Cons. St., sez. III, 25 marzo 2019

Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la seconda riduzione dell’importo contrattuale, disposta da una Amministrazione in fase di rinegoziazione ex art. 9 ter, D.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con L. 6 agosto 2015, n. 125, e ciò in quanto essa non dispone di un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto, ma solo di un diritto potestativo di recesso in caso di mancato accordo tra le parti sulla riduzione del prezzo o delle prestazioni (controbilanciato da analoga potestà dell’appaltatore di sciogliersi dal vincolo), con la conseguenza che neppure la pretesa dell’Amministrazione di procedere ad una seconda riduzione dell’importo contrattuale può ascriversi all’esercizio di una potestà pubblica, in relazione al quale possa predicarsi un cattivo uso del potere.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente                                      

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5798 del 2018, proposto da 
Security Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Abbamonte, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi n. 5; 

contro

Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 Centro, non costituita in giudizio; 

nei confronti

Regione Campania, non costituita in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del TAR Campania – Napoli, Sez. V, n. 3253 del 17.5.2018 resa inter partes con la quale il TAR Campania – Napoli, ha declinato la propria giurisdizione in favore del Giudice Ordinario nel giudizio di prime cure prodotto

per l’annullamento previa sospensione degli effetti: a) della nota ASL Napoli 1 Centro del 28.2.2018 prot. 2939 indirizzata alla ricorrente società, con la quale è disposta- in presunta applicazione del DL 78/2015 conv. in L. 125/2015- una riduzione, giusta delibera 107 del 23.1.2018, del 5% dei prezzi unitari già rinegoziati anno 2016; b) della nota del 23.3.2018 dell’ASL Napoli 1 Centro prot. 4292 del 23.3.2018 e della nota del 30.3.2018 dell’ASL Napoli 1 Centro con la quale è indicato che la riduzione del 5% è calcolata sul prezzo di € 19,94/ora già ribassato a seguito di spending review [ e non già sul prezzo/tariffa di cui al contratto originario di € 20,99/ora]; c) della Deliberazione dell’ASL Na 1 Centro n. 107 del 29.1.2018, nella parte in cui prevede, per il periodo di espletamento del servizio dall’1.1 al 31.12.2018, l’applicazione dei “ ... prezzi rinegoziati in applicazione del D.L. 78/15 ...e delle Linee Guida dettate dalla Regione con nota prot. 3547/C del 1.10.15...”, se ed in quanto letto ed interpretato quale applicazione della riduzione del 5% sul prezzo già rinegoziato di € 19,94/ora anziché sul prezzo contrattuale di € 20,99/ora; d) di ogni altro atto preordinato, connesso e/o comunque lesivo degli interessi della ricorrente società.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2019 il Cons. Francesco Guarracino e udito, per l’appellante, l’avvocato Andrea Abbamonte;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, la Security Services s.r.l., affidataria del servizio di piantonamento fisso, vigilanza armata e servizio di videosorveglianza dei Presidi Ospedalieri, Distretti Sanitari di base, Dipartimenti-Poliambulatori, Uffici Amministrativi e aree aperte e parcheggi dell’A.S.L. Napoli 1 Centro - giusta contratto di appalto del 1° aprile 2010, rep. 1333, di durata quinquennale ed in regime di proroga tecnica -, ha impugnato gli atti relativi all’applicazione da parte dell’A.S.L., in asserita osservanza dell’art. 9 ter, comma 1, lett. a), d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con l. 6 agosto 2015, n. 125, di una ulteriore riduzione del 5% sui prezzi unitari già rinegoziati nell’anno 2016 in virtù della medesima disciplina di razionalizzazione della spesa pubblica.

Con sentenza n. 3253 del 17 maggio 2018 il T.A.R. adito ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione, richiamando la giurisprudenza per cui “il meccanismo di rinegoziazione dei prezzi di riferimento in ambito sanitario previsto dal .... d.l. n. 98 del 2011, riferendosi al contratto già perfezionato e atteggiandosi a vicenda modificativa o estintiva di esso (secondo che la rinegoziazione abbia esito positivo ovvero l'amministrazione receda dal contratto), esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo per rientrare in quella del Giudice ordinario” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 20 settembre 2016 n. 9862).

La Security Service appella ora la sentenza.

L’A.S.L. Napoli 1 Centro e la Regione Campania non si sono costituite nel presente grado di giudizio.

L’appellante ha prodotto una memoria ed alla camera di consiglio del 14 febbraio 2019 la causa è stata posta in decisione.

L’appello è infondato.

Sostiene l’appellante che il Giudice di primo grado sarebbe incorso in errore nel ritenere applicabile al caso in esame l’orientamento giurisprudenziale richiamato, poiché, a suo dire, si sarebbe formato con riferimento al diritto di recesso unilaterale di cui all’art. 1, comma 13, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (recante la precedente disciplina sulla revisione della spesa pubblica), che spettava all’amministrazione qualora l’appaltatore non avesse accettato la riduzione degli importi e delle prestazioni di cui ai contratti di appalto in essere e che aveva natura di diritto potestativo di autotutela esecutiva iure privatorum.

Nella fattispecie sottoposta all’esame del T.A.R. della Campania il thema decidendum sarebbe stato diverso, riguardando la legittimità dell’applicazione, da parte della A.S.L., della previsione dell’art. 9 ter, comma 1, lett. a), del d.l. n. 78/15 per una seconda annualità, con conseguente riduzione dell’importo contrattuale, ex d.l. 78/2015, per due volte di seguito allo stesso contratto.

Secondo l’appellante quest’ulteriore modificazione unilaterale delle condizioni negoziali configurerebbe un intervento esterno sul rapporto contrattuale effettuato in forma e con modalità autoritative: l’A.S.L. avrebbe agito “applicando illegittimamente, in via analogica ed estensiva, un potere autoritativo attribuito dalla legge con norma speciale ad efficacia evidentemente limitata” e sulla controversia che ne è scaturita vi sarebbe, perciò, la giurisdizione del giudice amministrativo, al quale spetta il sindacato sul cattivo esercizio del potere dell’amministrazione, come pure sulle modalità applicative dell’adeguamento dei prezzi, ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. e) n. 2, c.p.a.

La tesi non è persuasiva.

Occorre, anzitutto, rammentare il contenuto delle disposizioni della cui applicazione si controverte.

L’art. 9 ter del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con l. 6 agosto 2015, n. 125, dispone al comma 1 che “a) per l'acquisto dei beni e servizi di cui alla tabella A allegata al presente decreto, gli enti del Servizio sanitario nazionale sono tenuti a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti in essere che abbia l'effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di acquisto, rispetto a quelli contenuti nei contratti in essere, e senza che ciò comporti modifica della durata del contratto, al fine di conseguire una riduzione su base annua del 5 per cento del valore complessivo dei contratti in essere” e prevede al comma 4 che “Nell'ipotesi di mancato accordo con i fornitori, nei casi di cui al comma 1, lettere a) e b), entro il termine di trenta giorni dalla trasmissione della proposta in ordine ai prezzi o ai volumi come individuati ai sensi del comma 1, gli enti del Servizio sanitario nazionale hanno diritto di recedere dal contratto, in deroga all'articolo 1671 del codice civile, senza alcun onere a carico degli stessi. E' fatta salva la facoltà del fornitore di recedere dal contratto entro trenta giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione, senza alcuna penalità da recesso verso l'amministrazione. Il recesso è comunicato all'amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest'ultima”.

La legge prevede, dunque, che l’amministrazione proponga alla controparte negoziale una rinegoziazione del contratto che, attraverso la riduzione dei prezzi unitari di fornitura o dei volumi di acquisto pattuiti in origine, realizzi l’obiettivo della riduzione del cinque per cento, su base annua, del suo valore complessivo e riconosce alle stesse parti, qualora non si trovi l’accordo sulla modifica del contratto, un reciproco diritto di recesso.

Come rilevato dalla Corte costituzionale, in questo sistema la volontà dell'affidatario del contratto rimane determinante per l'esito definitivo della procedura di rinegoziazione, poiché “l'alterazione dell'originario sinallagma non viene automaticamente determinata dalla norma, ma esige un esplicito consenso di entrambe le parti. Ove tale consenso non venga raggiunto, soccorrono … le ipotesi alternative … del recesso, della nuova gara e della adesione transitoria a contratti più vantaggiosi” (Corte cost., sentenza n. 169 del 2017, punto 7.1 della motivazione).

In proposito, la Corte osserva che “L'operatività della rinegoziazione rimane circoscritta alla sola eventualità che i contraenti raggiungano un nuovo accordo attraverso la ridefinizione in concreto delle loro originarie determinazioni. In definitiva, l'offerta di modifica ex art. 9-ter rimane comunque condizionata dalla verifica che il sinallagma del contratto originario non sia dalla stessa inciso fino a pregiudicarne la convenienza per l'amministrazione e la remuneratività per l'esecutore.

Sotto questo profilo, la disciplina impugnata supera il vaglio di costituzionalità poiché disegna un meccanismo idoneo a garantire che le posizioni contrattuali inizialmente concordate tra le parti non siano automaticamente modificate o comunque stravolte dalla sopravvenienza normativa, ma siano circoscritte nel perimetro della normale alea assunta ex contractu, nell'ambito della quale deve essere ricompreso, trattandosi di contratti di durata, anche l'intervento del legislatore.

Dunque la disposizione va interpretata nel senso del conferimento di una facoltà al committente, la quale non comporta che le quantità ed i prezzi unitari degli acquisti dei beni e dei servizi futuri risultino necessariamente ridotti in modo automatico e lineare”.

Non disponendo, dunque, l’amministrazione di un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto, ma solo di un diritto potestativo di recesso in caso di mancato accordo tra le parti sulla riduzione del prezzo o delle prestazioni (controbilanciato da analoga potestà dell’appaltatore di sciogliersi dal vincolo), è evidente - venendo al caso in esame - che neppure la pretesa dell’A.S.L. di procedere ad una seconda riduzione dell’importo contrattuale può ascriversi all’esercizio di una potestà pubblica, in relazione al quale possa predicarsi, come fa l’appellante, un cattivo uso del potere.

Per altro verso, la giurisdizione amministrativa sulla controversia in esame non può neppure radicarsi nell’art. 133 comma 1 lett. e) n. 2, c.p.a.

Questo, infatti, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solamente le controversie “… relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto”.

Queste attengono all’applicazione della clausola di revisione periodica del prezzo (all’epoca obbligatoria) che genera un procedimento nel quale il privato contraente è titolare di un interesse legittimo con riferimento all'an della pretesa (a fronte qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale) ed eventualmente di una situazione di diritto soggettivo con riguardo al quantum, se ed in quanto intervenga il riconoscimento della spettanza di un compenso revisionale (C.d.S., sez. III, 6 agosto 2018, n. 4827); ovvero all’applicazione del meccanismo di adeguamento del prezzo chiuso su istanza dell’appaltatore, che è una forma di revisione del compenso, propria del sistema del prezzo chiuso, che si differenzia dal primo caso solo per la mancanza di una clausola contrattuale (Cass., SS.UU., 26 settembre 2011, n. 19567).

Si tratta, dunque, di strumenti di tutela dell'originario equilibrio fra le concordate prestazioni contrattuali che assolvono alla duplice finalità di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell'eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e di evitare, al contempo, che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto.

Diversa è la finalità delle disposizioni di razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci contenute dall’art. 9 ter del d.l. 19 giugno 2015, n. 78 e diverso, come visto, è lo strumentario all’uopo fornito.

Vero è che secondo la Corte regolatrice l’ambito della giurisdizione esclusiva in materia di revisione dei prezzi ha assunto una portata ampia e generale, abbracciando ormai ogni controversia concernente la revisione dei prezzi di un contratto di appalto, compreso il profilo del quantum debeatur (Cass., SS.UU., ord. 1° febbraio 2019, n. 3160).

Ma è evidente anche che, nel caso in esame, opponendosi ad una ulteriore riduzione del 5% dei prezzi unitari già rinegoziati nell’anno 2016 e contestando in tal senso, a ben vedere, la stessa esistenza di un siffatto potere dell’amministrazione, la società appellante mira al riconoscimento dell’intangibilità di una controprestazione già puntualmente prevista nel contratto e disciplinata in ordine sia all’an sia al quantum del corrispettivo (nei termini da ultimo pattuiti in sede di rinegoziazione) e, cioè, all’accertamento di un diritto soggettivo all’esatto adempimento del contratto, senza che in alcun modo venga in rilievo la clausola di revisione del prezzo che, ratione temporis, doveva essere presente nel contratto stipulato tra l’appellante e l’appellata.

Per queste ragioni, in conclusione, l’appello deve essere respinto.

Nulla va disposto per le spese di giudizio, in difetto di costituzione delle amministrazioni intimate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2019

 

 

Guida alla lettura

Con la decisione dello scorso 25 marzo, la III Sezione del Supremo Consesso Amministrativo si è soffermata in merito all’individuazione del giudice dotato di giurisdizione in presenza di una rinegoziazione del contratto di appalto ai sensi dell’art. 9 ter D.l. 19 giugno 2015 n. 78, convertito con L. 6 agosto 2015 n. 125.

La richiamata disposizione normativa prevede il potere dell’Amministrazione di proporre alla controparte negoziale una rinegoziazione del contratto che, attraverso la riduzione dei prezzi unitari di fornitura o dei volumi di acquisto pattuiti in origine, realizzi l’obiettivo della riduzione del cinque per cento, su base annua, del suo valore complessivo. La medesima prescrizione, inoltre, riconosce alle parti, qualora non si trovi l’accordo sulla modifica del contratto, un reciproco diritto di recesso. Come rilevato dalla Corte costituzionale 12 luglio 2017 n. 169 nel sistema innanzi delineato la volontà dell’affidatario del contratto rimane determinante per l’esito definitivo della procedura di rinegoziazione, poiché “l’alterazione dell’originario sinallagma non viene automaticamente determinata dalla norma, ma esige un esplicito consenso di entrambe le parti. Ove tale consenso non venga raggiunto, soccorrono … le ipotesi alternative … del recesso, della nuova gara e della adesione transitoria a contratti più vantaggiosi”.

Alla luce di quanto innanzi indicato, dunque, discende che l’Amministrazione non dispone di un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto, ma solo di un diritto potestativo di recesso in caso di mancato accordo tra le parti sulla riduzione del prezzo o delle prestazioni, controbilanciato da analoga potestà dell’appaltatore di sciogliersi dal vincolo.

I Giudici di Palazzo Spada hanno altresì escluso la possibilità di incardinare (nella fattispecie che ci occupa) una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla luce dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 c.p.a., tale prescrizione legislativa delineando una siffatta giurisdizione rispetto alle sole controversie “… relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto”.

Con maggiore dovizia esplicativa, le controversie richiamate dalla previsione del Codice del processo amministrativo attengono all’applicazione della clausola di revisione periodica del prezzo (originariamente obbligatoria) che genera un procedimento nel quale il privato contraente è titolare di un interesse legittimo con riferimento all’an della pretesa (a fronte della qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale) ed eventualmente di una situazione di diritto soggettivo con riguardo al quantum, se ed in quanto intervenga il riconoscimento della spettanza di un compenso revisionale (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 agosto 2018, n. 4827); ovvero all’applicazione del meccanismo di adeguamento del prezzo chiuso su istanza dell’appaltatore, che è una forma di revisione del compenso, propria del sistema del prezzo chiuso, che si differenzia dal primo caso solo per la mancanza di una clausola contrattuale (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 26 settembre 2011, n. 19567).

Si tratta, dunque, di strumenti di tutela dell’originario equilibrio fra le concordate prestazioni contrattuali che assolvono alla duplice finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle Pubbliche Amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e di evitare, al contempo, che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto.

Del tutto differente, invece, è la finalità delle disposizioni di razionalizzazione della spesa per beni e servizi, dispositivi medici e farmaci contenute dall’art. 9 ter cit. con conseguente diversificato “strumento di reazione” fornito.

Ne discende che va fatta rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la seconda riduzione dell’importo contrattuale, disposta da una Amministrazione in fase di rinegoziazione ex art. 9 ter, D.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con L. 6 agosto 2015, n. 125, e ciò in quanto essa non dispone di un potere autoritativo di modifica unilaterale dell’oggetto del contratto, ma solo di un diritto potestativo di recesso in caso di mancato accordo tra le parti sulla riduzione del prezzo o delle prestazioni (controbilanciato da analoga potestà dell’appaltatore di sciogliersi dal vincolo), con la conseguenza che neppure la pretesa dell’Amministrazione di procedere ad una seconda riduzione dell’importo contrattuale può ascriversi all’esercizio di una potestà pubblica, in relazione al quale possa predicarsi un cattivo uso del potere.