ulteriore contributo sulle novità introdotte dal Decreto Legge 18 aprile 2019, n. 32
1 – Avvalimento e subappalto, espressione del favor partecipationis negli appalti pubblici; 2 – L’istituto dell’avvalimento, emblema di una difficile convivenza; 3 – La nuova disciplina positiva e le scelte conservatrici del legislatore in materia di avvalimento; 4 – Avvalimento e subappalto; 5 – La disciplina del subappalto e dell’avvalimento al vaglio della Commissione europea.
- Avvalimento e subappalto: espressione del favor partecipationis negli appalti pubblici
L’istituto dell’avvalimento è di recente formulazione e si colloca tra i meccanismi di cooperazione tra imprese. Pur suscitando un particolare interesse, pone, al tempo stesso, diverse problematiche, per lo più correlate al suo recepimento nel nostro sistema giuridico e alla compatibilità con i principi del nostro ordinamento giuridico.
Il principio generale dell’avvalimento, elaborato in primis dalla giurisprudenza comunitaria, che si era pronunciata inizialmente soltanto in relazione a fattispecie che avevano luogo nell’ambito di un gruppo societario, è stato poi trasferito sul piano normativo dal legislatore comunitario con le direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce.
La portata generale dell’avvalimento viene per la prima volta affermata nel leading case “Ballast Nedam Groep I”, che ha legittimato, in relazione agli appalti di lavori pubblici, la possibilità per un candidato, di comprovare la titolarità dei requisiti contemplati dalla disciplina vigente o dal bando, anche in modo “indiretto”, ossia, ricorrendo a quelli posseduti da altri operatori economici. L’iter di recepimento dell’istituto dell’avvalimento non è stato affatto lineare ed esente da difficoltà, anzi ha incontrato innumerevoli momenti di frizione tra lo spirito europeo e i principi fondanti il nostro ordinamento. L’istituto dell’avvalimento diventa paradigma di una faticosa convivenza, in quanto potenzialmente in grado di scardinare i principi fondanti la disciplina nazionale in materia: basti pensare a quello della personalità dei requisiti di partecipazione alle gare pubbliche[1] o all’obbligo stringente, vigente nelle procedure di gara, di non mutare soggettivamente il concorrente nella fase successiva alla presentazione dell’offerta.Nel recepimento dell’istituto de quo, infatti, il legislatore ha adottato opportuni adattamenti, mantenendo un occhio di riguardo verso gli interessi della stazione appaltante, mediante la previsione di limitazioni, finalizzate ad eludere eventuali manovre, quali turbative di gara, e infiltrazioni di associazioni criminali o comunque tese ad evitare che vi prendessero parte dei concorrenti del tutto sprovvisti dei mezzi e delle risorse richieste nella lex specialis di gara[2]. Pertanto, risulta evidente il discrimen tra le disposizioni contenute nelle direttive comunitarie, scarne ed essenziali, e la disciplina poi trasfusa nel Codice dei contratti pubblici, dal legislatore nazionale, puntuale e minuziosa, nella quale trapela chiaramente la diffidenza dell’ordinamento interno verso un istituto dai contorni sfumati, che poteva dar adito ad una gestione non trasparente delle procedure e delle operazioni inerenti all’aggiudicazione degli appalti pubblici.
Confrontando l’avvalimento con altre figure affini, come l’istituto del subappalto senza dubbio, emergono dei trend differenti ma ambedue sono espressione di una sempre maggiore valorizzazione dell’autonomia privata da parte del legislatore.
In particolare, il subappalto consente al concorrente di affidare l’esecuzione di parte della prestazione ad un altro operatore economico provvisto dei requisiti necessari[3]. Nonostante avvalimento e subappalto siano due fattispecie distinte dal punto di vista strutturale, sono accomunate dal perseguimento del favor partecipationis.
In quest’ottica di liberalizzazione, si inseriscono ambedue le fattispecie: in particolare, l’avvalimento rappresenta “l'ultima frontiera attraverso la quale nel nostro ordinamento (in quello domestico e, in apicibus, in quello comunitario) si declina il principio del favor partecipationis, ovvero della massima apertura alla concorrenza del mercato delle commesse pubbliche[4], e il subappalto “può favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce al perseguimento dell’obiettivo “che l’apertura di un bando di gara alla concorrenza sia la più ampia possibile[5]”.Tuttavia, è bene evidenziare come la disciplina del subappalto differisca in modo significativo da quella dell’avvalimento, in quanto il primo istituto realizza una modalità di organizzazione interna del lavoro, che normalmente ha anche un determinato vantaggio per l’appaltatore e che è destinata ad incidere non già sull’an dell’affidamento, ma sul quomodo dell’esecuzione. Neanche la peculiare figura del subappalto c.d. necessario consente di assimilare i due istituti, tra i quali, secondo la giurisprudenza, sussiste una netta distinzione: infatti “l’avvalimento è destinato all’ampliamento dei soggetti abilitati alla partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e realizza un’integrazione temporanea dell’azienda del concorrente riguardo ai mezzi necessari all’esecuzione dell’appalto; l’impresa ausiliaria, invero, ai sensi dell’art. 49 del d.lgs. n. 163/2006, pur formalmente estranea al contratto, ne diviene parte sostanziale mediante l’assunzione di corresponsabilità in via solidale con il concorrente verso la stazione appaltante. Il subappalto, invece, non realizza un’integrazione delle capacità dell’aggiudicatario, ma costituisce uno dei modi di organizzazione dell’impresa dell’appaltatore e comporta una mera sostituzione nell’esecuzione della prestazione contrattuale; ne consegue che unico responsabile verso la stazione appaltante per l’adempimento delle obbligazioni contrattuali resta il concorrente aggiudicatario[6]”.
2. L’istituto dell’avvalimento, emblema di una difficile convivenza
Sin da principio il recepimento della normativa comunitaria in materia di appalti è parso problematico, per cui l’introduzione sic et simpliciter nel nostro sistema giuridico di alcuni istituti di derivazione comunitaria era evidente avrebbe causato “un grave vulnus nella disciplina, favorendo fenomeni elusivi della stessa[7]”. A tal proposito, occorre rilevare come la materia degli appalti pubblici costituisca un ambito estremamente trasversale e possa assumere delle connotazioni a livello nazionale che non sempre si sposano perfettamente con la filosofia e i principi che ispirano l’ordinamento comunitario in riferimento al mercato dei contratti pubblici. Infatti, il legislatore comunitario sovente ignora i molteplici profili che interessano tale settore e, soprattutto, che l’espletamento di una procedura di gara è in grado di impattare non solo sulle norme del Codice dei contratti pubblici, ma altresì su altri ambiti con i quali non può entrare in conflitto.
Per tali ragioni l’avvalimento ha rappresentato un banco di prova emblematico del recepimento nel sistema giuridico interno dei principi comunitari e ha, sin da subito, mostrato la strenua riluttanza del diritto nazionale nei confronti di meccanismi così flessibili e in grado di divenire facile preda di abusi, squilibri e inganni. L’istituto dell’avvalimento originariamente rispondeva a logiche e strategie imprenditoriali[8] di creazione di aggregazioni societarie complesse, dove il collegamento strutturale tra le imprese assurgeva a conditio sine qua non[9]. La fattispecie si è poi progressivamente emancipata dai meccanismi che connotavano tali aggregazioni, trasformandosi in un istituto autonomo[10].
La circostanza per cui l’istituto si configurasse solo in relazione ad una realtà societaria ne ha a lungo mitigato la portata dirompente: pur derogando, infatti, al generale principio secondo cui ogni impresa deve possedere le qualificazioni e i titoli necessari, il prestito trovava fondamento nell’esistenza di un collegamento tra le imprese stesse (il c.d. avvalimento infragruppo). I giudici della Corte di Giustizia hanno, in seguito, abolito il requisito dell’appartenenza alla medesima realtà societaria, ai fini della fruizione dell’avvalimento, consentendo che si applicasse altresì ad imprese non tra di loro interdipendenti e a ciascun tipo di appalto pubblico.
L’avvalimento ingenera, tuttavia, una serie di controversie tra stazioni appaltanti e imprese e si presta ad un potenziale uso distorto: in Italia, alla vigilia del recepimento dell’istituto de quo, la dottrina aveva messo in luce il rischio che operassero imprese prive dei requisiti previsti dal bando, il cui intento fosse quello di disporre delle altre imprese, sfruttando i requisiti di ciascuna, ma di fatto configurandosi come unica concorrente[11]. Basti pensare al caso in cui l’oggetto dell’avvalimento consista nel transito della SOA[12], dove si potrebbe verificare che l’impresa agisca come se possedesse quei requisiti, “operando come una sorta di holding dai contorni oscuri[13]”. Dal canto suo, l’impresa avvalente potrebbe incentivare una qualificazione per relationem, senza partecipare direttamente alla gara e all’esecuzione dei lavori, violando in questo modo il principio comunitario della massima apertura nel mercato delle commesse pubbliche, per garantire il quale è sorto l’istituto de quo. Si risolverebbe così in un prestito in via illimitata di requisiti di cui l’impresa concorrente è carente, senza che a ciò corrisponda l’assunzione di alcun obbligo da parte della ditta ausiliaria[14] (fenomeno noto come “le scatole cinesi”).
In questo senso si sono rivelati decisivi gli interventi del legislatore nazionale e il lavoro interpretativo svolto dalla giurisprudenza, finalizzato a eludere i profili patologici dell’avvalimento. Altresì il Consiglio di Stato aveva, sin da subito, prefigurato gli scenari futuri, connessi al recepimento dell’avvalimento. Secondo i giudici di Palazzo Spada, l’istituto in questione ingenerava molteplici dubbi e perplessità, imputabili, in particolare, alle difficoltà insite nel raggiungimento di un punto di equilibrio tra le istanze antitetiche di libertà di organizzazione dell’attività di impresa e di tutela dell’amministrazione nei confronti del concorrente, chiamato ad ottemperare alle prestazioni contrattuali, a fronte di mezzi e risorse forniti da altri operatori economici. Così si esprimeva il supremo consesso, relativamente ai problemi applicativi e interpretativi derivanti dal recepimento dell’istituto: “Dunque emerge un principio opposto a quello che si desume dalla l. 109 del 1994, e cioè il principio secondo cui il soggetto che partecipa ad una gara di appalto, abbia o meno personalità giuridica, può avvalersi, al fine di comprovare il possesso dei requisiti di capacità tecnica, economica e finanziaria, dei requisiti di altri soggetti, purché sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti. Siffatto principio, affermato dalla giurisprudenza comunitaria con riguardo agli appalti di servizi, risulta ora generalizzato, ed esteso a tutti i pubblici appalti, dalla direttiva unificata n. 18/2004, a tenore della quale, al fine della prova della capacità economica e finanziaria, un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare all'amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell'impegno a tal fine di questi soggetti[15]”. La giurisprudenza nazionale ha approfondito la natura di tale principio, chiarendone la più ampia portata e l’irrilevanza della natura giuridica del legame giuridico che si instaura, rilevando, in via esclusiva, la reale disponibilità delle risorse umane e materiali: “ciò che conta, dunque, non è tanto l’esistenza o meno di vincoli di natura societaria, ma l’effettiva capacità dei concorrenti di adempiere i compiti oggetto dell’appalto, cioè di possedere i mezzi per la buona esecuzione delle prestazioni contrattuali di cui trattasi, indipendentemente dalla propria organizzazione”[16].
- La nuova disciplina positiva e le scelte conservatrici del legislatore in materia di avvalimento
Analizzando in maniera più approfondita la disciplina trasfusa nel nuovo Codice dei contratti[17], emerge come, nonostante gli interventi legislativi, l’avvalimento sia tuttora una delle fattispecie ove maggiormente affiorano le diverse prospettive che animano l’ordinamento comunitario, teso ad assicurare il massimo sviluppo ed espansione del mercato, e l’ordinamento nazionale orientato invece a garantire la massima tutela delle amministrazioni pubbliche committenti[18].Le direttive 2014/23/CE, 2014/24/CE, 2014/25/CE regolano l’istituto dell’avvalimento rispettivamente agli articoli 38 (commi 2 e 3), 63 e 79. L’unica norma, contemplata nel nuovo Codice dei contratti pubblici in materia di avvalimento, è l’articolo 89, che non sembra apportare delle significative modifiche all’impianto del vecchio codice, anzi è stato tacciato di dare una lettura troppo approssimativa e frettolosa di tale strumento alternativo di qualificazione. L ’articolo 89 ha rappresentato l’occasione mancata per introdurre una disciplina in grado di soddisfare le esigenze e le richieste provenienti dal mondo imprenditoriale: infatti, confrontando la precedente dizione e l’attuale formulazione del suddetto articolo, traspare il permanere di uno stato di incertezza e una carenza di consapevolezza giuridica da parte del legislatore nazionale nel delineare alcuni tratti specifici della disciplina in materia di avvalimento.
È innegabile, tuttavia, come il nuovo Codice dei contratti pubblici offra soluzioni a diverse problematiche, affiorate negli anni: legittimando l’avvalimento plurimo[19], e invece, ribadendo il divieto del c.d. avvalimento a cascata.
Quanto alla ulteriore ipotesi di avvalimento frazionato, che si configura quando l’impresa principale, sprovvista delle capacità e dei mezzi richiesti, decide di attingere dai requisiti di più imprese avvalse, è oggi tendenzialmente ammessa, a patto che non venga espressamente esclusa tale possibilità dalla stazione appaltante, in relazione a quella specifica procedura. Sul punto la giurisprudenza non era concorde: in particolare, vi erano orientamenti discordanti tra la giurisprudenza della Corte di giustizia[20] e quella nazionale, da sempre restia ad ammettere l’avvalimento frazionato[21].
È interessante constatare come il legislatore confermi, anzi rafforzi, l’esigenza di predisporre adeguate verifiche circa l’effettivo possesso dei mezzi e delle risorse e l’utilizzo dei medesimi in fase esecutiva da parte dell’impresa ausiliaria, gravando su quest’ultima l’onere di adempiere direttamente alle obbligazioni assunte nel contratto di avvalimento[22].
Sono invece confermate dal legislatore nazionale alcune previsioni già recepite dal vecchio Codice dei Contratti pubblici del 2006, quale la disposizione in base alla quale l’impresa avvalsa non può prendere parte in proprio alla gara, deve, inoltre, conformarsi alla normativa antimafia, indipendentemente dall’impresa concorrente e, infine, la previsione per cui l’impresa ausiliata potrà dotarsi di più imprese ausiliarie.
In base al dettato dell’articolo 89 del D.Lgs n. 50/2016 si preclude il ricorso all’avvalimento per ottemperare ai requisiti di iscrizione all’Albo Nazionale dei gestori ambientali di cui all’articolo 212 del D.Lgs del 3 aprile 2006 n.152, né qualora nell’oggetto dell’appalto, o della concessione di lavori, rientrino opere per le quali sono richiesti lavori o componenti di essi di notevole contenuto tecnologico, o di rilevante complessità tecnica[23].
La seconda riserva, invece, non contemplata nella previgente normativa, trova fondamento nel comma 11 dell’articolo 89 del Codice dei Contratti pubblici e concerne le strutture e gli impianti di particolare complessità tecnica, la cui identificazione è demandata al decreto del Ministro delle Infrastrutture e trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. Quindi, qualora il valore di tali opere e lavori superino il 10% dell’importo totale dei lavori, in tal caso riscontriamo un divieto assoluto, non imputabile alla discrezionalità dell’ente aggiudicatore, di ricorrere all’avvalimento. L’articolo 63 della direttiva 2014/24/CEE, per la prima volta, precisava che era ammessa la possibilità di attingere alle capacità economico–finanziarie e tecnico–organizzative di un altro soggetto, a patto che quest’ultimo eseguisse direttamente i lavori o i servizi previsti nel bando di gara. Sembrava, ad una lettura superficiale, che si esigesse semplicemente che l’impresa ausiliaria rivestisse un ruolo effettivo nell’adempimento delle obbligazioni assunte.
La dottrina[24] ha, tuttavia, sposato una teoria diversa in base alla quale, attraverso la previsione de qua, il legislatore comunitario intendeva discernere un avvalimento “operativo” dall’avvalimento che non prevede lo svolgimento effettivo delle prestazioni.
Quest’ultima tipologia di avvalimento (il c.d. avvalimento di garanzia) ricorre nel caso in cui la ditta ausiliaria si impegni a prestare e a mettere a disposizione dell’impresa principale la complessiva solidità economica e finanziaria e il proprio patrimonio esperienziale.
Il supremo consesso è intervenuto chiarendo l’oggetto dell’avvalimento di garanzia nell’ambito del quale “la prestazione è costituita non già dalla messa a disposizione da parte dell’impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi ‘materiali’, ma dal suo impegno a “garantire” con le proprie complessive risorse economiche – il cui indice è costituito dal fatturato – l’impresa ausiliata”, e cioè “il suo valore aggiunto in termini di “solidità finanziaria” e di acclarata “esperienza di settore”, dei quali il fatturato costituisce indice significativo[25]”.
Di complessa interpretazione risulta essere il requisito delle “esperienze professionali pertinenti”, in quanto appare arduo conciliare l’onere di effettuare direttamente le prestazioni, imposto dalla disciplina europea, con un requisito dai contorni sfumati e di difficile inquadramento, quale è quello in questione.
La novità dell’art. 63 della direttiva 2014/24 è, senza dubbio, sintomatica di una valorizzazione della connessione tra avvalimento e fase esecutiva dell’appalto, sino ad allora non affrontata, in virtù della considerazione secondo cui l’avvalimento riguardasse soltanto la fase di qualificazione. Difatti, il divieto di demandare i c.d. “compiti essenziali” a soggetti terzi si riferisce alla fase prettamente esecutiva[26].
Si rileva, infine, come la nuova disciplina in materia di avvalimento non si occupi dell’avvalimento nei sistemi di qualificazione, in precedenza regolato dall’articolo 50 del D.Lgs n. 163/2006, assegnando la relativa regolamentazione alle linee guida ANAC sulla qualificazione di cui all’articolo 83, comma 2.
Occorre, a tal proposito, segnalare come lo scenario potrebbe mutare parzialmente, alla luce degli interventi dell’ANAC, che ha redatto un documento - ove propone delle linee guida in materia di avvalimento - rivolto al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per promuovere l’adozione dell’articolo 83, comma 2, del D.Lgs n. 50/2016, rimasto in consultazione fino al 13 luglio 2017[27].
- Avvalimento e subappalto[28]
E’ impensabile prescindere da un’analisi dei rapporti tra il contratto di avvalimento e quello di subappalto, tema che è stato soggetto a interpretazioni discordanti[29].
È bene, però, fare un passo indietro e approfondire il dettato normativo dell’articolo 49 del D.Lgs n. 163/2006, ove era originariamente trasfusa la disciplina sull’avvalimento e che tentava di definire in modo minuzioso i profili generali dell’istituto[30]. In riferimento ai tentativi del legislatore, una volta recepito l’istituto, di salvaguardare l’esigenza che la gara si svolgesse in modo trasparente e che non venissero sminuiti i requisiti di qualificazione, la dottrina rilevava che “l’enfasi di tutela legislativa ha toccato il proprio apice nel comma 10, dell’articolo 49, disponendo che “il contratto è in ogni caso eseguito dall’impresa che partecipa alla gara, alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione, e l’impresa ausiliaria non può assumere a qualsiasi titolo il ruolo di appaltatore, o di subappaltatore[31]”.
Tuttavia, molteplici dubbi ingenerava il divieto contenuto nel comma 10 del suddetto articolo: il sottosegretario di Stato per le infrastrutture, a tal proposito, riteneva che, non consentendo all’impresa ausiliaria di prendere parte all’esecuzione dell’appalto, l’avvalimento correva il rischio di assumere dei connotati allarmanti, agevolando il proliferare di soggetti che non sono veri e propri imprenditori, bensì meri “prestatori di requisiti[32]”, sino “al diffondersi di un mercato dei requisiti”.
Inoltre, era particolarmente sentito il rischio che tale divieto portasse ad una procedura di infrazione da parte della Commissione, che, in un parere del Servizio Legale della Commissione europea, eccepiva come l’operare di quanto disposto dal comma 10 dell’articolo 49 del D.Lgs n. 163/2006 potesse portare a svilire la portata stessa dell’avvalimento e, al tempo stesso, constatava l’utilità del ricorso al meccanismo del subappalto, nel caso in cui le capacità della ditta ausiliaria fossero funzionali allo svolgimento dell’appalto stesso.
È bene altresì passare in rassegna la posizione del Consiglio di Stato sul punto: il supremo organo della giustizia amministrativa, infatti, proponeva di espungere in via definitiva la suddetta previsione normativa, ribadendo, in sede consultiva, la necessità di conformarsi al parere emesso dal Servizio legale della Commissione europea, che aveva evidenziato l’incompatibilità del divieto con la normativa e lo spirito comunitario. Il Consiglio di Stato concludeva sostenendo che “allo scopo di prevenire l’instaurazione di una procedura di infrazione sarebbe auspicabile la soppressione dell’articolo 49, comma 10, e, in sua sostituzione, la previsione a favore dei concorrenti della facoltà per i medesimi di avvalersi nell’esecuzione dei lavori della società ausiliaria, nei limiti della competenza di quest’ultima[33]”.
Il decreto correttivo del 26 gennaio 2007 rimuove tale divieto, travalicando il rapporto di alternatività che sussisteva tra avvalimento e subappalto e allineando la disciplina nazionale a quella comunitaria, in quanto la previsione del comma 10 dell’articolo 49 confliggeva rispettivamente con il considerando 2° e 32° della direttiva 2004/18/Ce e, più in generale con il principio del favor partecipationis e della libertà di iniziativa economica.
Le modifiche apportate dal decreto correttivo alla disciplina in esame sono foriere di conseguenze[34]: se l’articolo 49, comma 6 del D.Lgs n. 163/2006 non imponeva particolari limiti al dispiegarsi della potestà di avvalimento, ad eccezione di quello dell’unicità dell’ausiliario[35]; l’articolo 118 del medesimo decreto, che regolava l’istituto del subappalto, invece, prevedeva che la percentuale massima che poteva essere subappaltata fosse pari al 30% in relazione alla categoria prevalente di lavori. Una volta abolito il principio dell’unicità dell’ausiliario, l’articolo 49, comma 6 del D.Lgs n. 163/2006 arrivava a prevedere un’ipotesi di subappalto non soggetto a condizioni e oneri specifici, che mal si conciliava con la normativa posta dall’ articolo 118[36].
La disciplina normativa modificata ammetteva che la ditta ausiliaria potesse assumere il ruolo di subappaltatore seppur “nei limiti dei requisiti prestati”. Tale espressione alludeva ad una necessaria corrispondenza e compatibilità tra i requisiti che l’impresa avvalente attingeva da un altro operatore economico e di cui si faceva menzione nel contratto di avvalimento e le prestazioni che sarebbero state oggetto di subappalto. Assecondando tale impostazione sorgeva, però, spontanea la domanda: cosa accade se i requisiti prestati, su cui si fonda il contratto di avvalimento, comportano che l’esecuzione delle prestazioni eluda il limite quantitativo del 30%? E, ancora, è applicabile la normativa in materia di subappalto anche qualora esso sorga nell’ambito di un rapporto di avvalimento?
La risposta a tale quesito può ingenerare un effetto clamoroso, dal momento che ammette la configurabilità di una tipologia di subappalto avente caratteristiche peculiari e che di fatto si discosta dalla disciplina generale. Difatti, in tal caso, sarebbe evidente che il limite imposto dalla normativa in materia di subappalto non è destinato ad operare[37]. La deroga alle regole generali è legittimata dal fatto che il subappalto assuma qui una connotazione specifica e sia chiamato a fungere da meccanismo attraverso cui si articolano i complessi rapporti tra avvalente e avvalso e mediante cui si attua la cooperazione tra imprese[38].
Nonostante vi siano numerose voci che si esprimono in senso contrario, evidenziando la necessità di sottostare ai limiti e alle previsioni originariamente posti dall’articolo 118 del D.Lgs n. 163/2006, oggi convince maggiormente la tesi contraria, dal momento che, qualora operassero effettivamente tali previsioni, si ingenererebbe una discrepanza notevole tra la fase di qualificazione, ove non vigono limiti in relazione al prestito dei requisiti da parte della ditta ausiliaria, e quella prettamente esecutiva[39]. Non risulterebbe, inoltre, essere conciliabile con il dettato normativo, in base al quale l’unico vincolo è che il subappalto avvenga “nei limiti dei requisiti prestati”. Ulteriore indice idoneo ad avvalorare la tesi dell’inapplicabilità della disciplina sul subappalto è che il legislatore ribadisce l’operatività di tali condizioni quando il subappalto ha luogo in connessione con altri istituti, menzionando, però, soltanto i raggruppamenti verticali dell’articolo 48 del D.lgs n. 50/2016 e non facendo riferimento al caso in cui operi nell’ambito dell’avvalimento. Come se non bastasse, qualora operasse il limite de quo, le stazioni appaltanti si troverebbero in grave difficoltà, in quanto chiamate a negare il ricorso al subappalto oltre la quota stabilita ex lege: di qui ne potrebbe derivare un inadempimento da parte dell’appaltatore e altresì la risoluzione del contratto di appalto. Per questa ragione, la dottrina invitava il legislatore a rivedere il comma 10, consentendo in questo modo che “anche qualora l’impresa concorrente si qualificasse alla gara d’appalto non dimostrando alcun requisito proprio, ma solo requisiti tecnici altrui, si potrebbe legittimamente verificare un’esecuzione dell’appalto, integralmente effettuata dall’impresa ausiliaria, con buon esito e soddisfazione della stazione appaltante[40]”.
Infine, altre considerazioni di tipo sistematico suffragano la tesi secondo cui, nell’ipotesi in questione, si configura una tipologia specifica di subappalto, che si discosta da quello contemplato in via generale: basti pensare alle differenze che connotano le due fattispecie in relazione al regime di responsabilità e soprattutto al rapporto che si instaura con l’amministrazione aggiudicatrice. Se infatti, nel subappalto nell’ambito dell’avvalimento sorge un rapporto diretto tra il subappaltatore e l’amministrazione e il primo è responsabile in solido con l’appaltatore principale per le obbligazioni derivanti dal contratto; quando si parla di subappalto ordinario, invece, non si instaura alcun rapporto tra subappaltatore e amministrazione e soltanto l’appaltatore risponderà relativamente all’esecuzione delle prestazioni contemplate nel contratto. Dunque, è evidente come siano radicalmente modificati i profili generali e le caratteristiche della fattispecie in questione, per cui è bene concludere per la non applicabilità a tale tipologia di subappalto di tutti gli oneri e le limitazioni vigenti per la fattispecie generali.
In riferimento, invece, ai due contratti che vengono stipulati, possiamo ritenere che il contratto di avvalimento possa combaciare perfettamente con il relativo contratto di subappalto?
Parte della dottrina chiarisce come le due figure negoziali non siano destinate a sovrapporsi, pur essendo fortemente connesse. Infatti, il contratto di avvalimento mira ad accertare l’effettiva disponibilità dei mezzi e delle risorse oggetto di prestito all’impresa avvalente, che vengono incorporati nella attestazione SOA. L’oggetto della “messa a disposizione” coincide, perciò, con l’insieme delle risorse che, se considerato complessivamente, consente di ottenere la certificazione SOA.
Questa considerazione ci porta a ritenere il contratto de quo maggiormente assimilabile alle figure dell’affitto dell’azienda o del ramo d’azienda.
Quanto al subappalto, la cui durata è circoscritta al periodo necessario per l’adempimento delle prestazioni, esso investe la fase prettamente esecutiva. Per questo motivo, possiamo concludere nel senso che le due fattispecie operano su due piani diversi, dato che l’uno riguarda la fase di qualificazione e si limita ad enumerare i requisiti che saranno conferiti alla ditta concorrente e fornendo, poi, adeguate garanzie in merito alla concreta disponibilità degli stessi; mentre la seconda fattispecie investe la fase di esecuzione e ad essa spetta determinare le dinamiche mediante cui saranno concretizzate le relative prestazioni dalla ditta ausiliaria[41].
Infine, risulta utile una breve parentesi in merito alle novità apportate dal nuovo Codice dei contratti al subappalto: degne di un approfondimento sono due norme, in modo particolare, dell’articolo 105 del D.lgs n. 50/2016[42]. Anzitutto la prima disposizione innovativa prevede che il limite quantitativo del 30% operi non più in relazione alla categoria prevalente dei lavori, bensì faccia riferimento all’importo complessivo del contratto: tale modifica avvalora ancor più le considerazioni fatte in tema di subappalto nell’ambito dell’avvalimento.
In secondo luogo, un’interessante novità riguarda la previsione di un’autorizzazione da parte dell’amministrazione aggiudicatrice ai fini del ricorso al subappalto, per cui la stazione appaltante potrebbe altresì arrivare a contestare tale possibilità.
Dunque, le novità fin qui esaminate condensate nel nuovo Codice dei contratti pubblici, non fanno altro che comprovare l’indirizzo secondo cui la disciplina generale sul subappalto sia inapplicabile allorché il contratto di subappalto venga stipulato tra l’impresa ausiliaria e la ditta che ha concluso il contratto di appalto e avvenga nell’ambito di un avvalimento. Si configura, quindi, una fattispecie di subappalto dai connotati peculiari che non può essere assimilata al subappalto in senso tecnico, e, pertanto, non è assoggettabile alle medesime restrizioni e vincoli.
Si precisa, infine, che la disciplina inerente tale fattispecie di subappalto non necessita di chiarimenti o previsioni ulteriori – che andrebbero unicamente ad appesantire un impianto normativo già saturo di norme scritte male e di difficile interpretazione – essendo già tutto condensato all’interno della disciplina codicistica, ove si rinvengono tutti gli elementi idonei a consentire il ricorso a tale tipologia di subappalto.
- La disciplina del subappalto e dell’avvalimento al vaglio della Commissione europea
La Commissione Europea ha recentemente aperto la procedura d’infrazione contro 15 Stati membri, tra cui l’Italia, in virtù della “mancata conformità del quadro giuridico italiano alle direttive del 2014 in materia di contratti pubblici”[43]. L’istituzione europea è, infatti, chiamata a porre in essere le verifiche e gli accertamenti sul corretto e uniforme recepimento delle direttive e sul conseguimento degli obiettivi prefissati dalle stesse.
Gli Stati interessati sono ora chiamati entro due mesi a replicare alle argomentazioni della Commissione prima che la stessa, in qualità di guardiana dei Trattati, prosegua la procedura di infrazione mediante l’adozione del parere motivato e l’eventuale decisione di ricorso alla Corte di Giustizia (art. 258 TFUE).
Nello specifico, nella lettera di costituzione in mora la Commissione ha censurato alcune disposizioni del D.Lgs n. 50/2016 ritenendo le medesime non compatibili con le direttive euro-unitarie in materia (direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE).
Oggetto di critiche sono state, in particolare, la disciplina sul subappalto e sull’avvalimento.
In riferimento al subappalto, la Commissione, già all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici, aveva rilevato che “la disciplina di cui all’articolo 105 del Codice Italiano dei contratti pubblici sembra creare un sistema in cui il subappalto è, in linea generale, vietato. Il subappalto è infatti consentito unicamente dietro espressa autorizzazione della stazione appaltante, e in ogni caso nel limite massimo del 30% dell’importo dell’opera (….). L’introduzione di quello che appare come un divieto generale di subappaltare i contratti, eccetto nei casi specificati nell’articolo 105, e la previsione di limiti quantitativi generali e astratti applicabili laddove il subappalto è consentito, sembrano in netto contrasto con le norme e la giurisprudenza UE”. La Commissione europea ha in primis contestato le limitazioni quantitative poste dall’articolo 105, comma 2 e 5 del D.Lgs n. 50/2016, in base alle quali il subappalto non poteva superare la quota del 30%. Ad avviso della Commissione, il suddetto limite confliggeva con “il principio secondo cui occorre favorire maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto[44]”.
In base alla normativa nazionale in materia, inoltre, tale restrizione al ricorso al subappalto era destinata ad operare in tutti i casi, a prescindere dalla natura della prestazione e dalle capacità dei subappaltatori, in aperto contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di partecipazione delle PMI perseguiti dalla normativa in materia di appalti pubblici.
La questione normativa era stata in precedenza affrontata dal Tar Lombardia[45], che aveva emesso una sentenza non definitiva con la quale – relativamente al limite del subappalto - rinviava al giudice comunitario, al fine di “verificare se quest'ultimo osti all'applicazione delle regole nazionali che, nel settore degli appalti pubblici, impongono che il subappalto non possa superare la quota del 30 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori[46]”.
Dello stesso tenore, era il quesito interpretativo rimesso alla Corte di giustizia dal Consiglio di Stato, sez. VI, 11 giugno 2018, n. 3553, che sottoponeva al vaglio dei giudici di Lussemburgo il “vecchio” subappalto, ossia la precedente edizione della disciplina contenuta nell'articolo 118, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006.
In riferimento al subappalto, è interessante passare in rassegna anche un orientamento opposto sostenuto dai giudici amministrativi, che hanno ritenuto legittime le clausole del bando che scoraggiano il ricorso al subappalto, in quanto il medesimo non assurge a strumento finalizzato alla massima partecipazione nelle gare di appalto[47], come l’avvalimento o il raggruppamento di imprese, anzi si tratterebbe di un istituto “per natura idoneo a creare problemi che si riflettono sulla corretta esecuzione dell’appalto e sul rispetto di alcune norme a carattere imperativo (rispetto degli obblighi previdenziali per i dipendenti del subappaltatore, rispetto di norme a tutela dell’ambiente)”[48].
Non era ritenuta conforme alla normativa europea altresì un’altra disposizione sul subappalto del Codice dei contratti pubblici, che contemplava l’obbligo di indicazione in sede di offerta della terna di subappaltatori[49]. Tale onere operava anche nel caso in cui occorresse un numero inferiore di subappaltatori o qualora non fosse necessario il ricorso al subappalto. Nonostante le direttive comunitarie[50] richiedano l’indicazione dei “subappaltatori proposti” nei documenti di gara, la Commissione ha ritenuto che il dettato normativo dell’art. 105, comma 6, violasse apertamente il principio di proporzionalità di cui all’articolo 18, comma 1, della direttiva 2014/24/UE.
Nel mirino della Commissione europea è finita anche la disciplina sull’ avvalimento di cui all’art. 89 del D.Lgs n. 50/2016. Nello specifico, la Commissione ha censurato le norme del Codice dei Contratti pubblici che vietano l’avvalimento a cascata (art. 89, comma 6), che vietano che l’impresa ausiliaria presenti offerta nella stessa procedura di gara (art. 89, comma 7) e che precludono l’utilizzo dell'avvalimento per le opere cosiddette “superspecialistiche” (art. 89, comma 11).
Tali divieti incondizionati contemplati dalla normativa vigente sono incompatibili con il principio di proporzionalità, in quanto rispettivamente non ammettono la possibilità che l’impresa ausiliaria si avvalga a sua volta dei requisiti di un’altra impresa, se necessario; non lasciano agli operatori economici spazi per comprovare che la partecipazione alla medesima gara da parte della ditta ausiliaria non incida sul rispetto delle obbligazioni contrattuali o sulla condotta tenuta in sede di gara, né consentono, in relazione alle fattispecie di cui all’art. 89, comma 11, di non vietare l’avvalimento in toto ma limitatamente a quelle prestazioni di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica.
Stupisce, senza dubbio, la presa di posizione della Commissione sull’avvalimento cd. a cascata in merito al quale la giurisprudenza nazionale si era già espressa negativamente, in quanto tale tipologia di avvalimento era in grado di elidere “il necessario rapporto diretto che deve intercorrere tra ausiliaria e ausiliata, allungando e, quindi, indebolendo, la catena[51]” e soprattutto, presupponeva la non autosufficienza del soggetto avvalso, che, sprovvisto dei requisiti speciali da offrire in prestito all’impresa ausiliata, si avvaleva di un altro operatore economico.
Tale apertura verso l’ammissibilità generale dell’avvalimento, trova, senza dubbio, fondamento rispettivamente nell’art. 54 della direttiva 2004/17 e nell’art. 63 della direttiva 2014/24, secondo cui l’appaltatore può requisire mezzi e risorse umane e strumentali di altri soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto instauratosi tra di essi. Le osservazioni della Commissione europea in materia di avvalimento confermano la portata generale dell’istituto: tuttavia, non bisogna sottovalutare il rischio che, non ponendo limiti al ricorso alla potestà di avvalimento, si arrivi a “consentire delle scatole vuote e a snaturare la stessa ratio dell’istituto; che è quella di permettere la partecipazione di altri soggetti e non di consentire di potersi rendere ausiliario di altri[52]” e che da strumento per incentivare la concorrenza tra imprese si tramuti in un meccanismo per aggirare la normativa generale sulla procedura ad evidenza pubblica.
Alla luce di tali ammonimenti, gli interventi normativi del legislatore nazionale, in particolare in materia di subappalto, erano piuttosto prevedibili, date sia le molteplici perplessità manifestate dalle istituzioni europee che l’evidente “discrasia finalistica[53]” tra le direttive euro-unitarie e l’ordinamento nazionale. Al fine di semplificare e accelerare le procedure di affidamento dei contratti pubblici, cercando comunque di garantire imparzialità e trasparenza, il Decreto-legge n. 32 del 18 aprile 2019 (cd. Decreto Sblocca-Cantieri) ha introdotto modifiche rilevanti in tema di subappalto, nella prospettiva di una maggiore liberalizzazione dell’istituto in fase di esecuzione delle gare di appalto[54].
Nel nuovo testo dell’articolo 105 si legge che “il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del cinquanta per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture”. Dunque, in base alla nuova impostazione, spetterà alla singola stazione appaltante stabilire un limite alle prestazioni subappaltabili, tenuto conto delle peculiarità della singola procedura e della natura stessa delle prestazioni dedotte nel contratto.
Il Decreto Sbocca Cantieri reca un’altra interessante novità tesa ad assecondare la volontà del regolatore europeo: si prevede l’abrogazione dell’obbligo di indicazione, in sede di offerta, della terna di nominativi dei sub-appaltatori e altresì dell’obbligo di dimostrare l’assenza, in capo agli stessi, dei motivi di esclusione ai sensi del comma 4, lett. d) dell’articolo 105 del D.Lgs n. 50/2016. Il riconoscimento di maggiori spazi all’istituto è, tuttavia, stato accompagnato da numerose incertezze, poiché da sempre nel nostro Paese il subappalto ha rappresentato uno strumento privilegiato dalle mafie e soggetto ad un uso distorto, configurando “una zona opaca, all’ombra della quale prosperano le mafie, il lavoro nero, i cantieri insicuri che generano infortuni sul lavoro (…) fenomeno sotto gli occhi di tutti, asseverato da statistiche, prove e controprove[55]”. Si temeva, infatti, che optando per un’opzione regolatoria meno intransigente venissero messi in discussione quei valori superiori consacrati nell’articolo 36 del TFUE, quali quello della legalità, della trasparenza e della sicurezza pubblica. A tal proposito, giova ricordare come già con il Decreto-legge n.113/2018 (cd. “Decreto sicurezza”)[56] il legislatore nazionale si era avveduto della necessità più che di circoscrivere l’ambito di operatività dell’istituto de quo di introdurre delle regole specifiche che consentissero alla stazione appaltante di verificare che le prestazioni subappaltate fossero eseguite da imprese “qualificate e immuni da contaminazioni mafiose (…) in questa prospettiva, lo strumento del subappalto può recuperare la sua reale funzione di promozione della concorrenza e di apertura del mercato alle piccole e medie imprese (come voluto proprio dal regolatore europeo)[57]”.
Pertanto, si auspica che le contestazioni di Bruxelles inaugurino una stagione di riforme del Codice dei contratti pubblici che sembra aver preso avvio più con il Decreto Sblocca-Cantieri che con il Decreto semplificazioni. La materia dei contratti pubblici è d’altronde un cantiere sempre aperto, ove si necessita di interventi tesi a garantire maggiore chiarezza nella formulazione delle norme e in grado di ovviare alle incertezze interpretative ed applicative che, da sempre, hanno connotato la disciplina dei contratti pubblici. In questo contesto un ruolo determinante è stato attribuito al giudice amministrativo, chiamato a mettere ordine “all’interno di una selva di norme talvolta contraddittorie, sovente mal confezionate e ancor più spesso malamente applicate da stazioni appaltanti, che sono tra le prime vittime di una carenza ed oscurità normativa[58]”.
Ma, d’altra parte, come scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Se vogliamo salvarci, è necessario un cambiamento. Ma il cambiamento non deve venire dall’esterno, ossia continuando ad avanzare proposte di modifica contorte e sterili che paralizzano il mercato pubblico e conducono progressivamente le imprese al fallimento. Ma tutto deve rimanere com’è, se vogliamo che tutto cambi. È forse, questo, il cuore di ogni reale cambiamento: non abbiamo bisogno di nuovi Codici, se non si dà tempo (o consente) a quello attuale di trovare spazio e applicazione e di adattarsi al contesto specifico dei singoli Stati membri.
[1] Già a partire dalla legge n. 2248 del 20 marzo 1865 il principio della personalità nella gestione degli appalti pubblici ha assunto una funzione determinante. Il principio de quo, secondo i giudici amministrativi, rilevava sia ai fini dell’identità dell’impresa concorrente che delle qualità dell’operatore economico. Inoltre, consacrava “quei requisiti personalissimi che gli appaltatori devono possedere; in una parola, dominante è l’attenzione alla personalità del contraente”. Sul punto, M. Andreis, (a cura di), Profili di personalità nella gestione degli appalti pubblici, Milano, 2006, p. 5. Si veda anche V. Neri, Requisiti di ordine generale per la partecipazione agli appalti pubblici: spunti ricostruttivi, in Riv. trimestrale degli appalti, 2009, fasc. 2, p. 310, secondo cui tale principio rappresenta, di fatto, la trasposizione in chiave pubblicistica dell’intuitus personae, che connota il contratto d’appalto privato.
[2] R. Rotigliano, L'avvalimento negli appalti pubblici: punti fermi e nodi irrisolti, in Il nuovo diritto amministrativo, 1/2013, p. 58, evidenzia i profili patologici dell’istituto dell’avvalimento che “rischia di costituire l'usbergo (solo) formale sotto il quale dissimulare una qualificazione che in concreto manca”.
[3] La disciplina del subappalto, a seguito dell'abrogazione dell’art. 118 del D.Lgs. n. 163/2006 e dell'art. 170 del Regolamento n. 207/2010, è stata incorporata nell' art. 105 del Decreto Legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e successivamente modificato con il Decreto Legislativo 19 aprile 2017 n. 56, "correttivo" al Codice dei Contratti Pubblici.
[4] Così R. Rotigliano, v. op. cit.
[5] Così Cons. St., sez. VI, 11 giugno 2018, n. 3553, che sottolinea che la previsione di limitazioni al ricorso al subappalto “può rendere più difficoltoso l’accesso delle imprese, in particolar modo di quelle di piccole e medie dimensioni, agli appalti pubblici, così ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi e precludendo, peraltro, agli stessi acquirenti pubblici l’opportunità di ricevere offerte più numerose e diversificate”. Tuttavia – chiarisce il supremo consesso – “l’obiettivo di assicurare l’integrità dei contratti pubblici e la loro immunità da infiltrazioni della criminalità potrebbe giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi”.
[6] TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, 5 marzo 2015 n. 645.
[7] F. Mastragostino (a cura di), Diritto dei contratti pubblici, Torino, 2017, p. 377 ss.
[8] N. Sersale - A. Tiraboschi, La partecipazione aggregata alle gare e l’avvalimento, Milano, 2015 p. 192 e ss.
[9] C. Giust. CEE 14 aprile 1994 n.389/92.
[10] Tra le pronunce più rilevanti, che hanno determinato un cambio di rotta nella concezione dell’istituto, ricordiamo quella del 2 dicembre 1999, C.176/98, Holst Italia.
[11] G.P. Cirillo, Il contratto di avvalimento nel nuovo codice dei contratti pubblici: il persistente problema della sua natura giuridica, in Rivista del Notariato 2016, p. 590, fasc. 3.
[12] Quando il contratto di avvalimento ha ad oggetto l’attestazione SOA di un’impresa si pongono diverse problematiche, legate sia all’eccessiva frammentazione del sistema delle qualificazioni che alla legittimità del trasferimento di un titolo, che ha carattere personale e che scaturisce dall’esercizio di una speciale attività d’impresa.
[13] G.P. Cirillo, op. ult. cit., p. 588.
[14] L’errore di prospettiva che ha accompagnato l’interpretazione dell’istituto de quo è stato quello di isolare l’avvalimento alla fase di gara, ignorando la necessità di coinvolgere l’impresa avvalente nella fase esecutiva dell’appalto, ai fini della garanzia di coerenza del sistema. Recentemente, anche la Corte di Giustizia 14 settembre 2017, C-223/2016, ha chiarito che gli operatori economici possono disporre dei requisiti di altri soggetti, a patto che questi ultimi eseguano i lavori per cui tali capacità sono richieste.
[15] Cons. St., sez. VI, n. 8145 del 2004.
[16] M. Martinelli, Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/Ce, Milano, 2005, p. 626
[17] Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50
[18] A. Romano, L’avvalimento come forma di cooperazione fra imprese nell’esecuzione di appalti pubblici, in www.giustamm.it, 9/2008.
[19] In base alla formulazione del nuovo Codice dei contratti, si ammette sia l’avvalimento plurimo che quello frazionato. L’articolo 89, comma 6 del D.Lgs n. 50/2016 dichiara che “è ammesso l’avvalimento di più imprese ausiliarie”: tale formula deve essere interpretata in senso estensivo, ossia si legittima sia la possibilità che l’impresa principale attinga dai requisiti di diversi operatori economici per ciascuna categoria di qualificazione, sia che il concorrente si avvalga di più ausiliarie per una singola categoria di qualificazione e, infine, che, al fine di prendere parte alla gara, il concorrente proceda ad un frazionamento del singolo requisito con l’impresa ausiliaria. La genericità della previsione de qua lascia intendere che non è necessario il possesso per intero dei requisiti indicati nella lex specialis di gara, salvo che la stazione appaltante preveda diversamente.
[20] Corte di giustizia europea 10 ottobre 2013, n. C-94/12.
[21] Conformi Cons. St., sez. IV, 17 ottobre 2012, n. 5340; sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3565; sez. III, 1 ottobre 2012, n. 5161. Sul punto, R. Caranta, La Corte di giustizia “bacchetta” l’Italia sull’avvalimento, in Urb. e app., 2014, p. 147.
[22] Corte di giustizia europea 7 aprile 2016, n. C- 324/14.
[23] A. Apicella, Avvalimento: le novità del nuovo codice degli appalti, in www.diritto.it, 2016, p. 3 e ss.
[24] R. Mangani, L’avvalimento nel nuovo Codice dei contratti pubblici tra vecchie questioni e nuovi problemi, in www.giustamm.it, 2016, p.3 e ss.
[25] Cons. St., Sez. V, 22 dicembre 2016, n. 5424. Conformi Cons. St., III, 4 novembre 2015, nn. 5038 e 5041, 2 ottobre 2015, n. 4617, 6 febbraio 2014, n. 584.
[26] La previsione secondo cui alcuni compiti essenziali devono essere necessariamente svolti dalla concorrente favorisce la configurazione di “un nucleo forte di indelegabilità” dei requisiti, in considerazione della necessità che la stazione appaltante debba poter confidare nel concorrente che partecipa alla gara pubblica d’appalto. Sul punto vedi S. Falerno, L’istituto dell’avvalimento nel nuovo codice dei contratti pubblici, 78. Parte della dottrina ha tacciato la disposizione di eccessiva indeterminatezza, ritenendo la stessa non perfettamente allineata con i dettami dell’ordinamento europeo; mentre un’altra parte consistente si è espressa positivamente sulla novità introdotta dal legislatore, in quanto consentiva il giusto equilibrio tra l’esigenza di apertura del mercato degli appalti pubblici con altre esigenze ugualmente degne di tutela. Si rimanda a G.P. Cirillo, op. ult. cit., p. 62.
[27] L’ANAC ha precisato che la proposta di linee guida è necessaria al fine di “scongiurare che l’avvalimento si riduca ad un prestito soltanto formale di requisiti, non supportato dall’effettiva messa a disposizione delle risorse umane e strumentali idonee a garantire la capacità esecutiva dell’impresa ausiliata”. Sulla proposta di linee guida dell’ANAC in materia di avvalimento si veda G. LATOUR, Linee guida: durata e rapporti con le imprese, l'Anac blinda l'avvalimento, in Edilizia e Territorio, 2017.
[28] In dottrina, R. De Nictolis, I nuovi appalti pubblici, Zanichelli Editore, Bologna, 2017, p. 1017, rileva come l’avvalimento si configuri come una figura “di soccorso” ai soggetti non qualificati, che intendono prendere parte alla gara di aggiudicazione; mentre il subappalto attiene alle modalità di svolgimento della fase esecutiva dei lavori, ove la concorrente, pur disponendo, al momento della presentazione dell’offerta, di tutti i requisiti, contemplati nel bando di gara, decide di demandare una parte dei lavori ad un altro operatore economico. La giurisprudenza è concorde sul punto: a tal proposito si veda Cons. St., sez. V, 20 giugno 2011, n. 3698, in Urb. e app., 2011, 1329, con nota di S. Usai, Rapporti tra subappalto e dichiarazione di avvalimento dei requisiti.
[29] R. Mangani, op.cit., p. 13.
[30] Il divieto che gravava sull’impresa avvalsa di assolvere al ruolo di subappaltatrice aveva sollecitato l’intervento del servizio legale della Commissione europea secondo cui “il divieto per l’impresa ausiliaria di partecipare alla realizzazione dell’appalto a qualsiasi titolo può annientare la portata dell’avvalimento. Perché non potrebbe partecipare come subappaltatore? Il subappalto non può essere vietato dalla stazione appaltante. Se c’è un caso in cui può essere utile il ricorso al subappalto è proprio quando le capacità della società ausiliaria sono necessarie alla realizzazione dell’appalto. Altrimenti, in questo caso diventa obbligatorio raggrupparsi. E perché, invece, non potrebbero indicare nell’offerta che la società ausiliaria realizzerà la parte per la quale è competente”.
[31] V. Miniero, Avvalimento, meglio abolire il divieto di subappalto, in Edilizia e Territorio, Il Sole- 24 ore, n.44/2007, p. 10 e ss.
[32] Intervento di Tommaso Casillo, sottosegretario di Stato per le infrastrutture, in Atti di Governo, n. 33, XIV Commissione, 29 novembre 2006.
[33] Cons. St., Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, Adunanza del 28 settembre 2006, parere n. 3641/2006.
[34] La rimozione di tale divieto aveva posto, inoltre, molteplici problemi esegetici: M. Baldi- R. Tomei (a cura di), La disciplina dei contratti pubblici, Commentario al Codice appalti, Milano, 2 ed., 2009, p. 515, ritengono che il ricorso al subappalto risponda ad una facoltà accordata al concorrente, come emerge sia dal tenore letterale della norma sia dalla circostanza per cui il rapporto tra gli operatori economici, che stipulano il contratto di avvalimento, può essere ascritto a innumerevoli tipi negoziali. In senso opposto si esprime R. Mangani, Nell’avvalimento due contratti: uno solo per il subappalto e l’altro per l’affitto d’azienda, in Edilizia e Territorio, 2007, p. 7, che, partendo dalla distinzione tra il comma 2 dell’art. 49 e il comma 10 della medesima norma, conclude sostenendo che, in ogni caso, il rapporto tra ditta ausiliaria e impresa principale è destinato ad essere qualificato come subappalto, pertanto “l’assunzione del ruolo di subappaltatore da parte dell’impresa ausiliaria previsto dal comma 10 non rappresenta una semplice possibilità ma piuttosto l’unica forma in cui può articolarsi l’apporto dell’impresa ausiliaria in fase di esecuzione delle prestazioni”.
[35] Tale limitazione è stata, poi, definitivamente espunta dal D.Lgs 11 settembre 2008, n. 152.
[36]E. Feresin, L'avvalimento negli appalti pubblici, Milano, 2009, p.190 e ss.
[37] Sul punto si era espressa l’allora Autorità di vigilanza sui contratti pubblici che, nella determinazione n. 2/2012, riteneva che il limite quantitativo del 30%, in relazione ai lavori della categoria prevalente, dovesse essere rispettato e che, in generale, operavano i medesimi limiti e vincoli quando il subappalto si configurava nell’ambito dell’avvalimento. L’Autorità sosteneva che “mentre nella fase di qualificazione il concorrente può utilizzare liberamente l’avvalimento, qualora esso si concretizzi in subappalto, quest’ultimo incontra i limiti previsti dalla disciplina speciale pubblicistica per esso stabilita”. Anche il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si era espresso in tal senso, evidenziando la necessità di non travalicare i vincoli posti dall’articolo 118 del D.Lgs n. 163/2006, tra cui figura la previsione di un corrispettivo in riferimento ai rapporti tra appaltatore-subappaltatore o la necessità di un’apposita autorizzazione per consentire il subappalto.
[38] G. Fischione, L'avvalimento: quid iuris?, in giustamm.it-Rivista di diritto amministrativo, 2-2006,p. 7.
[39] Il concorrente, laddove vigesse la condizione del 30% e la percentuale dei lavori demandati all’impresa ausiliaria oltrepassasse tale limite, sarebbe chiamato ad avvalersi di uno strumento diverso dal subappalto.
[40] V. Miniero, Avvalimento, meglio abolire il divieto di subappalto, in Edilizia e Territorio, Il Sole- 24 ore, n.44/2007, p. 21.
[41] R. Mangani, op. cit. p. 8.
[42] R. Mangani, op.cit.
[43] Commissione Europea, lettera di costituzione in mora – infrazione n. 2018/2273
[44] A tal proposito, si veda il considerando 78 della direttiva 2014/24/UE secondo cui “è opportuno che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle PMI”.
[45] Tar Lombardia, Milano, sez. I, 19 gennaio 2018, n. 148.
[46] M. Frontera, Appalti, sul tetto del 30% al subappalto la parola passa a Bruxelles (con esito prevedibile), in Edilizia e Territorio, 16 gennaio 2018.
[47] M. Salerno, Tar Piemonte: legittimo il bando che scoraggia il subappalto, «crea problemi nel corso del contratto», 31 maggio 2018.
[48] Tar Piemonte, Torino, sez. I, 11 maggio 2018, n. 578.
[49] Art. 105, comma 6 del D.Lgs n. 50/2016. L’eliminazione di tale disposizione normativa era già stata proposta negli emendamenti al Decreto semplificazione.
[50] Art. 71, comma 2 della direttiva 2014/24/UE.
[51] Cons. St, sez. V, 13 marzo 2014 n. 1251.
[52] C. Volpe, La Corte di Giustizia dà il via libera all’avvalimento plurimo e frazionato, in www.giustizia-amministrativa.it, 2013, p. 1.
[53] C. Deodato, Il Subappalto: un problema o un’opportunità?, in www.giustizia-amministrativa.it, 2017, p. 2.
[54] Il Decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” si inserisce nell’ambito di un progetto di più ampio respiro che prevede la revisione del D.Lgs n. 50/2016.
[55] Osservazioni Finco sulla Bozza del Decreto-legge in Consiglio dei Ministri, 15 aprile 2019.
[56] L’art. 25 del Decreto-legge n.113/2018 ha previsto un inasprimento del trattamento sanzionatorio nei confronti degli operatori economici che ricorrono in modo illecito al meccanismo del subappalto, punendo con la pena della reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a un terzo del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in sub-appalto.
[57] C. Deodato, op.cit., p. 7.
[58] http://www.igitalia.it/doc/conv2709-17Carbone.pdf.