Abstract Capitolo 22 del Manuale dei contratti pubblici di L. Carbone, F. Caringella, G. Rovelli, 2024, Dike Giuridca
La prevenzione della contaminazione mafiosa costituisce una priorità per lo Stato di diritto, che “non riconosce dignità e statuto di operatori economici a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose”[1].
Il filtro antimafia negli appalti e, in generale, nel mercato delle attività economiche, è costituito dalla documentazione antimafia, la quale riassume gli esiti delle verifiche antimafia svolte sugli operatori economici che entrano in rapporto con la pubblica amministrazione.
Fu con la Legge Rognoni-La Torre del 13 settembre 1982, n. 646 che nella strategia antimafia dello Stato si focalizzò, per la prima volta in modo specifico, l’attenzione sugli appalti pubblici, ritenuti campo elettivo delle consorterie mafiose e nucleo della stessa definizione del delitto di associazione di tipo mafioso introdotto dall’art. 416-bis, comma 2, del codice penale, secondo cui: “L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici….omissis”.
Purtroppo, il quadro normativo delle verifiche antimafia negli appalti pubblici si presenta frammentato, mancando un corpus normativo ricognitivo dei filtri antimafia, oggi sparsi in più testi, tra i quali assume particolare rilevanza il D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (codice antimafia), che dedica il Libro II alla documentazione antimafia.
La documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia, dall’informazione antimafia e delle white list.
Fino al 13 febbraio 2013 rientravano nella documentazione antimafia le certificazioni camerali provviste della dicitura “nulla osta ai sensi dell’art.10 l.575/65” (richiamate dagli artt. 6 e 9 d.P.R. 252/98), le quali erano equiparate a tutti gli effetti alla comunicazione antimafia liberatoria.
La comunicazione antimafia (art. 88 codice antimafia) è una dichiarazione di scienza appartenente alla categoria delle certificazioni, produttiva di certezza legale, di natura vincolata, che attesta la sussistenza o insussistenza delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67; nel primo caso si parla di comunicazione antimafia interdittiva, nel secondo caso di comunicazione antimafia liberatoria. Solo la comunicazione antimafia può essere oggetto di autocertificazione.
Sono cause ostative, ai sensi dell’art. 67, commi 1 e 8, del codice antimafia:
- il provvedimento definitivo di applicazione di una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II (misure di prevenzione personali disposte dall’A.G.: sorveglianza speciale e obbligo di soggiorno)
- la sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale[2].
La sussistenza di tali cause ostative, cristallizzata nella comunicazione antimafia interdittiva, impedisce al destinatario di ottenere provvedimenti amministrativi ampliativi (licenza, autorizzazioni, finanziamenti, etc.), di instaurare rapporti contrattuali con la P.A. (appalti e concessioni), l’iscrizione negli elenchi di appaltatori e le attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici (SOA).
La comunicazione antimafia liberatoria ha una validità di sei mesi dalla data dell'acquisizione.
La legislazione anteriore al nuovo codice antimafia prevedeva una rigida bipartizione tra comunicazioni antimafia, necessarie per ottenere i provvedimenti indicati nell’art. 67 codice antimafia (licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi, SOA, etc.), e informazioni antimafia, applicabili ai contratti pubblici (appalti pubblici), ai finanziamenti, contributi ed elargizioni pubbliche. La giurisprudenza ha osservato che tale bipartizione è entrata in crisi a fronte della sempre più frequente constatazione empirica che la mafia tende ad infiltrarsi, capillarmente, in tutte le attività economiche, anche quelle soggette a regime autorizzatorio (o a s.c.i.a.), e non solo negli appalti pubblici.
È pacifico in giurisprudenza[3] che le attività economiche, siano esse sottoposte ad attività provvedimentale (regime concessorio o autorizzatorio) o addirittura soggette a s.c.i.a.[4], rientrano nella previsione della lett. f) del comma 1 dell’art. 67 codice antimafia, tra le "altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominate" e, pertanto, sono sottoposte alle verifiche antimafia i cui esiti prendono forma nella documentazione antimafia.
Il legislatore[5] è così intervenuto con l’introduzione dell'art. 89-bis del codice antimafia, che prevede, nel comma 1, che: "Quando in esito alle verifiche di cui all'articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un'informazione interdittiva antimafia e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia" e in tal caso, come espressamente sancisce il comma 2, "l'informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta".
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 4 del 18 gennaio 2018, nel richiamare peraltro la giurisprudenza della terza sezione del Consiglio di Stato, non ha mancato di rilevare che nel contesto del D.Lgs. n. 159 del 2011, e sulla base della Legge delega n. 136 del 2010[6], nulla autorizza a pensare che il tentativo di infiltrazione mafiosa, acclarato mediante l'informazione antimafia interdittiva, non debba precludere anche le attività di cui all'art. 67, oltre che i rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, se così il legislatore ha stabilito.
L’informazione antimafia (art. 84 comma 3 e art. 91 codice antimafia) è un provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un'ottica di bilanciamento tra la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall'art. 41 Costituzione.
Ai sensi dell’art. 84, comma 3, del codice antimafia “L'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 91, comma 6, nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4.”
Anche per le informazioni antimafia distinguiamo quelle liberatorie (per l’insussistenza di cause ostative di cui all’art. 67 codice antimafia e/o di situazioni sintomatiche di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84 co. 4 del codice antimafia) e quelle interdittive, che si distinguono a loro volta in:
- interdittive ricognitive di cause di divieto di per sé interdittive, ai sensi dell'articolo 67 del codice antimafia e di situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa desunte dall’art. 84, comma 4, lett. a) e b) del codice antimafia (provvedimenti cautelari, rinvio a giudizio, sentenze non definitive per “reati spia”, proposte o provvedimenti di applicazione di talune delle misure di prevenzione).
Il Consiglio di Stato ha affermato che i delitti menzionati nell'art. 84, comma 4, lett a) costituiscono un catalogo di reati che, nella valutazione ex ante fatta dal legislatore, integrano una “spia” dell’infiltrazione mafiosa, di per sé sola sufficiente ad imporre, nella logica anticipata e preventiva che permea la materia delle informative antimafia, l'effetto interdittivo nei rapporti con la pubblica amministrazione. In tali casi, ove il Prefetto accerti la commissione di tali delitti menzionati, e sino quando non intervenga una sentenza assolutoria (perché in fatto non sussiste) o la riabilitazione, deve limitarsi ad “attestare” la sussistenza del rischio infiltrativo (Consiglio di Stato, sez. III, n. 4555 del 28/10/2016);
- interdittive discrezionali[7], quelle adottate dal Prefetto sulla base di una valutazione tecnico-discrezionale degli elementi – emersi dagli accertamenti da lui disposti, anche avvalendosi dei poteri di accesso nei cantieri e nelle sedi societarie, dalle sostituzioni negli organi sociali, dalle frequentazioni, dai legami familiari, dai rapporti economici, etc. – da cui possa ritenere “più probabile che non” che l’impresa sia esposta al rischio di infiltrazione mafiosa.
L’informazione antimafia liberatoria ha una validità di dodici mesi dalla data dell'acquisizione (art. 86 codice antimafia) ma il Prefetto può sempre riesaminare il provvedimento in caso di sopravvenienze rilevanti ai fini antimafia.
Negli ultimi anni la Corte Costituzionale (sentenze n. 4 del 2018; n. 24 del 2019 e n. 57 del 2020) si è più volte pronunciata sulla legittimità costituzionale dei provvedimenti interdittivi antimafia con riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dal momento che essi, sia pur di natura amministrativa, producono gli stessi effetti di una misura di prevenzione di natura giudiziaria, privando un soggetto del diritto di iniziativa economica e ponendolo nella stessa situazione di colui che risulti destinatario di una misura di prevenzione personale applicata con provvedimento definitivo dell’A.G..
La Corte Costituzionale ha affermato che la legittimità costituzionale del provvedimento interdittivo discende dal suo carattere provvisorio, che compensa la sua efficacia immediata (a cui si può porre rimedio in sede giurisdizionale con la sospensiva) e l’impossibilità di esercitare in sede amministrativa i poteri previsti nel caso di adozione delle misure di prevenzione dall’art. 67, comma 5, codice antimafia, e cioè l’esclusione da parte del giudice delle decadenze e dei divieti ivi previsti, nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla sua famiglia.
Va, pertanto, evidenziato un passaggio molto interessante riportato nell’ultima parte della sentenza in esame, laddove la Corte Costituzionale conclude che: “La differenza (cioè la differenza di garanzie tra interdittiva e misura di prevenzione), che in parte trova una compensazione nella temporaneità dell’informazione antimafia (ciò che valorizza ulteriormente l’importanza del riesame periodico cui sono chiamate le autorità prefettizie), merita indubbiamente una rimeditazione da parte del legislatore”.
Per la Corte Costituzionale la legittimità degli artt. 89-bis e 92, commi 3 e 4 del codice antimafia deriverebbe dalla previsione di un riesame periodico della persistenza delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva, alla scadenza del termine di cui all’art. 86, comma 2, del codice antimafia espressamente richiamato nella sentenza (ultimo periodo par. 6 della sentenza) e, in qualsiasi momento, su istanza di parte ex art. 91, comma 5, del codice antimafia, che rende doveroso il riesame da parte del Prefetto.
Si potrebbe quindi affermare che sul carattere temporaneo dell’interdittiva vi sia convergenza tra la Corte Costituzionale e l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che nella decisione n. 3 del 2018 ha affermato che l’interdittiva è “- tendenzialmente temporanea, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento dell'autorità amministrativa competente (il Prefetto)”.
In questo contesto, alla luce dei parametri elaborati dalla Corte di Strasburgo, risalente alla nota decisione Engel, si pone anche il dubbio sulla natura dell’informazione antimafia, provvedimento formalmente amministrativo (soggettivamente ed oggettivamente), emesso al termine di una istruttoria procedimentale (e non già processuale) ma sostanzialmente afflittivo, idoneo ad incidere in modo significativo su diritti costituzionalmente garantiti, così da poter trascendere la sua natura formalmente amministrativa e rientrare nella materia penale, nel senso “sostanziale”, con tutte le conseguenze che ne derivano, specie in termini di determinatezza della fattispecie.
La Corte EDU si è espressa riconoscendo che, la lotta alla mafia, giustifica interpretazioni e deroghe a tutela della peculiare materia, dove prevale la natura cautelare e presentiva dei provvedimenti interdittivi, ritenendoli non riconducibili alla nozione di materia penale, presupposto indefettibile per l’attivazione delle garanzie contenute agli artt. 6 e 7 CEDU.
Le white list sono gli elenchi prefettizi provinciali delle imprese che operano nei settori ritenuti per prassi particolarmente sensibili alla permeabilità mafiosa. Per tali imprese l’iscrizione è obbligatoria e costituisce un requisito necessario per contrarre con le stazioni appaltanti pubbliche.
L’iscrizione in tali elenchi, che avviene mediante presentazione dell’istanza da parte dell’impresa interessata alla Prefettura della provincia in cui si trova la sede legale, rende l’impresa “affidabile” sotto il profilo antimafia.
Ai sensi dell’art. 83-bis, comma 2, del codice antimafia, inserito dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, l'iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori, equivale al rilascio dell'informazione antimafia, anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta.
Il diniego di iscrizione equivale e produce gli stessi effetti dell’informazione antimafia interdittiva.
La genesi delle white list si potrebbe far risalire alla direttiva ministeriale del giugno 2005 recante le “Linee guida sulle Grandi Opere” – predisposta dal Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere (c.d. CCASGO) – che cominciò a parlare di attività esposte al rischio di infiltrazione mafiosa, direttiva poi seguita dalla Circolare del Ministro dell’Interno del 23 giugno 2010 (c.d. Circolare Maroni), che individuò le attività imprenditoriali maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa da sottoporre sempre a verifica antimafia a prescindere dalle soglie di valore contrattuale (movimento terra, noli, smaltimento rifiuti, etc.).
Prima dell’istituzione delle white list, per sottoporre a verifiche antimafia i contratti sottosoglia era invalsa la prassi della stipula di protocolli di legalità (accordi ex art. 15 della Legge 241/90, tra Prefettura, Stazione appaltante e aggiudicatario) che, a prescindere dall’importo dei contratti, estendevano consensualmente tali verifiche all’intera filiera degli esecutori e dei fornitori.
Per tali imprese, che operano nei settori a rischio di infiltrazione mafiosa, la verifica antimafia non segue quindi la bipartizione - comunicazione antimafia/informazioni antimafia – fissata dal codice antimafia in relazione alle soglie di valore contrattuale indicate nell’art. 91 del codice antimafia, ma è sempre obbligatoria e avviene mediante la consultazione della banca dati della documentazione antimafia.
Con la Legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. Legge Severino), art. 1, commi 52 – 57, il legislatore ha previsto l’istituzione presso le Prefetture dell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, operanti nei settori esposti maggiormente a tale rischio[8].
L’iscrizione nell’elenco è subordinata alle seguenti condizioni:
- assenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del codice antimafia;
- assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa indicati nell’art. 84, comma 4, del codice antimafia.
L’iscrizione nell’elenco conserva efficacia per un periodo di dodici mesi a decorrere dalla data in cui essa è disposta.
Ai sensi dell’art. 83, comma 3, del codice antimafia, la documentazione antimafia non è richiesta:
- per i rapporti fra i soggetti pubblici, fra i soggetti pubblici ed altri soggetti, anche privati, i cui organi rappresentativi e quelli aventi funzioni di amministrazione e di controllo sono sottoposti, per disposizione di legge o di regolamento, alla verifica di particolari requisiti di onorabilità̀ tali da escludere la sussistenza di una delle cause di sospensione, di decadenza o di divieto di cui all'articolo 67;
- per il rilascio o rinnovo delle autorizzazioni o licenze di polizia di competenza delle autorità̀ nazionali e provinciali di pubblica sicurezza;
- per la stipulazione o approvazione di contratti e per la concessione di erogazioni a favore di chi esercita attività̀ agricole o professionali, non organizzate in forma di impresa, nonché́ a favore di chi esercita attività̀ artigiana in forma di impresa individuale e attività̀ di lavoro autonomo anche intellettuale in forma individuale;
- per i provvedimenti, ivi inclusi quelli di erogazione, gli atti ed i contratti il cui valore complessivo non supera i 150.000 euro.
I soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia, indicati nell’art. 83 del codice antimafia, sono:
- le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti;
- gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico;
- le società̀ o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico;
- i concessionari di lavori o di servizi pubblici;
- i contraenti generali.
I soggetti sottoposti alle verifiche antimafia sono indicati nell’art. 85 del codice antimafia, che prevede che la documentazione antimafia debba riferirsi, se si tratta di:
- impresa individuale: al titolare e al direttore tecnico;
- associazioni o società di capitali: al legale rappresentante, al socio di maggioranza, nel caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, o al socio unico;
- società semplice e in nome collettivo: a tutti i soci;
- società in accomandita semplice: ai soci accomandatari;
- raggruppamenti temporanei di imprese: alle singole imprese;
- in ogni caso, ai componenti del collegio sindacale e ai soggetti degli organismi di vigilanza di cui al D. Lgs. n. 231 del 2001.
Quando le verifiche antimafia sono finalizzate al rilascio dell’informazione antimafia, esse si estendono anche ai familiari maggiorenni conviventi con i soggetti sopraindicati. Non si tratta di un elenco tassativo di soggetti sottoposti a verifica, dal momento che l’art. 91, comma 5, del codice antimafia lascia comunque fermo il potere del Prefetto competente di estendere gli accertamenti anche ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell'impresa (ad esempio, le verifiche antimafia sui dipendenti dell’impresa, sulle imprese partecipate dai soggetti di cui all’art. 85 o che hanno collegamenti o rapporti economici non occasionali, etc.).
La documentazione antimafia (art. 87 e 90 del codice antimafia), quando non è immediatamente acquisita mediante la BDNA, è rilasciata dal Prefetto della provincia in cui le persone fisiche, le imprese, le associazioni o i consorzi risiedono o hanno la sede legale ovvero dal Prefetto della provincia in cui è stabilita una sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato per le società di cui all'articolo 2508 del codice civile.
Il codice antimafia (art. 88 per la comunicazione antimafia e art. 92 per l’informazione antimafia) prevede tre precisi termini per il rilascio della documentazione antimafia:
- immediatamente, quando l’operatore è già censito nella banca dati della documentazione antimafia e quindi già in possesso di liberatoria antimafia in corso di validità;
- quando l’operatore non è censito o quando dalla consultazione della banca dati della documentazione antimafia emerge la sussistenza di cause ostative ex art 67 cod. antimafia o di situazioni sintomatiche di infiltrazione mafiosa ex art. 84, comma 4, cod. antimafia, il Prefetto dispone le verifiche attivando il gruppo interforze e rilascia l’informazione antimafia interdittiva entro 30 giorni dalla data della consultazione;
- quando le verifiche disposte siano di particolare complessità, il termine per il rilascio dell’informazione antimafia interdittiva è di 75 giorni.
L’art. 91 del codice antimafia prescrive ai soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, l’obbligo di acquisire l'informazione antimafia liberatoria prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67, il cui valore sia:
- pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di contratti pubblici. Le soglie oggi sono indicate nell’art. 14 del nuovo codice dei contratti (D. Lgs. 36/2023), prima nell’art. 35 D. Lgs. 50/2016.
- superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, per contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni pubbliche;
- superiore a 150.000 euro per l'autorizzazione di subcontratti (in particolare il subappalto) cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.
Tuttavia, il Consiglio di Stato, sezione VI, 19 settembre 2008, n. 240, affermò che per i contratti sotto le soglie (oggi 150.000 euro e sotto le soglie di cui all’art. 91 comma 1 cod. ant.) per la P.A. non c’è un obbligo di chiedere la documentazione antimafia ma, nell’esercizio dei poteri discrezionali, la stazione appaltante è legittimata a richiedere le informazioni antimafia.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 3 del 2018, ha affermato che il provvedimento interdittivo determina una particolare forma di incapacità giuridica ex lege, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3247).
I provvedimenti interdittivi antimafia sono causa di esclusione automatica dalla partecipazione alle procedure di evidenza pubblica (art. 94 codice dei contratti pubblici) e cause ostative alla stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti, all’erogazione di finanziamenti pubblici e al rilascio dei provvedimenti indicati nell’art. 67 del codice antimafia (licenze, autorizzazioni, iscrizioni in albi, SOA, etc).
Oltre ai cennati effetti impeditivi, essi producono effetti risolutivi o decadenziali, se adottati dopo la stipula dei contratti pubblici o il rilascio di provvedimenti ampliativi.
Ai sensi degli artt. 88, comma 4-bis e 92, comma 3, del codice antimafia, decorso il termine di 30 giorni (termine per il rilascio della documentazione antimafia per i soggetti non censiti nella BDNA, cioè per i soggetti sottoposti a verifiche antimafia per la prima volta), o nei casi di urgenza, immediatamente, le stazioni appaltanti procedono anche in assenza di documentazione antimafia. In tal caso i provvedimenti (contributi, finanziamenti, erogazioni) sono adottati e i contratti sono stipulati sotto condizione risolutiva, il cui evento è costituito dall’emissione del provvedimento interdittivo antimafia. Al verificarsi di tale evento, la stazione appaltante esercita i poteri di autotutela (doverosa) di revoca dei provvedimenti ampliativi o di recesso dai contratti.
L’art. 94, comma 3, del codice antimafia, può essere interpretato come il precipitato applicativo del principio del risultato di cui all’art. 1 del codice dei contratti pubblici, in quanto nei seguenti tre casi, nonostante l’adozione del provvedimento interdittivo, la Stazione appaltante pubblica non procede alla revoca o al recesso:
- se l’opera è in corso di ultimazione;
- se la fornitura di beni e servizi è ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico;
- se il soggetto colpito da interdittiva non è sostituibile in tempi rapidi.
Il procedimento antimafia finalizzato all’adozione della documentazione antimafia (comunicazione, informazione e white list) è costituito dalle seguenti fasi:
- fase dell’iniziativa: il procedimento può essere attivato d’ufficio, ove a richiedere la documentazione siano i soggetti di cui all’art.83 del codice antimafia; o su istanza di parte, quando l’operatore presenta istanza di iscrizione nelle white list provinciali.
- Fase istruttoria: inizia con la consultazione della banca dati unica della documentazione antimafia (BDNA) collegata al Sistema d’indagine (SDI) nel quale sono versate quasi tutte le notizie di reato, le denunce, le querele, i controlli sul territorio e i dati parziali degli esiti processuali. È la prima fonte informativa della fase istruttoria, seguita dall’acquisizione dei casellari giudiziali e dei carichi pendenti. Quando gli accertamenti antimafia evidenziano la sussistenza di cause ostative o di situazioni sintomatiche di infiltrazione mafiosa, il Prefetto instaura il contraddittorio endoprocedimentale, introdotto per l’informazione antimafia interdittiva dall’art. 48 del D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233, che ha aggiunto il comma 2-bis all’art. 92 del codice antimafia. Il legislatore ha così recepito l’orientamento della giurisprudenza che aveva stigmatizzato la violazione del principio del contraddittorio per l’interdittiva antimafia adottata in assenza di comunicazione di avvio del procedimento, tra l’altro oggetto di questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sollevata dal Tar Puglia –Bari con ordinanza del 13 gennaio 2020, n. 28. Prima della novella del 2021, per le informazioni antimafia interdittive, la giurisprudenza prevalente riteneva in re ipsa le oggettive e intrinseche ragioni di urgenza che giustificano l’omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. 241/90. Il contraddittorio endoprocedimentale era invece assicurato solo per l’iscrizione nelle white list, dove il diniego di iscrizione era preceduto dal preavviso di diniego ex art.10-bis della L. 241/90 trattandosi di procedimento ad istanza di parte.
- Fase decisoria: il procedimento antimafia si conclude con la liberatoria antimafia o con il provvedimento interdittivo. Il contraddittorio endoprocedimentale potrà chiudersi con la liberatoria antimafia o, al contrario, con un provvedimento interdittivo o con l’applicazione delle misure amministrative di prevenzione collaborativa di cui all’art. 94 bis del codice antimafia, della durata di un minimo di sei a un massimo di dodici mesi, con le quali il Prefetto detta specifiche prescrizioni[9] qualora accerti che la contaminazione mafiosa sia “occasionale”. Le misure amministrative di prevenzione collaborativa sono annotate in un’apposita sezione della banca dati nazionale unica per la documentazione antimafia (BDNA) e sono comunicate dal Prefetto alla cancelleria del Tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione. In tal caso, ai sensi dell’art. 34-bis del codice antimafia, il Tribunale valuta se adottare - in sostituzione delle misure di prevenzione collaborativa - il controllo giudiziario dell’azienda con la nomina di un giudice delegato e un amministratore giudiziario. Il controllo giudiziario è previsto per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni. Ai sensi del successivo comma 7 del medesimo art. 34-bis il provvedimento che dispone il controllo giudiziario sospende gli effetti di cui all’art. 94, consistenti nell’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione e consente all’impresa di continuare ad operare, nella prospettiva finale del superamento della situazione sulla cui base è stata emessa l'interdittiva.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione del 13 febbraio 2023, n. 6, ha affermato che non è ravvisabile nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra il giudizio di impugnazione dell'interdittiva antimafia e il controllo giudiziario, e quindi la pendenza del controllo giudiziario su richiesta di parte non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l'informazione antimafia interdittiva".
Laddove il percorso di recupero aziendale avviato con le misure amministrative di prevenzione collaborativa non risulti fruttuoso ovvero appaia irrimediabilmente compromesso sin dall’avvio delle verifiche antimafia, il Prefetto adotterà il provvedimento interdittivo. Prima di adottare il provvedimento interdittivo, il Prefetto verifica altresì la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure previste dall’art. 32 del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (cioè il commissariamento dell’impresa con la nomina di amministratori giudiziali).
-Fase di integrazione dell’efficacia: il provvedimento interdittivo antimafia (comunicazione o informazione interdittiva antimafia) è comunicato dal Prefetto entro cinque giorni dalla sua adozione, all’impresa, società o associazione interessata.
Può conclusivamente affermarsi che il tema delle verifiche antimafia negli appalti pubblici si traduce in un subprocedimento che condiziona il percorso del procedimento di evidenza pubblica e le sorti dei contratti pubblici. L’art. 94, comma 2, del codice dei contratti pubblici, segna l’avvio del subprocedimento antimafia e, nel sistema del c.d. doppio binario delle cause di esclusione introdotto dal D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, inserisce il provvedimento interdittivo antimafia tra le cause di esclusione automatica di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto.
La breve esposizione delle norme che disciplinano le verifiche antimafia ha offerto l’occasione per riflettere sulla opportunità di chiarire la qualificazione giuridica della documentazione antimafia e il rapporto tra il codice dei contratti pubblici e il codice antimafia: per il primo, la liberatoria antimafia (cioè l’assenza di cause ostative e l’assenza del pericolo di infiltrazione mafiosa) è requisito di partecipazione alle procedure di gara, a prescindere dalle soglie di valore dei contratti, e che deve esistere già nella fase iniziale della gara; nel codice antimafia, invece, l’art. 83, sembra posticipare la verifica antimafia al momento successivo dell’aggiudicazione, quando afferma che i soggetti pubblici sono tenuti ad acquisire la documentazione antimafia “prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici” e il comma 3, dello stesso articolo, sembrerebbe escludere la verifica antimafia per i contratti il cui valore complessivo non supera i 150.000 euro. Se così fosse, con grave vulnus nei controlli antimafia, tutti i contratti sotto-soglia - per i quali il codice dei contratti pubblici prevede l’affidamento diretto – sarebbero sottratti alle verifiche antimafia. Va infine osservato come la distinzione tra le diverse forme di documentazione antimafia (comunicazione, informazione e diniego di iscrizione nelle white list), che genera numerosi contenziosi, appare sostanzialmente inutile, dal momento che la BDNA attiva gli accertamenti antimafia e, quando rileva situazioni sintomatiche di infiltrazione mafiosa, riconduce ad unità la documentazione antimafia (la comunicazione antimafia ex art. 89 bis e il diniego di iscrizione nelle white list equivalgono alla informazione antimafia interdittiva).
[1] Consiglio di Stato, Sez. III, 9 febbraio 2017, n.565.
[2] Delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, sesto e settimo comma, 416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 12, commi 1, 3 e 3-ter, e 12 bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474, 600, 601, 602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies e 630 del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309, e dall'articolo 291-quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43.
[3] Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 9 febbraio 2017, n. 565.
[4] segnalazione certificata di inizio attività.
[5] Ad opera ad opera del D.Lgs. n. 153 del 2014.
[6] La legge n. 136 del 13 agosto 2010 “Piano straordinario contro le mafie”, ha introdotto, nell’art. 2 il comma 1, lett. c) che ha allargato le maglie di applicazione dell’informativa al fine di rendere effettiva la lotta alle mafie. L’art. 2 comma 1, lett. c) della legge n. 136 del 13 agosto 2010 si riferisce, pertanto, a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione senza differenziazioni.
[7] Art. 84, comma 4, lettere d) e) e f) del codice antimafia.
[8] Ai sensi del comma 53 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2012 sono definite come maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa le seguenti attività:
a) trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;
b) trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;
c) estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;
d) confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;
e) noli a freddo di macchinari;
f) fornitura di ferro lavorato;
g) noli a caldo;
h) autotrasporti per conto di terzi;
i) guardiania dei cantieri.
Si tratta di un elenco integrabile per via regolamentare, in forza dell’espressa delega contenuta non solo nel comma 54 dell’art. 1, della Legge 190/2012, ma già nell’art. 91, comma 7, del codice antimafia.
[9] Ad esempio adottare misure organizzative atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale, comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura, entro quindici giorni dal loro compimento, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati e ricevuti, gli incarichi professionali conferiti, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti, utilizzare un conto corrente dedicato per gli atti di pagamento e riscossione nonché per i finanziamenti.