Consiglio di Stato, Sezione VI, ordinanza 14 agosto 2013, n. 4173.
Consiglio di Stato, Sez. VI, ordinanza 14 agosto 2013, n. 4173.
Presidente Baccarini; Estensore LopilatoSi chiede all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato di stabilire se l’art. 38, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 163 del 2006, nella parte in cui impone agli operatori economici partecipanti alla gara di dichiarare l’esistenza di sentenze o decreti penali di condanna, imponga alla stazione appaltante di rendere una adeguata motivazione non solo nel caso di esclusione dalla gara ma anche nel caso di ammissione alla gara stessa, al fine di indicare le ragioni per la quali la stessa ha ritenuto che i fatti di reato menzionati nella dichiarazione non incidono sulla moralità professionale.
BREVI ANNOTAZIONI
L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA
Con l’ordinanza in commento i Giudici della Sesta Sezione hanno rimesso all’Adunanza Plenaria la questione relativa all’obbligo gravante in capo alla stazione appaltante di motivazione all’esito delle valutazioni compiute ex art. 38, comma 1, lett. c). Più precisamente, hanno rimesso il seguente quesito: in presenza di precedenti condanne penali, l’obbligo di motivazione delle considerazioni svolte in merito alla gravità delle medesime e della loro incidenza sulla moralità professionale del condannato sussiste esclusivamente in caso di esclusione dalla gara pubblica del soggetto partecipante o anche nel caso di ammissione dello stesso?
IL PERCORSO ARGOMENTATIVO
La vicenda trae spunto da una gara indetta dal Comune di Otranto per l’affidamento di lavori consistenti in interventi di realizzazione degli ormeggi e di sistemazione delle aree a terra finalizzati alla riqualificazione del porto turistico e ampliamento del bacino esistente.
Nel caso di specie, la gara veniva gravata da parte della seconda classificata (inter alia) in quanto la stazione appaltante non avrebbe adeguatamente esplicitato le motivazioni in base alle quali i precedenti penali gravanti a carico del procuratore speciale e del direttore tecnico della società risultata aggiudicataria fossero stati considerati irrilevanti. In aperto accoglimento dei principi costantemente espressi anche dal Consiglio di Stato sul punto, i giudici del Tar Lecce – nel rigettare il ricorso principale della seconda classificata – hanno affermato che: i) la mera sussistenza di reati astrattamente incidenti sulla moralità professionale non vale a integrare la causa di esclusione di cui all’art. 38 comma 1 lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, occorrendo invece una concreta valutazione da parte della stazione appaltante in ordine alla gravità di questi reati; ii) in relazione a tale valutazione discrezionale, la stazione appaltante non è tenuta ad esplicitare le ragioni in base alle quali abbia deciso di non procedere all’esclusione del partecipante nonostante la presenza di precedenti condanne, sussistendo un onere di motivazione esclusivamente in caso di esclusione del medesimo.
La soccombente impugnava così la sentenza del Tar Lecce al Consiglio di Stato, il quale ha disposto con l’ordinanza oggetto del presente commento la rimessione all’Adunanza Plenaria.
Come noto, in ordine all’obbligo di motivazione delle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in sede di controllo dei requisiti ex art. 38 comma 1 lett. c) del codice dei contratti pubblici (ovvero dei precedenti penali dei concorrenti) la giurisprudenza è sempre stata pacifica nel ritenere che “la stazione appaltante, che non ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente incisivo della sua moralità professionale, non è tenuta ed esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto convincimento, potendo la motivazione di non gravità del reato risultare anche implicita o per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa, mentre è la valutazione di gravità, semmai, che richiede l'assolvimento di un particolare onere motivazionale” (in questo senso, Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 2011, n. 3924; Sez. III, 11 marzo 2011, n. 1583; Tar ). In questo senso, quindi, “la stazione appaltante deve motivare puntualmente le esclusioni, e non anche le ammissioni” (cfr, Cons. Stato, Sez. VI, 24 giugno 2010, n. 4019).
Con l’ordinanza in commento la Sesta sezione invece muove da differenti considerazioni.
In primo luogo ripercorre, i caratteri distintivi della fattispecie. Sottolinea quanto già affermato in merito alla rilevanza soggettiva di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), ossia che l’accertamento del possesso del requisito della moralità professionale vada compiuto nei confronti di qualsiasi persona fisiche che “nella sostanza” sia dotata di poteri tali da potersi considerare autonomi. Invero, occorre “avere riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto, più che alle qualifiche formali, altrimenti la ratio legis potrebbe venire agevolmente elusa e dunque vanificata” (Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2012, n. 1843; in analogo senso, sez. III, 11 febbraio 2013, n. 768).
In secondo luogo, dal punto di vista oggettivo analizza tre differenti aspetti: i) della natura degli obblighi incombenti sugli operatori economici partecipanti alla gara; ii) degli elementi che la stazione appaltante deve prendere in esame per valutare la rilevanza dei fatti di reato; iii) degli obblighi di motivazione incombenti sull’amministrazione.
In merito al primo dei tre aspetti viene ribadito quanto fin qui espresso dalla giurisprudenza, ossia che i concorrenti sono obbligati ad indicare tutte le condanne riportate, non potendo essi operare alcun “filtro” o valutazione preventiva in sede di domanda/dichiarazione di partecipazione alla gara che implicherebbe un giudizio inevitabilmente soggettivo, evidentemente inconciliabile con la finalità della norma. Così, spettano esclusivamente all’amministrazione appaltante le valutazioni in ordine “alla gravità delle eventuali condanne riportate dai concorrenti e la loro incidenza sulla moralità professionale” (v. Cons. Stato, sez. V, 6 marzo 2013, n. 1378; sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2507; sez. VI, 22 marzo, n. 1646; sez. VI, 11 gennaio 2012, n. 84). Sia consentito aprire una breve parentesi sul punto: altra parte della giurisprudenza, infatti, ritiene che debba farsi riferimento al bando di gara in merito all’obbligo di menzionare tutte le condanne penali o soltanto quelle che il soggetto partecipante ritenga essere gravi. Così, quando nel bando di gara vi è un mero richiamo generico all’assenza di cause di esclusione di cui all’art. 38 del codice è ben possibile che il soggetto dichiarante – posto che oltre ai reati tipizzati (partecipazione ad associazioni ad organizzazioni criminali, frode, corruzione e riciclaggio), l’art. 38, comma 1 lett. c) considera causa di esclusione solo la condanna per reati gravi incidenti sulla moralità professionale e non qualsivoglia condanna penale – compia una valutazione circa la gravità/non gravità della condanna e quindi una scelta in merito a quali delle condanne menzionare e quali invece non necessitino della menzione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 giugno 2010, n. 4019). Al contrario, nel caso in cui il bando richieda espressamente che la dichiarazione di cui all’art. 38 del codice debba essere comprensiva di tutte le condanne penali, allora in caso di mancata allegazione da parte del partecipante anche di una sola condanna, la stazione appaltante sarà tenuta a procederne con l’esclusione.
In merito al secondo profilo, ossia agli elementi che la stazione appaltante deve prendere in esame per valutare la rilevanza dei fatti di reato, viene riaffermato che la gravità del reato deve essere valutata in relazione al requisito della moralità professionale “ai fini del cui apprezzamento non può non rilevare […] più che il riferimento all’ambito professionale imprenditoriale del singolo concorrente o la più o meno diretta relazione del reato con l’oggetto del contratto per il cui affidamento è stata indetta la gara, l’idoneità della condotta penalmente illecita posta in essere a ledere valori e beni giuridici, al cui rispetto e tutela la condotta del concorrente ad un pubblico appalto debba necessariamente risultare improntata, in forza dell’inderogabilità dei valori stessi nel settore dei contratti pubblici” (Cons. Stato, sez. III, 7 maggio 2012, n. 2611; sez. VI, 4 giugno 2010, n. 3560). In sostanza, la verifica che la stazione appaltante è tenuta a compiere non è una verifica in astratto (secondo un’ipotetica, nonché generica, lesività degli interessi pubblici di alcune fattispecie di reato) ma sempre rapportata al caso concreto. Infatti, la gravità e l’incidenza sulla moralità professionale di ogni singolo reato “in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, deve essere accertata dalla stazione appaltante con la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato” (Cons. Stato, sez. V, 14 settembre 2010, n. 6694).
Infine, e qui è la novità, la Sesta sezione non sembra convinta dell’impostazione fin qui seguita dalla giurisprudenza in ordine alla differente incidenza dell’onere di motivazione a seconda che la stazione appaltante – all’esito delle verifiche circa la sussistenza dei caratteri di gravità di eventuali precedenti penali – decida per l’esclusione o l’ammissione del concorrente. Come detto, da lungo tempo la giurisprudenza amministrativa afferma che nell’ipotesi in cui la stazione appaltante non ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente incisivo della sua moralità professionale (anche sotto il profilo della gravità da valutarsi in relazione all’oggetto specifico dell’appalto), essa non sia tenuta ed esplicitare in maniera analitica le ragioni poste a fondamento di tali risultanze, essendo altresì sufficiente la mera ammissione (rectius la non esclusione) del concorrente, in quanto da considerarsi giustificazione implicita (Cons. Stato, sez. III, 11 marzo 2011, n. 1583; nello stesso senso, sez. V, 30 giugno 2011, n. 3924; sez. VI, 24 giugno 2010, n. 4019; Tar Veneto, sez. I, 6 marzo 2013, n. 349; Tar Lazio, sez. III-ter, n. 4740; Tar Piemonte, sez. I, 26 gennaio 2012, n. 124)
Il Consiglio di Stato, non condividendo questa interpretazione “distintiva” e rimettendo quindi la questione alla Plenaria, ha affermato che:
1) l’omessa motivazione dell’ammissione ne impedirebbe il controllo giurisdizionale, con evidente incidenza negativa rispetto alla tutela sostanziale invocabile dall’operatore concorrente (soprattutto se non si vogliono travalicare i limiti esterni della giurisdizione);
2) una tale distinzione di oneri motivazionali determinerebbe una “ingiustificata diversità di trattamento”, ai danni del terzo escluso tra atti di esclusione e atti di ammissione. Invero, in merito all’ammissione di un soggetto partecipante ad una gara pubblica, la motivazione starebbe a garanzia non soltanto del soggetto ammesso ma anche, e soprattutto, degli altri concorrenti portatori di interessi contrapposti a quest’ultimo;
3) l’ambito di applicazione dell’art. 38 del codice appalti necessiterebbe di rigorose delimitazioni in merito alle finalità perseguite dalla norma medesima. Esentata la stazione appaltante di dare contezza delle proprie considerazioni in merito all’ammissione di un soggetto precedentemente oggetto di condanna penale, le maglie delle finalità perseguite dalla norma risulterebbero inevitabilmente allargate.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Con l’ordinanza in commento vengono posti in dubbio alcuni principi da tempo espressi in giurisprudenza e, apparentemente, a ragione.
In questo senso, l’ordinanza di rimessione giustamente sembra indirizzare il proprio orientamento su di una nuova e più garanzia della parità dei soggetti partecipanti a gare pubbliche; la motivazione (sia essa a corredo di un provvedimento di esclusione ovvero di una decisione di ‘non’ esclusione) dovrebbe divenire quindi la chiave di volta che garantisce a tutti i concorrenti il controllo giurisdizionale sia sulla legittimità dell’esclusione pronunciata nei propri confronti, sia sulla legittimità di una ‘mancata’ esclusione di un proprio competitor.
In altri termini, il favor partecipationis non può comportare l’obliterazione di quel minimo apporto motivazionale che consente ad un soggetto interessato di azionare un pieno controllo giurisdizionale sull’iter logico giuridico che ha condotto alla ammissione di un concorrente. Pertanto, non solo quando un reato venga considerato rilevante per l’integrazione della causa di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), le stazioni appaltanti dovrebbero essere obbligate ad una precisa motivazione, ma anche quando tale reato sia considerato al contrario non ostativo alla partecipazione alle gare ai sensi della medesima disposizione.
Non spetta altro che attendere le considerazioni dell’Adunanza Plenaria.
PERCORSO BIBLIOGRAFICO
F. Caringella, M. Protto, Codice dei Contratti Pubblici, Ed. Dike, 2012; R. De Nictolis, I contratti di lavori, servizi e forniture, Milano, 2007; R. Garofoli, M. A. Sandulli, Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria n. 62/2005, Milano, 2005; L. Scotti, la giurisprudenza approda ad un amplius novero dei soggetti tenuti all’onere dichiarativo ex art. 38, comma 1, lett. b), c) e m-ter) del Codice, in questa stessa rivista.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 8274 del 2012, proposto da:
Impresa Romolo Nachira in proprio e quale mandataria dell’Ati costituenda con Bieffe Costruzioni s.r.l. e Armando Muccio s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentata e difesa dagli avvocati Ernesto Sticchi Damiani e Alfredo Caggiula, con domicilio eletto presso Sticchi Damiani Studio Bdl in Roma, via Bocca di Leone, 78;
contro
Comune di Otranto, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Taurino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Monica Battaglia in Roma, via Cunfida, 20;
nei confronti di
Rossi Renzo Costruzioni s.r.l., in proprio e quale mandataria dell’Ati con LCI-Lavori Costruzioni Industriali s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentata e difesa dall’avvocato Alfredo Biagini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Porta Castello, 33.
per la riforma
della sentenza del 13 novembre 2012, n. 1871 del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sezione III.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Sticchi Damiani, Caggiula, Taurino e Biagini.
1.– L’impresa Romolo Nachira ha partecipato, in Ati con Bieffe Costruzioni s.r.l. (d’ora innanzi anche solo Ati Nachira), alla gara indetta dal Comune di Otranto per l’affidamento del contratto di appalto dei «lavori di riqualificazione del porto turistico di Otranto con ampliamento del bacino esistente: intervento di realizzazione degli ormeggi e sistemazione delle aree a terra».
La gara è stata aggiudicata all’Ati Rossi Renzo Costruzioni s.r.l.
1.1.– L’Ati Nachira, classificatasi al secondo posto, ha impugnato gli atti della predetta procedura di gara, assumendo che l’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa per le seguenti ragioni:
a) violazione del disciplinare di gara, punto 3.1. lettera b), e punto 6, lettera c.5, sub 1) e sub 3, nonché carenza di motivazione, in quanto avrebbe apportato variazioni al progetto iniziale peggiorative o comunque ininfluenti ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto;
b) violazione dell’art. 38, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), nonché eccesso di potere per difetto di motivazione, per avere ritenuto irrilevanti «i precedenti penali a carico del procuratore speciale e direttore tecnico della Rossi Costruzioni s.r.l., nonostante la gravità degli stessi, la loro connessione con l’oggetto dell’appalto e l’esiguità del lasso temporale trascorso dalle condanne al momento dell’aggiudicazione»; in particolare, si trattava di due decreti penali di condanna n. 62 del 2010 e n.1267 del 2009, per la commissione dei reati consistenti nella realizzazione, senza permesso di costruire, di opere (palancolato di circa 150 metri, struttura prefabbricata adibita ad uso ufficio e archivio, struttura in telaio metallico, poggiante su base cementizia in adiacenza ad un capannone) in area gravata da vincolo paesaggistico;
c) violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lettere b) e c), d.lgs. n. 163 del 2006, violazione del disciplinare di gara, punto 2.1. paragrafo 2), lettere b) e c), per omesso asseveramento del possesso dei requisiti di moralità professionale da parte dei signori Renzo Malin e Luca Tessarin, consiglieri di amministrazione della società Corte della Libertà, socia al 50% della Renzo Rossi s.r.l., partecipata per l’ulteriore 50% dalla Matir s.r.l; il disciplinare di gara, punto 2.1., nella parte in cui si riferisce al socio di maggioranza «inteso come persona fisica», viene parimenti impugnato qualora venga interpretato in senso contrario alla tesi della necessità che la dichiarazione in esame sia resa dagli amministratori di società di capitali soci di maggioranza – intesa anche come partecipazione al 50% - di impresa partecipante alla gara.
1.2.– L’aggiudicataria, nel costituirsi in giudizio, ha proposto i seguenti motivi contenuti nel ricorso incidentale (riportati in sintesi):
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lettere h) e m-bis), del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 2.1, lettere h) e n) del disciplinare di gara, carenza di istruttoria, in ragione della non conformità, sanzionabile con l’esclusione, delle dichiarazioni rese in sede di gara dalle imprese facenti parte dell’Ati Nachira;
b) violazione dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 e del combinato disposto del disciplinare di gara di cui ai punti 2.1, art. 2 lettere b), c), o) e 2.1, n. 3, per avere il legale rappresentante della mandante Bieffe Costruzioni s.r.l. reso le dichiarazioni di cui all’art. 38 , comma 1, lettere b), c) m-ter non solo con riguardo alla propria persona ma anche con riguardo alla persona del direttore tecnico signor Roberto Babbo;
c) violazione della lex specialis di gara, errore di presupposto nell’attribuzione del punteggio, carenza di motivazione, eccesso di potere, in quanto l’Ati Nachira avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara (ex art. 6, lettera c 5, sub 1 e 3 del disciplinare) o quantomeno ricevere un punteggio minore e tale da collocarla terza in graduatoria, avendo, relativamente agli elementi qualitativi 3 e 4 di cui al punto 3, 3.1 del disciplinare, proposto la miglioria consistente nella realizzazione di un pontile di collegamento al centro città raccordato da una «scala di connessione con struttura indipendente in acciaio (…) sorretta da pali in acciaio zincato (…) infissi in corpi morti appositamente realizzati ed allocati sul fondo marino»; ciò è stato fatto nonostante la Soprintendenza per i beni architettonici e artistici, con atto del 30 giugno 2010, prot. n. 10524, pronunciandosi in ordine alla progettazione dell’opera, avesse espresso parere contrario evidenziando come alcune opere tra cui le «opere di ancoraggio su pali d’acciaio dei pontili galleggianti» altererebbero, qualora poste in essere, «un contesto di notevole interesse paesaggistico caratterizzato inoltre da testimonianze di interesse storico, architettonico e archeologico»;
d) violazione della legge speciale di gara (punto 3,3.1, lettera b), carenza di istruttoria, disparità di trattamento, eccesso di potere della commissione di gara, per avere l’Ati Nachira, presentato relazioni che eccedevano i limiti appositamente imposti, a pena di esclusione, avvantaggiandosi in tal modo rispetto agli altri concorrenti;
e) violazione del principio di serietà dell’offerta, in quanto le mandanti dell’Ati Nachira hanno sottoscritto l’offerta economica senza assumere alcun impegno incondizionato al rispetto della medesima;
f) violazione dell’art. 1 del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito nella legge 12 ottobre 1982, n. 726, per non esser stato il volume d’affari dell’impresa Nachira e dell’impresa Bieffe inserito nel prescritto modello GAP.
1.3.– Il Tribunale adito, con ordinanza n. 425 del 2012, ha rigettato la domanda cautelare, rilevando che appare fondato il primo motivo del ricorso incidentale.
Il Consiglio di Stato, con ordinanza 1° agosto 2012, n. 3100, ha riformato l’ordinanza impugnata, rilevando: a) la carenza di fumus boni iuris in relazione al motivo del ricorso incidentale accolto dal primo giudice (risultando la dichiarazione ex art. 38, comma 1 lettera h), del d.lgs. n. 163 del 2006 redatta in conformità ai moduli predisposti dalla stazione appaltante) e agli altri motivi del ricorso stesso; b) («a parte ogni questione relativa alla natura peggiorativa, o meno, del progetto presentato dall’odierna appellata») la sussistenza di «elementi di fumus» in relazione ai motivi del ricorso principale di primo grado «relativi all’omessa motivazione sull’irrilevanza dei precedenti penali a carico del procuratore speciale e direttore tecnico della Rossi Costruzioni s.r.l. ed all’omessa dichiarazione ex art. 38, comma 1, lettere b) e c), cod. app. ad opera delle società partecipanti (in via diretta e indiretta) per la quota del 50% a detta società».
1.4.– Il Tribunale, con sentenza 13 novembre 2012, n. 1871, ha ritenuto infondati tutti i motivi del ricorso principale e, conseguentemente, ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale per difetto di interesse.
2.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello, indicando i motivi posti a base del ricorso principale e criticando la sentenza impugnata per averli disattesi.
2.1.– Si è costituita in giudizio la controinteressata riproponendo i motivi contenuti nel ricorso incidentale.
2.2.– Si è costituito in giudizio anche il Comune di Otranto chiedendo che l’appello venga rigettato.
2.3.– Con ordinanza 12 dicembre 2012, n. 4819 la Sezione ha affermato che, «impregiudicata ogni valutazione sul fumus boni iuris, nella valutazione dei contrapposti interessi è preferibile che non inizi l’esecuzione del contratto fino alla decisione di merito».
2.4.– Con ordinanza 15 marzo 2013, n. 1565 questa Sezione ha ritenuto necessario che il Comune depositasse la seguente documentazione, in copia autentica: «a) parere prot. n. 10524 del 30 giugno 2010 della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Lecce ed eventuali successivi pareri dalla medesima espressi in ordine alle opere di cui si discute; b) relazione del Comune che puntualizzi la collocazione procedimentale del predetto parere del 30 giugno 2010, corredata di documentazione che evidenzi le caratteristiche delle “opere di ancoraggio su pali di acciaio dei pontili galleggianti” non consentite dalla Soprintendenza; c) progetto esecutivo posto a base di gara ed in particolare relazione generale integrale; d) offerta tecnica dell’Ati Nachira e altri per la parte afferente i criteri qualitativi 3 e 4».
2.5.– Il Comune ha depositato la suddetta documentazione in data 4 aprile 2013.
2.6.– La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 21 maggio 2013.
3.– Il collegio ritiene opportuno deferire all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la risoluzione della presente controversia in ragione di un possibile contrasto interpretativo circa la questione concernente l’ambito dell’obbligo della motivazione cui sono tenuti i soggetti aggiudicatori in relazione all’art. 38, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 163 del 2006, questione posta dal primo motivo dell’appello.
4.– La predetta norma dispone che sono esclusi dalla partecipazione alla gara gli operatori economici: «nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale». La norma puntualizza che è «comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18». Sul piano soggettivo, il legislatore ha previsto, tra l’altro, che «l’esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio».
5.– Sul piano della rilevanza soggettiva della fattispecie, il Consiglio di Stato ha più volte affermato che, essendo la ratio della norma quella di tutelare il buon andamento dell’azione amministrativa per evitare che l’amministrazione entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale, «la disposizione va interpretata nel senso che impone di estendere l'accertamento del possesso del requisito della moralità professionale in capo a qualsiasi persona fisica che sia dotata di poteri così ampi da potersi considerare autonomi, nell’ambito del settore di competenza». Occorre, pertanto, «avere riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto, più che alle qualifiche formali, altrimenti la ratio legis potrebbe venire agevolmente elusa e dunque vanificata» (Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2012, n. 1843; in analogo senso, sez. III, 11 febbraio 2013, n. 768).
6.– Sul piano della rilevanza oggettiva della fattispecie, il Consiglio di Sato si è occupato: i) della natura degli obblighi incombenti sugli operatori economici partecipanti alla gara; ii) degli elementi che la stazione appaltante deve prendere in esame per valutare la rilevanza dei fatti di reato; iii) degli obblighi di motivazione incombenti sull’amministrazione.
6.1.– In relazione al primo profilo, la giurisprudenza è costante nel ritenere che «le valutazioni in ordine alla gravità delle eventuali condanne riportate dai concorrenti e la loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla amministrazione appaltante e non già ai concorrenti, i quali sono pertanto tenuti ad indicare tutte le condanne riportate, non potendo essi operare alcun “filtro” in sede di domanda/dichiarazione di partecipazione alla gara, ciò implicando un giudizio inevitabilmente soggettivo, evidentemente inconciliabile con la finalità della norma» (Cons. Stato, sez. V, 6 marzo 2013, n. 1378; sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2507; sez. VI, 22 marzo, n. 1646; sez. VI, 11 gennaio 2012, n. 84).
6.2.– In relazione al secondo profilo, il Consiglio di Stato ha affermato che la gravità del reato deve essere valutata in relazione al requisito della moralità professionale «ai fini del cui apprezzamento non può non rilevare (…) più che il riferimento all’àmbito professionale imprenditoriale del singolo concorrente o la più o meno diretta relazione del reato con l’oggetto del contratto per il cui affidamento è stata indetta la gara, l’idoneità della condotta penalmente illecita posta in essere a ledere valori e beni giuridici, al cui rispetto e tutela la condotta del concorrente ad un pubblico appalto debba necessariamente risultare improntata, in forza dell’inderogabilità dei valori stessi nel settore dei contratti pubblici» (Cons. Stato, sez. III, 7 maggio 2012, n. 2611; sez. VI, 4 giugno 2010, n. 3560). In questo ambito si colloca la giurisprudenza che richiede che la gravità e incidenza sulla moralità professionale dell’imprenditore dei reati diversi da quelli specificamente indicati «in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, deve essere accertata dalla stazione appaltante con la disamina in concreto delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato» (Cons. Stato, sez. V, 14 settembre 2010, n. 6694).
6.3.– Infine, ed è questo il profilo che rileva in questa sede, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha più volte affermato che nel caso in cui «la stazione appaltante che non ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente incisivo della sua moralità professionale anche sotto il profilo della gravità da valutarsi in relazione all’oggetto specifico dell’appalto, non è tenuta ed esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto suo convincimento, potendo la motivazione di non gravità del reato risultare anche implicita o per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa mentre è la valutazione di gravità che richiede l’assolvimento di un particolare onere motivazionale» (Cons. Stato, sez. III, 11 marzo 2011, n. 1583; nello stesso senso, sez. V, 30 giugno 2011, n. 3924; sez. VI, 24 giugno 2010, n. 4019, secondo cui la stazione appaltante deve «motivare puntualmente le esclusioni e non anche le ammissioni se su di esse non vi è in gara contestazione»).
6.3.1.– La Sezione non condivide l’orientamento interpretativo da ultimo riportato.
In primo luogo, perché l’omessa motivazione impedisce il controllo giurisdizionale. Se, infatti, si ritiene che la stazione appaltante possa, mediante un mero comportamento silenzioso, ritenere ininfluente un fatto di reato si rischia di compromettere le forme di tutela dell’operatore economico leso. Né si potrebbe ritenere che il giudice amministrativo possa effettuare “direttamente” il controllo senza con ciò porre in essere, in violazione del principio di separazione dei poteri, una valutazione che “in prima battuta” spetta alla stazione appaltante.
In secondo luogo, l’indirizzo interpretativo espresso sino ad oggi dal Consiglio di Stato determina una non giustificata diversità di trattamento, ai danni del terzo pretermesso, tra atti di esclusione e atti di ammissione alla procedura di gara.
Infatti, anche ammesso che un provvedimento a contenuto discrezionale possa avere, nella vigenza della legge sul procedimento amministrativo, una motivazione implicita, ciò non sembra ammissibile nel caso di un procedimento di gara, in cui quel provvedimento, decidendo una questione di ammissibilità alla gara di un concorrente, richiede comunque la garanzia indivisibile della motivazione nei confronti non soltanto del destinatario dell’atto, ma anche degli altri concorrenti, portatori di interessi ad esso contrapposti.
Infine, l’orientamento che non si condivide non è coerente con i rigorosi indirizzi che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha espresso, per garantire l’attuazione delle finalità perseguite, in relazione all’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione della norma in esame.
7.– E’ bene, infine, rilevare che, per quanto attiene al rapporto di trattazione tra ricorso principale e ricorso incidentale (pure rilevante ai fini della decisione), l’Adunanza plenaria è stata già più volte investita dalle singole Sezioni (si v., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, ordinanza 17 maggio 2013, n. 2681). Non occorre, pertanto, sul punto, formulare alcuna specifica questione.
8.– In definitiva, si chiede all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato di stabilire se l’art. 38, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 163 del 2006, nella parte in cui impone agli operatori economici partecipanti alla gara di dichiarare l’esistenza di sentenze o decreti penali di condanna, imponga alla stazione appaltante di rendere una adeguata motivazione non solo nel caso di esclusione dalla gara ma anche nel caso di ammissione alla gara stessa, al fine di indicare le ragioni per la quali la stessa ha ritenuto che i fatti di reato menzionati nella dichiarazione non incidono sulla moralità professionale.
L’Adunanza Plenaria valuterà, altresì, se – una volta enunciati i principi di diritto sulla questione sollevata – intenda restituire per il resto il giudizio alla Sezione rimettente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando sull’appello proposto con il ricorso n. 8274 del 2012, rimette l’esame della controversia all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore