudizio.
Il ricorso in appello è pertanto infondato e come tale deve essere respinto.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna Becton Dickinson Italia S.p.A. al pagamento nei confronti di Gestione Elettromedicali Prodotti per Analisi S.r.l. delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro quattromila/00, otre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2025 con l'intervento dei magistrati:
Michele Corradino, Presidente Stefania Santoleri, Consigliere Nicola D'Angelo, Consigliere Ezio Fedullo, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore