Consiglio di Stato, sez. cons. atti norm., 5 marzo 2019, n. 667

NUMERO AFFARE 00109/2019

LEGGI IL PARERE

Numero 00667/2019 e data 05/03/2019 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Consultiva per gli Atti Normativi

Adunanza di Sezione del 31 gennaio 2019


NUMERO AFFARE 00109/2019

OGGETTO:

ANAC - Autorità nazionale anticorruzione.


 

Schema di Linee guida aventi ad oggetto "Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici", in attuazione dell'articolo 213, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

LA SEZIONE

Vista la relazione trasmessa con nota prot.U. n. 2185, in data 11 gennaio 2019, rettificata con nota in pari data prot.U. n. 2441, con la quale l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in merito allo schema di Linee guida indicato in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Roberto Proietti;


 

1. Premessa

Con relazione trasmessa con nota prot.U. n. 2185, in data 11 gennaio 2019, rettificata con nota in pari data prot.U. n. 2441, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in merito allo schema di Linee guida aventi ad oggetto "Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici".

L'Autorità ha predisposto la propria relazione illustrativa per dare conto delle scelte adottate, anche in rapporto alle osservazioni pervenute dai soggetti interessati.

Il testo delle Linee Guida è stato elaborato tenendo conto delle istruzioni operative fornite dalla Commissione Europea - Ufficio Europeo per la lotta antifrode (OLAF) nella linea pratica per i dirigenti recante «Individuazione dei conflitti di interessi nelle procedure d'appalto nel quadro delle azioni strutturali», adottate nel 2013 e dei contributi pervenuti dai soggetti intervenuti alla consultazione pubblica eseguita dall’ANAC.

Il documento è stato posto in consultazione pubblica, con modalità aperta, alla quale sono intervenuti 13 soggetti: 3 amministrazioni pubbliche e società pubbliche; 4 associazioni di categoria; 2 dipendenti pubblici; 2 imprese private; 2 soggetti che hanno chiesto di mantenere l’anonimato.

L’Autorità ha ritenuto di non prendere in considerazione nelle Linee guida in esame particolari ipotesi di potenziali situazioni di conflitto di interessi già altrimenti disciplinate.

Al riguardo, questa Sezione ritiene che l’Autorità abbia correttamente evitato di fornire indicazioni di dettaglio (fatto salvo quanto si dirà innanzi circa l’opportunità di esemplificazioni chiarificatrici) considerando che lo schema di Linee guida proposto reca indicazioni di carattere generale mentre prescrizioni più analitiche, con riferimento a specifiche casistiche, sono state fornite nel PNA 2016, adottato con Delibera ANAC n. 831 del 3 agosto 2016.

Ciò vale anche per ciò che concerne il conflitto di interessi in ambito sanitario, poiché l’Autorità si è già occupata di tale problematica con le Linee Guida per l’adozione dei Codici di comportamento negli enti del SSN, approvate 20 settembre 2016, da A.N.AC., Ministero della Salute e AGENAS.

L’Autorità ha rappresentato di adottare le Linee guida in esame in attuazione dell'articolo 213, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, al fine di fornire indicazioni non vincolanti per i destinatari, per favorire la diffusione delle migliori pratiche e la standardizzazione dei comportamenti da parte delle stazioni appaltanti, nell'ottica di addivenire alla corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni di legge.

L’art. 213 del codice dei contratti pubblici, dopo aver stabilito che la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici e l'attività di regolazione degli stessi, sono attribuiti, nei limiti di quanto stabilito dal d.lgs. n. 50/2016, all'Autorità nazionale anticorruzione (comma 1), prevede che l’Autorità, attraverso Linee Guida, garantisce la promozione dell'efficienza, della qualità dell'attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche; trasmette alle Camere, immediatamente dopo la loro adozione, gli atti di regolazione e gli altri atti (sopra indicati) ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto, per numero di operatori potenzialmente coinvolti, riconducibilità a fattispecie criminose, situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti; per l'emanazione delle Linee Guida, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell'impatto della regolazione, di consolidamento delle Linee Guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale, in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n. 11 del 2016 e dal codice dei contratti pubblici (comma 2).


 

2. La normativa di riferimento

2.1. Con le Linee guida in esame ci si prefigge lo scopo di individuare e gestire i conflitti di interesse nelle procedure di gara pubblica, in base a quanto stabilito dall’articolo 42 del codice dei contratti pubblici.

Tale norma, che costituisce una novità nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, trova la sua ratio nell’esigenza di disciplinare il conflitto di interesse nel particolare contesto della contrattualistica pubblica, particolarmente esposto al rischio di interferenze, a tutela del principio di concorrenza e del prestigio della pubblica amministrazione.

Ovviamente, la norma va inquadrata nell’ambito della disciplina generale del conflitto di interesse, oggetto delle disposizioni contenute nell’articolo 6-bis della legge n. 241/1990; nella legge n. 190/2012; nel d.lgs. n. 39/2013; negli artt. 3, 6, 7, 13, 14 e 16 del d.P.R. n. 62/2013; nell’articolo 53, comma 14, del d.lgs. 165/01; nell’articolo 78, del d.lgs. n. 267/2000. In questo senso occorre modificare la indicazione di cui al paragrafo 1.2 delle Linee Guida specificando che la prevalenza delle previsioni della norma speciale di cui all’art. 42 sulle altre disposizioni vigenti, si verifica solo ove queste ultime siano in contrasto con essa.

2.2. La normativa anticorruzione

L’esigenza di arginare il fenomeno della corruzione all'interno delle pubbliche amministrazioni, ha comportato l’adozione della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione), in linea con quanto stabilito dall'art. 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU (UNCAC), il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e dagli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110.

La legge n. 190 del 2012 prevede un sistema di tutela anticipata, che affianca il classico modello sanzionatorio imperniato su forme di tutela repressiva che, quindi, attengono ad un momento in cui il fenomeno della corruzione si è consumato.

La normativa anticorruzione, invece, si basa sul principio secondo il quale i fenomeni di corruzione all'interno delle amministrazioni pubbliche vanno affrontati e combattuti anche prima che i fenomeni corruttivi si siano consumati.

Quindi, l'ambito di individuazione della situazione di pericolo, legata ai fenomeni della corruzione, è stata anticipata dal piano dell'azione amministrativa al piano dell'organizzazione amministrativa.

Con l'art. 1, comma 41, della legge n. 190/2012, l’azione preventiva della corruzione è divenuta un principio generale di diritto amministrativo, in quanto è stato introdotto l'art. 6 bis alla legge n. 241/1990, secondo il quale il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale (in qualsiasi procedura anche diversa dalla materia che ci occupa) devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

E’ chiaro che con l'introduzione di tale principio all'interno della legge sul procedimento amministrativo, da un lato, è stato ampliato lo spettro dei vizi che possono inficiare il provvedimento amministrativo e, dall’altro, sono sorte criticità nell'individuazione della situazione di incompatibilità nel caso concreto, considerata l'ambiguità del concetto di "conflitto di interessi".

E’ necessaria una premessa. L’attività di indirizzo e di vigilanza dell’ANAC si esplica, in generale, al fine di combattere il fenomeno della corruzione. A quest’ultimo termine è ormai attribuito un significato più ampio che quello strettamente connesso con il reato previsto e punito dagli articoli 318 e 319 del codice penale. Come osservato da Cass. Pen., Sez. 6, 7 marzo 2018, n. 26025, il Legislatore con la modifica dell’art. 319 c.p. che punisce la così detta corruzione impropria, ha esteso l’area della punibilità, sganciandola da una logica di stretta sinallagmacità tra la dazione o l’utilità e l’atto d’ufficio. Questo è smaterializzato conducendo alla punibilità di quella che è definita “vendita della funzione”.

Verso tale nuova concezione omnicomprensiva del termine e del fenomeno della corruzione vanno le modifiche apportate al sistema giuridico dalla legge n. 190 del 2012, e in particolare: l’introduzione dell’articolo 6 bis della l. 241/1990 ad opera dell’art. 2, comma 41, già ricordata; le modifiche dell’art. articolo 53, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ad opera del medesimo articolo 2, comma 42 le quali tutte si innestano su un corpus già sostanzialmente predisposto costituito dagli artt. 3, 6, 7, 13, 14 e 16 del d.P.R. 62/2013, dall’art. 78 del d.lvo 18 agosto 2000, n. 267 e, non ultimo, dall’art. 51 c.p.c.. La tendenza realizza i principi di cui alla citata convenzione (UNCAC), e accettati comunemente dalla dottrina internazionale in materia. Questa definisce, infatti, la corruzione come “l’abuso di un potere fiduciario per un profitto privato” a prescindere dai modi concreti con cui ciò avvenga. Ed, infatti, la convenzione non è fornita di una definizione di corruzione e distingue al suo interno i concetti di abuso del potere fiduciario come figura generale, nel capitolo II-Misure preventive, mentre lo specifico reato (bribery) è contemplato nel capitolo III- Misure penali e rafforzamento del sistema giuridico.

La tutela anticipatoria cui sopra accennato si realizza, inter alia, anche attraverso la individuazione e la gestione del fenomeno del conflitto di interessi, anche se, giova sottolinearlo, tale istituto per sé non è definibile come corruzione, nemmeno nella lata accezione sopra indicata, essendo ontologicamente distinto da qualsiasi comportamento attivo rientrante nel concetto di abuso.

E’ significativo che la “Guida pratica per i dirigenti - Individuazione dei conflitti di interessi nelle procedure d’appalto nel quadro delle azioni strutturali” elaborata da un gruppo di esperti degli Stati membri con il coordinamento dell’unità dell’OLAF “Prevenzione delle frodi”, di cui l’ANAC ha tenuto conto, affermi che “I conflitti di interessi e la corruzione non sono la stessa cosa. La corruzione prevede solitamente un accordo tra almeno due partner e una tangente/un pagamento/un vantaggio di qualche tipo. Un conflitto di interessi sorge quando una persona potrebbe avere l'opportunità di anteporre i propri interessi privati ai propri obblighi professionali.”

Sul punto, anche il Consiglio di Stato ha richiamato più volte la non necessaria coincidenza tra conflitto e corruzione, affermando che “Quanto all'interesse rilevante per l'insorgenza del conflitto, la norma … va intesa come operante indipendentemente dal concretizzarsi di un vantaggio”. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415; Cons. Stato, Sez. V, 14 maggio 2018, n. 2853; Sez, III, 2 aprile 2014, n. 1577.).

In altri termini, il conflitto di interessi esiste a prescindere che a esso segua o meno una condotta impropria. Ontologicamente esso è dunque definito dalla categoria della potenzialità; il danno arrecato (attraverso una transazione corruttiva o concussiva o un abuso d’ufficio) dalla categoria dell’atto.

In conclusione, di queste riflessioni preliminari occorre sottolineare che l’obbiettivo di queste Linee Guida dovrebbe essere non la indicazione di misure finalizzate a combattere la corruzione, anche se latamente intesa, ma solo ad individuare esattamente i casi di conflitto di interessi e fornire indirizzi per la loro gestione.

Si può ben dire, in sostanza, che nella specie si tratti di dettare Linee Guida esclusivamente per l’applicazione dell’art. 42 del codice e della fattispecie del conflitto di interessi, come tradizionalmente conosciuto dalla scienza amministrativa.

2.3. Il concetto di conflitto di interessi

Nell’ambito della normativa richiamata al paragrafo 2.2 di questo parere, la nozione di "conflitto di interessi" non è stata codificata con precisione.

La “Guida pratica OLAF” citata richiama la definizione di corruzione elaborata dall’OCSE: “Un ‘conflitto di interessi’ implica un conflitto tra la missione pubblica e gli interessi privati di un funzionario pubblico, in cui quest’ultimo possiede a titolo privato interessi che potrebbero influire indebitamente sull’assolvimento dei suoi obblighi e delle sue responsabilità pubblici.”. L’OLAF richiama anche la posizione della UE, la quale, dal canto suo, all’art 57, par. 2, L’articolo 57, paragrafo 2, del regolamento finanziario applicabile al bilancio generale dell’Unione europea (regolamento n. 966/2012), chiarisce che: “ … esiste un conflitto d’interessi quando l’esercizio imparziale e obiettivo delle funzioni di un agente finanziario o di un’altra persona di cui al paragrafo 1, è compromesso da motivi familiari, affettivi, da affinità politica o nazionale, da interesse economico o da qualsiasi altra comunanza d’interessi con il destinatario”.

Tali definizioni sono, di tutta evidenza, meramente descrittive e non sostanziali e per altro di contenuto alquanto generico. In particolare la definizione di cui al regolamento della UE è talmente generale e generica da ricomprendere, praticamente, qualsiasi rapporto umano che non sia puramente occasionale, e dunque si pone fuori dalla nostra tradizione giuridica che richiede una precisa individuazione dei casi di conflitto. A questa ultima quindi, è opportuno riferirsi per meglio comprendere la natura del conflitto.

Nel nostro ordinamento non è esistita una definizione generale del conflitto di interessi, sino alla entrata in vigore dell’art. 6 bis della legge n. 241 del 1990, ma solo la elencazione di situazioni personali considerate incarnare il conflitto. Da esse l’interprete può trarre i caratteri definitori originali.

Brevemente, si deve prendere le mosse dalla stessa espressione lessicale, la quale evidenzia che il conflitto riguarda propriamente gli interessi, vale a dire la tensione verso un bene giuridico che soddisfi un bisogno. La nozione non si riferisce quindi a comportamenti, ma a stati della persona.

In linea di teoria generale dell’analisi economica del diritto, un conflitto di interessi si determina le volte in cui a un soggetto giuridico sia affidata la funzione di cura di un interesse altrui (così detto interesse funzionalizzato) ed egli si trovi, al contempo, ad essere titolare (de iure vel de facto) di un diverso interesse la cui soddisfazione avviene aumentando i costi o diminuendo i benefici dell’interesse funzionalizzato. Non rileva particolarmente se tale interesse derivi da situazioni affettive o familiari o economiche. Per l’inquadramento di teoria generale è sufficiente che sussistano due interessi in contrasto economico: quello funzionalizzato e quello, di qualsiasi natura, dell’agente.

Il conflitto di interessi non consiste quindi in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno. L’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti.

Tutto ciò deriva dal principio generale dell'imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost. e, quindi, le scelte adottate dall'organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell’equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico.

Ne consegue che nessun organo amministrativo può compiere – in nome e per conto della persona giuridica di appartenenza - atti da cui possano derivare benefici propri o di terzi. Altrimenti, risulterebbe violato il principio di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa.

Oltre a ciò, in questa fase, è perseguito un ulteriore obiettivo diverso ma complementare, vale a dire la cura di un interesse immateriale della P. A. Tra gli interessi pubblici la cui cura è affidata al soggetto, infatti, emerge altresì quello del rispetto del principio di imparzialità anche sub specie del principio “della moglie di Cesare” che deve non solo essere onesta, ma anche apparire onesta.

Si tratta di un interesse al medesimo tempo sostanziale e immateriale. Sostanziale, dal lato dei consociati, perché garantisce la giustizia attraverso la uguaglianza delle posizioni, la parità di trattamento, e la conseguente tutela della concorrenza. Immateriale, dal lato della P.A., perché tutela anche l’immagine imparziale del potere pubblico. Anche la situazione di pericolo, che definiamo “agire in conflitto di interessi”, danneggia ex se l’interesse pubblico immateriale suddetto.

Tale inquadramento induce a considerare il conflitto di interessi come una condizione giuridica che si verifica quando, all’interno di una pubblica amministrazione, lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario che ha contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse funzionalizzato.

Operare in conflitto di interessi significa agire nonostante sussista una situazione del genere e, quindi, sorge l’obbligo del dipendente di informare l'Amministrazione e di astenersi.

Ai fini della configurabilità di un conflitto di interessi, possono rilevare sia utilità materiali (ad esempio, di natura patrimoniale) che utilità immateriali, di qualsivoglia genere.

Da ciò l’indicazione da parte del Legislatore di situazioni giuridiche le quali, per sé, importino, a priori, un pericolo di danno all’interesse funzionalizzato. Si tratta di situazioni tipizzate di cui al paragrafo 3 di questo parere. Ma anche il richiamo a situazioni non tipizzate, sussunte sotto i concetti di “interesse finanziario, economico o altro interesse personale”, “potenzialità” e “gravi ragioni di convenienza” (di cui infra).

Perché il conflitto sorga è dunque necessario che si sia alla presenza di veri e propri interessi, rispondenti alla definizione sopra ricordata, vale a dire che effettivamente sussista un bisogno da soddisfare e che tale soddisfazione sia raggiungibile effettivamente subordinando un interesse all’altro. Vengono quindi in rilievo non già situazioni astratte e meramente potenziali, ma concrete, specifiche e attuali.

2.4. Il conflitto di interessi ‘potenziale’ e le “gravi ragioni di convenienza”

L'art. 6 bis della legge n. 241 del 1990 (introdotto come visto dall’art. 1, co. 41 della legge n. 190 del 2012 e applicabile come norma generale anche al settore dei contratti pubblici) prevede l'obbligo di astensione dell'organo amministrativo in conflitto di interessi "anche potenziale". Similmente l’art. 53 del d.lvo n. 165 del 2001, nel testo modificato dalla legge n. 190 del 2012, prevede la verifica o la dichiarazione di situazioni di conflitto di interesse anche potenziale. Ed ancora, l’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 16 aprile 2013 prevede l’obbligo di astensione anche nel caso in cui sussistano “gravi ragioni di convenienza”. Infine l’art. 51 c.p.c. contiene anche esso ipotesi tipizzate di conflitto che conduce all’obbligo di astensione e le medesime “gravi ragioni di convenienza” di cui all’art. 7. In sintesi nell’ordinamento è presente il concetto di conflitto di interessi non tipizzato.

Preliminarmente occorre porsi la domanda se alle fattispecie di cui ci occupiamo, cioè i conflitti nel settore dei contratti, si applichino anche gli art. 6 bis, 53, 7 e 51 citati, atteso che essi costituiscono norma generale mentre l’art. 42 del codice è norma speciale, destinata a prevalere, come afferma la stessa ANAC al paragrafo 1.2 delle Linee Guida. Poiché l’art. 42 richiama solo l’art. 7 del D.P.R 16 aprile 2013, n. 62 e non anche l’art. 6 bis della legge n. 241 né l’art. 53 del d.lvo n. 165 del 2001 né l’art. 51 c.p.c., senza operare quindi alcun riferimento esplicito alla categoria del conflitto “anche potenziale” né alle “gravi ragioni di convenienza” ma solo a quella dell’“interesse finanziario, economico o altro interesse personale”, se ne dovrebbe dedurre la inapplicabilità di tali norme nella parte riferita ad una tale categoria di conflitto potenziale o derivante dalle gravi ragioni di convenienza. Tale conclusione sarebbe errata, perché il rapporto di specialità accennato al paragrafo 2.1 di questo parere opera solo ove sussista un conflitto tra norme, mentre nella specie le disposizioni di cui agli art. 6 bis, 53, 7 e 51 citati non sono in contrasto con l’art. 42 ma sono ad esso complementari.

Sorge piuttosto il problema di individuare esattamente la portata delle norme e il significato esatto dell’aggettivo “potenziale”, e dell’espressione “gravi ragioni di convenienza”.

Si deve tenere presente, infatti, che l’art. 6 bis della legge n. 241 recita semplicemente: “Il responsabile del procedimento e i titolari .. etc. … devono astenersi in caso di conflitto di interessi segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”. Similmente l’art. 53 del d.lvo n. 165 del 2001. La norma, quindi, non definisce le situazioni di conflitto di interessi la cui nozione non può che essere ricavata dall’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013 che riguarda specificatamente il conflitto a carico dei dipendenti pubblici. Dal canto suo l’art. 7 citato contiene la elencazione di conflitti tipizzati (rapporto di coniugio, parentela, tutoraggio etc.) e vi aggiunge una norma di chiusura riguardante “gravi ragioni di convenienza”, non utilizzando il concetto di conflitto potenziale. Anche le “gravi ragioni” sono quindi sussunte dall’art. 42 nel concetto di conflitto di interessi.

Per sciogliere il nodo giova rammentare che il confluito di interessi è una situazione di pericolo in sé, e qualunque pericolo è per sua natura una potenza e non un atto. Il danno all’interesse funzionalizzato non si è ancora verificato (salvo quello all’immagine). Qualificare la natura del pericolo, e quindi del conflitto, come “situazione potenziale”, cioè ritenere che il Legislatore si sia voluto riferire a un “conflitto potenziale”, sarebbe quindi una tautologia. Dunque, altro è il significato della norma per la cui ricerca occorre compiere una attività interpretativa che attribuisca all’aggettivo “potenziale” un significato suo proprio e autonomo.

Una seconda interpretazione è che l’aggettivo riferisca a un “potenziale conflitto” (non a un “conflitto potenziale”), cioè a una situazione in grado di determinare essa il conflitto, cioè una interferenza tra l’interesse funzionalizzato e quello privato.

Tale interpretazione, però, si appalesa, se ristretta in questi semplici termini, troppo generica e generalizzata. Essa finirebbe col comprendere un numero infinito di situazioni razionalmente, ma solo astrattamente, individuabili a tavolino, misurabile utilizzando la categoria del possibile piuttosto che quella del probabile, con conseguente impossibilità di fornire elementi precisi di valutazione. Questa è la strada percorsa dalla UE con la definizione che si è sopra criticata e occorre guardarsi dal pericolo di percorrerla utilizzando categorie di situazioni troppo generiche ed indeterminate. Con ulteriore affinamento si può concludere che in primo luogo occorra distinguere situazioni di conflitto di interessi da un lato conclamate, palesi e soprattutto tipizzate (quali ad esempio i rapporti di parentela o coniugio) che sono poi quelle individuate dall’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013 citato; dall’altro non conosciuti o non conoscibili, e soprattutto non tipizzati (che si identificano con le “gravi ragioni di convenienza” di cui al penultimo periodo del detto art. 7 e dell’art. 51 c.p.c.). Si tratta, ad avviso della Sezione, di situazioni da definire (non tipizzate ma) qualificate teleologicamente, come meglio si vedrà avanti al paragrafo 3 di questo parere.

In sostanza, rilevano sia palesi situazioni di conflitto di interessi, sia situazioni di conflitto di interessi (in questo senso) potenziali, perché tale nozione include non soltanto le ipotesi di conflitto attuale e concreto, ma anche quelle che potrebbe derivare da una condizione non tipizzata ma ugualmente idonea a determinare il rischio.

Ritiene la Sezione che tali situazioni non possano essere individuate con riferimento a un numero aperto, indeterminato e indefinito di rapporti e relazioni del soggetto pubblico (come emergerebbe dalla definizione del reg. UE sopra citato), ma debbano essere indagate, come già accennato, solo alla luce dell’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013 e dell’art. 51 c.p.c. La struttura delle due norme è, infatti, identica e complementare. Nel primo comma l’art. 51, con parole diverse, ripercorre le ipotesi di cui all’art. 7, primo periodo, nel secondo comma si riferisce esattamente alle “gravi ragioni di convenienza” come il penultimo comma del citato art. 7.

Le situazioni di “potenziale conflitto” sono, quindi, in primo luogo, quelle che, per loro natura, pur non costituendo allo stato una delle situazioni tipizzate, siano destinate ad evolvere in un conflitto tipizzato (ad es. un fidanzamento che si risolva in un matrimonio determinante la affinità con un concorrente). Ciò con riferimento alle previsioni esplicite riguardanti sia il rapporto di coniugio, parentela, affinità e convivenza, sia alla possibile insorgenza di una frequentazione abituale, sia al verificarsi delle altre situazioni contemplate nel detto art. 7 (pendenza di cause, rapporti di debito o credito significativi, ruolo di curatore, procuratore o agente, ovvero di amministratore o gerente o dirigente di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti)

Si devono inoltre aggiungere quelle situazioni le quali possano per sé favorire l’insorgere di un rapporto di favore o comunque di non indipendenza e imparzialità in relazione a rapporti pregressi, solo però se inquadrabili per sé nelle categorie dei conflitti tipizzati. Si pensi a una situazione di pregressa frequentazione abituale (un vecchio compagno di studi) che ben potrebbe risorgere (donde la potenzialità) o comunque ingenerare dubbi di parzialità (dunque le gravi ragioni di convenienza).

Entrambi i tipi di situazione, quelle che evolvono de futuro verso il conflitto e quelle favorenti de praeterito il conflitto, costituiscono la declinazione delle gravi ragioni di convenienza di cui agli art. 7 e 51 citati in cui si risolvono, ed anche del “potenziale conflitto” di cui agli articoli 6 bis e 53 citati. In sostanza la qualificazione “potenziale” e le “gravi ragioni di convenienza” sono espressioni equivalenti perché teleologicamente preordinate a contemplare i tipi di rapporto destinati, secondo l’id quod plerumque accidit, a risolversi (potenzialmente) nel conflitto per la loro identità o prossimità alle situazioni tipizzate.

Tuttavia, proprio poiché l'aggettivo "potenziale" rende ambigua la qualificazione della situazione di conflitto di interessi che impone l'obbligo di astensione dell'organo che deve svolgere una determinata attività all’interno dell’ufficio pubblico, e l’espressione gravi ragioni di convenienza è ancora generica, è opportuno osservare precisare che possono configurarsi ipotesi di potenziale conflitto di interessi, con conseguente obbligo di astensione, solo quando ragionevolmente l'organo amministrativo chiamato a svolgere una determinata attività si trovi in una posizione personale e/o abbia relazioni con terzi che possono, anche astrattamente, inquinare l'imparzialità dell’azione amministrativa, con riferimento alla potenzialità del verificarsi di una situazione tipizzata di conflitto.


 

3. Il conflitto di interessi nel codice dei contratti pubblici

I principi generali della disciplina del conflitto di interessi nelle procedure ad evidenza pubblica sono contenuti nell'articolo 42 del D.lgs. n. 50/2016, il quale prevede che spetta alle stazioni appaltanti prevedere misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici (art. 42, comma 1, d.lgs. n. 50/2016), legate al fatto che sulla scelta del contraente possano incidere interessi estranei ad una corretta selezione dei concorrenti.

Da tale disposizione si ricava, anzitutto, che - a differenza della disciplina generale contenuta nella legge n. 190/2012 - il codice dei contratti pubblici contiene una, pseudo, definizione di conflitto di interessi, posto che il citato articolo 42, al secondo comma, stabilisce che esso ricorre “quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.” (art. 42, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 che riprende pedissequamente l’art. 24 della direttiva n. 24/2014).

Si tratta di una definizione che per sé nulla aggiunge alla natura intrinseca del conflitto di interessi, ma comunque pone problemi interpretativi per il raccordo con le ipotesi di all’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013.

A tal proposito, l’ANAC afferma al paragrafo 2.6 delle Linee Guida, cioè che: “Le situazioni di conflitto di interesse di cui all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, sono richiamate dall’articolo 42 del codice dei contratti pubblici a titolo meramente esemplificativo e rappresentano ipotesi predeterminate per le quali la valutazione della possibile sussistenza del rischio di interferenza dell’interesse privato nelle scelte pubbliche è operato a monte dal legislatore.”

L’affermazione desta perplessità. Considerare le ipotesi di cui all’art. 7 ripetutamente citato solo come esemplificazione, significa postulare la esistenza di una categoria sconosciuta ma più ampia, e contestualmente aprire a quella indeterminatezza e genericità che si è visto essere congenere con la infinitezza del possibile piuttosto che con la semplice probabilità, propria del rischio.

Le situazioni di conflitto di interessi assumono una notevole rilevanza nei confronti del soggetto pubblico per le gravi conseguenze giuridiche derivanti dalla omissione della loro dichiarazione. Dunque non se ne può accettare una definizione generica e indeterminata che non renda possibile inquadrare precisamente l’oggetto della omissione, considerando le ricadute disciplinari ma soprattutto penali ai sensi dell’art. 323 c.p. atteso che la violazione dell’obbligo di astensione ove prescritto (anche dall’art. 42 in esame, quindi) è intesa per giurisprudenza costante dalla Suprema Corte come un dovere di astensione introdotto nell’ordinamento in via generale e diretta dall’art. 323 c.p. (ex multis Cass. Pen. Sez. 6, 15 marzo 2013, n. n. 14457, 19 ottobre 2004, n. 7992) introducendo una norma penale in bianco completata dal richiamo alle varie ipotesi di astensione contemplate dalle leggi speciali, e indipendentemente dall’avverarsi del fatto dannoso.

A tal proposito ritiene, invece, la Sezione che l’art. 42 contenga tre categorie distinte di conflitto di interessi identificabili con sufficiente determinatezza.

La prima si verifica ove il soggetto abbia “direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione.”.

La seconda, derivante dal richiamo alle fattispecie tipiche dell’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013 (coniugio, parentela etc.); la terza derivante anche essa dal richiamo al detto articolo 7, nella parte in cui esso si riferisce alle “gravi ragioni di convenienza”. A questa ultima fattispecie va assimilata quella di cui all’art. 6 bis della legge n. 241 del 1990, ovvero “interesse anche potenziale” di cui il parere si è già occupato.

Quanto al primo punto, sembra che si possa concludere che l’art. 42 abbia estrapolato dal concetto di “gravi ragioni di convenienza” quelle inerenti agli interessi economici, finanziari o anche solo personali, che pure tradizionalmente e costantemente completavano la fattispecie del conflitto di interessi nella giurisprudenza amministrativa (ex multis C.d.S. Sez, III, 2 aprile 2014, n. 1577; sez. V, 9 luglio 2015, n. 3443), Ritiene la Sezione che, più esattamente, l’art. 42, comma 2, nella sua non perspicua formulazione, necessiti di una interpretazione sistematica che gli attribuisca un significato preciso. Per sé, infatti, la norma stabilisce solo che si ha conflitto di interessi in una situazione in cui sussista un interesse economico (l’aggettivo finanziario è ricompreso nel concetto di economico) o personale dell’agente e che ciò rileva solo se percepita come minaccia alla imparzialità dell’azione amministrativa. Formulazione evidentemente tautologica e troppo generica per costituire la base di un obbligo di segnalazione e astensione. All’uopo sembra opportuno che le Linee Guida si sforzino di fornire un parametro interpretativo degli aggettivi “economico, finanziario e personale” in relazione agli atti di gara, anche in via esemplificativa. Sarebbe opportuno chiarire, ad esempio, che il vantaggio economico finanziario debba verificarsi non solo in danno della Stazione, come normale nel conflitto, ma anche ove il comportamento dell’agente arrechi a questi un vantaggio non a scapito dell’interesse funzionalizzato ma a vantaggio di un terzo. In tal caso, infatti, ciò che è protetto è l’interesse immateriale della Stazione (C.d.S., sez. V, 11 luglio 2017 , n. 3415; 14 maggio 2018, n. 2853).

Ed ancora, che l’interesse economico o finanziario non debba derivare da una posizione giuridica soggettiva indifferenziata o casuale, quale quella di utente o a fortiori di cittadino, ma da un collegamento personale, diretto, qualificato e specifico dell’agente con le conseguenze e con i risultati economici finanziari degli atti posti in essere.

Quanto all’interesse “personale” non sembra potersi affermare che esso sia esemplificato dalle fattispecie tipiche del citato art. 7, quanto piuttosto che esso coincida con le “gravi ragioni di convenienza” così come elaborate dalla giurisprudenza amministrativa.

In sostanza, il codice dei contratti pubblici ponendo come condizione di rilevanza del conflitto il fatto che la situazione possa “essere percepita” come una minaccia alla imparzialità e indipendenza dell’agire, introduce per la prima volta ed enfatizza l’obiettivo della tutela dell’interesse immateriale della P.A., allargando quindi il parametro di giudizio sulla “gravità delle ragioni di convenienza”, affidando invece la gestione vera e propria del rischio mediante un semplice rinvio esterno alle ipotesi di obbligo di astensione previste dall'art. 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, nella duplice qualità tipica e atipica.

Ovviamente, le lacune dovute all'indeterminatezza delle situazioni che possono generare situazioni di conflitto di interessi non espressamente tipizzate, devono essere colmate mediante un esame teleologico, che tenda ad indagare se effettivamente, nel caso concreto, l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa della stazione appaltante siano, messi in pericolo e contestualmente percepite come minaccia alla imparzialità ed indipendenza.

Come già sopra rilevato, secondo quanto stabilito dall'articolo 42 del D.lgs. n. 50/2016, rilevano anche interessi immateriali dell'organo che opera nel caso concreto, posto che la norma prevede che il conflitto di interessi ricorre quando il personale di una stazione appaltante ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o "altro interesse personale".

In definitiva, il conflitto di interessi nell’ambito di gare d'appalto può essere tipico o atipico, considerando che non esiste un numerus clausus di situazioni che comportano incompatibilità.

I casi tipici di conflitto di interessi non necessitano di sforzi ermeneutici per essere individuati, poiché il legislatore ha già individuato presupposti e condizioni utili al riguardo. Il conflitto di interessi sussiste con riferimento a rapporti di coniugio o convivenza; rapporti di parentela o affinità entro il secondo grado; rapporti di frequentazione abituale; pendenza di una causa o di grave inimicizia; rapporti di credito o debito significativi; rapporti di tutorato, curatela, rappresentanza o agenzia; rapporti di amministrazione, dirigenza o gestione di associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti (cfr. art. 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62).

Le ipotesi atipiche di conflitto di interessi, invece, attengono a casi di potenziale incompatibilità la cui individuazione necessita di uno sforzo ermeneutico già tratteggiate al paragrafo 2.4 di questo parere, derivanti dalla interpretazione dell’aggettivo “potenziale” nonché dalla declinazione del concetto di “interesse personale” e di “gravi ragioni di convenienza” sopra esaminate. Tali ampie espressioni lasciano all'interprete una notevole discrezione nell'individuazione della situazione di conflitto di interesse (cfr. art. 7, ultimo periodo, del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62) e, quindi, è necessario fornire adeguati elementi di valutazione alla stazione appaltante (come si dirà al successivo paragrafo sub 5 di questo parere). Al riguardo, va considerato che è necessario che, ex ante, questo tipo di situazioni sia preventivamente valutato dal dipendente e che, ex post, l’amministrazione valuti la sussistenza delle condizioni di astensione ad agire in base a circostanze concrete e documentabili.

Ciò anche in considerazione delle conseguenze e delle responsabilità derivanti dal mancato rispetto dell’obbligo di astensione, posto che il personale che versa in situazioni di conflitto di interessi ha l’obbligo di darne comunicazione alla stazione appaltante e di astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni; e che la mancata astensione costituisce fonte di responsabilità disciplinare, amministrativa e penale a carico del dipendente pubblico (art. 42, comma 3, d.lgs. n. 50/2016).

Le disposizioni contenute nell’articolo 42 del codice dei contratti pubblici rilevano non solo nella fase dalle procedura ad evidenza pubblica ma anche nella fase esecutiva dei contratti pubblici; rispetto ad entrambe le fasi, la stazione appaltante ha l’obbligo di vigilare affinché gli adempimenti previsti dal citato articolo 42 siano rispettati in concreto (art. 42, commi 4 e 5, d.lgs. n. 50/2016).

L’articolo 42 del codice dei contratti pubblici, infine, va coordinato con l’articolo 80, comma 5, lettera d) del medesimo decreto legislativo, secondo il quale l’operatore economico è escluso dalla gara quando la sua partecipazione determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’articolo 42, comma 2, d.lgs. n. 50/2016, che non sia diversamente risolvibile, come meglio si dirà avanti.


 

4. Obiettivi e iter dello schema di Linee guida ANAC

Premesso quanto sopra in merito alla disciplina di rango primario, va rilevato che lo schema di Linee guida in esame si pone l’obiettivo di agevolare le stazioni appaltanti nell’attività di individuazione, prevenzione e risoluzione dei conflitti di interesse nelle procedure di gara favorendo la standardizzazione dei comportamenti e la diffusione delle buone pratiche; favorire la regolarità delle procedure di gara; garantire imparzialità, trasparenza, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa; garantire i soggetti coinvolti nelle procedure dal rischio dell’assunzione di responsabilità; prevedere misure che evitino l’introduzione di oneri eccessivi per le s.a. e i soggetti chiamati a operare nelle procedure di affidamento di contratti pubblici.

All’uopo, l’Autorità si propone lo scopo di fornire indicazioni non vincolanti per favorire la diffusione delle migliori pratiche e la standardizzazione, nell’ottica di interpretare e applicare correttamente le disposizioni di legge di riferimento.

Poiché tali Linee guida hanno un impatto limitato ai funzionari pubblici, non incidono direttamente su cittadini e imprese e comportano obblighi conformativi ridotti in ragione della previsione di meccanismi di semplificazione e standardizzazione delle dichiarazioni sostitutive mediante utilizzazione di modelli prestampati, l’Autorità ritiene che sussistano i presupposti per l’esclusione dell’analisi di impatto della regolazione, previsti dal «Regolamento per la definizione della disciplina della partecipazione ai procedimenti di regolazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e di una metodologia di acquisizione e analisi quali-quantitativa dei dati rilevanti ai fini dell’analisi di impatto della regolazione (AIR) e della verifica dell’impatto della regolazione (VIR)» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 155 del 6 luglio 2018.

La Sezione non condivide tale scelta, perché l’articolo 8 del citato Regolamento, oggetto della delibera ANAC 13 giugno 2018, stabilisce che vanno sottoposto all’AIR gli atti regolatori riguardanti questioni particolarmente rilevanti per il mercato o producono effetti su un numero elevato di destinatari, sicché, per il futuro, è necessario assoggettare all’AIR atti del genere.


 

5. Le Linee guida ANAC

In generale, dal punto di vista del drafting, si richiama l’attenzione sull’esigenza che la citazione delle fonti normative sia preceduta da “n.” prima dell’indicazione del numero in cifra.

Ciò premesso e ferme restando le considerazioni espresse nei precedenti paragrafi, si osserva quanto segue con specifico riferimento all’articolato.

Paragrafo 2 – Definizione del conflitto di interessi

Al primo comma del paragrafo 2 delle linee, dopo la parola “soggetto”, si suggerisce di aggiungere le seguenti: “operante in nome o per conto della stazione appaltante”.

Il paragrafo 2.4 delle Linee Guida, prevede che l’interesse personale dell’agente (di cui al paragrafo 2.3 di questo parere) possa derivare anche dalla situazione di controllo o collegamento ex articolo 2359 del codice civile sussistente tra la stazione appaltante e la società concorrente. In tali casi, osserva l’ANAC, il rischio da presidiare - anche attraverso la previsione di misure rafforzate di pubblicazione, volte ad orientare in maniera paritaria ogni concorrente – concerne il presunto favor delle società partecipate rispetto alla posizione degli altri operatori economici, non legati da rapporti di natura societaria con la stazione appaltante, derivante anche dalla possibile asimmetria informativa tra i concorrenti.

Si tratta, in sostanza, della questione di particolare rilevanza attinente alla possibilità che il conflitto di interessi si manifesti anche direttamente in capo alla stazione appaltante, come ad esempio, nel caso in cui tra la stazione appaltante ed un concorrente intercorra un rapporto di controllo o collegamento ex art. 2359 c.c..

Come correttamente rilevato dall’Autorità, sulla questione si registrano orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Sul punto ritiene tuttavia la Sezione che le osservazioni degli stake holders abbiano introdotto un elemento di confusione nella materia. L’oggettiva problematicità di situazioni in cui una società controllata partecipi alla gara indetta dalla sua controllante, non riceve una disciplina specifica nel codice dei contratti. Ciò non giustifica il tentativo, ai limiti dell’abuso del diritto, di individuare indirettamente la regola nell’art. 42, comma 2 del codice. Infatti, occorre sempre tenere presente che l’art. 42 del codice disciplina esclusivamente le situazioni di conflitto di interessi del funzionario pubblico (cfr. in tal senso C. d. S. Sez. V, 5 giugno 2018, n. 3401) che può squilibrare la scelta a favore di un concorrente, con ciò danneggiando allo stesso tempo la concorrenza, e quindi anche l’interesse materiale della stazione appaltante alla scelta migliore, e l’immagine di questa. L’eventuale danno alla concorrenza derivante dalla partecipazione azionaria della stazione appaltante non potrebbe così essere inputato all’agente, salvo a ritenere che, poiché questi agisce nell’interesse della stazione, quindi potrebbe favorire la società controllata non per suo personale interesse ma per quello del terzo (stazione appaltante) incorrendo così nella ipotesi di interesse indiretto. Se ne inferirebbe così che qualunque funzionario della stazione appaltante versi per ciò solo in conflitto di interessi permanente nel caso di partecipazione di una controllata, con la conseguenza che tale partecipazione sarebbe del tutto impedita de facto, raggiungendo così, attraverso una via indiretta, la esclusione dalle gare delle società partecipate dalla stazione.

L’attribuzione della posizione di terzo avvantaggiato dal conflitto alla stessa stazione appaltante, riguardata schizofrenicamente ora come amministrazione aggiudicatrice ora come terzo, è all’evidenza un sofisma, smentito dalla analisi economica dell’istituto del conflitto di interessi. Richiamando, infatti, quanto già accennato nel paragrafo 2.3 di questo parere, il conflitto si deve verificare tra l’interesse funzionalizzato e l’interesse dell’agente o di un terzo con il quale l’agente versi in particolare rapporto tale da condividerne l’interesse stesso. Dal canto suo, il terzo avvantaggiato, nella ipotesi la società partecipata, rappresenta l’interesse del soggetto proprietario, vale a dire la stessa stazione appaltante. Ne consegue che non si verificherebbe una situazione di conflitto di interessi poiché l’interesse funzionalizzato e l’interesse terzo coinciderebbero.

Potrebbe, invero, tale situazione determinare un danno ad altri interessi dei terzi, ma è di tutta evidenza che si tratterebbe degli interessi dei terzi partecipanti alla procedura e non dell’interesse funzionalizzato, così che verrebbe meno il presupposto stesso del conflitto di interessi. Quindi, per quanto la questione sia rilevante e delicata, è di tutta evidenza che non può farsi rientrare nella categoria giuridica del conflitto di interessi, bensì nella problematica attinente alla tutela delal concorrenza e della par codicio dei partecipanti. In altri termini, il concetto stesso di conflitto di interesse dell’agente e la relativa normativa non si attagliano alla fattispecie.

Quanto al fatto che dalla situazione di controllo potrebbe scaturire un interesse personale per i dipendenti della stazione che partecipano alla procedura, ritiene il Consiglio che in tal caso il conflitto sorgerebbe piuttosto ex se dalla personalità dell’interesse del funzionario, che trova nella partecipazione azionaria pubblica esclusivamente una occasione ma non la causa. Ciò è a dire anche per la problematica riguardante: “i ruoli assunti e le attività in precedenza svolte dal personale o dai soggetti esterni rispetto alle attività riferibili alla gestione delle partecipazioni che la Stazione appaltante detiene nella società concorrente e rispetto alle attività svolte da detta società.”, sollevata nella seconda osservazione degli stake holders in merito. Infatti, anche l’avere ricoperto particolari ruoli in rapporto alla società controllata, ad esempio quale responsabile dell’ufficio preposto al controllo analogo, non costituisce per sé un rischio di favoreggiamento nei confronti della controllata, salvo che lo stesso si verifichi per un vero e proprio interesse personale dell’agente, il che appunto non troverebbe nel rapporto di controllo societario altro che una occasione facilitante la collusione, ma non la sua causa diretta:

Rimane la problematica sulla legittimità della partecipazione a gare di società controllate dalla stazione appaltante che è però del tutto estranea a quella riguardante la situazione giuridica soggettiva dell’agente. Per cui, al fine di non creare equivoci, si suggerisce di eliminare l’intero paragrafo 2.4 delle Linee Guida estraneo alla materia trattata.

Relativamente alle ipotesi atipiche di conflitto di interessi attinenti a casi di potenziale incompatibilità la cui individuazione necessita di uno sforzo ermeneutico (di cui al paragrafo 2.5 di questo parere), è opportuno cogliere l’occasione dell’adozione delle Linee guida ANAC per esplicitare la locuzione "gravi ragioni di convenienza" di cui all'ultimo periodo dell'articolo 7 del d.P.R. n. 62/2013, al fine di fornire alle stazioni appaltanti utili punti di riferimento applicativi in un ambito così delicato quale quello in esame, come osservato al precedente paragrafo 3 di questo parere.

Da questo punto di vista le Linee Guida dovrebbero essere implementate, anche prendendo spunto dalle osservazioni contenute nel presente parere ai paragrafi 2, 3 e 4. Se, come è emerso precedentemente, il conflitto di interessi tipizzato non abbisogna di alcuna specificazione ulteriore o istruzione applicativa, derivando da stati e rapporti o di fatto o giuridicamente definibili, viceversa le “gravi ragioni di convenienza” e le situazioni di “potenziale conflitto” (nel senso sopra specificato), come anche l’espressione “interesse finanziario, economico o altro interesse personale” necessitano di illustrazione, anche esemplificativa nel solco delle situazioni de futuro e de praeterito illustrate al paragrafo 4 di questo parere e della giurisprudenza amministrativa in tema di conflitto economico o personale, per soddisfare l’obiettivo proprio delle Linee Guida, quello appunto di fungere da “guida”, anche se non vincolante, alle stazioni appaltanti.

Paragrafo 3 – Ambito di applicazione oggettivo dell’art. 42 d.lgs. n. 50/2016

Al termine della rubrica del paragrafo 3, aggiungere “, del d.lgs. n. 50/2016”.

Al paragrafo 3.2 delle Linee Guida si prevede che agli appalti speciali si applica l’articolo 42 del codice dei contratti pubblici ‘in quanto compatibile’. Al riguardo, per evitare dubbi interpretativi e problemi applicativi, si ritiene che la locuzione “in quanto compatibile” debba essere eliminata, poiché non si ravvisano incompatibilità ad applicare ad appalti del genere la disciplina prevista in caso di conflitto di interessi dalla richiamata norma di rango primario.

Al paragrafo 3.3, aggiungere “n.” prima di “241/90” e “62/2013”.

L’Autorità ha correttamente ritenuto che l’articolo 42 del d.lgs. n. 50/2016 si applica agli affidamenti nei settori speciali sia sopra che sotto soglia, posto che l’articolo 114 del codice dei contratti pubblici stabilisce che ai contratti del capo I (Appalti nei settori speciali) si applicano anche le disposizioni di cui agli articoli da 1 a 58, tra cui rientra anche l’articolo 36 che prevede l’applicazione dell’articolo 42 ai contratti sotto soglia.

L’articolo 42 si applica alle procedure ad evidenza pubblica espletate dai soggetti tenuti all’applicazione del codice dei contratti pubblici individuati dall’articolo 3 del d.lgs. n. 50/2016 e, quindi, anche alle società pubbliche e ai soggetti privati che operino in qualità di stazioni appaltanti. Come correttamente rilevato dall’Autorità, nelle Linee guida in esame si è tenuto conto del fatto che, in casi del genere, la norma si applica nel rispetto della disciplina relativa alle singole fattispecie, distinguendo i diversi regimi giuridici applicabili ai soggetti pubblici e privati, oltre che ai dipendenti pubblici e privati.

Paragrafo 4 - Ambito di applicazione soggettivo dell’art. 42 d.lgs. n. 50/2016

Ai fini della delimitazione dell'ambito soggettivo di riferimento della disciplina in tema di conflitto di interesse, occorre individuare un contemperamento fra la necessità di definire l'ambito di operatività di norme limitative di status soggettivi e l'esigenza di assicurare un efficace contrasto ai fenomeni corruttivi, evitando soluzioni formalistiche inidonee a raggiungere tale risultato.

Del resto, l’art. 2 del d.P.R. n. 62 del 2013 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici), definisce in modo onnicomprensivo la nozione di "dipendenti delle pubbliche amministrazioni", sino a comprendervi "i collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o incarico", nonché i “collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione".

Ciò premesso, quindi, sotto il profilo soggettivo, nell’ambito di applicazione dell’articolo 42 del codice dei contratti pubblici rientrano “tutti coloro che intervengono a qualsiasi titolo nel ciclo di vita dell’appalto”.

Alcuni Stakeholder, in occasione della consultazione pubblica espletata dall’Autorità, hanno osservato che, per evitare appesantimenti procedurali, la norma dovrebbe essere applicata soltanto a quei soggetti che (in base alla effettiva strutturazione dell’Amministrazione aggiudicatrice) con il loro operato, sono concretamente in grado di incidere sulla selezione dell’operatore economico affidatario, escludendo coloro che svolgono ruoli meramente operativi. Quindi, andrebbero esclusi alcuni soggetti o si dovrebbe prevedere che le circostanze richieste dalla norma (intervenire a qualsiasi titolo nel ciclo di vita dell’appalto o avere la possibilità di influenzare l’esito della procedura) si verifichino congiuntamente e non alternativamente.

Al riguardo, va rilevato che l’articolo 42 del decreto legislativo n. 50 del 2016 prevede espressamente l’alternatività delle due situazioni (intervenire a qualsiasi titolo nel ciclo di vita dell’appalto o avere la possibilità di influenzare l’esito della procedura) e, quindi, le Linee Guida non possono seguire interpretazioni contrastanti con il significato letterale della normativa di rango primario.

La Sezione condivide la decisione dell’ANAC (esplicitata nel paragrafo 3 delal relazione illustrativa) di non accogliere l’osservazione circa il valore di endiadi delle due definizioni, non solo per i motivi letterali esposti. In realtà, la alterazione della par condicio e l’atto corruttivo non necessariamente si realizzano solo con riferimento ai momenti decisori della procedura, ma anche, e forse più frequentemente, con le fasi conoscitive di essa e talvolta anche in connessione con banali operazioni burocratiche (si pensi alla protocollazione in entrata di documenti per aversi data certa). Di talché la asimmetria informativa tra i concorrenti o il favoreggiamento ben possono essere causati anche da dipendenti pubblici i quali, pur privi di funzioni decisorie determinanti, possono divulgare informazioni e notizie di notevole interesse o agire durante le fasi operative burocratiche della procedura. Per non contare poi la considerazione che anche attività meramente esecutive o il semplice accesso agli atti della procedura può favorire una situazione corruttiva, da cui il rischio e quindi il conflitto.

Sotto il profilo formale, al termine della rubrica del paragrafo 3, aggiungere “, del d.lgs. n. 50/2016”.

Paragrafo 5, Dichiarazione sostitutiva ai sensi degli articoli 6, comma 1, del d.P.R. 62/2013 e 6-bis della legge 241/90

Il paragrafo 5.2 delle Linee Guida richiama l’obbligo dichiarativo previsto dall’art. 6, comma 1 del d.P.R. n. 62 del 2013 all’atto della assegnazione dell’ufficio, chiedendo che esso si estenda sino ad “avere ad oggetto la sussistenza di conflitti di interesse potenziali che possono insorgere già nella fase dell’individuazione dei bisogni dell’amministrazione e ancor prima che siano noti i concorrenti.” Richiamando quanto già esposto nel paragrafo 2.4 di questo parere, si raccomanda innanzi tutto di utilizzare l’espressione “potenziale conflitto” e non “conflitto potenziale” ed inoltre di chiarire più comprensibilmente quale dovrebbe essere l’oggetto di siffatta dichiarazione. Poiché il conflitto di interessi per sé può ingenerarsi solo alla presenza di concorrenti individuati e non in incertam personam, ne consegue che l’ANAC, richiamando la dichiarazione all’atto del conferimento dell’ufficio, intenda riferirsi a situazioni di potenziale conflitto derivanti da rapporti del soggetto agente con privati individuati i quali, in astratto e de futuro, potrebbero partecipare alle gare indette dalla stazione appaltante. Ad esempio nel caso in cui il funzionario sia parente di un imprenditore che abbia partecipato o che potrebbe partecipare, per la sua professionalità, a siffatte gare. Se questa, come pare, è la interpretazione corretta del punto in esame, si suggerisce di renderla più esplicita anche in maniera esemplificativa.

Nel paragrafo 5.3 delle Linee Guida, mentre si condivide l’opportunità che l’amministrazione richiami l’attenzione del funzionario circa l’obbligo di aggiornare la dichiarazione ex art. 6, comma 1 del d.P.R. n. 62 citato, sarebbe opportuno chiarire che tale obbligo si riferisce ai mutamenti intervenuti dal momento della prima dichiarazione. Pertanto, la espressione “comunicando qualsiasi situazione di conflitto di interesse non indicata nella dichiarazione originaria.” Si presta a una interpretazione ambigua, quasi sottintendendo che una situazione non denunciata all’origine lo possa essere legittimamente in sede di dichiarazione integrativa, il che è ovviamente da escludere.

Nelle Linee guida in esame si prevede, correttamente, di chiedere che le dichiarazioni sostitutive circa l’assenza di situazioni di conflitto di interesse, ammissibili nei limiti di cui infra, siano rese – per quanto a conoscenza degli interessati - ai sensi del d.P.R. n. 445/2000, poiché è necessario acquisire tali dichiarazioni sostitutive con le modalità previste dalla vigente normativa di riferimento, inducendo il dichiarante ad assumere la responsabilità di ciò che dichiara.

Sotto il profilo formale si osserva:

- nella rubrica e nel testo del paragrafo 5, aggiungere “n.” prima di “62/2013” e “241/90”;

- al paragrafo 5.1, eliminare le parole “documenti che rappresentano l’impegno assunto dalle società per un comportamento conforme alla legge” in quanto superflue;

Paragrafo 6 – Dichiarazione sostitutiva riferita alla singola procedura di gara.

Non appare, invece, condivisibile la scelta dell’Autorità di chiedere al personale di rendere la dichiarazione sostitutiva sul conflitto di interesse oltre che all’atto dell’assegnazione all’ufficio che in occasione di ogni singola gara.

Sia pure in maniera solo suggestiva (“sarebbe auspicabile”) l’ANAC considera l’opportunità della presentazione di una dichiarazione sostitutiva attestante l’inesistenza di conflitti in atto o potenziali (nel senso specificato più volte) per ciascuna procedura cui il dipendente pubblico abbia la ventura di partecipare, in ciò adeguandosi al paragrafo 2.2 della “Guida OLAF”. Data la interpretazione molto estensiva, condivisibile, del concetto di soggetto tenuto alla dichiarazione, essa riguarderebbe: “membri degli organi politici laddove adottino atti di gestione, il RUP, i membri del collegio tecnico, i membri della commissione di gara e il segretario, il responsabile della sicurezza, il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, il direttore dei lavori o dell’esecuzione del contratto, il collaudatore, il soggetto che sottoscrive il contratto per conto della stazione appaltante, il soggetto che provvede al pagamento dei corrispettivi, il soggetto incaricato del monitoraggio dell’esecuzione del contratto.” Trattasi a volte di alcune decine di persone e quindi della crescita abnorme di oneri amministrativi che incidono sui costi della procedura, anche in funzione dei successivi obblighi di verifica e controllo.

A ciò si aggiunga che, se è vero che il conflitto di interessi può sorgere in capo a qualsiasi dipendente partecipi alla procedura (vedi paragrafo 4.1 delle linee guida e paragrafo 4 del presente parere), allora la dichiarazione dovrebbe essere richiesta non solo ai soggetti nominativamente indicati ratione officii nel paragrafo 6.4 ma anche a qualunque “dei dipendenti in senso stretto, ossia dei lavoratori subordinati dei soggetti giuridici ivi (art. 42 n.d.r.) richiamati ….” (paragrafo 4.1 delle loinee).

Al riguardo, per evitare una eccessiva proliferazione di dichiarazioni sostitutive, difficilmente gestibili dalle singole stazioni appaltanti, e di oneri amministrativi è sufficiente richiamare l’obbligo di rendere (all’atto dell’assegnazione all’ufficio) la prima delle dichiarazioni sostitutive in questione (indispensabile, in quanto prevista dal d.P.R. n. 62/2013 e dalla legge n. 241/90), stabilendo, anche in via regolamentare secondo le procedure della stazione appaltante, il dovere del dipendente di aggiornarla in presenza di fatti sopravvenuti e richiamando, con disposizioni interne l’obbligo di astensione nella singola procedura, giudicato secondo le presenti Linee Guida, che appunto in tal modo svolgerebbero a pieno la loro funzione. Tutto ciò, per altro, è applicabile anche agli incarichi di collaborazione e consulenza esterna ai sensi dell’art. 2 comma 3 del d.P.R. n. 62 del 2013 all’atto del conferimento di incarico continuativo o puntuale.

Tale soluzione, peraltro, appare in linea con l’art. 42, co. 3, del d.lgs. n. 50/2016, il quale prevede a carico del personale un obbligo di comunicazione nelle ipotesi di cui al comma 2 del medesimo articolo 42 e, quindi, quando è configurabile in concreto una ipotesi di conflitto, ma non prevede espressamente il dovere di rendere una dichiarazione sostitutiva preventiva ogni volta in cui la stazione appaltante avvia una procedura selettiva.

In sostanza, la dichiarazione originaria può intendersi confermata (in occasione dell’espletamento delle singole procedure ad evidenza pubblica) a meno che non sorga un obbligo di comunicazione (ex art. 42, co. 3, d.lgs. n. 50/2016) qualora, con riferimento alla singola procedura selettiva, il dipendente versi in una situazione di conflitto di interessi di cui al secondo comma del medesimo articolo 42.

Ovviamente, le dichiarazioni devono avere data certa e, quindi, vanno datate e sottoscritte (dal soggetto interessato) e protocollate (dalla stazione appaltante).

Ciò, sia a fini di interesse generale, che a garanzia del dipendente, il quale avrà modo di dimostrare agevolmente di aver tempestivamente adempiuto ai propri obblighi.

Il paragrafo 6.7 delle Linee Guida contiene la direttiva di revocare e sostituire il soggetto che versi in conflitto di interesse. Questo invito alla stazione appaltante a disporre la revoca (attesa la natura non regolamentare delle Linee Guida) deve però essere coordinato con quanto contenuto nel paragrafo 8 delle Linee. Infatti, ivi sono prese in considerazione le conseguenze derivanti dalla sussistenza del conflitto di interesse, il quale, per sé, non determina immediati effetti amministrativi sulla procedura che devono essere mediati dal provvedimento amministrativo conseguente della stazione appaltante. Occorre, quindi, che le istruzioni del paragrafo 6 e del paragrafo 8 delle Linee Guida siano coordinate e armonizzate.

Conclusivamente, si suggerisce di eliminare i paragrafi 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5 e 6.6 e di spostare i paragrafi 6.7, 6.8 e 6.9, le cui linee di indirizzo sono applicabili anche alla dichiarazione ex. art. 6 del d.P.R. n. 62 del 2013, nel paragrafo 5, coordinando il tutto con le procedure suggerite nel paragrafo 8.

Sotto il profilo formale, si osserva quanto segue:

- al paragrafo 6.7, sostituire le parole “dichiarazione della sussistenza del conflitto” con le parole “presenza di un confitto di”; Riformulare l’ultimo periodo con il seguente: “Il conflitto di interesse che si manifesta successivamente al conferimento dell’incarico, comporta la revoca dello stesso e la nomina di un sostituto”;

- riformulare il paragrafo 6.8 come segue: “Le dichiarazioni acquisite devono essere raccolte, protocollate e conservate all’interno del fascicolo relativo alla singola procedura e devono essere aggiornate tempestivamente in occasione di qualsivoglia variazione sopravvenuta dei fatti dichiarati.”.

Paragrafo 7 - Comunicazione del conflitto di interesse in riferimento a una specifica procedura di gara

Nulla da osservare salva la necessità di eliminare, a seguito della soppressione dei paragrafi 6.1, 6.2, 6.3, 6.4, 6.5 e 6.6, la frase nel paragrafo 7.1: “che sia insorto successivamente alla dichiarazione di cui al paragrafo 6.”.

Sotto un profilo formale, il paragrafo 7.2 va riformulato come segue: “La comunicazione va resa per iscritto e protocollata per acquisire certezza in ordine alla data di presentazione.”.

Paragrafo 8 – Obbligo di astensione

Qualora ricorra un’ipotesi di conflitto di interessi, il dipendente deve adempiere all’obbligo di astensione. Il responsabile dell’ufficio di appartenenza del soggetto interessato o, nel caso di dirigente, il superiore gerarchico, deve valutare, in contraddittorio con il dichiarante, se la situazione segnalata realizzi un conflitto di interessi idoneo a ledere l’imparzialità dell’azione amministrativa. In caso positivo, il responsabile adotta le misure ritenute adeguate a superare la criticità rilevata, preventivamente individuate nel PTPC o in altro atto organizzativo interno che possono consistere: - nell’adozione di cautele aggiuntive rispetto a quelle ordinarie in materia di controlli, comunicazione, pubblicità; - nell’intervento di altri soggetti con funzione di supervisione e controllo; - nell’adozione di obblighi più stringenti di motivazione delle scelte adottate, soprattutto con riferimento alle scelte connotate da un elevato grado di discrezionalità; - nella nomina di un sostituto oppure, in carenza di idonee figure professionali, nell’avocazione al responsabile della relativa funzione.

Ciò premesso, attesa la soppressione dei paragrafi da 6.1 a 6.6, si suggerisce di riformulare come segue il paragrafo 8.1 delle Linee Guida: “La comunicazione del conflitto di interesse di cui al paragrafo 7 contiene la dichiarazione di astensione dalla partecipazione alla procedura di affidamento”.

Per evitare equivoci e difficoltà applicative, al paragrafo 8.3 delle Linee Guida, dopo la parola “segnalata”, aggiungere le parole “ex art. 7”.

I paragrafi 8.3 e 8.4 delle Linee Guida devono opportunamente essere coordinati con il paragrafo 6.7 delle stesse (ora contenuto nel paragrafo 5) ove si ipotizza una inevitabile revoca, in parziale contraddizione con il potere valutativo riconosciuto dai medesimi paragrafi.

La gravità della causa che ha portato il dipendente ad astenersi deve essere valutata in relazione al rischio di pregiudicare l’integrità, l’indipendenza e l’imparzialità del dipendente.

Ovviamente, la stazione appaltante deve valutare tutte le circostanze del caso concreto, tenendo conto della propria organizzazione, della specifica procedura ad evidenza pubblica espletata nel caso di specie, dei compiti e delle funzioni svolte dal dipendente e degli interessi personali dello stesso.

Per esigenze di chiarezza, si suggerisce di riformulare il paragrafo 8.4 come segue: “La valutazione della sussistenza di un conflitto di interessi va effettuata tenendo in considerazione le ipotesi previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 62/2013 e ogni altro caso in cui sussistano i presupposti di cui al paragrafo 2.1. In particolare, va valutato se la causa di astensione sia grave e se metta in pericolo l’adempimento dei doveri di integrità, indipendenza e imparzialità del dipendente, considerando, altresì, il pregiudizio che potrebbe derivare al decoro e al prestigio dell’amministrazione di appartenenza.”.

Il paragrafo 8.5 delle Linee Guida (che suggerisce misure adeguate per superare le criticità derivanti dal conflitto) non sembra coerente con il contenuto e il titolo del paragrafo 8 delle stesse (Obbligo di astensione). Le misure suggerite ai numeri da 1 a 3, infatti, riguardano l’organizzazione interna della amministrazione e non l’obbligo di astensione né le conseguenze dirette nei confronti della singola gara o del munus ricoperto a causa della esistenza del conflitto. Troverebbero migliore collocazione nel paragrafo 10 delle linee.

Paragrafo 9 - Esclusione dalla gara del concorrente, annullamento dell’aggiudicazione e risoluzione del contratto.

Relativamente al paragrafo 9 delle Linee guida, va rilevato che l’art. 80, co. 5, lett. d), d.lgs. n. 50/2016, si riferisce alle situazioni (ed, in particolare, ai requisiti generali) dell’operatore economico, mentre l’art. 42 del medesimo decreto legislativo attiene alla situazione in cui versa il dipendente della stazione appaltante.

Pertanto, è evidente che non possono ricadere sull’operatore economico le situazioni critiche in cui versi il dipendente; altrimenti, si avrebbero effetti distorsivi della concorrenza ed in contrasto con il principio di parità di trattamento di tutti gli operatori economici che partecipano alla procedura ad evidenza pubblica.

L’art. 80, co. 5, lett. d) prevede come causa di esclusione il caso in cui il conflitto di interessi in cui versi il concorrente (id est: il pubblico dipendente) sia “non diversamente risolvibile”. In ciò segue pedissequamente l’art. 57 della direttiva n. 24 del 2014. E’ di tutta evidenza che la disposizione ponga notevoli problemi di interpretazione.

In primis, si deve considerare che il conflitto di interessi è una situazione bilaterale. Essa dipende allo stesso tempo, dalla ineliminabile situazione personale per una parte del concorrente, per l’altra del funzionario o consulente che partecipa alla procedura il quale è incardinato nella organizzazione della Stazione. Ancora si consideri che il concorrente non ha dato volontariamente adito al conflitto poiché con la sua partecipazione non ha fatto altro che fruire di un suo interesse legittimo costituzionalmente protetto, e che non necessariamente deve essere a conoscenza della situazione personale che genera al conflitto.

Ritiene conseguentemente la Sezione che non possa essere addossato al concorrente alcun obbligo di eliminare il conflitto di interessi, poiché, dal canto suo, l’unico mezzo sarebbe per lui quello di non partecipare alla gara, il che inciderebbe sui suoi diritti costituzionali. Ritiene la Sezione, quindi, che l’obbligo di risolvere il conflitto incomba sempre sul funzionario pubblico e sulla Stazione, la quale è titolare del potere di garantire e soddisfare l’interesse legittimo ed è quindi tenuta ad adeguare la propria organizzazione per permettere la soddisfazione di esso e il conseguimento del bene della vita sottostante, per altro tutelato dall’art. 41 della Costituzione.

Per dare una applicazione costituzionalmente orientata alla lett. d) del comma 5 dell’art. 80 del codice, occorre inoltre ritenere che la irrisolvibilità del conflitto debba essere valutata in termini di impossibilità oggettiva, che non facciano riferimento a ragioni di correntezza amministrativa o alle sia pure gravi difficoltà organizzative, che possono sempre, e comunque devono, essere superate.

Destano quindi perplessità i paragrafi 9.1 e 9.2 numeri 1 e 2.

Nel paragrafo 8.5 delle Linee l’ANAC opportunamente suggerisce l’adozione di misure organizzative diverse dalla mera astensione del soggetto in conflitto, nel paragrafo 9.1, invece, introduce la possibilità della esclusione del concorrente nella ipotesi in cui l’astensione non sia considerata sufficiente a impedire il rischio di interferenza, contraddicendo l’obbligo indicato al par. 8.5 di adottare sempre apposite misure.

La previsione non è supportata da alcuna norma primaria. Si è già ricordato che le Linee Guida sono dirette a fornire indirizzi di comportamento nei confronti delle situazioni di conflitto di interessi e non per disciplinare misure aggiuntive di contrasto alla corruzione propriamente detta. Il Legislatore ha individuato il conflitto di interessi come una situazione di pericolo e ne ha imposto la gestione, ma una volta che il conflitto sia eliminato (principalmente con la astensione del funzionario) la situazione di pericolo individuata nel conflitto specifico viene meno e quindi non sono giustificate ulteriori misure specie se a danno del concorrente. Ciò non significa che non possano permanere rischi di interferenza contro i quali la Stazione deve approntare opportune misure, ma all’evidenza essi non deriverebbero da una situazione giuridica di conflitto ormai risolta, ma da altre considerazioni di cui la Stazione deve farsi carico ai sensi di legge. Del resto l’indirizzo contenuto nel paragrafo 9.1 è estremamente generico e indeterminato tale da concedere alla Stazione un ventaglio di ipotesi di esclusione del concorrente al limite dell’arbitrio, talvolta anche con effetti paradosso.

Le perplessità sollevate dal paragrafo 9,1 delle linee Guida sono acuite dal combinato disposto con il par. 9.2, numeri 1 e 2. In esso si invita alla esclusione del concorrente quando non sia possibile l’adozione di misure “aggiuntive di contrasto del rischio di interferenza o tali misure sono considerate, con adeguata motivazione, insufficienti ad escludere il rischio medesimo” (ci si riferisce alle misure previste nel paragrafo 8.5 delle Linee). L’affermazione è priva di una giustificazione normativa e incorre nelle medesime perplessità sopra accennate circa la tensione verso l’obiettivo di introdurre ulteriori misure anticorruzione invece che interpretare e orientare le norme sul conflitto di interessi. L’art. 42 del codice si occupa esclusivamente del rischio derivante dal conflitto di interessi, così come è stato definito e tratteggiato nel paragrafo 3 di questo parere. E’ fin troppo evidente in punto di logica che, eliminato il conflitto in sé, il rischio di interferenza non può derivare da un conflitto che non esiste più, ma solo da situazioni diverse, sulle quali l’amministrazione ben potrà, e dovrà, intervenire in altro modo. Del resto, l’ampiezza riconosciuta alla valutazione dei conflitti derivanti da “interessi finanziari, economici e interessi personali”, “potenziali conflitti”, “gravi ragioni di convenienza” è talmente ampia da coprire una enorme gamma di situazioni.

Nessuna norma, però, autorizza per ciò l’esclusione di un concorrente, se mai, al contrario, fa obbligo preciso alla Stazione di fornirsi di una organizzazione in grado di intercettare queste interferenze “altre” dal conflitto.

Non condivisibile è neppure l’ipotesi particolare considerata da ANAC della impossibilità assoluta di sostituire il funzionario o avocare le funzioni nel caso in cui “L’impossibilità di sostituire il dipendente deve essere assoluta, ad esempio, deve derivare dall’elevatissima specializzazione richiesta per lo svolgimento della concreta funzione nell’ambito della procedura di gara”. Si tratterebbe comunque di una impossibilità derivante dalle modalità di funzionamento e organizzazione della Stazione che dipendono pur sempre dalla sua volontà e dalla capacità organizzativa della P. A., sulla quale incombe invece il preciso obbligo di adeguarla alla soddisfazione degli interessi legittimi dei cittadini e non il contrario. Diversi sono gli strumenti all’uopo utilizzabili a seconda dei casi, quali il ricorso alla centrale di committenza, alle figure organizzatorie di cui all’art. 37 del codice, alle attività di committenza ausiliarie ai sensi dell’art. 39 del codice. Vedi anche la delibera ANAC n. 1091 del 26 ottobre 2016


 

Il paragrafo 9.1 va dunque così riformulato: “9.1 L’esclusione del concorrente dalla gara ai sensi dell’articolo 80, comma 5, lettera d) del codice dei contratti pubblici è disposta, come extrema ratio, quando sono assolutamente e oggettivamente impossibili sia la sostituzione del soggetto che versa nella situazione di conflitto di interesse, sia l’avocazione dell’attività al responsabile del servizio, sia il ricorso a formule organizzatorie alternative previste dal codice. L’impossibilità di sostituire il dipendente, di disporre l’avocazione o di ricorrere a formule alternative, deve essere assoluta, oggettiva, puntualmente ed esaustivamente motivata e dimostrata.”

Non condivisibile è anche il punto 3 del paragrafo 9.1, atteso che, nei termini proposti, non è sorretto da alcuna norma positiva. Ben si comprende che la concomitanza della omissione della dichiarazione di conflitto da parte di entrambe le parti dello stesso faccia sospettare un accordo collusivo. La norma dell’art. 42, però, non è destinata a punire il comportamento scorretto del concorrente e dell’agente, né a introdurre ulteriori tipologie di strumenti anticorruzione, ma a individuare le situazioni di conflitto ed eliminarle. La duplice concomitante omissione potrà essere valutata dalla stazione appaltante, oltre che disciplinarmente a carico dell’agente per la sua stessa qualità di funzionario pubblico che omette un atto dovuto, anche nei confronti del concorrente ex art. 80, comma 5, lett. c-bis) del codice (“abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”). Ciò comporta in primo luogo che la esclusione non è automatica alla sola presenza della duplice omissione; che essa deve essere pronunciata all’esito di una valutazione da parte della stazione appaltante; che deve essere motivata non con il semplice riferimento alla duplice omissione ma con la valutazione della gravità della incidenza sul corretto svolgimento della procedura nonché di circostanze particolari della situazione concreta, come ad esempio la oggettiva impossibilità del concorrente di conoscere la sussistenza del conflitto.

Il punto 3 dell’attuale paragrafo 9.1, quindi, opportunamente riformulato come si dirà avanti, va spostato come paragrafo 11.3, di cui avanti

Paragrafo 10 - Individuazione degli eventi rischiosi nelle varie fasi delle procedure di gara e le relative misure di prevenzione.

Per esigenze di chiarezza ed evitare eventuali problemi applicativi, appare opportuno riformulare il paragrafo 10.1 come segue: “Le stazioni appaltanti individuano preventivamente possibili situazioni di rischio che possano far emergere, nelle varie fasi della procedura, conflitti di interesse non dichiarati o non comunicati.”. In quanto superflue, si suggerisce di eliminare le parole “Detta esigenza è tanto più urgente quanto maggiore è la discrezionalità riconosciuta alla stazione appaltante nella scelta del contraente.”.

Condivide la Sezione la utilità della tabella allegata al paragrafo 10 delle Linee, anche se sembra opportuna una precisazione.

Nella terza finca della tabella sono indicati i soggetti coinvolti nelle varie fasi della procedura in funzione di una situazione di rischio descritta nella quarta finca. Orbene, poiché l’impostazione iniziale delle Linee Guida, condivisa dalla Sezione, è che la disciplina del conflitto si applichi a tutti i dipendenti che partecipino a qualsiasi titolo ad una qualunque delle fasi della procedura, occorre chiarire che la tabella non ha il significato di restringere l’obbligo di dichiarazione e l’esame da parte della Stazione nei soli confronti dei soggetti coinvolti nelle fasi specificate così come individuati dalla tabella. La tabella ha solo il compito di orientare la Stazione appaltante verso una verifica, anche d’ufficio, della situazione non conflittuale dei soggetti specificatamente indicati nella tabella stessa come più a rischio. Resta fermo, in sostanza, che indipendentemente dalla analisi del rischio così compiuta, il conflitto di interessi rileva quando colpisca chiunque partecipi, a qualsiasi titolo e con qualsiasi mansione, alla procedura di gara.

Non vi sono altre osservazioni.

Paragrafo 11 - Bandi di gara, protocolli di legalità e patti di integrità.

Relativamente alla previsione di inserire la dichiarazione sostitutiva nei bandi e nei protocolli/patti di integrità, alcuni Stakeholder hanno rilevato che la dichiarazione sostitutiva sui conflitti di interesse è già prevista, con riferimento alla gara, dal DGUE e, pertanto, la previsione in questione non aggiungerebbe alcunché e costituirebbe solo un appesantimento per i partecipanti.

Al riguardo, correttamente, l’Autorità non ha dato seguito a tale rilievo osservando che, in caso di inadempimento agli obblighi dichiarativi in esame, possono essere previste sanzioni solo nei protocolli di legalità e/o patti di integrità, poiché tali ‘pene’ possono essere irrogate solo se preventivamente accettate dal destinatario in modo pattizio, posto che il bando di gara – nel rispetto del principio di tassatività - non può prevedere sanzioni ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge.

Proprio per tale ragione, si ritiene sia possibile pretendere che i concorrenti ed i soggetti affidatari di appalti pubblici rilascino preventive dichiarazioni sostitutive circa la sussistenza di possibili conflitti di interesse rispetto ai soggetti che intervengono nella procedura di gara o nella fase esecutiva ed in ordine alla comunicazione di qualsiasi conflitto di interesse che insorga successivamente, solo se tali specifiche prescrizioni siano contenute in atti sostanzialmente pattizi quali i protocolli di legalità ed i patti di integrità, con esclusione di atti unilaterali quali i bandi di gara, ai quali è interdetto costituire motivi di esclusione non previsti dalla legge.

Conseguentemente, nella rubrica dell’articolo 11, vanno espunte le parole “Bando di gara”.

Il paragrafo 11.1 va riformulato come segue: “Nei protocolli di legalità e/o nei patti di integrità, vanno inserite specifiche prescrizioni a carico dei concorrenti e dei soggetti affidatari mediante cui si richiede la preventiva dichiarazione sostitutiva della sussistenza, ove a conoscenza del dichiarante, di possibili conflitti di interesse rispetto ai soggetti che intervengono nella procedura di gara o nella fase esecutiva e la comunicazione di qualsiasi conflitto di interesse che insorga successivamente”.

Al par 11.2 sostituire le parole “Si evidenzia l’opportunità di prevedere, nei protocolli di legalità e/o nei patti di integrità”, con le parole “Nei protocolli di legalità e/o nei patti di integrità, sono previste”.

Coordinando questo paragrafo con il paragrafo 9, come accennato, occorre aggiungere il paragrafo 11,3: “11.3 Quando il personale della stazione appaltante che versa nella situazione di conflitto di interesse ha omesso la dichiarazione o la comunicazione di cui alla parte II delle presenti Linee guida e ha partecipato in qualunque modo alla procedura di gara o alle fasi propedeutiche della stessa, e analoga omissione sia commessa dal concorrente con riferimento alla dichiarazione richiesta al punto 11.1, la Stazione appaltante valuta il comportamento del concorrente ai sensi dell’art. 80, comma 5, lettera c-bis del codice dei contratti pubblici, tenuto conto anche della natura del conflitto non dichiarato e delle circostanze che hanno determinato l’omissione”.

Paragrafo. 12 (Attività formative e di sensibilizzazione del personale) e 13 (Indicazione delle sanzioni applicabili).

Considerando che gli articoli 12 e 13 contengono previsioni di adempimenti e compiti affidati alle stazioni appaltanti, si suggerisce di unificare in un unico articolo le indicazioni ivi contenute.

In considerazione di quanto stabilito dal paragrafo 9 delle Linee Guida(“Esclusione dalla gara del concorrente, annullamento dell’aggiudicazione e risoluzione del contratto”) e, segnatamente, dal paragrafo 9.1 delle Linee Guida in merito alle conseguenze giuridiche derivanti dall’omesso adempimento degli obblighi posti a carico del personale della stazione appaltante, si propone la seguente modifica del paragrafo 12.1: “Le stazioni appaltanti, nell’ambito dell’attività formativa obbligatoria dei propri dipendenti, intraprendono adeguate iniziative per dare compiuta conoscenza al personale in merito alla dichiarazione sostitutiva, all’obbligo di comunicazione e di astensione, nonché in relazione alle conseguenze giuridiche scaturenti dalla loro violazione e dall’inosservanza dei comportamenti da seguire in caso di conflitto di interesse”.

Per quanto concerne l’indicazione delle sanzioni applicabili, tenuto conto della rilevanza delle Linee guida sotto questo profilo e dell’incidenza sulle posizioni personali dei dipendenti è necessario sostituire le parole “È opportuno” con la parola “Occorre”, le parole “sarebbe utile richiamare le sanzioni applicabili” con le parole “le sanzioni applicabili sono indicate”.

Inoltre, affinché i dipendenti abbiano piena contezza delle sanzioni loro applicabili, occorre fornire adeguate indicazioni circa le modalità mediante le quali assicurare che i dipendenti abbiano piena contezza, essendone pienamente informati, delle sanzioni applicabili per il caso di omessa/falsa dichiarazione sulla sussistenza delle situazioni di rischio, individuabili nelle sanzioni disciplinari di cui all’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 62/2013 per i dipendenti pubblici e di cui ai codici etici per i dipendenti privati, oltre che nella responsabilità amministrativa e penale. Ad esempio, prevedendo adeguate forme di pubblicità nei luoghi di lavoro, l’affissione in bacheca di specifiche informazioni, comunicazioni mediante circolari, o altre modalità ritenute idonee.

Ciò vale anche per quanto concerne l’esigenza di porre a conoscenza i dipendenti degli effetti della violazione delle disposizioni sul conflitto di interessi sul procedimento amministrativo e sul provvedimento conclusivo dello stesso.

Non si hanno ulteriori rilievi formali o di legittimità da formulare in relazione alle Linee guida oggetto del presente parere.

P.Q.M.

esprime parere nei sensi di cui in motivazione.


 

 

   

 

   

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

 

Roberto Proietti

Claudio Zucchelli

 

 

   

 

   

 

   

 

   

IL SEGRETARIO

Cesare Scimia