Consiglio di Stato, Sez. V, 5 marzo 2019, n. 1527
(i) Va confermato il principio della inapplicabilità degli istituti, di derivazione penalistica, del falso innocuo e del falso inutile nelle procedure ad evidenza pubblica atteso che in tale contesto la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire poiché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla selezione.
Pertanto, una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell’elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare.
(ii) il decorso del tempo, senza la commissione di altri reati della stessa indole, costituisce un mero presupposto affinché il giudice dell’esecuzione penale possa pronunciarsi sull’effetto estintivo del reato.
Va in primo luogo rilevato che l’estinzione del reato – che consente di non dichiarare l'emanazione del relativo provvedimento di condanna – sotto il profilo giuridico non è automatica per il mero decorso del tempo, richiedendosi altresì (nel caso di pena cd. “patteggiata”, su cui si controverte) l’ulteriore elemento qualificante che nel frattempo non siano stati commessi “un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole”.
(i) In materia di falso innocuo e false dichiarazioni rese in gara si vedano: Cons. Stato, V. 27 novembre 2018, n. 6726; IV, 7 luglio 2016, n. 3014; V, 21 giugno 2013, n. 3397; III, 16 marzo 2012, n. 1471, Cons. Stato, III, 28 settembre 2016, n. 4019; IV, 29 febbraio 2016, n. 834; V, 12 ottobre 2016, n. 4219; V, 27 luglio 2016, n. 3402.
(ii) nello stesso senso: Cons. Stato, V, 12 dicembre 2018, n. 7025; Sez. III, 29 maggio 2017, n. 2548. In senso contrario: Cons. Stato, VI, 7 maggio 2018, n. 2704.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6443 del 2018, proposto da
L'Orizzonte cooperativa sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ezio Catauro, con domicilio digitale come da Pec da Registri di giustizia;
contro
Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, nonché Comando Regione Toscana della Guardia di Finanza, in persona del Comandante pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, sono elettivamente domiciliati;
nei confronti
OMISSIS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE II n. 01041/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze, nonché del Comando Regione Toscana della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2019 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti l’avvocato Ezio Catauro e l’avvocato dello Stato Paolo Marchini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Risulta dagli atti che con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 5^ Serie Speciale n. 70 del 21 giugno 2017, il Reparto tecnico logistico amministrativo degli Istituti di istruzione della Guardia di Finanza indiceva una gara europea a procedura aperta per l’appalto di servizi di pulizia ed igiene ambientale degli immobili presso le caserme amministrate dal suddetto Reparto nella Regione, per gli anni 2017-2019, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Presentava domanda di ammissione, tra gli altri, la cooperativa sociale OMISSIS, odierna appellante.
In data 30 agosto 2017, all’esito delle preliminari operazioni della Commissione di gara, riunitasi per l’apertura delle buste contenenti le offerte e la verifica della documentazione prodotta, la suddetta società veniva ammessa a partecipare alla procedura concorrenziale; quindi, in data 14 maggio 2018, con atto dispositivo n. 324, constatata la presentazione delle offerte da parte delle imprese partecipanti, la Commissione si determinava per aggiudicare la gara in favore della cooperativa.
Tuttavia, il successivo 29 maggio 2018 il Rup, all’esito di un controllo nella banca dati del Casellario giudiziale, constatava l’esistenza di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti del G.I.P. presso il Tribunale Militare di Napoli del 19 settembre 1994, in capo al sig. OMISSIS, amministratore unico dell’aggiudicataria, per il reato di allontanamento illecito ex art. 147, comma 2, Cod. pen. mil. pace, commesso il 16 settembre 1993, precedente che però non era stato indicato nella dichiarazione da questi resa all’atto della partecipazione alla gara.
Per l’effetto, sulla base degli accertamenti di cui all’art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016, il Rup disponeva, con verbale n. 12 del 29 maggio 2018, l’esclusione della cooperativa dalla gara, ai sensi dell’art. 80, commi 5, lett. c) e 6 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Con successivo provvedimento n. 376 del 29 maggio 2018, il Comandante del Reparto T.L.A. Toscana approvava il verbale del Rup e comunicava alla cooperativa OMISSIS l’esclusione dalla gara di appalto.
Avverso il provvedimento di esclusione quest’ultima proponeva ricorso al Tribunale amministrativo della Toscana, lamentando un difetto di motivazione e l’inidoneità della condanna, risalente nel tempo e relativa ad un reato di modesta entità (per di più inflitta con il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale) a determinare l’esclusione dalla procedura.
La dichiarazione contestata, inoltre, avrebbe al più integrato un “falso innocuo” ai fini del giudizio di affidabilità del concorrente, avendo ad oggetto un reato ormai estinto per decorso del termine ex art. 445, comma 2, Cod. proc. pen.
Costituitasi in giudizio, l’amministrazione deduceva l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto.
Con sentenza 17 luglio 2018, n. 1041, il giudice adito respingeva il ricorso, sul presupposto che il provvedimento impugnato fosse adeguatamente motivato e che, comunque, la tesi del “falso innocuo” non potesse trovare applicazione nella materia degli appalti pubblici.
Avverso tale decisione la cooperativa sociale OMISSIS interponeva appello, articolato nei seguenti motivi di impugnazione:
1) Illogicità, erroneità, perplessità e carenza della motivazione.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, L. 241/1990.
3) Errore in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 – sulla irrilevanza dell’omessa dichiarazione.
4) Errore in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 – sull’art. 445 c.p.p.
5) Errore in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 – sulla estinzione del reato.
Costituitisi in giudizio, il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Comando Regione Toscana della Guardia di Finanza eccepivano l’infondatezza dell’appello, insistendo per la sua reiezione.
Successivamente le parti precisavano le proprie ragioni con memorie difensive, ed all’udienza del 14 febbraio 2019, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello si denuncia la mancata motivazione della sentenza impugnata, in violazione del principio di cui all’art. 3 Cod. proc. amm., in quanto il primo giudice, dopo aver richiamato una serie di precedenti giurisprudenziali – seppur contraddetti dal precedente di Cons. Stato, VI, n. 2704 del 7 maggio 2018 – si sarebbe limitato ad addurre “che la predetta sentenza esprimeva un principio non condivisibile, alla luce del chiaro disposto dell’art. 80, comma 3, D.lgs. 50/2018”.
Tale motivazione, ad avviso dell’appellante, sarebbe stata del tutto insufficiente, non consentendo all’operatore escluso di comprendere le ragioni in fatto e in diritto, né il percorso logico-giuridico che aveva indotto il giudice di prime cure a ritenere non condivisibile l’orientamento giurisprudenziale esposto dal richiamato, seppur isolato, precedente.
La motivazione presenterebbe inoltre un profilo di contraddizione, nel momento in cui respinge il ricorso poiché ritenuto infondato, ma nello stesso tempo dispone la compensazione delle spese di lite, in ragione delle oscillazioni giurisprudenziali sulla materia: sarebbe dunque “di palmare evidenza la sopra denunciata contraddittorietà della motivazione, in quanto l’impugnata decisione rigetta il ricorso proposto dall’odierna appellante, nonostante ammetta indirettamente la fondatezza di quanto sostenuto dalla stessa”.
Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata, letta nella sua integrità senza estrapolarne dei brani, decontestualizzati dal complesso motivazionale, così recita, sul punto controverso: “- il mero decorso del tempo previsto dall'art. 445 c.p.p. per le sentenze di applicazione della pena costituisce presupposto per chiedere al giudice dell'esecuzione penale la dichiarazione di estinzione del reato, ma solo dopo il suo ottenimento il partecipante a procedure di affidamento di appalti pubblici è esonerato dal relativo obbligo dichiarativo (C.d.S. V, 23 marzo 2015 n. 1557) e la pronuncia, pur se riferita all’art. 38, comma 1, lett. c) del d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 conserva attualità, tanto più che l’art. 80, comma 3, del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 dispone che l'esclusione dalle gare di appalto per l’affidamento dei contratti pubblici “non va disposta e il divieto (di partecipazione) non si applica quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna …”, richiedendo quindi esplicitamente una pronuncia di estinzione ai fini che qui rilevano;
- la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018 n. 2704 prodotta dalla ricorrente a sostegno delle proprie ragioni esplicitamente si discosta dalla precedente giurisprudenza del
Giudice di appello e stabilisce un principio che non è condivisibile, alla luce del chiaro disposto sopracitato dell’art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50/2018;
- la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 13 novembre 2015 n. 5192, anch’essa prodotta dalla ricorrente a sostegno delle proprie ragioni, non è pertinente, poiché si basa su una norma del codice di procedura penale (l’art. 587) nella versione non più vigente […]”.
Ritiene il Collegio che le trascritte motivazioni – pur nella loro necessaria sinteticità – evidenzino con chiarezza le ragioni della ritenuta insufficienza del mero decorso del tempo dalla condanna, ai fini della non applicabilità della causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 3, del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50.
Tali ragioni risiederebbero innanzitutto nella formulazione testuale di quest’ultima norma, secondo cui l’esclusione dalle gare di appalto per l’affidamento dei contratti pubblici “non va disposta e il divieto (di partecipazione) non si applica quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna …”.
Presupponendo una espressa “dichiarazione di estinzione”, la disposizione in esame contraddice la tesi difensiva secondo cui sarebbe sufficiente la presa d’atto del mero trascorso del tempo, ai fini estintivi dell’obbligo della dichiarazione.
Tale è inoltre, testualmente, la ragione indicata dal primo giudice nel non condividere il diverso principio espresso dall’isolato precedente di Cons. Stato, VI, n. 2704 del 2018.
Neppure può scorgersi una contraddizione tra il rigetto del ricorso e la compensazione delle spese di lite, essendo questa la soluzione normalmente adottata in presenza di un contrasto tra precedenti giurisprudenziali recenti, che ancor più dà atto di una strutturale complessità della questione esaminata.
Con il secondo motivo di appello viene invece dedotto che neppure il provvedimento di esclusione adottato dalla stazione appaltante sarebbe adeguatamente motivato: in particolare, i richiami ivi contenuti al parere Anac n. 65 del 10 aprile 2014 ed alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4192 del 2017 avrebbero poca sostanza motivazionale, non presentando la vicenda controversa alcuna attinenza con quanto ivi prospettato.
Neppure questo motivo è fondato.
Si legge infatti, nel provvedimento prot. 182802 del 30 maggio 2018, che la ragione dell’esclusione consiste nell’omessa dichiarazione di un precedente penale, che aveva impedito all’amministrazione di “compiere ed esprimere ogni necessaria considerazione sull’affidabilità della ditta, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) che concerne i gravi illeciti professionali”. Su tale circostanza, l’amministrazione puntualizzava inoltre che la disposizione dell’art.80, comma 5, lett. c), “che mira a tutelare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra l’amministrazione aggiudicatrice e un operatore economico, consentendo di attribuire rilevanza ad ogni tipologia di illecito che per la sua gravità, sia in grado di minare l’integrità morale e professionale di quest’ultimo”, stabilisce che “un operatore economico deve essere escluso da una procedura d’appalto qualora la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che esso si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da mettere in dubbio la sua integrità ed affidabilità”.
Non può quindi dirsi che detto provvedimento non rispetti le prescrizioni di cui all’art. 3, comma 2 della l. n. 241 del 1990, dando atto dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che avevano determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
La scelta di escludere la cooperativa OMISSIS veniva inoltre corroborata con il richiamo dei principi enunciati dalla sentenza n. 4192 del 5 settembre 2017 del Consiglio di Stato e da un parere di precontenzioso dell’Anac (n. 65 del 10 aprile 2014), riferito ad una vicenda che, lungi dall’essere palesemente estranea a quella in esame, analogamente ad essa aveva ad oggetto l’omessa dichiarazione di condanna di un reato militare (“[…] L’art. 38, comma 2, del D.lgs n. 163/2006, impone al partecipante la presentazione della dichiarazione sostitutiva attestante il possesso dei requisiti, prescrivendo espressamente l’indicazione di “tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione”. Il precetto di esaustività, completezza ed acausalità delle dichiarazioni è quindi ben espresso dal D.Lgs. n. 163/2006, che non distingue, peraltro, nel genus delle fattispecie penalmente rilevanti, le species riconducibili ad una branca (codice penale) piuttosto che ad un’altra (codice penale militare di pace) […]”).
Con il terzo motivo di appello si contesta poi che la tesi del cd. “falso innocuo” non possa trovare applicazione nella materia degli appalti, laddove l’operatore economico sia comunque in possesso di tutti i requisiti sostanziali richiesti dalla lex specialis; invero, rileva l’appellante, sul presupposto che di falso innocuo possa parlarsi quando non incida neppure minimamente sugli interessi tutelati, la partecipazione alla gara dovrebbe essere impedita solo all’operatore economico in capo al quale difettino realmente i requisiti di ordine generale previsti per legge e non anche quando la dichiarazione, pur non veritiera o incompleta, non sia idonea a modificare gli esiti della gara.
L’appellante richiama poi il precedente di Cons. Stato, V, 21 agosto 2017, n. 4048, riguardo agli obblighi dichiarativi in caso di partecipazione a gare di appalto, laddove si legge che il provvedimento dichiarativo di estinzione è “successivo e ricognitivo di un effetto già verificatosi”, ragione per cui la pronuncia del giudice dell’esecuzione penale sarebbe “estranea ai fini dell’estinzione del reato”, con la conseguenza che, una volta verificatasi quest’ultima, non potrebbe più operare una preclusione alla partecipazione alle gare, sussistendo in ogni caso il possesso “sostanziale” del requisito da parte del concorrente.
Il motivo non può essere accolto.
Quanto al primo ordine di censure, va confermato il principio – già recepito dal primo giudice – della inapplicabilità degli istituti, di derivazione penalistica, del falso innocuo e del falso inutile nelle procedure ad evidenza pubblica (ex multis, Cons. Stato, IV, 7 luglio 2016, n. 3014), atteso che in tale contesto la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire poiché consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla selezione.
Pertanto, una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell’elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare (in termini, Cons. Stato, V, 21 giugno 2013, n. 3397; III, 16 marzo 2012, n. 1471).
Va inoltre precisato che si ha falso innocuo, od inutile (e, quindi, una concreta manifestazione di un “reato impossibile “ per inesistenza dell’oggetto od inidoneità dell’azione ex art. 49 comma 2 Cod. pen.) quando – secondo un giudizio da svolgersi ex ante – non v’era alcuna possibilità di offendere l’interesse protetto (es: il notaio che attesta il falso su un elemento distonico ed inconferente con l’oggetto dell’atto che roga; il falsario che falsifica una banconota in modo così grossolano da non potere trarre in inganno neppure un minore, etc); nel caso di specie, però, non è dato rilevare una tale evidenza, atteso che nulla consente obiettivamente di escludere che l’aver omesso di indicare (per di più ad una stazione appaltante militare) il precedente di cui trattasi avrebbe potuto avere l’effetto di far preferire l’appellante rispetto ad altro aspirante.
Neppure è conferente il richiamo al precedente di Cons. Stato, VI, n. 3655 del 2011, riferito ad una ipotesi specifica (nella quale la lex specialis non preveda espressamente la conseguenza dell'esclusione in relazione alla mancata osservanza delle puntuali prescrizioni sulle modalità e l'oggetto delle dichiarazioni da fornire, nella vigenza del precedente Codice dei contratti pubblici) del tutto diversa da quella su cui attualmente si verte.
Analogamente non appare decisivo il rinvio al precedente della Sezione n. 4048 del 2017, la quale a sua volta si fonda su un ulteriore precedente (la sentenza 13 novembre 2015 n. 5192) che, oltre a riferirsi ad una norma (l’art. 587 Cod. proc. pen.) nella versione non più vigente, richiama un orientamento giurisprudenziale formatosi in particolare sull’istituto dell’indulto, non applicabile alla fattispecie su cui attualmente si verte.
Con il quarto motivo di appello si sostiene la pertinenza, rispetto al caso controverso, dei principi di cui al precedente della Sezione n. 5192 del 13 novembre 2015 che, in primo luogo, “ha escluso l’applicabilità dei principi giurisprudenziali relativi alla necessità della richiesta della estinzione ad opera della parte interessata, formatisi con riferimento all’istituto della riabilitazione ed estinzione dei reati dettata dal c.p.p. Vassalli in vigore dal 1989; e secondariamente, ha posto in risalto la questione che anche sotto la vigenza dell’art. 676 del codice Vassalli”.
La questione è sostanzialmente la stessa di cui precedente motivo di appello, in relazione al richiamo del precedente di Cons. Stato, V, n. 4048 del 2017.
Il motivo non può essere condiviso, ritenendo il Collegio di dover confermare, in materia, la validità dell’orientamento maggioritario (ex multis, Cons. Stato, V, 12 dicembre 2018, n. 7025; III, 29 maggio 2017, n. 2548) secondo cui già dalle disposizioni di cui all’art. 38, commi 1, lett. c), e 2 del d.lgs. n. 163 del 2006 – i cui principi sono stati poi trasfusi nell’art. 80, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016 – si ricava che sotto il profilo giuridico l’estinzione del reato (che consente di non dichiarare l’emanazione del relativo provvedimento di condanna in occasione di una procedura di evidenza pubblica) non è automatica per il mero decorso del tempo, ma deve essere formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell’esecuzione penale.
Questi, infatti, è l'unico soggetto al quale l’ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, fino a quando non intervenga tale provvedimento giurisdizionale, non può legittimamente parlarsi di “reato estinto” e il concorrente non è esonerato dalla dichiarazione dell’intervenuta condanna (in termini, Cons. Stato, III, 5 ottobre 2016, n. 4118; V, 18 giugno 2015, n. 3105; V, 17 giugno 2014, n. 3092; V, 5 settembre 2014, n. 4528).
Nella vigenza del nuovo Codice dei contratti pubblici, poi, è lo stesso art. 80, comma 3 – come già ricordato – a richiedere espressamente una “dichiarazione di estinzione”, ossia un formale accertamento costitutivo del giudice dell’esecuzione penale.
Per l’effetto, nelle procedure ad evidenza pubblica preordinate all’affidamento di un appalto pubblico, l’omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali eventualmente riportate, anche se attinenti a reati diversi da quelli già contemplati nell’art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163 del 2006 (oggi all’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016), ne comporta senz’altro l’esclusione dalla gara, essendo impedito alla stazione appaltante di valutarne la gravità (ex multis, Cons. Stato, III, 28 settembre 2016, n. 4019; IV, 29 febbraio 2016, n. 834; V, 12 ottobre 2016, n. 4219; V, 27 luglio 2016, n. 3402).
Deve quindi concludersi che senza l’accertamento costitutivo del giudice penale non può ritenersi sussistere, almeno per l’affidamento dei terzi (come la stazione appaltante), l’avvenuta estinzione del reato in oggetto.
Va inoltre ribadito che nel caso di omessa dichiarazione di condanne riportate dal concorrente, è legittimo il provvedimento di esclusione, non sussistendo in capo alla stazione appaltante l’ulteriore obbligo di vagliare la gravità del precedente penale di cui è stata omessa la dichiarazione, conseguendo il provvedimento espulsivo all’omissione della prescritta dichiarazione, che invece deve essere resa completa ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale e deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla gravità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante (ex multis, Cons. Stato, V, 28 settembre 2015, n. 4511).
Infine, con il quinto motivo di appello viene nuovamente contestata, stavolta sotto il profilo del merito, la valutazione del primo giudice secondo cui il principio espresso nell’isolato precedente di Cons. Stato, VI, 7 maggio 2018, n. 2704, stabilirebbe un principio non condivisibile, alla luce di quanto testualmente disposto dall’art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2018.
Rappresenta invece l’appellante che, in presenza di una sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 Cod. proc. pen., per effetto di quanto previsto dal successivo art. 445 comma secondo l’effetto estintivo verrebbe a consolidarsi per effetto del mero decorso del tempo, senza la commissione di altri reati della stessa indole, con la conseguenza che l’eventuale pronuncia del giudice dell’esecuzione sarebbe puramente accertativa di uno stato di fatto (e di diritto) già autonomamente compiutosi.
La tesi non convince, ad una considerazione sistematica delle norme coinvolte, dovendosi ribadire che il decorso del tempo, senza la commissione di altri reati della stessa indole, costituisce un mero presupposto affinché il giudice dell’esecuzione penale possa pronunciarsi sull’effetto estintivo del reato.
Va in primo luogo rilevato che l’estinzione del reato – che consente di non dichiarare l'emanazione del relativo provvedimento di condanna – sotto il profilo giuridico non è automatica per il mero decorso del tempo, richiedendosi altresì (nel caso di pena cd. “patteggiata”, su cui si controverte) l’ulteriore elemento qualificante che nel frattempo non siano stati commessi “un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole”.
Tale riscontro non può certo essere svolto dalla stazione appaltante, ma per legge compete ad uno specifico organo giudiziario, ossia il Tribunale di sorveglianza del luogo in cui l’interessato ha la propria residenza o il proprio domicilio, unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria.
Anche in relazione ad una sentenza di patteggiamento, inoltre, il giudice sarà tenuto ad accertare se il condannato che richiede il beneficio si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare le conseguenze civilistiche derivate dalla sua condotta criminosa ovvero quali siano le ragioni per le quali il medesimo sia stato nella impossibilità di adempiere le eventuali obbligazioni civili nascenti dal reato ascrittogli.
Di conseguenza, fino a quando non interviene tale provvedimento giurisdizionale, non potrà legittimamente parlarsi di “reato estinto” ai fini dell’esonero dall’indicazione della relativa condanna nelle dichiarazioni da rendere alla stazione appaltante ai fini della partecipazione alla gara.
Del resto, come già anticipato, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che nelle procedure ad evidenza pubblica preordinate all'affidamento di un appalto pubblico, l’omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali eventualmente riportate, anche se attinenti a reati diversi da quelli contemplati nell'art. 80, comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016 (già art. 38, comma 1, lett. c del d.lgs. n. 163 del 2006), ne comporta senz’altro l’esclusione dalla gara, essendo impedito alla stazione appaltante di valutarne la gravità.
La valutazione circa la sussistenza dei gravi illeciti professionali rilevanti ai fini dell’esclusione dalla gara è infatti interamente rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante, chiamata ad analizzare in concreto l’incidenza dei singoli fatti indicati dall’operatore economico: a tal fine, la stessa deve essere posta nella condizione di conoscere tutti i comportamenti astrattamente idonei ad integrare la causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, che devono essere pertanto indicati in sede di dichiarazione.
Va inoltre ricordato, a fronte del richiamo operato dall’appellante ad una presunta, erronea ed incolpevole omessa dichiarazione, che l’esclusione di un’impresa dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico per falsità o incompletezza della dichiarazione attestante l’assenza di procedimenti o condanne penali a carico del legale rappresentante costituisce un'autonoma fattispecie di esclusione, la quale assume rilevanza oggettiva, sicché il relativo inadempimento non tollera ulteriori indagini da parte dell’amministrazione in ordine all’elemento psicologico (se cioè la reticenza sia dovuta a dolo o colpa dell'imprenditore) ed alla gravità della violazione.
A ciò consegue il corollario per cui non si può predicare l'applicabilità mera del c.d. “falso innocuo” alle procedure d'evidenza pubblica, in quanto proprio la completezza delle dichiarazioni consente la celere decisione sull’ammissione dell'operatore economico alla gara (Cons. Stato, V, 27 novembre 2018, n. 6726).
Né, in ipotesi, potrebbe pensarsi alla sanatoria di tale omissione mediante l’istituto del soccorso istruttorio, il quale non può essere utilizzato per sopperire a dichiarazioni (riguardanti elementi essenziali) radicalmente mancanti – pena la violazione della par condicio fra concorrenti – ma soltanto per chiarire o completare dichiarazioni o documenti già comunque acquisiti agli atti di gara (Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9; V, 12 ottobre 2016, n. 4219).
Conclusivamente, alla luce dei rilievi che precedono l’appello va respinto.
La particolarità e la complessità delle questioni esaminate giustifica peraltro, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Guida alla lettura
Con la sentenza in commento in Consiglio di Stato è tornato a pronunciarsi sulla legittimità dell’esclusione da una gara d’appalto del concorrente che abbia omesso di dichiarare un precedente penale (non rilevante ai fini della moralità professionale) ai fini della nella convinzione della sua inidoneità a comprometterne l’affidabilità ex art. 80, comma 5 lett. c) del d.lgs. n. 50/2016, attesa la sua particolare tenuità nonché il notevole decorso del tempo dalla sua commissione.
Il caso concreto è quella dell’omessa dichiarazione in gara di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per un allontanamento illecito ex art- 147, comma 2 del Cod. pen. Mil. Pace commesso nel 1993 dall’amministratore unico della società aggiudicataria che non era stato comunicato alla stazione appaltante nel rendere la dichiarazione sui pregressi illeciti professionali e che era emersa all’esito dei controlli sulle banche dati del casellario giudiziario.
La legittimità del provvedimento di esclusione in casi della specie di quello di cui si discute, viene contestata sulla base di due argomentazioni.
La prima. La risalenza nel tempo del fatto contestato e la sua obiettiva tenuità, giustificherebbero il fatto che il concorrente ne abbia escluso la rilevanza ai sensi e per gli effetti dell’art. 80, comma 5, lett. c) e, dunque, non l’abbia dichiarato in gara.
La seconda. Nel caso di patteggiamenti, il mero decorso del tempo dal momento della sua commissione senza recidive sarebbe idoneo a determinarne l’estinzione con conseguente insussistenza dell’obbligo di dichiarazione in gara.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto entrambe le argomentazioni infondate ed ha, dunque, confermato l’esclusione del concorrente per mancato possesso del requisito di affidabilità professionale.
Quanto alla prima argomentazione, il Consiglio di Stato ha ribadito l’orientamento oramai consolidato secondo cui è irrilevante il fatto che il concorrente non abbia assolto all’obbligo dichiarativo, ritenendo in buona fede che l’episodio contestato non ne pregiudicasse l’affidabilità professionale.
Ribadisce la sezione l’inapplicabilità rispetto alle cause di esclusione delle gare pubbliche, dell’istituto di matrice penalistica del falso innocuo o del falso inutile (Cons. Stato, IV, 7 luglio 2016, n. 3014). Difatti, l’applicabilità dell’’istituto presupporrebbe la capacità di dimostrare che, ove la stazione appaltante avesse avuto cognizione dell’episodio rispetto al quale la dichiarazione risulta omessa, avrebbe comunque aggiudicato l’appalto al medesimo concorrente, circostanza di cui non è possibile dar prova.
Del resto, l’incompletezza della dichiarazione è di per sé sintomatica dell’inaffidabilità del concorrente e meritevole di sanzione in quanto la stazione appaltante deve essere messa nella condizione di conoscere tutti i comportamenti astrattamente idonei ad incidere sul possesso del requisito di cui all’art. 80, comma 5, lett. c). Rispetto alla valutazione della gravita di simili comportamenti e alla possibilità che essi rilevino quale grave errore professionale, il concorrente non gode di alcuna discrezionalità, trattandosi di valutazione di esclusiva spettanza dell’amministrazione.
Quanto al secondo argomento, il Consiglio di Stato ha ribadito che l’estinzione del reato rilevante ai fini della partecipazione delle gare pubbliche, non consegue automaticamente al mero decorso del tempo dalla sua commissione ma deve essere formalizzata in una espressa dichiarazione di estinzione del giudice dell’esecuzione (come peraltro oggi chiarito dall’art. 80, comma 3, con riferimento ai requisiti di moralità professionale).
Le considerazioni che precedono, valgono anche nel caso della sentenza di patteggiamento.
Anche in questo caso, a differenza di quanto lo stesso Consiglio di Stato ha ritenuto in diversa controversia (Cons. Stato, VI, 7 maggio 2018, n. 2704), il mero decorso del tempo non costituisce l’elemento costitutivo della fattispecie di estinzione ma il presupposto per chiedere al giudice dell’esecuzione un accertamento dell’avvenuta estinzione del reato. Se ne trae conferma dal fatto che, in caso di patteggiamento, l’estinzione richiede non solo il decorso del tempo ma anche l’accertamento della mancata recidiva, scrutinio che non può certo essere richiesto e compiuto dalla stazione appaltante.