Consiglio di Stato, Sez. V, 12 giugno 2019, n. 3938
È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186 – bis, comma 6, del R.d. 16 marzo 1942, n. 267, in riferimento agli articoli 3, 41 e 97, della Costituzione, nella parte in cui prevede un divieto assoluto nei confronti dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale a partecipare a procedure di affidamento di contratti pubblici quando nell’ambito di raggruppamenti temporanei di imprese la stessa assuma la qualità di mandataria.
La V Sezione del Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale circa l’art. 186 bis, comma 6, del R.d. 16 marzo 1942, n. 267, il quale, a differenza dell’impresa che abbia contrattato singolarmente, non consente all’impresa di partecipare ad una procedura per l’affidamento di un contratto pubblico nella forma aggregata del raggruppamento temporaneo di impresa con il ruolo di mandataria.
Difatti, l’affidamento di commesse pubbliche può assumere il ruolo di fonte primaria di ricavi da (re)investire nell’attività imprenditoriale al fine del superamento dello stato di crisi. Per tale ragione, il legislatore consente all’impresa, in concordato con continuità, la possibilità di partecipare alle procedure di gara con adeguate cautele, fondate sulla prognosi circa le capacità di dare attuazione all’impegno da assumere nei confronti della stazione appaltante.
Conseguentemente, la ratio sottesa al dato normativo previsto dal quarto e quinto comma dell’art. 186-bis della legge fallimentare, nonché dal terzo comma dell’art. 110 del codice dei contratti pubblici, consiste nella possibilità per l’impresa di partecipare alla procedura di gara con l’autorizzazione del Tribunale su parere del commissario giudiziale, se nominato, qualora la richiesta di partecipazione intervenga successivamente al deposito del ricorso (comma 4°) ovvero, nel caso in cui sia già stata disposta l’ammissione al concordato, con l’autorizzazione del giudice delegato (art. 110, comma 3), o, in ogni caso, con la relazione di un professionista che attesti, oltre alla conformità al piano, anche la ragionevole capacità di adempimento del contratto, il tutto rafforzato da una dichiarazione resa da altro operatore che si impegni a mettere a disposizione le risorse necessarie per l’esecuzione dell’appalto anche in ipotesi di fallimento o di incapacità sopravvenuta all’esecuzione (comma 5).
Ciò stante, la V Sezione non rinviene ragioni idonee a giustificare il differente regime previsto per l’impresa che partecipi nella forma aggregata del raggruppamento temporaneo di impresa assumendo il ruolo di mandataria.
Neppure la posizione della mandataria nei confronti della stazione appaltante pare, altresì, giustificare la diversa disciplina. Infatti, il mandatario, munito di mandato collettivo speciale con rappresentanza conferito dalle altre imprese costituenti il raggruppamento, “esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti” (art. 45, comma 2 lett. d) del codice dei contratti pubblici) ed ha “la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo o atto equivalente fino alla estinzione di ogni rapporto” (art. 48, comma 15).
Viceversa, non assumono rilevanza aspetti peculiari quali i destinatari dell’efficacia della contrattazione del mandatario del raggruppamento temporaneo con la stazione appaltante; oppure il diverso regime di responsabilità del mandatario, tenuto all’esecuzione per intero della prestazione contrattuale o all’integrale risarcimento del danno per inadempimento.
Inoltre, l’art.186 bis, comma 6, della legge fallimentare, pone una limitazione alla autonomia privata dell’imprenditore che non può assumere la rappresentanza delle imprese mandanti e non può rendersi parte di un contratto di appalto con un soggetto pubblico. La norma trova la propria spiegazione nella volontà del legislatore di tutelare maggiormente i creditori da azioni non ponderate dell’impresa, tali da aggravare lo stato di crisi esistente.
In sostanza, l’impresa ammessa a concordato preventivo con continuità aziendale, pur se in stato di crisi, è in grado di continuare ad operare sul mercato proponendo beni e servizi, ed anzi, mediante la continuazione dell’attività, può aspirare a rientrare dalla situazione di difficoltà medio tempore vissuta.
Le sopra indicate considerazioni inducono a ritenere ingiustificata la limitazione dell’autonomia privata ed in contrasto finanche con il dettato costituzionale dell’art. 41.
Da ultimo, la legge fallimentare, determina un immotivato contenimento del potere di scelta delle pubbliche amministrazioni di contrattare con un’impresa che potrebbe rivelarsi la più qualificata e capace ad eseguire la commessa, ponendosi, pertanto, in contrasto con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost..
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3052 del 2019, proposto da
Itinera s.p.a. in proprio e quale mandataria del Raggruppamento temporaneo di imprese con Monaco s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avvocato Gianluigi Pellegrino, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia;
contro
A.n.a.s. s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Marta Fraioli e Maria Stefania Masini, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marta Fraioli in Roma, via Monzambano, 10;
nei confronti
Carena s.p.a. Impresa di Costruzioni, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Carullo e Ilaria Battistini, con domicilio digitale come da PEC tratta dai Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio Carullo in Bologna, Strada Maggiore, 47;
I.L.E.S.P. s.r.l., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. TOSCANA, SEZIONE II, n. 00491/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.n.a.s. s.p.a. e di Carena s.p.a. Impresa di Costruzioni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2019 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Pellegrino, Masini, Fraioli e Carullo;
I FATTI DI CAUSA E LA VICENDA PROCESSUALE.
- con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana Itinera s.p.a. domandava l’annullamento della determina di A.n.a.s. s.p.a. 20 dicembre 2018 (prot. CDG-0689344-I) di aggiudicazione all’A.t.i. formata da Carena s.p.a., in qualità di mandataria, e da I.L.E.S.P. s.r.l., in qualità di mandante, del contratto di appalto avente ad oggetto i “lavori di realizzazione dell’itinerario internazionale E78 – S.G.C. Grosseto – Fano. Adeguamento a 4 corsie nel tratto Grosseto – Siena (S.S. n. 223 “di Paganico”) dal km 27+200 al km 30+038. Lotto 4”;
- il ricorso era articolato in due motivi: con il primo contestava l’ammissione di Itinera s.p.a. alla fase di valutazione delle offerte sebbene si trovasse in stato di concordato preventivo con continuità aziendale e, rivestendo la posizione di mandataria all’interno dell’A.t.i., incorresse nel divieto alla partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici posto dall’art. 186 – bis, comma 6, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare), tanto più che, continuava la ricorrente, la società era gravemente inadempiente al piano concordatario per non aver effettuato il riparto a favore dei creditori concordatari entro il 31 dicembre 2018;
- con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamentava la mancata verifica della congruità dell’offerta presentata dall’aggiudicatario, pur essendo questi risultato vincitore con un ribasso economico pari al 35,108% e superiore alla metà della media dei ribassi registrati nella gara, nonché dieci volte superiore al differenziale qualitativo delle offerte, così da giustificare il sospetto di anomalia;
- il giudizio, nel quale si costituivano A.n.a.s. s.p.a. e Carena s.p.a., era definito con sentenza della Sezione II, 3 aprile 2019, n. 491, di reiezione del ricorso e compensazione delle spese di lite: il Tribunale amministrativo regionale, superata l’eccezione di irricevibilità del ricorso perché tardivamente proposto, ravvisava l’esistenza di un contrasto tra l’art. 80, comma 5, lett. b) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (codice dei contratti pubblici) e l’art. 186 – bis, comma 6, della legge fallimentare;
- ciò a causa del fatto che, da un lato, la prima disposizione aveva previsto l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara delle imprese che si trovano in stato di concordato preventivo, facendo salvo il caso di concordato con continuità aziendale (e “fermo restando quanto previsto dall’art. 110” del medesimo codice); dall’altro lato, invece, la disposizione contenuta nella legge fallimentare aveva esteso l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara anche alle imprese in stato di concordato preventivo con continuità aziendale che rivestano la posizione di mandataria all’interno del raggruppamento temporaneo di imprese;
- a parere del giudice di primo grado il rilevato conflitto andava risolto facendo applicazione del criterio cronologico e, dunque, nel senso dell’avvenuta abrogazione implicita della norma di divieto posta dall’art. 186 – bis, comma 6, legge fallimentare (ed ivi inserita dal d.l. 23 giugno 2012, n. 83 conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134), per opera del sopravvenuto art. 80, comma 5, lett. b), del codice contratti pubblici che, nel disciplinare integralmente la materia delle cause di esclusione in senso innovativo, non ha fatto più alcun riferimento alla posizione che assuma l’impresa in concordato preventivo con continuità che partecipi alla procedura nella forma del raggruppamento temporaneo di impresa;
- il secondo motivo di ricorso era respinto, sul rilievo che la scelta della stazione appaltante di non sottoporre a verifica facoltativa di anomalia l’offerta della Carena s.p.a. era ritenuta espressione di ampia discrezionalità, sindacabile solo in caso di macroscopica irragionevolezza o di decisivo errore di fatto, da escludere, nel caso in esame, perché indizio di anomalia non può essere la presenza di ribasso che superi del 50% della media gli altri ribassi registrati in gara, in assenza di altre significative circostanze indiziarie;
- propone appello Itinera s.p.a. che contesta entrambi i capi della sentenza di primo grado: quanto all’avvenuta abrogazione implicita del divieto posto dall’art. 186-bis, comma 6, legge fallimentare osserva che affinché possa parlarsi di abrogazione implicita è necessario che tra le due norme vi sia una radicale ed assoluta incompatibilità, insussistente nel caso in esame ove di esse può darsi un’interpretazione combinata che ne giustifica la perdurante e contemporanea vigenza; per la precisione, a suo dire, il sesto comma dell’art. 186 - bis della legge fallimentare disciplinerebbe una situazione affatto peculiare, vale a dire il caso di impresa partecipante alla procedura in forma di raggruppamento temporaneo di imprese che si trovi in situazione di concordato preventivo con continuità aziendale, escludendo l’applicazione della deroga prevista dall’art. 80, comma 5, lett. b), del codice dei contratti pubblici a favore delle imprese in concordato con continuità aziendale (poiché regola generale sarebbe la preclusione alla partecipazione alla procedura) nel caso in cui rivesta il ruolo di mandataria;
- inoltre, l’appellante rifiuta la tesi – sulla quale il giudice di primo grado aveva ritenuto di non dover prendere posizione, pur riconoscendo l’esistenza di diversità di vedute – secondo cui con il decreto di omologazione del concordato si chiude la procedura concorsuale e l’operatore economico – che, in questa logica, può dirsi “tornato in bonis” – può liberamente prendere parte a procedure di affidamento di contratti pubblici non essendo più sottoposto alla disciplina codicistica sulle cause di esclusione, per come integrata dalla legge fallimentare;
- conclude, perciò, ribadendo che l’art. 186 – bis, comma 6, legge fallimentare trova applicazione anche in caso di avvenuta adozione del decreto di omologazione e che il divieto ivi contenuto per la mandataria di raggruppamento temporaneo di impresa prevale sulla regola della partecipazione alle procedure di gara delle imprese in concordato aziendale con continuità per il criterio di specialità;
- con un secondo motivo di appello Itinera s.p.a. contesta la sentenza di primo grado per non aver considerato che, anche a voler ritenere implicitamente abrogato il divieto contenuto nella legge fallimentare, l’aggiudicataria non poteva essere ammessa alla fase di valutazione delle offerte poiché non aveva ottenuto l’autorizzazione del giudice a partecipare alla procedura di affidamento della commessa pubblica, condizione di partecipazione sia per l’art. 110, comma 3, codice dei contratti pubblici, sia per l’art. 186 – bis legge fallimentare;
- con il terzo motivo di appello è censurata la sentenza di primo grado per aver ritenuto ragionevole la scelta della stazione appaltante di non sottoporre a verifica di anomalia l’offerta presentata dall’A.t.i. Carena sebbene fosse chiaro indizio di anomalia la circostanza che il ribasso offerto superava di addirittura il 50% la media dei ribassi registrati in gara, in uno al fatto che il predetto ribasso risulta pari ad oltre il doppio di quello offerto dalla seconda graduata che la stazione appaltante, peraltro, aveva ritenuto sostanzialmente equivalente sul piano qualitativo a quello della prima graduata;
- nel giudizio si è costituita A.n.a.s. s.p.a. che ha replicato agli argomenti spesi dall’appellante concludendo per la conferma della sentenza impugnata; si è costituita anche Carena s.p.a. impresa di costruzioni che, nella memoria depositata in vista della camera di consiglio fissata per la decisione sull’istanza di sospensione degli effetti esecutivi della sentenza, ha formulato in via pregiudiziale eccezione di inammissibilità per decadenza del primo motivo di ricorso per essere stato proposto in violazione dell’art. 120, comma 2 – bis, Cod. proc. amm.;
- l’appellata, precisato che nel processo amministrativo il giudice d’appello ha il potere di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado, senza che si possa ritenere formato un giudicato implicito preclusivo alla deduzione officiosa, sostiene che, per far valere il divieto in capo alla mandataria di raggruppamento temporaneo di imprese alla partecipazione a procedure di gara, Itinera s.p.a. avrebbe dovuto impugnare l’ammissione dell’A.t.i. Carena nel termine di trenta giorni di cui all’art. 120, comma 2 – bis, Cod. proc. amm., decorrente dal momento in cui la stazione appaltante conformemente all’art. 29, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, aveva loro comunicato gli operatori economici ammessi alla successiva fase di valutazione delle offerte dando espressamente atto della conformità della documentazione amministrativa presentata a quella richiesta dal disciplinare di gara attestante la ricorrenza delle condizioni ed il possesso dei requisiti di partecipazione, che era messa disposizione dei concorrenti presso i sui uffici;
- l’appellata ha, dunque, concluso per l’inammissibilità dell’appello in ragione dell’irricevibilità del ricorso di primo grado, poiché proposto solo a seguito della comunicazione del provvedimento di aggiudicazione all’A.t.i. Carena, e, comunque, per l’infondatezza dello stesso;
- in vista dell’udienza pubblica le parti in causa hanno depositato memorie ex art. 73 Cod. proc. amm., cui sono seguite rituali repliche; all’udienza del 30 maggio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
Tutto ciò premesso, la Sezione dubita della legittimità costituzionale dell’art. 186 - bis, comma 6, R.d. 16 marzo 1942, n. 267, aggiunto dall’art. 33, comma 1, lett. h) d.l. 22 giugno 2012, n. 83 conv. con m. nella l. 7 agosto 2012, n. 134 nella parte in cui prevede che “Fermo quanto previsto dal comma precedente, l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale”. I dubbi di legittimità costituzionale si appuntano sul fatto che tale disposizione di legge pone un divieto assoluto nei confronti dell’impresa in concordato preventivo con continuità aziendale a partecipare a procedure di affidamento di contratti pubblici quando nell’ambito di raggruppamenti temporanei di imprese di cui la stessa assuma la qualità di mandataria. Inoltre, atteso il suo contenuto puntuale, della stessa disposizione non è possibile fornire un’interpretazione diversa, in grado di superare i dubbi di costituzionalità in relazione ai parametri di seguito esposti.
LA RILEVANZA DELLA QUESTIONE AI FINI DELLA DECISIONE DELLA CONTROVERSIA.
- appare innanzitutto inammissibile l’eccezione di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado riproposta nel presente grado del giudizio a mezzo di memoria difensiva depositata in vista dell’udienza camerale fissata per la decisione sull’istanza di sospensione degli effetti esecutivi della sentenza;
- su tale questione, espressamente affrontata dal Tribunale amministrativo e respinta, deve infatti ritenersi formato il giudicato interno;
- in estrema sintesi, il giudice di primo grado, dopo avere premesso che la Corte di Giustizia dell’Unione europea nell’ordinanza 14 febbraio 2019 ha ritenuto compatibile con il diritto euro-unitario l’art. 120, comma 2 – bis, Cod. proc. amm., a condizione che il termine di trenta giorni per l’impugnazione dei provvedimenti relativi alle procedure di gara decorra solo se i provvedimenti siano comunicati agli interessati accompagnati da una relazione indicate i motivi della decisione assunta, così da consentire loro di percepire le eventuali violazioni del diritto ivi presenti, ha affermato che l’onere di impugnare nel termine di trenta giorni le decisioni delle stazioni appaltanti sulle ammissioni dei concorrenti sussiste solo in relazione ai motivi escludenti, non rilevati, che possono essere desunti dalle dichiarazioni sostitutive presentate dagli operatori con la domanda di partecipazione, onde essi possano desumersi al momento della pubblicazione del provvedimento di ammissione ed esclusione adottato dalla stazione appaltante;
- quindi il Tribunale ha rilevato che nel caso di specie era mancata la prova (a carico delle resistenti) che la ricorrente potesse apprendere dalla sola lettura del provvedimento di ammissione (o dei documenti acquisibili quando l’ammissione è stata resa nota) che la Carena s.p.a. fosse in condizione di concordato preventivo con continuità aziendale;
- la questione pregiudiziale, così risolta dal giudice di primo grado, costituiva capo di sentenza che doveva essere impugnato con appello incidentale dalle parti rispetto ad esse soccombenti: l’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., più chiaramente di quanto non faccia l’art. 346 Cod. proc. civ., onera le parti di riproporre le domande e alle eccezioni “dichiarate assorbite o non esaminate”;
- a contrario si desume che le (domande e) eccezioni respinte vanno riproposte in appello a mezzo impugnazione incidentale dalla parte soccombente, pena la formazione su di esse del giudicato interno;
- ancora sul punto va dato atto che, come sostiene la controinteressata Carena s.p.a., nel processo amministrativo il giudice d’appello può esaminare ex officio la sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione in relazione al ricorso di primo grado, senza preclusioni derivanti da un giudicato implicito (da ultimo, Adunanza plenaria, 26 aprile 2018, n. 4);
- ma ciò è vero a condizione che il giudice di primo grado non si sia pronunciato, poiché l’omessa pronuncia non assume significato risolutivo della questione; nel caso di specie, il giudicato interno si è formato per essersi il giudice di primo grado espressamente pronunciato, con la conseguenza che era necessario proporre appello incidentale perché il giudice d’appello potesse nuovamente esaminare la questione;
- passando ad un’ulteriore profilo di rilevanza della questione, la Sezione ritiene, diversamente dal giudice di primo grado, che l’art. 186 - bis, comma 6, R.d. 16 marzo 1942, n. 267 non sia stato abrogato implicitamente dall’entrata in vigore dell’art. 80, comma 5, lett. b) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ma che le due disposizioni siano entrambe vigenti e suscettibili di interpretazione combinata; la sentenza di primo grado, sul punto, non può essere condivisa.
Queste le ragioni:
- l’art. 80, comma 5, lett. b) del codice dei contratti pubblici, nel disciplinare i motivi di esclusione degli operatori economici dalle procedure di gara per l’affidamento di commesse pubbliche, stabilisce la regola generale per la quale è escluso l’operatore economico che “si trovi in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo”, fissando, poi, la deroga: non è escluso l’operatore che sia in stato di concordato con continuità aziendale;
- l’art. 186 - bis, comma 6, della legge fallimentare, invece, disciplina un caso specifico: quello dell’operatore economico che, in stato di concordato con continuità aziendale, intenda partecipare ad una procedura di gara per l’affidamento di commesse pubbliche, nella forma del raggruppamento temporaneo di imprese;
- la regola posta è che la partecipazione è consentita ma a due condizioni: a) che, nel raggruppamento temporaneo, non rivesta il ruolo di impresa mandataria e b) che, nel caso in cui rivesta il ruolo di mandante, le altre imprese (evidentemente mandanti) aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad altra procedura concorsuale;
- il rapporto tra l’art. 80, comma 5, lett. b) del codice dei contratti pubblici e l’art. 186 – bis, comma 6, della legge fallimentare è, dunque, un rapporto di specialità, il quale, naturalmente, presuppone la contemporanea vigenza delle due disposizioni;
- la Sezione inoltre non condivide la tesi del riacquisto della piena capacità contrattuale dell’operatore economico in seguito alla pronuncia di omologazione del concordato che avrebbe quale conseguenza la sottrazione al regime previsto per l’impresa in stato di concordato preventivo con continuità aziendale che intenda partecipare alle procedure di gara per l’affidamento di commesse pubbliche dal codice (come, invece, ritenuto, ma in procedura soggetto al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, vecchio codice dei contratti pubblici, da Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3225);
- ciò per le seguenti ragioni:
a) l’art. 181 della legge fallimentare, al primo periodo, stabilisce che “La procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell’art. 180”; nulla è detto circa la situazione dell’impresa nel periodo temporale successivo all’omologazione del concordato, che, invece, è disciplinata dall’art. 136 della legge fallimentare, rubricato, infatti, “Esecuzione del concordato” con la previsione per la quale “Dopo l’omologazione del concordato il giudice delegato, il curatore e il comitato dei creditori ne sorvegliano l’adempimento, secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione”, vale a dire riconoscendo agli organi della procedura concorsuale ampi poteri di intervento.
b) l’art. 80, comma 5, lett. b) codice dei contratti pubblici distingue tra operatore economico che “si trovi in stato” di concordato preventivo, e operatore che abbia “in corso un procedimento per la dichiarazione” di tale situazione: siccome, per espressa indicazione dell’art. 181 citato, il procedimento si chiude con l’omologazione del concordato, l’operatore “in stato di concordato preventivo” non potrà che essere quell’operatore già ammesso al concordato, con conseguente sua sottoposizione alle norme che disciplinano le cause di esclusione degli operatori in procedura concorsuale;
c) la Corte di Cassazione, sez. I, con ordinanza 10 gennaio 2018, n. 380 ha dettato un principio generale, valevole per ogni attività da intraprendere successivamente all’omologazione del concordato precisato che “la chiusura del concordato che ai sensi dell'articolo 181 l. fall., fa seguito alla definitività del decreto o della sentenza di omologazione, pur determinando la cessazione del regime di amministrazione dei beni previsto, durante il corso della procedura, dall'articolo 167, non comporta (salvo che alla data dell'omologazione il concordato sia stato già interamente eseguito) l'acquisizione in capo al debitore della piena disponibilità del proprio patrimonio, che resta vincolato all’attuazione degli obblighi da lui assunti con la proposta omologata, dei quali il Commissario Giudiziale, come espressamente stabilito dall’articolo 185, è tenuto a sorvegliare l’adempimento, “secondo le modalità stabilite nella sentenza (o nel decreto) di omologazione”. La fase di esecuzione, nella quale - come si desume dalla stessa rubrica dell’articolo 185 - si estrinseca l'adempimento del concordato, non può allora ritenersi scissa, e come a sé stante, rispetto alla fase procedimentale che l’ha preceduta: l’assoggettamento del debitore, dopo l’omologazione, all'osservanza del provvedimento giurisdizionale emesso ai sensi dell'articolo 180, implica infatti la necessità che egli indirizzi il proprio agire al conseguimento degli obiettivi prefigurati nella proposta presentata ed approvata dai creditori”.
d) con specifico riguardo alle procedure di evidenza pubblica, il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza 3 gennaio 2019, n. 69, ha chiarito che se l’operatore economico in concordato preventivo con continuità aziendale, che intenda partecipare ad una procedura di gara, non ha richiesto la necessaria autorizzazione al Tribunale durante la procedura (sin dalla presentazione del ricorso), ovvero se detta autorizzazione non possa ricavarsi dall’omologazione del concordato, egli, intervenuta la pronuncia di omologazione potrà (e dovrà) richiedere l’autorizzazione al giudice delegato così come prescritto dall’art. 110, comma 3, del codice dei contratti pubblici ovvero presentare domanda di partecipazione alle condizioni di cui all’art. 186 – bis, comma 5 della legge fallimentare;
- è così riconosciuto che, avvenuta l’omologazione del concordato, l’operatore economico non riacquista la piena capacità di agire, che avrebbe quale inevitabile conseguenza la facoltà di presentare liberamente domanda di partecipazione alle procedure di gara, ma svuoterebbe di significato la disposizione contenuta nell’art. 110, comma 3, citato, cui, invece, lo stesso articolo 80, comma 5, lett. b) del codice dei contratti rimanda per definire le condizioni di partecipazione alle procedure di gara;
- sempre con riguardo alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, va dato atto che il secondo motivo di appello, con cui si sostiene che Carena s.p.a. non poteva partecipare a procedura di gara non essendo stata a tal scopo espressamente autorizzata dal Tribunale in sede di omologazione, appare inammissibile, in quanto pone una questione nuova in contrasto con il divieto di nova in appello posto dall’art. 104, comma 1, Cod. proc. amm., considerato che in sede di ricorso Itinera s.p.a. aveva lamentato la carenza dei requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura di gara esclusivamente per essere la società, in stato di concordato con continuità aziendale, mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese e, quindi, per asserita violazione del divieto previsto dall’art. 186 – bis, comma 6, legge fallimentare e, d’altra parte, il giudice di primo grado, proprio in ragione del thema decidendum posto dai motivi di ricorso, ha definito la questione della mancanza di autorizzazione “elemento non … in discussione nel caso di specie”;
- alla luce di tutto quanto finora rilevato il giudizio non può essere definito se non facendo applicazione del divieto posto dall’art. 186 – bis legge fallimentare, con conseguente esclusione del raggruppamento temporaneo di imprese con Carena s.p.a. come mandataria dalla procedura di gara, considerata la chiara indicazione normativa.
LE RAGIONI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE.
La questione di legittimità costituzionale come sopra posta appare inoltre non manifestamente infondata in relazione ai seguenti parametri:
a) art. 3 Cost.: si dubita della ragionevolezza della scelta del legislatore.
Per talune imprese l’affidamento di commesse pubbliche è fonte primaria di ricavi da (re)investire nell’attività imprenditoriale per superare lo stato di crisi; consapevole, il legislatore consente all’impresa in concordato con continuità la partecipazione alle procedure di gara con adeguate cautele, incentrate sulla prognosi circa le capacità (all’atto in cui interviene la richiesta) di dar attuazione all’impegno da assumere (o assunto) nei confronti della stazione appaltante.
Tale è la ratio della disciplina posta dal quarto e quinto comma dell’art. 186 – bis della legge fallimentare e dal terzo comma dell’art. 110 del codice dei contratti pubblici: l’impresa può partecipare alla procedura di gara con l’autorizzazione del Tribunale su parere del commissario giudiziale, se nominato, qualora la richiesta di partecipazione intervenga successivamente al deposito del ricorso (comma 4°) ovvero, in caso sia già stata disposta l’ammissione al concordato, con l’autorizzazione del giudice delegato (art. 110, comma 3), o, comunque, con la relazione di un professionista attestante la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto e con la dichiarazione di altro operatore che si impegni a mettere a disposizione le risorse necessaria all’esecuzione dell’appalto per il caso di fallimento o di incapacità sopravvenuta all’esecuzione (comma 5°).
A parere del Collegio non v’è ragione che giustifichi la differente disciplina per l’impresa che partecipi nella forma aggregata del raggruppamento temporaneo di impresa assumendo il ruolo di mandataria: anche per questa impresa i ricavi derivanti dall’esecuzione della parte di commessa pubblica possono consentire il superamento di una situazione di crisi.
Non pare giustificare un diverso trattamento la posizione che la mandataria assume nei confronti della stazione appaltante ove confrontata con quella dell’impresa che contratti uti singula: il mandatario, munito di mandato collettivo speciale con rappresentanza conferito dalle altre imprese costituenti il raggruppamento, “esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti” (art. 45, comma 2 lett. d) del codice dei contratti pubblici), ha “la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo o atto equivalente fino alla estinzione di ogni rapporto” (art. 48, comma 15).
In sostanza, il mandatario del raggruppamento temporaneo contratta con la stazione appaltante come un operatore economico che abbia partecipato singolarmente, con la sola differenza che gli effetti dei suoi atti si riverberano nella sfera giuridica dei mandanti.
Allo stesso modo, non pare giustificare un diverso trattamento il regime di responsabilità dei mandatari nei confronti della stazione appaltante, posto che ai sensi dell’art. 48, comma 5, prima parte del codice dei contratti pubblici: “L’offerta degli operatori economici raggruppati o dei consorziati determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore o dei fornitore” e che, pertanto, la stazione appaltante potrà richiedere al mandatario (ma anche a ciascuno dei mandanti) l’intera prestazione oggetto del contratto (art. 1292 Cod. civ.), come pure il risarcimento del danno in caso di inadempimento, e, siccome, normalmente, si tratterà di prestazione indivisibile (art. 1316 Cod. civ.), ove intenda richiedere l’esatto adempimento, dovrà rivolgere richiesta per intero ad una delle imprese (art. 1317 Cod. civ). Solo se uno dei mandanti ha assunto l’impegno all’esecuzione di lavori scorporabili ovvero prestazioni secondarie (in caso di servizi e forniture), il mandatario è responsabile solidalmente con il mandante la cui responsabilità è limitata all’esecuzione delle prestazioni di rispettiva competenza (seconda parte dell’art. 48, comma 5, citato).
Il regime di responsabilità del mandatario (come pure dei mandanti) è, dunque, identico a quello dell’impresa che abbia stipulato il contratto singolarmente e consiste nell’obbligo all’esecuzione per intero della prestazione in contratto o all’integrale risarcimento del danno per inadempimento.
Si potrebbe, anzi, dire che il regime di responsabilità previsto dal codice per il caso in cui le imprese siano aggregate in raggruppamento temporaneo risulta, per la stazione appaltante, di maggiore garanzia di quello necessitato dalla contrattazione con unico operatore economico, come sempre accade nel caso in cui sia prevista la solidarietà dal lato passivo dell’obbligazione poiché è consentito al creditore di avvalersi del patrimonio di più debitori tra i quali scegliere quello che appare maggiormente solvibile.
Tanto più che l’art. 48, comma 16, citato specifica che “Il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali”.
Difetta, dunque, a parere del Collegio, nel divieto imposto all’impresa mandataria, la ragionevolezza c.d. esterna da accertare in confronto ad un tertium comparationis omogeneo e pertinente (Corte cost. 12 novembre 2018, n. 197), che, nella disciplina in esame, è l’operatore economico che partecipi alla procedura di gara in forma singola. Ma che può essere anche l’operatore economico nell’ambito del consorzio ordinario ai sensi dell’art. 45, comma 2, lett. e), specie se non ancora costituito al momento della presentazione della domanda di partecipazione, poiché, in quel caso, come accade per il raggruppamento temporaneo di imprese, l’art. 48, comma 8, prevede il conferimento del medesimo mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi che viene qualificato come mandatario e stipula in nome e per conto dei mandanti.
Per l’impresa che sia aggregata in consorzio con il ruolo di mandataria il divieto alla partecipazione alla procedura di gara non sussiste e deve ritenersi applicabile la disciplina generale.
Per le ragioni esposte, difetta, altresì, anche la ragionevolezza c.d. interna, tra le diverse fattispecie contemplate all’interno della medesima disposizione: qualora l’impresa in concordato con continuità non rivesta il ruolo di mandataria, ma quello di mandante (e sempre che non vi siano altre imprese aderenti assoggettate a procedura concorsuale), può prendere parte alle procedure di gara. Senonché, per quanto detto le mandanti sono sottoposte, come la mandataria, alla responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, e sono personalmente responsabili ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali.
È vero, poi, che esse attribuiscono alla mandataria il compito di interloquire con la stazione appaltante, mediante il conferimento del mandato collettivo speciale, ma è vero pure che l’art. 48, comma 15, dopo aver previsto che al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, precisa che: “La stazione appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti”.
Infine, risalta anche la mancanza di ragionevolezza c.d. intrinseca, da accertarsi nella coerenza tra obiettivo dichiarato della norma e mezzi per perseguirlo: non v’è dubbio che l’obiettivo dichiarato dalla norma – per la sua collocazione all’interno della legge fallimentare – è quello della tutela dei creditori dell’impresa in concordato, prima ancora che quello della garanzia di adempimento dell’impegno assunto dal raggruppamento nei confronti della stazione appaltante.
Il divieto posto dall’art. 186 – bis, comma 6, legge fallimentare dovrebbe, per questo, impedire all’impresa in concordato di assumere un impegno particolarmente gravoso per il quale si riveli, poi, inadeguata in ragione dello stato di crisi in cui versa. Vero questo, tuttavia, va considerato che l’impedimento, negando all’impresa la chance di ottenere un flusso di denaro utile al superamento dello stato di crisi derivante dall’esecuzione dell’appalto potrebbe produrre una situazione vieppiù pregiudizievole per le ragioni creditorie, aprendo la strada al fallimento dell’imprenditore e, dunque, ad una comparativamente minore possibilità di soddisfazione delle loro ragioni. E ciò tanto più che il mandatario di un raggruppamento, rispetto all’imprenditore che partecipi singolarmente, esegue una parte, sia pure maggioritaria, dell’opera o dei servizi e forniture e, per questo, ha maggior possibilità dell’altro di portare a termine correttamente l’impegno assunto.
Appare quindi irragionevole, rispetto agli obiettivi avuti di mira, un divieto assoluto a livello legislativo, tale da impedire a priori il giudizio prognostico in plena cognitio demandato al giudice della procedura, che valuti per il tipo di impegno che intenda assumere l’impresa se i mezzi dei quali dispone siano adeguati e facciano ragionevolmente prevedere l’esito positivo dell’affare. La disciplina in esame risulta pertanto intrinsecamente illogica nella misura in cui sottrae al giudice della procedura (e in genere agli organi preposti) ogni valutazione comparata tra commessa da affidare e stato dell’impresa.
- art. 41 Cost: il divieto contenuto nell’art. 186 – bis, comma 6, legge fallimentare costituisce una limitazione alla autonomina privata dell’imprenditore che non può assumere la rappresentanza delle imprese mandanti e, in ultima analisi, non può rendersi parte di un contratto di appalto con un soggetto pubblico. Per questo l’imprenditore è limitato nel libero spiegarsi della sua capacità contrattuale.
La ragione è stata individuata nell’intento del legislatore di tutelare i creditori da scelte non ponderate dell’impresa in grado di aggravare lo stato di crisi esistente, e, da questo punto di vista, risponde all’utilità sociale di evitare la completa dispersione del patrimonio dell’imprenditore con conseguente impossibilità di soddisfazione dei creditori; tuttavia, l’impresa che è ammessa a concordato preventivo con continuità aziendale è impresa che, pur in stato di crisi, è in grado di continuare ad operare sul mercato proponendo beni e servizi, ed anzi, mediante la continuazione dell’attività, potenzialmente di rientrare dalla situazione di difficoltà medio tempore vissuta.
Risponde, allora, all’utilità sociale non già limitarne la sua libertà contrattuale, ma anzi favorirne il massimo dispiegarsi, per l’acquisizione di clientela di sicura solvibilità, come è il soggetto pubblico, e, così giovarsi di denaro da reimpiegare nell’attività di impresa. Per queste considerazioni, la limitazione all’autonomia privata finisce coll’essere ingiustificata e in contrasto con il dettato costituzionale.
- art. 97 Cost.: il principio di buon andamento dell’azione amministrativa trova attuazione nella materia dei contratti pubblici con gli obblighi di evidenza pubblica, legislativamente considerati il mezzo per la selezione del contraente migliore. Rispetto al fondamento normativo così evidenziato, il divieto posto dall’art. 186 – bis, comma 6, legge fallimentare alla partecipazione ad una procedura di gara del mandatario in concordato preventivo con continuità aziendale determina una ingiustificata limitazione del potere di scelta spettante in via generale alle pubbliche amministrazioni, che non potrà, per questa sola ragione, contrattare con un’impresa che potrebbe rivelarsi la più qualificata e capace ad eseguire la commessa (o parte della commessa) posta a gara, e nei cui confronti gli organi della procedura concorsuale esprimano un giudizio di compatibilità di tale partecipazione rispetto alla sua situazione economico-patrimoniale e di convenienza per i creditori.
In ragione del promuovimento della questione di legittimità costituzionale il presente giudizio va sospeso fino alla pronuncia della Corte costituzionale, cui gli atti vanno trasmessi. Vanno inoltre disposti gli adempimenti previsti dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), nei sensi indicati in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186 – bis, comma 6, del R.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), aggiunto dall’art. 33, comma 1, lett. h) d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, in riferimento agli articoli 3, 41 e 97, della Costituzione, nei sensi e nei termini di cui alla motivazione della presente ordinanza.
Dispone la sospensione del presente giudizio sino alla decisione della Corte Costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale quale sopra sollevata.
Riserva alla sentenza definitiva ogni statuizione sulle spese di causa.
Ordina che a cura della segreteria gli atti del giudizio siano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza, oltre che comunicata alle parti, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente FF
Federico Di Matteo, Consigliere, Estensore
Angela Rotondano, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere