TAR Lazio Roma, Sez. III, 20 febbraio 2024, n. 3390

L’esercizio del potere di rettifica in autotutela si caratterizza per il suo fondarsi su un errore che non attiene all’accertamento dei presupposti dell’agire dell’amministrazione, all’interpretazione della disciplina applicabile alla fattispecie, ovvero all’esercizio dell’eventuale discrezionalità; bensì consiste nella mera errata trasposizione nel provvedimento della volontà dell’amministrazione, per come risultante dallo stesso atto, venendo in rilievo un vero e proprio obbligo di provvedere alla correzione di un errore, discendente dal canone di buona fede cui è informato l’ordinamento giuridico e al quale devono essere improntati non solo i rapporti tra i consociati – tenuti, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà – ma anche e soprattutto la pubblica amministrazione, cui l’art. 97 della Costituzione impone di agire con imparzialità e in ossequio al principio del buon andamento.

 

Pubblicato il 20/02/2024

N. 03390/2024 REG.PROV.COLL.

N. 11064/2023 REG.RIC.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 11064 del 2023, proposto da Gaetano Cannata, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Messina e Pasquale Rocco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

a) del provvedimento di rettifica in autotutela dell’ordine di trasferimento prot. 84601 del 9 luglio 2021, posto in essere dal Comando Generale delle Capitanerie di porto;

b) del provvedimento di estremi sconosciuti con il quale l’Amministrazione ha disposto il recupero delle somme versate a titolo di indennità di trasferimento, iniziando a decurtare la somma di euro 500,00, così come risulta dal cedolino;

c) di ogni altro atto preordinato, collegato, connesso e/o conseguente, comunque lesivo degli interessi del ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2024 il dott. Luca Biffaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

 

  1. Il ricorrente, appartenente al Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, esponeva che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in data 20 novembre 2020, aveva bandito un interpello ordinario per il ripianamento di posizioni esigenti, relativo alla programmazione per l’anno 2021 degli avvicendamenti per sottoufficiali e graduati (“Interpello”).

 

1.1. Per quel che rileva ai fini del presente giudizio, l’art. 10, comma 5, dell’Interpello prevedeva che “A parità di requisiti, viene data priorità a trasferimenti in accoglimento domanda, piuttosto che d’autorità, con il doppio obiettivo di garantire la maggior soddisfazione del personale e di perseguire il principio di maggiore economicità per l’Amministrazione in termini di contenimento della spesa pubblica”.

Ai successivi commi 6 e 7 veniva, invece, stabilito che “In subordine, viene data priorità al personale che abbia espresso la propria disponibilità all’impiego d’autorità per la sede interessata.

In via residuale, qualora le istanze/disponibilità non siano sufficienti ad ottenere il ripianamento delle esigenze, si provvede mediante individuazione d’ufficio, secondo quanto stabilito dalla Sezione III del presente Capo”.

 

1.2. Il ricorrente rappresentava che in data 27 luglio 2020 aveva aderito all’Interpello mediante la presentazione di una istanza di trasferimento, che agli atti risulta essere stata formulata come istanza “in accoglimento domanda” (cfr. doc. 4 della produzione di parte ricorrente).

 

1.3. Il ricorrente esponeva, poi, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto (“Mit-CgCcp”), con provvedimento n. 24190 del 2 marzo 2021, rendeva pubbliche le graduatorie provvisorie relative all’Interpello.

In particolare, quanto alla graduatoria inerente alle istanze di trasferimento per la sede di “Messina – Reparto navale” esigenza “MRS NP Altura”, il ricorrente risultava collocato in seconda posizione nella griglia relativa al “Personale che ha prodotto istanza di trasferimento” e non compariva nella griglia relativa al “Personale che ha prodotto Disponibilità al trasferimento”.

 

1.4. In data 16 giugno 2021, con dispaccio prot. n. 74369, veniva diramato il Piano di impiego relativo all’anno 2021, con il quale veniva programmato il trasferimento del ricorrente presso il Reparto Supporto Navale di Messina, esigenza Maresciallo NP abilitato al comando di unità navali d’altura.

 

1.4.1. Con l’ordine di trasferimento prot. n. 84601 del 9 luglio 2021, veniva poi disposto il trasferimento del ricorrente dall’Ufficio locale marittimo di Portopalo (precedente sede di servizio) a bordo della Nave Peluso, vale a dire presso l’attuale sede di servizio (cfr. doc. 6 della produzione di parte ricorrente).

Alla lettera “F” di tale ordine veniva indicata la seguente causale di trasferimento: “Autorità L. 86/01”; pertanto, al ricorrente veniva riconosciuto il diritto alla erogazione dell’indennità prevista dalla legge 29 marzo 2001, n. 86.

 

1.5. Il ricorrente rappresentava che il Mit-CgCcp, a distanza di quasi due anni dall’adozione del predetto ordine di trasferimento – e, segnatamente, in data 18 aprile 2023 – gli aveva comunicato “l’avvio del procedimento amministrativo volto alla rettifica in autotutela del provvedimento di impiego” (cfr. doc. 7 della produzione di parte ricorrente).

In particolare, in tale comunicazione si evidenziava che dall’esame degli atti d’ufficio era emersa una incongruenza relativa al trasferimento del ricorrente, essendo stato trasferito “d’autorità” nella attuale sede di servizio, mentre con l’istanza presentata nell’ambito dell’Interpello la richiesta di trasferimento era stata formulata come “accoglimento domanda”.

Il Mit-CgCcp, inoltre, evidenziava come nella graduatoria provvisoria relativa alle istanze di trasferimento per la sede di Messina – Reparto Supporto Navale, esigenza Maresciallo NP abilitato al comando di unità navali d’altura, il ricorrente si era classificato in seconda posizione tra coloro che avevano presentato istanza di trasferimento.

Con successivo dispaccio, prot. n. 74369 del 16 giugno 2021, era poi stato diramato il piano d’impiego per l’anno 2021, nel quale era riportata la programmazione del ricorrente con trasferimento presso l’attuale sede di servizio con provvedimento “in accoglimento domanda”.

Tuttavia, nell’ordine di trasferimento era stata erroneamente riportata la tipologia d’impiego “Autorità L. 86/01” in luogo di quella “Accoglimento domanda”.

 

1.6. Il ricorrente, in risposta, presentava all’amministrazione di appartenenza una istanza di riesame e archiviazione della comunicazione di avvio del procedimento di rettifica.

 

1.7. Il Mit-CgCcp, con provvedimento del 4 maggio 2023 comunicato con dispaccio prot. n. 58017 di pari data, disponeva la “la rettifica in autotutela, con separato ordine di impiego, del contenuto del dp. Prot. 84601 in data 09.07.2021, al fine di regolarizzare la posizione amministrativa del sottufficiale, 1° Lgt Cannata Gaetano, limitatamente alla parte in cui il para ‘F’ prevede l’errata dicitura dell’“Autorità L. 86/01”, anziché quella dell’“Accoglimento domanda”, a seguito di un refuso materiale nella sua compilazione chiaramente riconoscibile dalla documentazione in atti e del tutto rilevabile dal contesto delle modalità di partecipazione all’Interpello da parte dell’interessato”.

 

1.8. Il ricorrente esponeva anche di aver appreso, dai cedolini stipendiali, dell’esistenza di un provvedimento di recupero delle somme percepite a titolo di indennità di trasferimento ai sensi della legge n. 86/2001.

 

2. Il ricorrente, mediante la proposizione del presente ricorso affidato a sei differenti motivi, insorgeva avverso il provvedimento di rettifica in autotutela dell’ordine di trasferimento del 2021, in uno con gli altri atti e provvedimenti indicati in epigrafe, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto distinti profili, e ne chiedeva l’annullamento.

 

2.1. In particolare, il ricorrente lamentava l’illegittimità del provvedimento di rettifica in quanto: i) si tratterebbe, in realtà, di un provvedimento di annullamento in autotutela adottato oltre i termini previsti dalla legge (primo motivo); ii) sarebbe caratterizzato da una motivazione carente in ordine alle sottese ragioni di interesse pubblico ex art. 21-novies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (secondo motivo); iii) spetterebbe in ogni caso il riconoscimento dei benefici conseguenti al trasferimento, essendo stato disposto “d’autorità” dalla stessa amministrazione resistente, a nulla rilevando la mera presentazione della domanda di trasferimento, atto dovuto in forza del superamento del limite massimo di permanenza presso la precedente sede di servizio (terzo motivo); iv) i vizi-motivi dedotti con i primi tre motivi di ricorso varrebbero a inficiare la legittimità del gravato provvedimento a prescindere dalla sua qualificazione giuridica, venendo comunque in rilievo un provvedimento di secondo grado. Oltretutto, detto provvedimento risulterebbe illegittimo anche per violazione del principio dell’affidamento rispetto alla corresponsione dell’indennità correlata al trasferimento d’ufficio (quarto motivo); v) sarebbe stato adottato a fronte di un asserito esercizio distorto del potere di autotutela e, dunque, caratterizzato da sviamento di potere, atteso che l’amministrazione resistente avrebbe, al più, potuto annullarlo in autotutela ove fosse stata in termini (quinto motivo).

 

2.1.1. Il ricorrente, inoltre, con il sesto motivo di ricorso contestava anche l’illegittimità, in via derivata, del provvedimento, di estremi sconosciuti, con il quale era stato disposto il recupero delle somme versate dall’amministrazione resistente a titolo di indennità di trasferimento ai sensi di quanto previsto dalla legge n. 86/2001.

A tale riguardo veniva anche formulata un’apposita richiesta istruttoria, affinché fosse acquisito agli atti del presente giudizio il provvedimento di recupero gravato ma non conosciuto.

 

2.2. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, in data 19 agosto 2023, si costituivano in resistenza nel presente giudizio.

 

2.3. Le amministrazioni resistenti, con memoria depositata in data 1° settembre 2023, richiamavano la normativa di riferimento applicabile ratione materiae, illustravano il funzionamento dell’Interpello e le distinte modalità di trasferimento ed eccepivano l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso proposti dalla parte ricorrente.

 

2.4. All’udienza camerale del 4 settembre 2023 veniva discussa la domanda cautelare e, all’esito della stessa, la trattazione veniva rinviata all’udienza camerale dell’11 ottobre 2023.

 

2.4.1. All’udienza camerale dell’11 ottobre 2023 la parte ricorrente rinunciava alla domanda cautelare e la Sezione disponeva l’abbinamento al merito della stessa, fissando per la trattazione l’udienza pubblica del 10 gennaio 2024.

 

2.4.2. All’udienza camerale del 25 ottobre 2023 la parte ricorrente, in seguito alla rimessione della causa sul ruolo delle sospensive, rinunciava alla domanda cautelare e la Sezione disponeva l’abbinamento al merito della stessa, fissando l’udienza pubblica del 10 gennaio 2024 per la trattazione nel merito.

 

2.5. All’udienza pubblica del 10 gennaio 2024 la causa veniva discussa e poi trattenuta in decisione.

 

3. Il Collegio ritiene che il ricorso in esame non sia meritevole di favorevole considerazione e debba essere respinto per le seguenti ragioni di diritto.

 

3.1. Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, ha contestato la legittimità del gravato provvedimento per “Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione: della legge n. 241 del 7 agosto 1990, in particolare dell’art. 21-novies; della L. 86 del 29 marzo 2001; dell’art. 97 della Costituzione; eccesso di potere: inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto – Violazione del principio di buon andamento della P.A.”.

In particolare, con tale mezzo di gravame è stato contestato il fatto che l’impugnato provvedimento di rettifica si sostanzierebbe, in realtà, in un provvedimento di annullamento in autotutela, non assumendo alcun rilievo il nomen iuris scelto dall’amministrazione, in quanto la qualificazione giuridica di un provvedimento amministrativo andrebbe sempre determinata in base al suo effettivo contenuto e alla sua portata dispositiva.

Il fatto, poi, che nell’ordine di trasferimento inciso dal potere di autotutela fosse indicata la dicitura “Autorità L. 86/01”, non integrerebbe gli estremi di un mero errore materiale e, pertanto, a distanza di 19 mesi dalla sua adozione l’amministrazione non avrebbe potuto rettificarlo, né annullarlo in autotutela stante il decorso del termine decadenziale previsto dalla legge.

Oltretutto, propenderebbe nel senso che il gravato provvedimento costituisca esercizio del potere di annullamento in autotutela anche quanto affermato nella comunicazione di avvio del procedimento, nella parte in cui si dispone che “la presente costituisce pertanto comunicazione di avvio del procedimento volto all’adozione del provvedimento di annullamento, in autotutela, del citato dp. Prot. 84601 in data 09.07.2021”.

Secondo la prospettazione della parte ricorrente, un ulteriore indice del fatto che nel caso di specie venga in rilievo un provvedimento di annullamento in autotutela risiederebbe nel fatto che detto provvedimento ha prodotto, con efficacia ex tunc, conseguenze sfavorevoli nella sua sfera giuridico-patrimoniale, avendo l’amministrazione disposto il recupero dell’indennità corrisposta ai sensi della legge n. 86/2001.

Il provvedimento impugnato, quindi, risulterebbe illegittimo in quanto adottato oltre i termini previsti dal legislatore per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela. Invero, alla luce del fatto che il gravato provvedimento ha determinato la perdita di un vantaggio economico precedentemente attribuito al ricorrente, lo stesso, ai sensi dell’art. 21-novies della legge n. 241/1990, avrebbe dovuto essere necessariamente adottato entro il termine di dodici mesi, decorrenti dal 9 luglio 2021, data di adozione dell’ordine di trasferimento che aveva interessato il ricorrente. Nella specie, invece, il provvedimento in parola è stato adottato dopo 19 mesi da tale data.

 

3.2. Il Collegio ritiene che tale motivo di doglianza non sia meritevole di accoglimento.

 

3.3. Ai fini della disamina del primo motivo di ricorso è prioritario stabilire con esattezza quale specie di potere sia stato esercitato dall’amministrazione resistente. A tal proposito, è d’uopo richiamare brevemente alcune notazioni, in parte già esposte in precedenza, inerenti all’Interpello e alla domanda di partecipazione presentata dal ricorrente.

 

3.3.1. In particolare, quanto all’Interpello, lo stesso individua e disciplina tre distinte modalità di trasferimento (che, a fini descrittivi, possono essere indicate nei seguenti termini: “in accoglimento domanda”, “d’autorità previa dichiarazione di disponibilità” e “d’autorità tout court”), regolandone l’ordine di valutazione secondo specifici criteri di priorità, subordinazione e residualità. Ciò, oltre ad emergere dal già richiamato art. 10, commi 5, 6 e 7, dell’Interpello, risulta anche confermato da quanto previsto nella Sezione II “Ripianamento dell’esigenza mediante trasferimento a domanda” (artt. 12-22) e nella Sezione III “Ripianamento dell’esigenza mediante trasferimento d’ufficio” (artt. 23-30) del medesimo Interpello.

 

3.3.2. Più nello specifico, l’art. 10, comma 5, espressamente attribuisce priorità nel trasferimento, a parità di requisiti, al personale che abbia presentato istanza di trasferimento “in accoglimento domanda”.

Tale disposizione, peraltro, chiarisce anche le ragioni in forza delle quali viene accordata priorità a tale tipologia di domanda di trasferimento, individuandole nel raggiungimento del duplice obiettivo di “garantire la maggior soddisfazione del personale e di perseguire il principio di maggiore economicità per l’Amministrazione in termini di contenimento della spesa pubblica”. Quanto al secondo obiettivo, il fatto che l’amministrazione sia legittimata a perseguire il suo raggiungimento deriva, in maniera incontrovertibile, dal fatto che nelle ipotesi di trasferimento “d’autorità” al personale trasferito d’ufficio spetta l’erogazione di uno specifico beneficio economico, consistente nell’indennità prevista dalla legge n. 86/2001. Di conseguenza, questa tipologia di trasferimento risulta, quanto all’aspetto economico, particolarmente onerosa per l’amministrazione.

Il carattere prioritario del trasferimento “in accoglimento domanda” rispetto alle altre due tipologie di trasferimento risulta poi confermato, a contrario, da quanto previsto dagli artt. 22 e 23 dell’Interpello (vid. infra).

 

3.3.3. L’art. 10, comma 6, dell’Interpello, invece, espressamente attribuisce al trasferimento “d’autorità previa dichiarazione di disponibilità” carattere subordinato rispetto al trasferimento “in accoglimento domanda”. Tale previsione, infatti, testualmente stabilisce che “In subordine, viene data priorità al personale che abbia espresso la propria disponibilità all’impiego d’autorità per la sede interessata”.

Ciò, peraltro, trova conferma in base a quanto previsto dall’art. 22, comma 1, dell’Interpello, laddove si dispone che “Qualora per il ripianamento di una esigenza non siano pervenute istanze di trasferimento, ovvero quelle pervenute non siano sufficienti ad ottenere la copertura totale dell’esigenza in questione, possono, in subordine, essere valutate eventuali dichiarazioni di disponibilità al trasferimento d’autorità”.

 

3.3.4. Infine, l’art. 10, comma 7, dell’Interpello, attribuisce carattere meramente residuale al trasferimento “d’autorità tout court”, vale a dire il trasferimento d’ufficio a prescindere da qualsivoglia dichiarazione di disponibilità, rispetto alle altre due tipologie di trasferimento innanzi richiamate.

Infatti, tale previsione stabilisce che il trasferimento d’ufficio ha luogo, in base ai criteri previsti dalla Sezione III dell’Interpello, laddove le istanze e le dichiarazioni di disponibilità non siano sufficienti ad assicurare il ripianamento delle esigenze di servizio oggetto di Interpello.

Il carattere residuale di tale tipologia di trasferimento, inoltre, trova conferma alla luce di quanto previsto dall’art. 23 dell’Interpello – disposizione che, come visto, apre la Sezione III relativa ai trasferimenti d’ufficio – che in proposito stabilisce che “Nel caso residuale in cui non sia possibile provvedere all’individuazione del personale – in possesso di specifico profilo professionale (ruolo, grado, specialità, abilitazioni o brevetti specificamente richiesti dalla posizione esigente) – mediante l’applicazione dei criteri di cui alla Sezione precedente, il ripianamento delle esigenze avviene con provvedimento d’ufficio, secondo i criteri di cui alla presente Sezione”.

 

3.4. Quanto alla domanda di partecipazione presentata dal ricorrente in data 27 novembre 2020, dai documenti in atti risulta in maniera inequivocabile che la stessa sia stata formulata come “Istanza di trasferimento per un trasferimento in accoglimento domanda” per le sedi di Pozzallo – prima scelta – Catania – seconda scelta – e Messina – R.S.N. – terza scelta – (cfr. doc. 4 della produzione di parte ricorrente e doc. 4 della produzione del Mit-CgCcp).

 

3.4.1. Che il ricorrente avesse presentato una istanza di trasferimento “in accoglimento domanda” risulta anche avvalorato dal parere del Comandante di Corpo allegato a detta istanza di trasferimento, nel quale inter alia si affermava quanto segue “[…] si esprime, per quanto di stretta competenza, parere favorevole alla richiesta di trasferimento per le sedi esigenti di Pozzallo, Catania e Messina […]” (cfr. doc. 4 della produzione di parte ricorrente e doc. 4 della produzione del Mit-CgCcp).

 

3.5. Vale poi evidenziare, sempre sulla scorta di quanto emerso dalla documentazione versata agli atti del presente giudizio, che l’amministrazione resistente ha considerato, lungo tutto l’iter procedurale di valutazione delle domande di trasferimento presentate in relazione all’Interpello, la domanda presentata dalla parte ricorrente alla stregua di una istanza di trasferimento “in accoglimento domanda”.

 

3.5.1. Ciò, in particolare, trova conferma nel dispaccio del Mit – Direzione Marittima Catania, prot. n. 48936 dell’11 dicembre 2020, con il quale – sulla scorta delle disposizioni impartite con il dispaccio prot. n. 132417 del 20 novembre 2020 – erano stati trasmessi gli elenchi, suddivisi per Comandi di appartenenza, con annesse istanze di trasferimento/disponibilità presentate dal personale dipendente dalla Direzione Marittima di Catania, tra le quali figurava anche quella del ricorrente (cfr. doc. 4 della produzione di parte ricorrente).

 

3.5.2. Ad ulteriore conforto di quanto innanzi affermato rilevano, poi, i seguenti ulteriori documenti:

- la graduatoria relativa alle istanze di trasferimento per la sede di “Messina – Reparto navale - Esigenza MRS NP Altura”, nella quale il ricorrente risultava collocato in seconda posizione nella griglia inerente al “Personale che ha prodotto istanza di trasferimento”, mentre non compariva nella griglia relativa al “Personale che ha prodotto Disponibilità al trasferimento” (cfr. doc. 5 della produzione del Mit-CgCcp);

- il piano di impiego 2021, in forza del quale, con riferimento al compartimento di Siracusa, veniva programmato il trasferimento del ricorrente al Reparto Supporto Navale di Messina per il mese di settembre 2021, indicando espressamente come tipologia di movimento “Accoglimento Domanda” (cfr. doc. 6 della produzione del Mit-CgCcp).

 

3.6. Sulla base di tutti gli elementi fattuali sin qui richiamati, nonché della disciplina delle modalità di trasferimento dettata dall’Interpello, emerge come la causale “Autorità L. 86/01” riportata in corrispondenza della lettera “F” dell’ordine di trasferimento, prot. n. 84601 del 9 luglio 2021, che ha interessato il ricorrente, non possa che essere frutto di un mero errore materiale.

Infatti, tanto dalle previsioni della lex specialis di cui all’Interpello, tanto dalla esplicita volontà espressa dal ricorrente in sede di presentazione della domanda di trasferimento, non risultano sussistere le condizioni e i presupposti richiesti affinché l’amministrazione resistente potesse disporre il trasferimento d’ufficio del ricorrente presso l’attuale sede di servizio.

Dai documenti in atti risulta in modo incontrovertibile che il ricorrente, in relazione alle due posizioni esigenti per la sede di Messina Reparto Navale - Esigenza MRS NP Altura e alla luce dell’esito della valutazione comparativa delle istanze di trasferimento operata dall’amministrazione resistente, risultava unicamente legittimato al trasferimento in accoglimento di domanda per essersi collocato in seconda posizione nella graduatoria del “Personale che ha prodotto istanza di trasferimento” (cfr. doc. 5 della produzione del Mit-CgCcp).

 

3.7. Per ciò che concerne la nozione di errore materiale, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “Affinché ricorra un’ipotesi di errore materiale in senso tecnico-giuridico, occorre che esso sia il frutto di una svista che determini una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1036 del 5 marzo 2014; in tal senso anche Cons. Stato, sez. III, sent. n. 4695 del 5 agosto 2011).

Si è in presenza di un errore materiale, dunque, ogniqualvolta vi sia una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, come più volte ribadito dal giudice amministrativo in pronunce rese nell’ambito di controversie in materia di affidamenti pubblici, suscettibili di trovare applicazione anche nella fattispecie in questione, essendo espressive di principi comuni in materia di errore materiale, la cui nozione va necessariamente intesa in senso unitario a prescindere dalle specificità dell’ambito materiale che viene di volta in volta in rilievo (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 1320 del 23 marzo 2017; Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4237 del 13 ottobre 2016).

 

3.8. Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, i principi giurisprudenziali testé richiamati avvalorano il fatto che l’amministrazione resistente, con l’adozione del gravato provvedimento, abbia effettivamente rettificato un errore materiale, in quanto la causale “Autorità L. 86/01” riportata in corrispondenza della lettera “F” del più volte richiamato ordine di trasferimento, prot. n. 84601 del 9 luglio 2021, non può che considerarsi apposta in conseguenza di una fortuita divergenza tra la valutazione della domanda di trasferimento proposta dal ricorrente – che è stata necessariamente svolta in applicazione degli univoci criteri fissati dall’Interpello – e la traduzione provvedimentale di tale valutazione.

Il ricorrente, infatti, avendo presentato un’istanza di trasferimento “in accoglimento domanda” non possedeva titolo per un trasferimento “d’autorità”, anche tenuto conto delle concorrenti domande proposte da altri militari del Corpo delle capitanerie di Porto per la medesima esigenza e sede di servizio presso la quale il ricorrente è stato poi effettivamente trasferito.

 

3.8.1. Tale ultimo aspetto, peraltro, rileva anche ai fini della riconoscibilità, da parte del ricorrente, dell’errore materiale in cui è incorsa l’amministrazione, rilevante per determinare l’insorgenza di un affidamento incolpevole come chiarito dagli arresti giurisprudenziali innanzi richiamati (vid. infra).

In particolare, che l’errore materiale in questione fosse riconoscibile risulta sia dalla tipologia di domanda di trasferimento avanzata dal ricorrente, sia dai criteri stabiliti dall’Interpello, ai quali è stata data ampia pubblicità e diffusione – aspetto, questo, che peraltro neppure risulta contestato nel presente giudizio.

 

3.8.2. Oltretutto, la correzione di tale errore non richiedeva – né, in concreto, ha richiesto – da parte dell’amministrazione resistente lo svolgimento di alcuna attività rettificativa o emendativa della valutazione dell’istanza di trasferimento presentata dalla parte ricorrente, ma ha implicato unicamente una correzione parziale del testo dell’ordine di trasferimento prot. n. 84601 del 9 luglio 2021, proprio al fine di riallineare in toto l’esposizione della valutazione alla sua manifestazione provvedimentale (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 1320 del 23 marzo 2017; Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3750 del 29 luglio 2015; Cons. Stato, sez. III, sent. n. 2690 del 26 maggio 2014).

 

3.9. Il Collegio, dunque, ritiene che nella fattispecie per cui è causa, venendo in rilievo un mero errore materiale, l’amministrazione resistente, con il gravato provvedimento, abbia sì esercitato un potere di autotutela, ma sub specie di rettifica e non di annullamento d’ufficio.

 

3.9.1. In proposito, giova richiamare quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai caratteri dei provvedimenti di secondo grado riconducibili alla species della rettifica.

In particolare, il giudice amministrativo ha chiarito che l’atto di rettifica, pur essendo espressione del potere di autotutela dell’amministrazione (c.d. ius poenitendi), costituisce “un atto vincolato, poiché – ora per allora – prende atto di una circostanza in luogo di una insussistente […]” (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 9144 del 27 ottobre 2022).

È stato anche affermato che l’esercizio del potere di rettifica in autotutela “si caratterizza per il suo fondarsi su un errore che non attiene all’accertamento dei presupposti dell’agire dell’amministrazione, all’interpretazione della disciplina applicabile alla fattispecie, ovvero all’esercizio dell’eventuale discrezionalità; bensì consiste nella mera errata trasposizione nel provvedimento della volontà dell’amministrazione, per come risultante dallo stesso atto”, venendo in rilievo un vero e proprio obbligo di provvedere alla correzione di un errore, discendente dal “canone di buona fede cui è informato l’ordinamento giuridico e al quale devono essere improntati non solo i rapporti tra i consociati – tenuti, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà – ma anche e soprattutto la pubblica amministrazione, cui l’art. 97 della Costituzione impone di agire con imparzialità e in ossequio al principio del buon andamento” (cfr. Cons. Stato, sez. II, sent. n. 3537 del 4 giugno 2020).

L’istituto della rettifica, infatti, consiste “nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1036 del 5 marzo 2014).

3.9.2. Dai predetti orientamenti pretori emerge, dunque, come vi sia una profonda differenza tra annullamento e rettifica in autotutela.

Il potere di annullamento in autotutela, infatti, è espressamente disciplinato dall’art. 21-novies della legge n. 241/1990 e richiede che il provvedimento di secondo grado si diriga nei confronti di un provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies, comma 1, della legge n. 241/1990.

Laddove, per converso, il provvedimento inciso dall’esercizio del potere di autotutela non sia illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere e/o incompetenza, bensì si caratterizzi per la presenza di un mero errore materiale, il provvedimento di secondo grado adottato dall’amministrazione non potrà che qualificarsi come atto di rettifica, non trovando applicazione la disciplina dettata dall’art. 21-novies della legge n. 241/1990.

 

3.9.3. L’inapplicabilità del regime normativo previsto dall’art. 21-novies della legge n. 241/1990 all’esercizio del potere di rettifica in autotutela assume rilievo sotto plurimi profili.

 

3.9.3.1. In primo luogo, la giurisprudenza amministrativa ritiene che il carattere doveroso della rettifica e la sua natura vincolata non rendano necessario procedere alla comunicazione di avvio del procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 9144 del 27 ottobre 2022; Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 3597 del 17 luglio 2008), anche tenuto conto di quanto previsto dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 2064 del 28 marzo 2019).

Il Collegio, con specifico riguardo a tale aspetto, pur ravvisando l’esistenza in seno alla giurisprudenza amministrativa di un diverso orientamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1036 del 5 marzo 2014; Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 2306 dell’11 maggio 2007), non ritiene che lo stesso assuma rilievo ai fini della decisione della presente controversia, in quanto consta agli atti di causa che l’amministrazione resistente ha provveduto a comunicare al ricorrente l’avvio del procedimento di rettifica (cfr. doc. 7 della produzione di parte ricorrente), così ponendolo in condizione di esercitare pienamente le proprie prerogative partecipative e defensionali.

Ciò, invero, risulta confermato dal fatto che in data 24 aprile 2024 il ricorrente ha formulato specifiche osservazioni (cfr. doc. 16 della produzione del Mit-CgCcp), delle quali l’amministrazione resistente ha dato compiutamente atto nel provvedimento di rettifica (cfr. doc. 1 della produzione di parte ricorrente).

 

3.9.3.2. In secondo luogo, l’esercizio del potere di rettifica in autotutela non richiede lo svolgimento di alcun bilanciamento tra l’interesse privato e gli interessi pubblici affidati alla cura dell’amministrazione procedente.

A riguardo, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che “la mera correzione di errori materiali non implica, per sua natura, alcuna ponderazione di interessi, non essendo astrattamente configurabile un’esigenza pubblica alla conservazione di un atto a contenuto errato (sul punto cfr. T.A.R. Lazio, sez. II, 5 marzo 2020, n. 2990)” (cfr. Cons. Stato, sez. II, sent. n. 3537 del 4 giugno 2020).

Tale aspetto, intimamente correlato alla natura doverosa della rettifica, si riverbera anche sul grado e sull’intensità dell’obbligo motivazionale incombente sull’amministrazione, di tal misura che ai fini del suo corretto assolvimento risulta sufficiente che si dia conto dell’errore materiale commesso (cfr. Cons. Stato, sez. II, sent. n. 3537 del 4 giugno 2020; T.A.R. Calabria, sez. II, sent. n. 699 del 9 maggio 2014).

Ciò, peraltro, è quanto accaduto nel caso di specie, atteso che nel preambolo del gravato provvedimento di rettifica l’amministrazione resistente dà espressamente conto del fatto che “il para ‘F’ del citato ordine di trasferimento riporta, per un evidente errore materiale di trasposizione degli esiti del citato Piano di impiego, l’inesatta tipologia di impiego di ‘AUTORITÀ L. 86/01’, anziché quella di ‘ACCOGLIMENTO DOMANDA’”. Oltretutto, anche nell’ambito del dispositivo l’amministrazione ha evidenziato l’esistenza di un errore materiale.

3.9.3.3. In terzo luogo, rispetto all’esercizio del potere di rettifica in autotutela neppure trova applicazione il limite temporale sancito dall’art. 21-novies della legge n. 241/1990 (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 9144 del 27 ottobre 2022).

Il Collegio, anche con riguardo a tale profilo, evidenzia come secondo un più risalente orientamento giurisprudenziale il potere di rettifica in autotutela non possa comunque essere esercitato oltre un congruo limite temporale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1036 del 5 marzo 2014).

Nel caso di specie, in disparte il fatto che la censura articolata dal ricorrente non è stata formulata in questi termini, preme evidenziare per maggior completezza di analisi che ferma restando l’inapplicabilità del termine di dodici mesi previsto dall’art. 21-novies della legge n. 241/1990 – il che già di per sé risulterebbe sufficiente a far emergere l’infondatezza del profilo di censura in esame – nemmeno può predicarsi che il gravato provvedimento sia stato adottato dall’amministrazione resistente oltre un congruo termine.

La congruità del termine per provvedere alla rettifica in autotutela, ove ritenuta rilevante ai fini del vaglio di legittimità dell’operato dell’amministrazione resistente, dovrebbe comunque essere traguardata alla luce delle peculiarità che caratterizzano la complessiva vicenda in esame.

A tal proposito, in particolare, assume innanzitutto rilievo la riconoscibilità dell’errore da parte del ricorrente, circostanza che, oltre ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole, avrebbe dovuto condurlo a segnalare l’erronea indicazione della causale del trasferimento in forza dei principi di collaborazione e buona fede operanti anche nell’ambito dei rapporti amministrativi (arg. ex art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241/1990), vieppiù cogenti laddove a venire in rilievo sia una procedura di carattere comparativo riguardante il trasferimento di militari.

Ove si opinasse per l’irrilevanza del contegno inerte mantenuto dal ricorrente, alla luce delle specificità della vicenda in parola, si giungerebbe al paradosso di consentire il consolidarsi nella sua sfera giuridica, per mero decorso del tempo, degli effetti di un’attribuzione patrimoniale non giustificata – in quanto causata dall’occorrenza di un errore materiale dell’amministrazione – in ossequio al valore della certezza e stabilità dei rapporti giuridici. Tale valore, tuttavia, non può assumere un assoluto carattere di preminenza dal punto di vista assiologico, dovendosi comunque indagare quale sia la reale portata giuridica del dato temporale rispetto alla complessiva vicenda contenziosa, tenuto conto di eventuali ulteriori – e concorrenti – principi di diritto applicabili, nonché della ratio e delle caratteristiche degli istituti giuridici coinvolti.

Assume, inoltre, rilevanza anche il fatto che i trasferimenti disposti in forza dell’Interpello hanno riguardato un numero elevato di militari (cfr. doc. 11 della produzione del Mit-CgCcp), per un totale di 560 movimenti (cfr. doc. 14 della produzione del Mit-CgCcp).

Pertanto, può ragionevolmente ritenersi che l’amministrazione resistente non fosse in condizione di avvedersi immediatamente di eventuali errori prodottisi relativamente alle posizioni incise da singoli ordini di trasferimento, essendo all’uopo necessario lo svolgimento di apposite verifiche, come poi effettivamente accaduto nel caso di specie, avendo l’amministrazione indicato, nell’incipit della comunicazione di avvio del procedimento, che l’incongruenza relativa al trasferimento del ricorrente era emersa “da un esame degli atti d’ufficio” (cfr. doc. 15 della produzione del Mit-CgCcp).

 

3.9.4. L’inapplicabilità dell’art. 21-novies della legge n. 241/1990 all’esercizio del potere di rettifica in autotutela, trova anche conferma nella giurisprudenza amministrativa di primo grado.

In proposito, infatti, è stato affermato che “la rettifica, ‘quale provvedimento di secondo grado volto alla semplice correzione di errori materiali o di semplici irregolarità involontarie si distingue profondamente dall’annullamento d’ufficio e dalla revoca, non avendo natura di vero e proprio provvedimento di riesame e non essendo assoggettato alla disciplina di cui all’art. 21-nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241, in quanto non riguarda atti affetti da vizi di merito o di legittimità e non presuppone alcuna valutazione, più o meno discrezionale, in ordine alla modifica del precedente operato della P.A., anzi ha natura doverosa, in luogo della discrezionalità insita nel potere di annullamento d’ufficio; non comporta nessuna valutazione tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato; non richiede una motivazione rigorosa; si distingue, altresì, dalla regolarizzazione e dalla correzione, le quali, normalmente, comportano l’integrazione dell'atto’ (T.A.R. Latina, sez. I, 17/07/2013, n. 644; T.A.R. Napoli, sez. II , 19/12/2019, n. 6029; T.A.R. Palermo, sez. II, 08/10/2012, n. 1973; più di recente, T.A.R. Lazio-Roma, sez. II, 03/02/2020, n. 1362)” (cfr. T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, sent. n. 213 del 4 marzo 2021, passata in giudicato).

 

3.10. Il Collegio, pertanto, sulla scorta di tutte le considerazioni sin qui svolte ritiene infondati tutti i profili di doglianza articolati con il primo motivo di ricorso, in quanto l’amministrazione resistente si è limitata ad adottare, legittimamente e in un congruo termine, un provvedimento di rettifica in autotutela dell’ordine di trasferimento che ha interessato il ricorrente e non, invece, ad annullare d’ufficio in parte qua detto ordine in violazione della disciplina recata dall’art. 21-novies della legge n. 241/1990.

 

4. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, ha contestato la legittimità del gravato provvedimento per “Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione dell’art. 3 e dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 7 agosto 1990. Eccesso di potere – Difetto di istruttoria – Difetto di motivazione”.

In particolare, con tale mezzo di gravame è stata prospettata la carenza motivazionale del gravato provvedimento in quanto, secondo la tesi esposta dalla parte ricorrente, l’amministrazione non avrebbe indicato, in contrasto con le previsioni dell’art. 21-novies della legge n. 241/1990, quale sia l’interesse pubblico da tutelare con l’esercizio del potere di autotutela, sicché risulterebbe ingiustificato il pregiudizio causato all’interesse privato e la lesione dell’affidamento correlata al riconoscimento dell’indennità di trasferimento.

 

4.1. Ad avviso del Collegio tale motivo di ricorso non risulta meritevole di pregio.

 

4.2. Al fine di evidenziare l’infondatezza del mezzo di gravame in esame è sufficiente richiamare, per ragioni di sinteticità, le considerazioni già svolte in precedenza in ordine alla natura del provvedimento impugnato che, come visto, costituisce sì espressione del potere di autotutela di cui gode l’amministrazione, ma sub specie di rettifica e non di annullamento d’ufficio.

In proposito, è stato già evidenziato come non trovi applicazione la disciplina prevista dall’art. 21-novies della legge n. 241/1990. Peraltro, con specifico riferimento all’aspetto motivazionale, vale richiamare l’orientamento pretorio secondo il quale risulta sufficiente che l’amministrazione procedente dia conto dell’esistenza di un errore materiale da rettificare, senza necessità di svolgere alcun bilanciamento tra gli interessi, pubblici e privati, coinvolti dall’esercizio del potere di autotutela (cfr., in particolare, Cons. Stato, sez. II, sent. n. 3537 del 4 giugno 2020).

Di ciò, nella specie, l’amministrazione resistente ha dato espressamente conto nel gravato provvedimento, evidenziando che “il para ‘F’ del citato ordine di trasferimento riporta, per un evidente errore materiale di trasposizione degli esiti del citato Piano di impiego, l’inesatta tipologia di impiego di ‘AUTORITÀ L. 86/01’, anziché quella di ‘ACCOGLIMENTO DOMANDA’”. Anche nel dispositivo veniva esplicitato che la rettifica in autotutela si era resa necessaria per regolarizzare la posizione amministrativa del ricorrente “a seguito di un refuso materiale nella sua compilazione [del dp. prot. 84601 in data 09.07.202, n.d.r.] chiaramente riconoscibile dalla documentazione in atti e del tutto rilevabile dal contesto delle modalità di partecipazione all’Interpello”.

 

4.2.1. La motivazione fornita dall’amministrazione resistente risulta adeguata alla specie di autotutela esercitata, anche tenuto conto della doverosità dell’intervento e della natura vincolata del provvedimento da adottare, vieppiù cogente tenuto conto che all’errore materiale compiuto risulta correlata l’ingiustificata attribuzione, in favore del ricorrente, di una indennità di trasferimento dovuta solo in caso di trasferimenti “d’autorità”.

Tale tipologia di trasferimento assume, in base alle previsioni dell’Interpello, carattere residuale e ciò risulta espressamente giustificato dall’amministrazione anche in ragione della sua maggiore onerosità in termini economici, trattandosi di movimenti che impattano negativamente sulle esigenze di contenimento della spesa pubblica (art. 10, comma 5, dell’Interpello) perché inter alia determinano, per i destinatari dell’ordine, il diritto di percepire ex lege una specifica indennità.

 

5. Il ricorrente, con il terzo motivo di ricorso, ha contestato la legittimità del gravato provvedimento per “Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione: degli artt. 3 e 21-nonis della legge n. 241 del 7 agosto 1990; della L. 86 del 29 marzo 2001; dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto – Violazione del giusto procedimento in presenza di atti di secondo grado – Difetto di motivazione – Illogicità”.

 

5.1. In particolare, con tale mezzo di gravame il ricorrente predicava l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione resistente in quanto la stessa, essendosi determinata per il trasferimento “d’autorità”, non avrebbe potuto legittimamente adottare il gravato provvedimento e, quindi, procedere al recupero delle somme corrisposte a titolo di indennità di trasferimento ai sensi della legge n. 86/2001.

Il ricorrente, richiamando alcuni orientamenti giurisprudenziali, asseriva che la mera presentazione di una domanda di trasferimento da parte di un pubblico dipendente non sarebbe sufficiente a qualificare il trasferimento come “in accoglimento domanda”, essendo la stessa correlata all’individuazione dell’interesse perseguito immediatamente e prioritariamente, da stabilire caso per caso.

Peraltro, nel caso di specie, il ricorrente evidenziava di aver dovuto presentare la domanda di trasferimento in parola per aver raggiunto il periodo massimo di permanenza presso la precedente sede di servizio.

 

5.2. Il Collegio ritiene che anche tale motivo di ricorso non sia meritevole di accoglimento.

 

5.3. Il Collegio non condivide la ricostruzione offerta dalla parte ricorrente in ordine alla qualificazione del trasferimento disposto dall’amministrazione resistente, la quale, nel caso di specie, ha esercitato la propria discrezionalità traducendola nelle previsioni dell’Interpello e, quindi, obbligandosi a rispettarle in virtù del principio dell’autovincolo.

Costituisce, infatti, ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo cui “la pacifica vigenza del principio per il quale quando l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale decide di autovincolarsi, stabilendo le regole poste a presidio del futuro espletamento di una determinata potestà, la stessa è tenuta all’osservanza di quelle prescrizioni, con la duplice conseguenza che: a) è impedita la successiva disapplicazione; b) la violazione dell’autovincolo determina l’illegittimità delle successive determinazioni (Cons. St., sez. V, 17 luglio 2017, n. 3502). L’autovincolo, com’è noto, costituisce un limite al successivo esercizio della discrezionalità, che l’amministrazione pone a se medesima in forza di una determinazione frutto dello stesso potere che si appresta ad esercitare, e che si traduce nell’individuazione anticipata di criteri e modalità, in guisa da evitare che la complessità e rilevanza degli interessi possa, in fase decisionale, complice l’ampia e impregiudicata discrezionalità, favorire in executivis l’utilizzo di criteri decisionali non imparziali. La garanzia dell’autovincolo, nelle procedure concorsuali [e lo stesso dicasi per le procedure comparative in generale, n.d.r.], è fondamentalmente finalizzata alla par condicio: conoscere in via anticipata i criteri valutativi e decisionali della commissione valutatrice, in un contesto in cui le regole di partecipazione sono chiare e predefinite, mette in condizione i concorrenti di competere lealmente su quei criteri, con relativa prevedibilità degli esiti” (cfr. Cons. Stato, sez. III, sent. n. 1120 del 15 febbraio 2022; Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3180 del 20 aprile 2021).

 

5.3.1. Come enunciato in precedenza, il ricorrente ha espressamente presentato una istanza di trasferimento “in accoglimento domanda” per la posizione esigente e per la sede dove poi è stato effettivamente trasferito.

Per tale sede si sono collocati in graduatoria altri due militari che avevano presentato istanza di trasferimento “in accoglimento domanda”.

Di conseguenza, l’amministrazione resistente, sulla scorta del rilievo prioritario accordato dall’Interpello alle istanze di trasferimento “in accoglimento domanda”, nonché del fatto che vi erano altri militari collocati in graduatoria per la sede in questione, non avrebbe potuto legittimamente procedere alla assegnazione del ricorrente presso tale sede ove avesse dovuto provvedere “d’autorità”.

 

5.3.2. A nulla rileva la circostanza per cui il ricorrente abbia partecipato all’Interpello per aver raggiunto i limiti temporali di permanenza presso la precedente sede di servizio in quanto, sulla scorta degli esiti dell’Interpello rilevanti ai fini del presente giudizio, il trasferimento presso l’attuale sede di servizio non avrebbe mai potuto essere disposto “d’autorità”, pena la violazione dell’autovincolo da parte dell’amministrazione resistente, con conseguente ingiustificato pregiudizio per i militari non assegnatari che avevano presentato apposita istanza di trasferimento “in accoglimento domanda” per tale sede.

 

5.3.3. Peraltro, nel caso di specie, con l’art. 10, comma 5, dell’Interpello, l’amministrazione resistente ha espressamente chiarito che la priorità accordata alle istanze di trasferimento “in accoglimento domanda” era da ricercarsi anche nel perseguimento dell’obiettivo di garantire la maggiore soddisfazione del personale.

Oltretutto, in considerazione del fatto che erano pervenute domande in numero maggiore rispetto al numero di posizioni esigenti da ricoprire per la sede nella quale è stato trasferito il ricorrente, non può in alcun modo predicarsi che, nel caso concreto, vi fosse un prioritario e immanente interesse dell’amministrazione al trasferimento d’ufficio del ricorrente presso tale sede.

 

5.4. La ricostruzione testé fornita, inoltre, trova conforto nella giurisprudenza amministrativa, che ha affermato che “quando il trasferimento è disposto a seguito della presentazione di una domanda, in una procedura concorsuale, sui posti liberi individuati dall’Amministrazione di appartenenza, si deve escludere la configurabilità di un trasferimento d’ufficio, con il conseguente diritto a percepire le relative indennità” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 5201 del 23 ottobre 2008).

È stato, altresì, chiarito che “non può essere invocato il trasferimento d’ufficio ogni qual volta si ritiene venga in rilievo il soddisfacimento di esigenze dell’Amministrazione, tenuto conto che tali esigenze sono per loro natura sempre presenti anche in un trasferimento a domanda per un posto che la stessa Amministrazione ritiene debba essere coperto per il miglior soddisfacimento delle proprie funzioni” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 9277 del 18 dicembre 2010).

Invero, “La domanda di trasferimento presentata dall’interessato, all’esito di una procedura aperta, non costituisce infatti, una mera dichiarazione di disponibilità al trasferimento ma esprime l’interesse del richiedente di lasciare la sede presso la quale presta servizio per ottenere il trasferimento nella sede diversa che si è resa disponibile […] [sicché, n.d.r.] Può quindi correttamente parlarsi, in tali casi, di un trasferimento a domanda, con le relative conseguenze in ordine al trattamento economico spettante agli interessati […] Né ha alcun rilievo per qualificare diversamente il trasferimento – ha aggiunto la Sezione - la circostanza che, mediante l’attivazione della procedura di mobilità, alla quale può partecipare, presentando apposita domanda, in modo indifferenziato il personale che ha un interesse al trasferimento, anche l’Amministrazione persegue l’interesse pubblico di coprire il posto resosi vacante” (cfr. Cons. Stato, sez. II, parere n. 439 del 20 febbraio 2017).

 

5.5. Detti orientamenti giurisprudenziali, oltre a far emergere la legittimità dell’operato dell’amministrazione resistente, avvalorano la non spettanza dell’indennità di trasferimento indebitamente corrisposta alla parte ricorrente in virtù dell’errore materiale commesso e, poi, rettificato.

Pertanto, anche sotto tale divisato profilo la censura in esame risulta priva di pregio.

 

6. Il ricorrente, con il quarto motivo di ricorso, ha contestato la legittimità del gravato provvedimento per “Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione degli artt. 1 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 – Violazione del principio di buona andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. – Eccesso di potere: violazione del principio del legittimo affidamento”.

In particolare, con tale mezzo di gravame la parte ricorrente ha lamentato l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione del principio dell’affidamento, avendo maturato, in seguito al disposto trasferimento d’ufficio, un affidamento legittimo in ordine alla corresponsione dell’indennizzo previsto dalla legge n. 86/2001.

 

6.1. Il Collegio, al fine di far emergere l’infondatezza di tale censura, evidenzia come nel caso di specie assume rilievo il fatto che l’amministrazione resistente abbia agito per rettificare un mero errore materiale, nonché la circostanza per cui tale errore risultasse ab initio suscettibile di essere riconosciuto da parte del ricorrente.

 

6.1.1. In proposito, giova nuovamente richiamare quell’orientamento pretorio secondo il quale vale “il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1036 del 5 marzo 2014; in tal senso anche Cons. Stato, sez. III, sent. n. 4695 del 5 agosto 2011).

 

6.1.2. Con specifico riferimento alla riconoscibilità, da parte del ricorrente, dell’errore materiale in cui è incorsa l’amministrazione, la sussistenza di tale carattere può essere predicata nel caso di specie sia in ragione della tipologia di domanda di trasferimento avanzata, sia alla luce dei criteri stabiliti dall’Interpello, ai quali è stata data ampia pubblicità e diffusione.

Infatti, propende nel senso della riconoscibilità dell’errore la circostanza per cui il ricorrente, partecipando all’interpello mediante la presentazione di una istanza di trasferimento “in accoglimento domanda”, era tenuto a conoscere che la stessa gli conferiva priorità nel trasferimento presso le sedi indicate, ai sensi di quanto disposto dall’art. 10, comma 5, dell’Interpello.

Oltretutto, essendo noto al ricorrente, alla luce degli esiti della valutazione tradotti nelle graduatorie, che per la sede presso la quale è stato poi trasferito era pervenuto un numero di istanze di trasferimento “in accoglimento domanda” superiori al numero di posizioni esigenti da ricoprire, la circostanza per cui nell’ordine di trasferimento fosse stata indicata la causale “Autorità L. 86/01” risultava facilmente decodificabile quale errore materiale dell’amministrazione, non sussistendo le condizioni per un trasferimento d’ufficio presso detta sede di servizio.

 

6.2. La riconoscibilità dell’errore materiale in questione secondo un canone di ordinaria diligenza esclude, dunque, l’insorgenza di un affidamento incolpevole in capo al ricorrente.

Quest’ultimo infatti, pur a fronte del fatto che fosse tenuto a segnalare l’erronea indicazione della causale del proprio trasferimento – in forza dei principi di collaborazione e buona fede nei confronti dell’amministrazione di appartenenza, nonché dei doveri che afferiscono allo status giuridico dei militari – ha scelto di mantenere un comportamento inerte nel tentativo – che può considerarsi disvelato alla luce del tenore della presente iniziativa giudiziale – di conseguire il consolidamento del vantaggio patrimoniale discendente dalla corresponsione dell’indennità di trasferimento erroneamente erogata dall’amministrazione resistente.

 

6.2.1. La riconoscibilità dell’errore dell’amministrazione e il contegno inerte mantenuto dal ricorrente escludono la configurabilità di un affidamento legittimo, con la conseguenza che non può dirsi violato il principio dell’affidamento. Anche sotto tale angolo visuale, dunque, l’operato dell’amministrazione resistente si appalesa scevro dai vizi invocati dal ricorrente.

 

7. Il ricorrente, con il quinto motivo di ricorso, ha contestato la legittimità del gravato provvedimento per “Violazione e falsa applicazione di legge. Violazione: dell’art. 3 e 21-nonies della legge n. 241 del 7 agosto 1990; dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere per sviamento di potere”.

Con tale mezzo di gravame il ricorrente prospetta che il gravato provvedimento sia viziato per eccesso di potere, con particolare riferimento al profilo dello sviamento di potere dalla sua causa tipica. Secondo la tesi del ricorrente, infatti, l’amministrazione resistente avrebbe fatto ricorso al potere di rettifica in autotutela per perseguire una finalità propria dell’annullamento d’ufficio, non potendo più esercitare tale forma di autotutela per inutile decorso dei termini previsti dall’art. 21-novies della legge n. 21/1990.

 

7.1. Il Collegio, per ragioni di sinteticità, ritiene sufficiente rinviare integralmente alle considerazioni svolte in sede di esame del primo motivo di ricorso, essendo ivi già stato chiarito che nel caso di specie l’amministrazione resistente ha legittimamente esercitato il proprio potere di autotutela nella specie della rettifica, venendo in rilievo l’esigenza di correggere un mero errore materiale. Non venendo, per converso, in rilievo, con riguardo all’ordine di trasferimento che ha riguardato il ricorrente, la necessità di annullare un provvedimento illegittimo, l’amministrazione resistente non era tenuta a procedere all’annullamento d’ufficio ex art. 21-novies della legge n. 241/1990.

 

7.2. Da ciò discende, dunque, la non applicabilità al caso di specie della disciplina dettata dal citato art. 21-novies della legge n. 241/1990, essendo al più il potere di rettifica di cui si tratta assoggettato a un termine congruo che, peraltro, può dirsi ampiamente rispettato dall’amministrazione sulla scorta di quanto evidenziato in precedenza.

 

8. Il ricorrente, con il sesto motivo di ricorso, ha contestato la legittimità in via derivata del provvedimento di recupero delle somme corrisposte a titolo di indennità di trasferimento.

 

8.1. Il Collegio ritiene che tale motivo di ricorso non sia meritevole di favorevole considerazione in ragione del fatto che l’accertata legittimità dell’operato dell’amministrazione resistente in relazione al gravato provvedimento di rettifica in autotutela rende, de plano, infondate le doglianze articolate in via meramente derivata avverso un distinto provvedimento quale, nella specie, quello di recupero delle somme corrisposte a titolo di indennità ai sensi della legge n. 86/2001.

Stante l’infondatezza di tale censura, neppure merita accoglimento l’istanza istruttoria all’uopo formulata dalla parte ricorrente, in quanto l’acquisizione agli atti del presente giudizio del suddetto provvedimento di recupero non potrebbe condurre a un differente sindacato di questo giudice rispetto alla valutazione di motivi di censura che permangono, comunque, di carattere meramente derivativo.

Né per via istruttoria può essere soddisfatto un eventuale diverso interesse conoscitivo del ricorrente, rispetto al quale l’ordinamento appresta differenti e specifici strumenti giuridici, quali, in primis, quelli previsti dall’articolo 22 e ss. della legge n. 241/1990.

 

9. In definitiva, alla luce delle precedenti considerazioni il ricorso deve essere respinto siccome infondato.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, che liquida in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Sapone, Presidente

Luca Biffaro, Referendario, Estensore

Marco Savi, Referendario

 

Guida alla lettura

La sentenza in esame si è occupata della spinosa questione ancora aperta dell’errore materiale e del dovere di rettifica del provvedimento parzialmente ed erroneamente emesso dalla pubblica amministrazione, in relazione ad un ordine d’impiego in campo nazionale del personale militare del ruolo dei Sottufficiali del Corpo delle capitanerie di porto, il quale è in regime di diritto pubblico ex art. 3, co. 1, del d.lgs. n. 165/2001 e, pertanto, soggiace alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, poiché lo dispone l’art. 133, co. 1, lett. i), c.p.a..

A tale riguardo, preliminarmente si osserva che la peculiarità della fattispecie concreta decisa dal giudicante di prima cure consiste nel fatto che il caso di specie è stato risolto condividendo l’impostazione pretoria maturata prevalentemente in tema di rettifica di errori materiali accertati negli atti e nei provvedimenti afferenti alle gare di appalto pubbliche.

Sicché, la novità esegetica intercettata dalla decisione in rassegna si instilla nella condivisione della suesposta impostazione ermeneutica per la risoluzione di una vertenza giudiziaria attinente alla diversa fattispecie della gestione del rapporto di lavoro pubblico connotato dalla dirimente particolarità di essere assistito da un ordine militare di trasferimento prima disposto d’autorità, con i discendenti impegni di spesa a bilancio dello Stato, per circa diciannove mesi, delle indennità accessorie di trattamento economico previste dall’art. 1 della legge n. 86/2001 e poi rettificato a domanda ma alla luce di una sopravvenuta lettura interpretativa della volontà dell’amministrazione deliberante sui fatti documentati nella relativa istruttoria provvedimentale.

In tale ambito, si rileva che l’ordinamento giuridico domestico, invero, non disciplina, con tassatività e determinatezza, la fattispecie del procedimento amministrativo di correzione (rettifica) dell’errore materiale, così come è, viceversa, previsto dal suo diritto processuale (art. 86 c.p.a.).

Del resto, tale vuoto normativo ha condotto la giurisprudenza amministrativa ad interrogarsi, nel tempo, sull’applicabilità alla tematica in questione delle disposizioni normative incise nell’art. 21-nonies, co. 1, della legge n. 241/1990, con particolare riferimento alla predicabilità di una potestà di annullamento d’ufficio da parte dell’autorità amministrativa e del temine ragionevole entro il quale la stessa può essere esercitata legittimamente, stante il precipitato di nullità degli atti e dei provvedimenti emessi, oltre questo termine, sancito dall’art. 2, co. 8-bis, della stessa legge n. 241/1990.

Ebbene, l’ermeneutica della giustizia amministrativa di secondo grado, puntualmente richiamata dalla decisione in illustrazione, ha parzialmente dato risposta a questo quesito approdando alla impostazione che ritiene l’atto di rettifica (correzione), in sede amministrativa, di errori materiali come doveroso, per motivi di tutela della legalità dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.) e del bene della vita solidarietà sociale (art. 2 Cost.), tenuto conto che esso non incide sull’affidamento oggettivo ed incolpevole di buona fede del privato destinatario e sul principio di certezza, oltre che di stabilità dei rapporti giuridici.

In estrema sintesi trattasi di un atto (di correzione) vincolato, con cui si constata, ora per allora, una circostanza in luogo di una insussistente, in omaggio al principio generale di economicità dei valori giuridici e di garanzia del buon andamento dell'agire amministrativo.

Sennonché, allo stato della trattazione non si può sottacere, inoltre, che l’esegesi del giudice amministrativo in argomento ha avuto l’altresì pregio di precisare che l’obbligo di esercizio di questa potestà pubblica, pur non essendo riconducibile al caso dell’annullamento d’ufficio, atteso che lo stesso attiene ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici ed ai provvedimenti di autorizzazione (art. 21-nonies della legge n. 241/1990), è, purtuttavia, soggiacente ad un termine ragionevole di esercizio. Quest’ultimo, però, sconta nella non puntuale codificazione la sua remissione d’individuazione finale al prudente apprezzamento interpretativo del giudice del caso concreto (art. 12 delle preleggi, in relazione all’art. 101, co. 2, Cost.), con possibile irrisolutezza delle perplessità di giustizia sostanziale tutte le volte in cui l’eventuale incertezza del giudizio umano, su un dato elastico e non rigidamente obiettivato nella legge, si contrappone alle incomprimibili esigenze di contenimento della spesa pubblica, per motivi di equilibrio dei bilanci e di sostenibilità del debito pubblico (artt. 81 e 97 Cost.).

Questo è, infatti, il punto nodale di criticità che appare non essere stato risolto dalla sentenza in argomento.

In primo luogo, perché il suo dato grafico letterale documenta che tra l’ordine d’impiego e quello di rettifica dell’errore materiale (ritenuto legittimo dal giudicante di primo grado) sono passati circa diciannove mesi, con il conseguente recupero a valle dell’indebito oggettivo delle indennità economiche accessorie previste dal citato art. 1, co. 1, della legge n. 86/2001 medio tempore corrisposte dall’amministrazione al militare interessato dai fatti contestati (per un approfondimento dell’istituto dell’indebito oggettivo si rimanda all’articolo “L’indebito oggettivo nel pubblico impiego: la Corte costituzionale apre alla Drittwirkung?” pubblicato sul n. 71 di febbraio del 2024 della rivista giuridica Obiettivo Magistrato della Dike Giuridica s.r.l.).

In secondo luogo, poiché se pare essere immune da censure il portato motivazionale della decisione in rassegna quando la stessa poggia le basi delle sue ragioni sulla consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, che riposa sulla posizione che sussistono gli estremi di un errore materiale da correggere quando ci si trovi di fronte ad una inesattezza o svista accidentale rilevando una discrepanza tra la volontà e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque e che è rilevabile dal contesto stesso dell’atto; per contro la stessa sembra presentare delle aporie lì dove non ha ritenuto applicabile al caso decido il termine di dodici mesi previsto dall’art. 21-nonies, co. 1, della legge n. 241/1990 come principio generale dell’attività amministrativa ed entro il quale è possibile ammettere l’atipica rettifica (correzione) amministrativa, che per consolidata giurisprudenza, invece, non si dovrebbe fare luogo oltre un congruo limite temporale.

Giova in senso rafforzativo a tale ultima prospettazione evidenziare che la fattispecie concreta decisa inerisce all’ordinamento militare, che non ammette ordini (che per consolidata giurisprudenza penale militare sono orali) da rettificare oltre un congruo termine pure nel caso di loro estrinsecazione in un provvedimento amministrativo d’impiego, che è nella sua essenza proprio un ordine militare, il quale, pur potendo essere attinto da un errore materiale, può, comunque, determinare un effetto multipolare di responsabilità erariale per l’impegno della spesa a favore di terzi nell’ipotesi in cui il destinatario (militare) dell’indennità prevista dalla legge n. 86/2001 opti (anche se pare che questo non sia stato il fatto oggetto del caso deciso in narrazione) per il rimborso del 90% dei canoni di locazione, per trentasei mesi ed entro l’importo previsto dall’art. 1, co. 3, della più volte richiamata legge n. 86/2001.

In terzo luogo, infine, si soggiunge anche che la stessa decisione in commento pare non risolvere né l’ulteriore problematica di possibile accostamento del caso della doverosa ed atipica rettifica amministrativa di matrice pretoria dell’errore materiale non contemplata dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, con l’analoga ma differente fattispecie delle false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, la quale è stata spiegata dall’esegesi che ha definito i tratti di un orientamento che ha finito per consolidarsi sull’annullamento d’ufficio doveroso, anche oltre il termine ormai di dodici mesi (Cons. Stato, Sez. V, sentenza n. 3940/2018); né l’intensità del rapporto di osmosi che dovrebbe intercorre tra la stessa doverosità di rettifica amministrativa dell’errore materiale e:

  1. l’ordinamento delle Forze armate che è informato allo spirito democratico della Repubblica (art. 52, co. 3, Cost.);
  2. la specificità dei militari (art. 625 del d.lgs. n. 66/2010, in relazione all’art. 19 della legge n. 183/2010);
  3. le attribuzioni del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare e del Comandante del corpo delle capitanerie di porto, in tema d’impiego del personale militare (artt. 33 e 118 del d.lgs. n. 66/2010, in ordine all’art. 98 del d.P.R. n. 90/2010 ed all’art. 14, co. 1, lett. e) ed i) e 4, del D.P.C.M. n. 186/2023);
  4. la titolarità del centro di responsabilità amministrativa del Comando generale del corpo delle capitanerie di porto (art. 3 del d.lgs. n. 279/1997, in relazione all’art. 2, co. 6, del D.P.C.M. n. 186/2023 ed all’art. 28 Cost.);
  5. la disciplina, i doveri dei militari (artt. 1346 e ss del d.lgs. n. 66/2010 ed artt. 712 e ss del d.P.R. n. 90/2010) e l’ipotesi di reato di disobbedienza (art. 173 c.p.m.p.) come presidi del bene giuridico pubblico “disciplina e servizio militare” a cui s’informa l’ordinamento militare (Corte costituzionale sentenza n. 273/2009 ed ordinanza n. 410/2000) e che dovrebbe essere prudentemente contemperato assiologicamente con la previsione normativa enucleabile dall’art. 1, co. 2-bis, della legge n. 241/1990, a norma della quale: “(…). 2-bis. I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”;

Conclusivamente, pertanto, e indipendentemente da addizionali riflessioni in merito auspicabilmente da dipanare con un intervento legislativo o dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, mediante l’enunciazione di un principio di diritto in materia su interesse della legge ex art. 99 c.p.a., si precisa che il TAR Lazio sede di Roma ha respinto il ricorso introduttivo del giudizio e condannato alle spese di giudizio il ricorrente, in quanto ha ritenuto definitivamente legittima l’attività di rettifica dell’errore materiale eseguita dall’autorità pubblica/militare in sede amministrativa.