il punto della situazione

Le opinioni dell'autore Paolo Fontana sono espresse a titolo personale e non vincolano in alcun modo l'Autorità di appartenenza

I. La genesi della novella -  II. Il dettaglio delle novità - III. La ratio della norma - IV. Le ricadute pratiche della norma - V. Osservazioni critiche

I. La genesi della novella

La genesi della novella in esame non è riconducibile ad un unico fattore.

In primo luogo, l’abrogazione del rito super-accelerato affonda le sue radici nelle pesanti critiche di cui è stato fatto oggetto da più parti già all’indomani della sua introduzione.

In secondo luogo, la scelta del legislatore trae origine anche dalle ordinanze dei giudici amministrativi che hanno ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le censure di incostituzionalità sollevate contro il nuovo rito, rimettendo la questione alla Corte costituzionale (simili argomentazioni erano state poste alla base di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, da cui tuttavia il rito super-accelerato è recentemente uscito indenne).

In terzo luogo, l’abrogazione del nuovo rito processuale super-speciale trae origine dalle numerose proposte in tal senso che sono pervenute al Governo nel corso della recente consultazione pubblica online promossa dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in vista di una più ampia riforma della contrattualistica pubblica.

 

II. Il dettaglio delle novità

La presente modifica consiste nella soppressione del rito processuale super-accelerato introdotto dal d.lgs. n. 50/2016 per l’impugnazione dei provvedimenti di ammissione/esclusione disposti all’esito della valutazione circa la sussistenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali.

Il legislatore non si è infatti limitato ad apportare al Codice modifiche radicali sul piano sostanziale, ma è intervenuto anche sul piano processuale sopprimendo il rito c.d. super-accelerato che il d.lgs. n. 50/2016 aveva introdotto per cristallizzare la cerchia degli ammessi alle gare pubbliche in un momento antecedente l’aggiudicazione.

Il legislatore è intervenuto sull’art. 120 c.p.a. (i) abrogando i commi 2-bis e 6-bis e (ii) modificando i commi 5, 7, 9 e 11.

Con l’abrogazione del comma 2-bis, il decreto ‘sblocca-cantieri’ ha eliminato le disposizioni che (i) costringevano a impugnare immediatamente le ammissioni/esclusioni disposte all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali, nel termine di trenta giorni dalla loro pubblicazione sul profilo di committente della stazione appaltante, e che (ii) precludevano, in caso di omessa impugnazione, la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. Mediante l’abrogazione del comma 2-bis il legislatore ha finito per abrogare anche la disposizione che esplicitava l’inammissibilità di eventuali impugnative dirette contro la proposta di aggiudicazione e gli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività.

Con l’abrogazione del comma 6–bis, il legislatore con un tratto di penna ha cancellato la disciplina processuale super-speciale a cui erano state assoggettate le impugnative proposte ai sensi del comma 2-bis.

Le modifiche ai commi 5, 7, e 9 si risolvono in meri interventi di coordinamento, in quanto si limitano a eliminare dal corpo dell’art. 120 c.p.a. ogni riferimento al rito super-accelerato.

La modifica al comma 11, oltre ad eliminare il riferimento alle abrogate disposizioni relative al rito super-accelerato, sancisce l'applicabilità ai giudizi di impugnazione dell'intero comma 9, recante la disciplina del termine di deposito della sentenza e di eventuale pubblicazione anticipata del dispositivo.

L’art. 1, comma 5, d.l. n. 32/2019 ha previsto che le presenti modifiche trovassero applicazione solamente “ai processi iniziati dopo l’entrata in vigore” del decreto medesimo.

 

III. La ratio della norma

Nella Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del d.l. n. 32/2019, si legge chiaramente che la novella in esame “è volta a sopprimere il cosiddetto rito super accelerato che attualmente pende in Corte costituzionale e che è risultata, anche a seguito della consultazione pubblica effettuata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, una norma che rischia di comprimere il diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione, prevedendo ulteriori oneri in capo alle imprese”.

A fronte di un giudizio di legittimità costituzionale ancora pendente, il legislatore ha preferito non aspettare il pronunciamento della Corte costituzionale e ‘cassare’ direttamente il nuovo rito, accogliendo la tesi – prospettata da una parte della dottrina e della giurisprudenza - secondo cui esso sarebbe costituzionalmente illegittimo in quanto:

(i) la fictio iuris con cui il d.lgs. n. 50/2016 ha posto ex lege una presunzione di lesività in capo alle esclusioni/ammissioni disposte all’esito della valutazione dei requisiti di partecipazione, obbligando i partecipanti alle gare pubbliche a impugnare immediatamente le ammissioni degli altri concorrenti ancora prima di sapere chi sarà l’aggiudicatario, configurerebbe una sorta di giudizio ‘di diritto oggettivo’ incompatibile con gli artt. 24, 103 e 133 Cost., i quali configurerebbero il diritto di azione quale diritto azionabile unicamente dal titolare di un interesse personale, attuale e concreto alla tutela giurisdizionale richiesta;

(ii) la necessità di proporre plurimi ricorsi avverso le singole ammissioni contrasterebbe con il principio di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.), con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (art. 24, commi 1 e 2, art. 103, comma 1, art. 111, commi 1 e 2, art. 113, commi 1 e 2, Cost.), con il principio del giusto processo (art. 111, comma 1, Cost.) ed infine con il principio della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.), posto che un siffatto meccanismo processuale sarebbe tale da determinare la proliferazione di azioni giurisdizionali, in contrasto con i princìpi di concentrazione e di economia processuale.

Quella di rimediare all’asserita illegittimità costituzionale del rito super-accelerato non è stata l’unica ratio che ha mosso il legislatore, il quale ha anche preso atto (sempre secondo quanto si legge nella Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del decreto) che l’abrogato rito non “sembra(va) aver raggiunto il risultato di accelerare le procedure di affidamento dei contratti pubblici”, quantomeno con riferimento alle gare di importo più elevato.

Infatti, mentre nelle procedure minori l’elevato livello ormai raggiunto dalla contribuzione unificata e l’elevato numero di partecipanti scoraggiavano invero il ricorso al giudice amministrativo e quindi indirettamente acceleravano la definizione delle gare, con riferimento ai maxi-appalti il proliferare di ricorsi tutti contro tutti finiva effettivamente per rallentare (ancora di più) la realizzazione delle grandi opere pubbliche.

In tale contesto, il legislatore del decreto ‘sblocca-cantieri’ ha scelto di non attendere il responso della Corte costituzionale e di prendere su di sé la responsabilità dell’abrogazione del rito super-accelerato, accogliendo le numerose richieste in tal senso provenienti da parte della giurisprudenza, della dottrina e (soprattutto) degli ‘addetti ai lavori’.

Infine, con specifico riferimento all'intervento realizzato sul comma 11 dell'art. 120 c.p.a., il legislatore ha inteso recepire le (condivisibili) critiche avanzate dalla dottrina in ordine al mantenimento di diverse tempistiche tra il primo e il secondo grado di giudizio per la pubblicazione del dispositivo e della sentenza.

Prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 32/2019, infatti, non si applicava ai giudizi di appello il primo periodo del comma 9 (ossia quello che oggi è divenuto l'unico periodo di tale comma, a seguito dell'abrogazione del secondo periodo ad opera del decreto 'sblocca-cantieri') dell'art. 120 c.p.a., che ha previsto il nuovo termine di deposito sentenza di trenta giorni dalla data dell’udienza pubblica e la riduzione a due giorni del termine di deposito del dispositivo, qualora ciò sia richiesto dalle parti.

Si realizzava così un'irrazionale diversità di tempistiche per la pubblicazione di dispositivo e sentenza tra i diversi gradi di giudizio e segnatamente:

 (i)       per il dispositivo due giorni in primo grado e sette giorni in appello;

(ii)       per la sentenza trenta giorni in primo grado (prima della conversione, il d.l. n. 90/2014 ne prevedeva solo venti), e ventitré giorni in appello.

L’irrazionalità di tale scelta legislativa emergeva già dall’analisi storica delle ragioni che avevano spinto il legislatore codicistico ad escludere l’applicabilità dell’art. 120, comma 9, c.p.a., ai giudizi di appello.

Infatti, nella sua versione originaria, tale disposizione si occupava esclusivamente della pubblicazione obbligatoria del dispositivo entro sette giorni dalla sua delibazione; al contrario, detto comma non si occupava del termine di pubblicazione della sentenza, continuando ad applicarsi anche ai Tar il combinato disposto tra gli artt. 89, 119, comma 2, e 120, comma 3, c.p.a. (al pari dei giudizi dinanzi al Consiglio di Stato).

In sede di appello, il legislatore aveva dunque ritenuto non necessario imporre un obbligo di emissione immediata del dispositivo, trattandosi di giudizi che avevano già trovato una loro prima composizione nel merito dinanzi ai Tar e comunque una probabile delibazione interinale nelle diverse fase cautelari.

L’opzione fu quella di lasciare decidere alle parti se la pubblicazione del dispositivo fosse ancora necessaria o meno, applicando così il combinato disposto tra gli artt. 119, comma 5, e 120, comma 3, c.p.a.

A seguito della riforma del d.l. n. 90/2014, il nuovo comma 9 non solo ha eliminato l’obbligatorietà del dispositivo, ma il suo testo è stato integrato con la fissazione di uno specifico termine per la pubblicazione della stessa sentenza.

Non sussisteva più quindi alcuna ragione per continuare a differenziare – sotto questo profilo – la fase di definizione dei giudizi tra il primo e il secondo grado.

Ciononostante, in occasione dell’approvazione del d.lgs. n. 50/2016 che aveva inserito un secondo periodo (oggi abrogato) al comma 9 dell’art. 120 c.p.a., l’opzione legislativa seguita fu quella di estendere ai giudizi di appello solo la disposizione da ultimo aggiunta (in ordine ai termini di pubblicazione della sentenza e del dispositivo nell’ambito del sub-rito sulle ammissioni e sulle esclusioni), e non anche il primo periodo del medesimo comma (ossia i termini di pubblicazione di sentenza e dispositivo in quello che oggi definiamo paradossalmente come ‘ordinario’ rito appalti).

Il legislatore del d.l. n. 32/2019 ha finalmente posto rimedio a questo inspiegabile disallineamento, sancendo l'applicabilità ai giudizi di secondo grado dell'intero comma 9 dell'art. 120 c.p.a.

 

IV. Le ricadute pratiche della norma

Le ricadute pratiche della norma in esame si manifesteranno soprattutto per gli operatori economici.

Infatti, prima dell’entrata in vigore del decreto ‘sblocca-cantieri’, i partecipanti alle gare erano costretti a impugnare immediatamente (ossia ancora prima di aver maturato un interesse diretto, concreto e attuale in tal senso) le ammissioni degli altri concorrenti, pena la preclusione processuale di non poter più far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura.

A seguito dell’abrogazione del rito super-accelerato, invece, è venuta meno la fictio iuris che poneva ex lege una presunzione di lesività in capo ai provvedimenti di ammissione/esclusione e si è ‘riespansa’ la regola generale del processo amministrativo secondo cui per poter impugnare un atto della P.A. è necessario avervi un interesse diretto, concreto e attuale.

Invero, con specifico riferimento alla proposta di aggiudicazione (ex aggiudicazione provvisoria), non è chiaro se dopo l’abrogazione della disposizione che ne specificava la ‘non impugnabilità’ essa debba comunque continuare a essere considerata quale atto non direttamente impugnabile in quanto meramente endoprocedimentale, oppure se debba considerarsi ‘facoltativamente impugnabile’ al pari della vecchia aggiudicazione provvisoria, della quale era possibile (ma non obbligatorio) dolersi già prima di quella definitiva, con l’onere di proporre poi motivi aggiunti nei confronti di quest’ultima. Sul punto, in assenza di interventi chiarificatori da parte del legislatore, sarà la giurisprudenza a doversi fare carico del problema.

Per espressa previsione normativa, la novella non troverà applicazione in relazione ai processi iniziati prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 32/2019. Come vedremo nel prossimo paragrafo, l’infelice riferimento ai processi “iniziati” dopo l’entrata in vigore del decreto si presta a interpretazioni molto diverse fra loro e lascia quindi aperte svariate questioni problematiche di diritto intertemporale.

Non è del tutto pacifica, ad esempio, l’esatta portata pratica della novella con riferimento ai ricorsi notificati prima dell’entrata vigore del decreto ma depositati in un momento successivo.

Posto che nel giudizio amministrativo l’inizio del processo coincide (non con la notifica, ma) con il deposito del ricorso, sembrerebbe doversi ritenere che un’eventuale impugnativa notificata prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 32/2019 ma depositata in un momento successivo a tale data debba seguire il rito speciale ‘ordinario’; tuttavia, secondo le regole del rito speciale ‘ordinario’, il ricorso in parola dovrebbe essere ritenuto inammissibile in quanto proposto avverso un atto che non può ancora essere considerato lesivo alla luce dell’art. 120 c.p.a. come risultante dal decreto ‘sblocca-cantieri’. Il pasticcio è evidente: avremmo un ricorso perfettamente ammissibile nel momento in cui è stato notificato, ma ‘diventato’ inammissibile nelle more del suo deposito presso il Tar.

Sennonché, una sentenza resa proprio all'indomani dell'entrata in vigore del d.l. n. 32/2019 sembra orientata nel senso di considerare "iniziati dopo l'entrata in vigore del presente decreto", nell'ottica di chi agisce in giudizio, i processi in cui il ricorso introduttivo venga notificato (e non già depositato) dopo il 19 aprile 2019; aderendo a tale orientamento, un eventuale ricorso notificato prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 32/2019 ma depositato in un momento successivo (i) resterebbe fuori dall'ambito applicativo della novella, (ii) sarebbe quindi ammissibile e (iii) seguirebbe la disciplina del rito super-accelerato 'in via di estinzione'.

Ciò in quanto "a prescindere dal momento in cui nel processo amministrativo si determina la litispendenza (notificazione del ricorso o il suo deposito), rilevano, ai limitati fini della norma transitoria e nell’ambito della disciplina speciale del rito appalti, gli effetti sostanziali e processuali scaturenti dalla notifica del ricorso introduttivo", quali ad esempio "la definitività della scelta del rito, la cui disciplina è, al momento della notifica del ricorso, nota al ricorrente che non può poi trovarsi incolpevolmente esposto a irrimediabili conseguenze pregiudizievoli sull’immediatezza dell’accesso alla tutela giurisdizionale (id est, inammissibilità del ricorso, nel caso, ad esempio, di impugnazione dell’altrui ammissione) solo per effetto dell’entrata in vigore (in forza di un decreto legge non ancora convertito) di nuove disposizioni processuali intervenute tra la notifica e il deposito dell’atto introduttivo e modificative del regime legittimamente osservato - in conformità al tradizionale canone del tempus regit actum - quando il processo ha avuto 'inizio' con la vocatio in ius della parte intimata. In questo senso, si deve ammettere che la notifica del ricorso, in quanto atto iniziale perfezionatosi in epoca antecedente alla novella e regolato dalla norma in vigore al tempo del suo compimento, possa ultrattivamente propagare i suoi effetti oltre il termine della sua efficacia, condizionando il successivo sviluppo del processo" (Tar Calabria, Reggio Calabria, Sez. I, 13 maggio 2019, n. 324).

Quale che sia l'interpretazione a cui si scelga di aderire, si pensi poi al caso di un ricorso ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a., depositato prima dell’entrata in vigore del decreto ‘sblocca-cantieri’; in tale ipotesi l’impugnativa sarebbe pacificamente ammissibile e seguirebbe il rito super-accelerato ‘in via di estinzione’.

Ciò premesso, pur nel contesto della stessa gara dovrebbe parimenti ritenersi ammissibile un eventuale ricorso proposto dopo l’entrata in vigore del decreto dal concorrente (nel frattempo divenuto) secondo classificato contro l’ammissione dell’operatore economico (nel frattempo divenuto) aggiudicatario; anche qui il pasticcio è evidente: in relazione alla medesima gara si avrebbero due distinti giudizi ipoteticamente fondati sui medesimi motivi di ricorso ma assoggettati (i) l’uno al rito super-accelerato e (ii) l’altro al rito speciale ‘ordinario’.

Ancora: si pensi a un giudizio ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a., incardinato secondo le previgenti regole ma in un momento antecedente al decorso del termine di impugnazione, e si immagini che quest’ultimo termine non fosse interamente decorso al momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 32/2019. Si ipotizzi ora che una società Alfa e una società Beta avessero entrambe intenzione di impugnare l’ammissione alla gara di una società Gamma, ma che (i) Alfa abbia depositato il ricorso prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 32/2019 e che (ii) invece Beta abbia deciso di attendere l’ultimo giorno utile per incardinare la propria impugnativa, senza sapere che nelle more del decorso del termine il rito super-accelerato sarebbe stato abrogato; in siffatta ipotesi si produrrebbe una paradossale disparità di trattamento tra Alfa e Beta in quanto la seconda si vedrebbe preclusa una possibilità (quella di impugnare l’ammissione di Gamma) concessa invece ad Alfa.

Si consideri poi il caso di una procedura di gara nella quale al momento di entrata in vigore del d.l. n. 32/2019 fossero già decorsi i termini per impugnare le ammissioni con il rito ex art. 120, comma 2-bis, c.p.a., senza che nessuno dei concorrenti avesse proposto ricorso: per effetto dell’abrogazione del rito super-accelerato’, dopo l’aggiudicazione per tutti i partecipanti alla gara si produrrebbe de facto una sorta di ‘riapertura’ dei termini per impugnare l’ammissione dell’operatore (nel frattempo divenuto) aggiudicatario.

Infine, con riferimento agli effetti della novella sulla fiscalità generale, la Relazione tecnica di accompagnamento al disegno di legge di conversione del decreto specifica che “la disposizione non determina effetti finanziari negativi”.

 

V. Osservazioni critiche

La novella in esame è destinata a far discutere.

Senz’altro sarà accolta con giubilo da coloro che sostenevano l’incostituzionalità del rito super-accelerato; le argomentazioni di costoro sono già state anticipate e non sono di poco momento, sebbene non si ignori l’orientamento giurisprudenziale che ha sin da subito ritenuto il rito super-accelerato perfettamente compatibile con i princìpi costituzionali.

Probabilmente sarebbe stato più opportuno attendere che fosse la Corte costituzionale ad occuparsi del difficile bilanciamento tra la pluralità di argomentazioni e di interessi tra loro confliggenti.

In favore della scelta di introdurre il rito super-accelerato deponeva l’innegabile necessità di una deflazione del contenzioso e di una maggiore certezza in ordine alla definizione del perimetro di coloro che potessero ritenersi legittimamente ammessi al confronto concorrenziale.

D’altro canto, è pur vero che – all’atto pratico – lo strumento del nuovo rito ‘super-accelerato’ si è rivelato inidoneo al conseguimento di tali finalità, non essendosi registrata alcuna significativa diminuzione dei ricorsi proposti dinanzi al giudice amministrativo, né alcun aumento del livello percepito di certezza giuridica in ordine alla definizione tempestiva della platea dei partecipanti alle gare pubbliche.

Di qui, un ulteriore profilo di criticità dell’abrogato rito in ordine all’adeguatezza dei mezzi predisposti per il conseguimento del fine perseguito.

In tale contesto era difficile ignorare la compressione delle garanzie costituzionali che – quantomeno astrattamente – il rito super-accelerato era idoneo a provocare, nella misura in cui costringeva gli operatori economici a proporre ricorsi senza lasciare alcun margine di scelta circa la valutazione della sussistenza di un effettivo interesse a ricorrere, introducendo in tal modo una nuova forma di giurisdizione di diritto oggettivo.

Ciò nondimeno, è altrettanto vero che il nostro ordinamento non è totalmente estraneo a forme di giurisdizione oggettiva, in cui ad essere valorizzata è la natura ‘strumentale’ e non già personale e attuale dell’interesse perseguito; si pensi alla recente introduzione della possibilità – per l’Autorità Nazionale Anticorruzione – di impugnare i bandi di gara e ogni altro provvedimento amministrativo che si assuma viziato da gravi violazioni del d.lgs. n. 50/2016.

Non può poi tacersi che il rito super-speciale è uscito indenne da un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ne ha sancito la compatibilità con il diritto eurounitario; in estrema sintesi, la Corte di giustizia UE ha affermato che l’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione/esclusione è conforme alle direttive eurounitarie nella misura in cui tali provvedimenti siano stati ritualmente comunicati insieme ad una relazione dei motivi pertinenti, tale da garantire che gli interessati siano messi in condizione di poter venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione.

Tutto ciò premesso e considerato, anche volendo aderire alla tesi che sostiene l’incostituzionalità del rito super-accelerato e ammettendo quindi la bontà della decisione di abrogarlo, è senz’altro da censurare la disposizione con cui il legislatore ha stabilito che le nuove (vecchie) regole processuali si applichino “ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore” del decreto ‘sblocca-cantieri’.

 Si tratta di una disposizione aperta a plurime interpretazioni e quindi suscettibile di causare rilevanti problematiche di diritto intertemporale, come si è già argomentato nel paragrafo precedente.

A parere di chi scrive, sarebbe stato più opportuno prevedere che l’abrogazione del rito super-accelerato producesse i suoi effetti con esclusivo riferimento (non già ai “processi iniziati”, bensì) alle “procedure bandite” dopo l’entrata in vigore del decreto, configurando quindi una sorta di ‘ultrattività’ del rito super-accelerato con esclusivo riferimento alle procedure bandite prima del d.l. n. 32/2019.

Un ulteriore profilo di criticità della presente novella è rappresentato dall’abrogazione (non si sa quanto consapevole) della disposizione che sanciva l’inammissibilità di eventuali impugnative dirette contro la proposta di aggiudicazione.

Non è infatti chiaro (i) se tale provvedimento debba continuare a essere considerato non direttamente impugnabile in quanto atto meramente endoprocedimentale oppure (ii) se la proposta di aggiudicazione debba ora essere considerata ‘facoltativamente impugnabile’ come la vecchia aggiudicazione provvisoria, contro la quale era possibile proporre ricorso anche senza attendere l’aggiudicazione definitiva purché poi contro quest’ultima si proponessero motivi aggiunti.

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