Corte di Giustizia CE, ordinanza 14 febbraio 2019, C- 54/18 - segue a nota di redazione del 19/02/19
La direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata.
La Corte di Giustizia, investita della questione pregiudiziale dal Tar Piemonte, ord. n. 88/2018, si è pronunciata sul rito “super accelerato” degli appalti previsto dall’art. 120, comma 2 bis c.p.a., stante i dubbi di compatibilità della normativa con il diritto europeo sollevati ripetutamente dalla giurisprudenza amministrativa.
In particolare, come noto, tale ulteriore rito ha previsto la possibilità di impugnare i provvedimenti di ammissione o esclusione dalla gara, all’esito della verifica dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico professionali dei partecipanti, entro il termine massimo di 30 giorni decorrenti dalla pubblicazione dei suddetti provvedimenti sul profilo del committente (art. 29 codice appalti, così come modificato dal decreto correttivo n. 56/2017); di talché trascorso tale termine è preclusa qualsiasi impugnazione successiva, anche in relazione a susseguenti atti della procedura collegati funzionalmente e teleologicamente al provvedimento di esclusione o ammissione.
L’onere di impugnazione nei sopra indicati termini, dunque, incombe in un momento molto anticipato della procedura di gara, quando il concorrente cioè potrebbe non avere ancora contezza effettiva della portata lesiva del provvedimento di ammissione ed esclusione, qualora non lo investa direttamente. In sostanza, tale onere potrebbe comportare dei problemi sia in ordine alla concreta utilità dell’impugnazione (un ricorso siffatto potrebbe palesarsi privo di concreta utilità laddove la gara si concluda comunque con la mancata collocazione in graduatoria o con la mancata aggiudicazione nei confronti del ricorrente, comportando inutili duplicazioni di costi processuali e ricorsi “al buio”), sia in ordine alla mancanza di un provvedimento immediatamente lesivo e come tale impugnabile, sia infine in relazione all’esatta perimetrazione ed individuazione dello stesso interesse ad agire necessario affinché il processo possa legittimamente incardinarsi.
Peraltro, anche il Consiglio di Stato, nel parere espresso sullo schema di decreto legislativo del codice appalti che ha introdotto nel c.p.a. il rito in questione, ha espresso perplessità in relazione al mancato coordinamento della nuova normativa con il diritto di accesso agli atti della procedura di gara, spesso differito ai sensi dell’art. 53 D.Lgs. n. 50/2016 (norma richiamata anche dal giudice a quo nel sollevare questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia). In particolare, si è osservato, tale differimento potrebbe comportare problemi in ordine all’effettiva conoscenza da parte del concorrente delle motivazioni e della documentazione necessaria a proporre il ricorso con il rito super accelerato.
Emergevano, dunque, dubbi di compatibilità con il sistema eurounitario sia in relazione al diritto di difesa, sia circa l’effettività sostanziale della tutela giurisdizionale e il diritto al giusto processo (artt. 6 e 13 CEDU, direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2014/23 ed in particolare dei suoi articoli 1 e 2 quater, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
D’altro canto, il rito super accelerato è stato introdotto per far fronte all’esigenza di porre fine ad alcune distorsioni del sistema delle procedure di affidamento dei contratti pubblici che vedevano il proliferare di contenziosi relativi alla fase iniziale di ammissione alla gara solo nel momento di conclusione della stessa, in sede di aggiudicazione definitiva e di individuazione del contraente. Tale differimento di fatto comportava una situazione di incertezza giuridica protratta nel tempo che alimentava impugnazioni pretestuose e comportava il rischio dell’annullamento dell’intera procedura in una fase così avanzata all’esito della quale la P.A. aveva sostenuto ingenti costi e movimentato risorse, potenzialmente spendibili altrove, in un’ottica di contenimento della spesa pubblica.
La Corte di Giustizia con la pronuncia in oggetto salva la disciplina del rito super accelerato degli appalti considerandola in linea di principio compatibile con il diritto dell’Unione, in quanto la previsione di un termine perentorio entro cui impugnare i provvedimenti di gara (tra l’altro non inferiore ai termini previsti in linea generale dalla direttiva 89/665) consente di perseguire l’obiettivo di certezza del diritto e di celerità propri della normativa comunitaria. Quanto alle modalità procedurali necessarie a rispettare l’ulteriore principio dell’effettività della tutela, è sufficiente che il termine di decadenza sia chiaro, preciso e prevedibile, tale da consentire al singolo di poter conoscere in anticipo ed in maniera esatta i propri diritti e obblighi. Tanto più che il criterio della prevedibilità svolge soprattutto recentemente un ruolo fondamentale nel diritto dell’Unione europea, orientando l’attività normativa ed interpretativa nazionale in tutti i settori del diritto (anche, ad esempio, nel diritto penale).
Se, dunque, in linea teorica la norma di cui all’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. è conforme ai principi ed al diritto comunitario, la Corte di Giustizia introduce dei correttivi e dei limiti alla portata generale della normativa nazionale. In particolare, si osserva che la disposizione in esame è compatibile con la direttiva europea a condizione che le relative comunicazioni siano accompagnate “da una relazione dei motivi pertinenti, tale da garantire che i suddetti interessati” vengano o possano “venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata”. Ancora, in mancanza di ricorso nei suddetti termini è compatibile con il diritto comunitario la normativa nazionale che preclude agli interessati di eccepire l’illegittimità dei provvedimenti di ammissione o esclusione dalla gara nell’ambito di ricorsi diretti contro gli atti successivi, in particolare avverso le decisioni di aggiudicazione, “purché tale decadenza sia opponibile ai suddetti interessati solo a condizione che essi siano venuti o potessero venire a conoscenza, tramite detta comunicazione, dell’illegittimità dagli stessi lamentata”.
In sostanza, la Corte, al fine di ricondurre la procedura al rispetto dei principi generali dell’ordinamento comunitario, condiziona comunque il ricorso al rispetto dei canoni motivazionali imposti nella redazione del provvedimento amministrativo (art. 3 L. n. 241/1990), di talché il privato, investito dell’onere dell’impugnazione, possa conoscere le ragioni su cui si fonda il provvedimento e consapevolmente decidere se adire o meno l’autorità giudiziaria. Si recupera, quindi, la dimensione individuale del diritto di difesa, escludendo che al concorrente possa essere ricondotto un generale interesse alla correttezza e trasparenza delle procedure di gara e, dunque, un mero interesse di fatto alla legittimità dell’azione amministrativa, essendo necessario, come noto, un interesse individuale, concreto ed attuale ad agire (art. 100 c.p.c.)
Anche per ciò che concerne la preclusione all’impugnazione degli atti successivi della procedura affetti da invalidità derivata, in quanto connessi all’atto presupposto di ammissione o esclusione, tale preclusione è legittima sempre che il concorrente sia stato messo in grado di conoscere effettivamente la potenziale illegittimità dei provvedimenti a monte. In tal caso, specifica la Corte, questo accertamento spetterà al giudice a quo nazionale che dovrà procedere ad una verifica mirata in tal senso.
Per quanto concerne, in particolare, il profilo dell’individuazione di un concreto interesse ad agire, quale condizione per l’esercizio dell’azione in giudizio, la normativa di cui all’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. potrebbe implicitamente sottendere il riconoscimento di un interesse presunto ad agire che il legislatore ha identificato sussistere a monte in capo ad ogni concorrente ogni qual volta l’Amministrazione disponga un provvedimento di ammissione o di esclusione alla gara. Tale fictio giuridica contribuirebbe a dare concretezza ad una lesione in realtà potenziale, non ancora prodotta in relazione al bene ultimo della vita costituito dall’aggiudicazione. Tuttavia, potrebbe recuperarsi una dimensione effettiva della lesione anche in una fase iniziale della procedura (ammettendo, dunque, l’interesse ad agire del singolo concorrente), laddove si consideri come l’aumento o la diminuzione della platea dei concorrenti incida comunque sulle chance di aggiudicazione della gara stessa, posto che oggi la chance è considerata quale autonomo bene della vita, fonte di tutela.
D’altra parte, recentemente il Consiglio di Stato (Ad. Plen. n. 4/2018) ha evidenziato che dietro la scelta legislativa di introdurre il rito di cui all’art. 120, comma 2 bis c.p.a. vi è il riconoscimento di un autonomo interesse a ricorrere, costituito dalla corretta formazione della platea dei concorrenti alla gara, come tale immediatamente attivabile dal singolo al momento dell’effettiva comunicazione del provvedimento stesso.