il punto della situazione

L’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016 ha profondamente innovato la disciplina dei contratti pubblici.

Le innovazioni apportate dal nuovo Codice non si limitano ai soli profili sostanziali, ma interessano anche tematiche di diritto processuale.

Una di queste tematiche è rappresentata dal regime di impugnazione dei provvedimenti di aggiudicazione delle procedure di gara.

A seguito dell’introduzione del nuovo comma 2-bis nell’art. 120 del Codice del processo amministrativo, è stato opportunamente chiarito che non è impugnabile – a pena di inammissibilità del ricorso - la proposta di aggiudicazione (ossia quella che nel regime previgente era denominata "aggiudicazione provvisoria"), così come non sono impugnabili tutti gli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività[1].

Ciò premesso, una volta chiarita la non impugnabilità della proposta di aggiudicazione (ex “aggiudicazione provvisoria”), può essere utile operare una sintetica ricostruzione del regime di impugnabilità dell’aggiudicazione tout court (ex “aggiudicazione definitiva”), su cui si registra una cospicua produzione giurisprudenziale.

In primo luogo, è opportuno precisare che – ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a. -  il termine per impugnare l’aggiudicazione inizia a decorrere dal momento in cui l’impresa non aggiudicataria riceva la comunicazione di cui all’art. 76, comma 5, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016[2] e non dal momento, eventualmente successivo, in cui la stazione appaltante concluda con esito positivo la verifica della sussistenza dei requisiti di gara in capo all’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 32, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016[3].

Ciò in quanto l'esito positivo della verifica di cui all'art. 32, comma 7, del Codice, integra una mera condizione di efficacia dell'aggiudicazione, la quale è "suscettibile di produrre effetti giuridici rilevanti già prima di detta verifica e indipendentemente da essa"[4] e va pertanto impugnata a prescindere dall'esito della successiva verifica dei requisiti.

Dopo aver chiarito che il termine di impugnazione dell'aggiudicazione (definitiva) decorre di norma dalla relativa comunicazione, occorre interrogarsi se tale principio operi anche in presenza di una comunicazione irregolare e/o comunque incompleta.

Sono prospettabili diverse teorie circa l’idoneità di una comunicazione non completa a provocare il decorso dei termini di impugnazione.

Secondo un primo indirizzo ipotizzabile, il termine dovrebbe sempre decorrere dal momento della comunicazione dell’aggiudicazione definitiva, ancorché incompleta e non satisfattiva, fermo restando il diritto del ricorrente di proporre motivi aggiunti nel momento in cui, realizzato l’accesso agli atti, egli venga a conoscenza di altre ragioni di illegittimità.

Tale conclusione sarebbe confermata dallo stesso art. 120, comma 5, c.p.a., nella parte in cui la decorrenza del termine di impugnazione viene ricondotta (alla comunicazione legale del provvedimento, ovvero) “in ogni altro caso”, alla conoscenza dell’atto.

Secondo un diverso orientamento, il termine di trenta giorni decorrerebbe solo dal momento in cui la parte abbia piena contezza di tutti gli eventuali profili di legittimità del provvedimento, anche mediante l’esercizio del diritto di accesso agli atti del procedimento.

Tale orientamento, fondato sull’assunto di “un ineludibile coordinamento logico-sistematico fra le regole generali in materia di termine per proporre ricorso e la “conoscenza” cui si riferisce il citato art. 120, comma 5, c.p.a.[5], valorizza la circostanza per cui – qualora la stazione appaltante trasmetta una comunicazione incompleta ovvero, pur in presenza di una comunicazione esaustiva e completa, sia indispensabile conoscere gli elementi tecnici dell’offerta dell’aggiudicatario per aver chiare le ragioni che hanno spinto la P.A. a preferirla – il potenziale ricorrente non può avere piena contezza dei profili di illegittimità dell’atto senza prima accedere agli atti.

Qualora l’impresa possa avere piena cognizione dei potenziali vizi del provvedimento di aggiudicazione solo tramite l’accesso agli atti, il termine decadenziale per l’impugnazione subirebbe quindi uno slittamento in avanti di un numero di giorni pari a quello necessario per acquisire la piena conoscenza degli elementi essenziali dell’atto e dei suoi profili di illegittimità[6].

L’orientamento in esame è meritevole di apprezzamento nelle sue linee generali ed è ormai significativamente diffuso nella giurisprudenza amministrativa, sebbene alcune recenti pronunce ne abbiano parzialmente ridimensionato la portata.

Da un lato, infatti, è stata ribadita la perdurante validità del principio generale di estrazione pretoria secondo cui, in caso di comunicazione incompleta, il termine d’impugnazione non può decorrere, dovendosi in tal caso aver riguardo, ai fini della decorrenza del citato termine, alla conoscenza comunque acquisita (anche in sede di accesso agli atti) di tutti gli elementi necessari per il potenziale ricorrente a verificare non solo la lesività dell'atto impugnando, ma anche i suoi profili di illegittimità[7].

Dall’altro lato, è stato tuttavia chiarito che - per poter considerare il provvedimento di aggiudicazione talmente ‘incompleto’ da evitare il decorso del termine per l’impugnazione – è necessario che al candidato non aggiudicatario (ossia al potenziale ricorrente) sia stato comunicato unicamente il ‘dispositivo’ del provvedimento medesimo[8].

Secondo la giurisprudenza più recente, soltanto in tal caso – oltreché, ovviamente, nel caso in cui la comunicazione dell’aggiudicazione sia stata omessa tout court - il termine decadenziale di trenta giorni può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità.

Tuttavia, è stato precisato che tale incremento del termine decadenziale (‘slittamento in avanti’) non può ritenersi potenzialmente infinito.

Esso deve infatti contenersi in una misura non superiore ai quindici giorni necessari per esercitare l’accesso agli atti c.d. ‘semplificato’ e ‘accelerato’ di cui all’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50/2016.

Infatti, qualora la mancata tempestiva conoscenza dei profili di illegittimità dell’aggiudicazione sia dovuta (non solo all’incompletezza della comunicazione della stazione appaltante, ma anche) all’inerte contegno dell’operatore economico ricorrente, il quale non abbia diligentemente e tempestivamente esercitato le facoltà ad esso attribuite dall’ordinamento per acquisire con prontezza la documentazione di gara (i.e. la richiesta di accesso agli atti ‘semplificato’ e ‘accelerato’ ex art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50/2016), tale circostanza non può ridondare a danno del principio di certezza dei rapporti giuridici, presidiato dall’inoppugnabilità degli atti amministrativi una volta che sia inutilmente decorso il relativo termine di impugnazione.

In buona sostanza, si ritiene che il termine per impugnare l’aggiudicazione possa subire uno ‘slittamento in avanti’ (i) soltanto nel caso in cui la stazione appaltante si sia limitata a comunicare il solo ‘dispositivo ‘ del provvedimento, e (ii) comunque per un periodo massimo di quindici giorni.

In tutti gli altri casi, la conoscenza legale del provvedimento di aggiudicazione (ossia la conoscenza maturata a seguito di rituale comunicazione della stazione appaltante) deve ritenersi sufficiente a inverare e cristallizzare la lesione della sfera giuridica del concorrente non aggiudicatario, ormai irrimediabilmente pretermesso; da quel momento sorge l’interesse attuale e concreto all’impugnazione dell’aggiudicazione e dal medesimo momento, pertanto, non può che iniziare a decorrere il termine decadenziale di trenta giorni, senza che ciò possa intaccare il diritto di difesa in giudizio del ricorrente, garantito in ogni caso dalla possibilità di proporre motivi aggiunti qualora la (successiva) compiuta conoscenza degli atti procedimentali valga a “disvelare e lumeggiare la effettiva latitudine della ‘ingiustizia’ dell’agere amministrativo e dei vizi che eventualmente la affliggono[9].

Diversamente, qualora si affermasse tout court il principio per cui il dies a quo per impugnare l’aggiudicazione andrebbe sempre individuato nel momento in cui l’interessato assuma piena cognizione del vizio del provvedimento, si “renderebbe mutevole e in definitiva incerto il momento in cui gli atti di gara siano divenuti inoppugnabili, e dunque il momento in cui l’esito di questa possa ritenersi consolidato. Da questa notazione emerge come una simile ricostruzione non possa essere accettata, per via dell’elevato tasso di incertezza sulle procedure di affidamento di contratti pubbliche che essa produrrebbe, ed a tutela del quale è posto il termine a pena di decadenza per proporre il ricorso giurisdizionale (che è addirittura dimezzato, ex art. 120, comma 2, cod. proc. amm., a conferma delle esigenze di celerità che permeano il settore dei contratti pubblici, pur nel rispetto del diritto di difesa dell’operatore economico)[10].


[1] In giurisprudenza, si vedano, ex multis: Cons. St., Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3947; Tar Sicilia, Palermo, Sez. III, 5 luglio 2018, n. 1551; Tar Campania, Salerno, Sez. I, 14 febbraio 2018, n. 238.

[2] In precedenza art. 79, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163/2006.

[3] In precedenza art. 11, d.lgs. n. 163/2006.

[4] Cons. St., Sez. V, 5 febbraio 2018, n. 726. Tale pronuncia ha chiarito che "l’illegittimità della procedura svolta per la verifica attiene sempre, ed esclusivamente, al provvedimento di aggiudicazione definitiva, dal momento che una verifica mancante od illegittima comporta la definitiva impossibilità che l’aggiudicazione divenga efficace (…). Pertanto, il provvedimento impugnabile resta l’aggiudicazione definitiva; il vizio della verifica va addotto come sopravvenuta causa di inefficacia definitiva dell’aggiudicazione; non rileva perciò, quanto all’individuazione del provvedimento da impugnare, che l’attività di verifica della stazione appaltante non comporti l’adozione di un distinto ed autonomo provvedimento amministrativo".

[5] Ex multis, cfr. Cons. St., Sez. VI, 1 agosto 2016, n. 3451, e Cons. St., Sez. VI, 1 aprile 2016, n. 1298.

[6] Cfr. Tar Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 13 aprile 2017, n. 366.

[7] Cfr. Cons. St., Sez. V, 5 febbraio 2018, n. 718, conforme a Cons. St., Sez. III, 7 gennaio 2015, n. 25. In senso analogo si è pronunciata anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia. In particolare, nella sentenza della Sez. V, 8 maggio 2014, causa C-161/13 è stato concluso che: (i) “Gli articoli 1, paragrafi 1 e 3, nonché 2 bis, paragrafo 2, ultimo comma, della direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, devono essere interpretati nel senso che il termine per la proposizione di un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione di un appalto deve iniziare nuovamente a decorrere qualora sia intervenuta una nuova decisione dell’amministrazione aggiudicatrice, adottata dopo tale decisione di aggiudicazione ma prima della firma del contratto e che possa incidere sulla legittimità di detta decisione di attribuzione. Tale termine inizia a decorrere dalla comunicazione agli offerenti della decisione successiva o, in assenza di detta comunicazione, dal momento in cui questi ultimi ne hanno avuto conoscenza”; (ii) “Nel caso in cui un offerente abbia conoscenza, dopo la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, di un’irregolarità asseritamente commessa prima della decisione di aggiudicazione di un appalto, il diritto di ricorso contro tale decisione gli è garantito soltanto entro tale termine, salvo espressa disposizione del diritto nazionale a garanzia di tale diritto, conformemente al diritto dell’Unione”. Si vedano anche, infine, Tar Lazio, Roma, Sez. III, 5 gennaio 2018, n. 107, e Cons. St., 3 febbraio 2016, n. 408.

[8] Cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 10 settembre 2018, n. 2056.

[9] Cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. VIII, 2 febbraio 2017, n. 696.

[10] Cons. St., Sez. V, 27 aprile 2017, n. 1953.