Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 6 dicembre 2012, n.6256

Consiglio di Stato, sezione Quinta, 6 dicembre 2012, n.6256
Presidente Trovato; Estensore Poli.

1. Il ricorso alla trattativa privata (procedura negoziata), nel micro ordinamento di settore (nazionale comunitario), è vicenda assolutamente eccezionale perché lesiva dei valori fondamentali (costituzionali e internazionali) della libertà di impresa, del libero mercato, della trasparenza, della imparzialità dell’azione amministrativa e della buona amministrazione.
2. Le disposizioni che consentono il ricorso a tale procedura di affidamento di appalti (e quelle assimilabili: ad es. varianti, atti aggiuntivi ecc.), devono essere interpretate restrittivamente, introducendo ipotesi tassative che costituiscono momento patologico del rapporto contrattuale risolvendosi in affidamenti diretti senza le garanzie delle procedura competitiva.
3. E’ la scelta della p.a. di procedere a trattativa che và adeguatamente motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti specifici legali che di volta in volta la giustificano, mentre, qualora l’amministrazione si orienti per la procedura competitiva, non occorre addurre alcuna giustificazione, rientrando ciò nelle normali opzioni che l’ordinamento considera di per sé preferibili, anche quando si verifichino in astratto i presupposti per aggiudicare l’affare mediante procedura negoziata.

 

BREVI ANNOTAZIONI

 

L’OGGETTO DELLA PRONUNCIA

La pronuncia in esame, nel rigettare l’appello e confermare la sentenza dei giudici di primo grado, sintetizza in maniera efficace i principi valevoli in materia di affidamento di appalti, nella prevalenza del sistema di affidamento con gara rispetto a quello, meno competitivo, a trattativa privata (rectius: procedura negoziata), e, sulla scorta di tali principi, modula l’intensità dell’obbligo motivazionale della stazione appaltante degli atti endoprocedimentali delle diverse procedure di affidamento.

 

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

Il Consiglio di Stato, nell’esaminare e poi rigettare i motivi di impugnazione, conferma che il sistema di affidamento con gara degli appalti pubblici costituisce la regola generale, in quanto unico sistema idoneo a garantire il rispetto dei valori costituzionali ed europei di libertà d’impresa e mercato, di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa e di buona amministrazione. Viceversa tutte le norme che, nei casi tassativamente indicati, derogano a tale sistema e che quindi portano all’affidamento diretto, sono disposizioni di stretta interpretazione, i cui presupposti applicativi devono essere dimostrati in maniera rigorosa da entrambe le parti.

Sicché, mentre la scelta dell’affidamento con gara, rappresentando la regola generale non dovrà essere motivata, invece, la scelta di procedere procedura negoziata, in quanto sistema derogatorio alla gara, dovrà essere compiutamente motivata dall’amministrazione, specie sotto il profilo della sua rispondenza all’interesse pubblico perseguito e della sussistenza dei presupposti legali che di volta in volta la giustificano.

Inoltre, laddove l’amministrazione rilevi, anche in extremis, che l’affidamento diretto violi norme imperative, ha il dovere di ripristinare immediatamente la legalità, anche agendo in autotutela, senza che questo possa comportare il formarsi di un legittimo affidamento rilevante ai fini della tutela risarcitoria. In tali casi, infatti, la posizione dei privati consapevolmente coinvolti in una procedura contraria a disposizioni di legge imperative, è connotata dal profilo della colpa, non è idonea a far sorgere alcuna posizione di legittimo affidamento e, dunque, esclude la possibilità di riconoscere qualsiasi tutela risarcitoria, tantomeno solo il profilo della responsabilità precontrattuale.

Nel rigettare l’appello, inoltre, il Consiglio di Stato evidenzia come in realtà il potere esercitato dalla stazione appaltante nella delibera impugnata, indipendentemente dalla qualificazione datane dall’amministrazione, non è quello di autotutela, ma sempre il medesimo potere di amministrazione attiva concretantesi nel rifiuto dell’aggiudicazione a trattativa privata.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

La descritta pronuncia merita di essere segnalata sia per la concisa, quanto efficace ricostruzione dei principi operanti in materia  di affidamento di appalti, sia per il richiamo implicito ai principi in materia di concorso del fatto colposo del creditore alla causazione del danno, ricostruiti nell’Ad. Pl. n.3/2011.

Non ultimo, perché contribuisce a consolidare l’orientamento giurisprudenziale sulla esatta qualificazione del potere di ritiro esercitato dall’amministrazione nel corso della procedure di affidamento di appalti, come potere di primo grado, diverso dai poteri di secondo grado esercitati in via di autotutela, con ovvie e intuibili conseguenze sul piano delle posizioni giuridiche soggettive rilevanti nella fattispecie e, non ultimo, sul piano della tutela, specie risarcitoria.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 4633 del 2009, proposto dalla società Beton Salento S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso lo studio Bdl in Roma, via Bocca di Leone n. 78;
 

contro
 

Comune di Leverano, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pietro Quinto, con domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n. 2;
 

per la riforma
 

della sentenza del T.a.r. per la Puglia - sede staccata di Lecce - sezione II, n. 173 del 31 gennaio 2009.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Leverano;
Viste le memorie difensive depositate dalla società Beton (in data 8 ottobre 2012) e dal comune di Leverano (in data 12 ottobre 2012);
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2012 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Zito, su delega dell’avvocato Sticchi Damiani e Gagliardi La Gala, su delega dell’avvocato Quinto;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
 

1. Il comune di Leverano ha aggiudicato alla società Beton Salento s.p.a. (in prosieguo ditta Beton), la licitazione privata per la realizzazione del 2° lotto dei lavori relativi alla costruzione della rete fognaria comunale (cfr. contratto 23 maggio 1987).
1.1. Successivamente il comune ha deciso di affidare in concessione diretta l’esecuzione dei restanti lotti (il 1°, il 3° e il 4°); naufragata tale possibilità per il parere negativo espresso dal Comitato tecnico amministrativo regionale (cfr. nota n. 157 del 12 settembre 1990), l’ente:
a) ha deliberato di scegliere per l’aggiudicazione dei lavori il sistema della trattativa privata di cui all’art. 46, lett. f), l.r. 16 maggio 1985, n. 37 (secondo cui: <<1. Si può procedere all’affidamento dei lavori a trattativa privata, qualunque sia l’importo dei lavori stessi, quando:…. f) si tratti di lavori relativi a lotti successivi di progetti esecutivi approvati e parzialmente finanziati, a condizione che:…..- l’importo dei nuovi lavori non sia superiore al doppio di quello del precedente appalto;…>>);
b) ha stabilito che, prima di affidare i lavori dei restanti tre lotti alla ditta Beton <<…si dovrà procedere all’aggiornamento dei prezzi ai sensi dell’art. 48 della L.R. 27/85 non prima che l’impresa abbia dimostrato d’essere in possesso dei requisiti prescritti per eseguire i lavori di cui al progetto generale>> (cfr. delibera consiliare n. 20 del 10 maggio 1991, annullata dall’organo regionale di controllo con determinazione in data 8 luglio 1991, n. 5105/5, a sua volta sospesa dal T.a.r. per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanza non motivata n. 1792 del 25 ottobre 1991).
1.2. Con deliberazione consiliare n. 45 del 20 dicembre 1993 è stato assodato che:
a) all’esito dell’aggiornamento dei prezzi non risultava più rispettata la condizione prevista dalla lett. f), terzo alinea, del menzionato art. 46, co.1, l.r. n. 27 del 1985;
b) la delibera n. 20 cit. non aveva prodotto alcun effetto giuridico rilevante posto che nessun affidamento diretto era stato in concreto disposto in favore della ditta Beton;
c) ragioni di opportunità e trasparenza imponevano di modificare la delibera n. 20 del 1991 nel senso che, ferma restando la necessità di realizzare le opere di cui ai tre rimanenti lotti, si sarebbe dovuto utilizzare il sistema della gara pubblica da esperire successivamente ad un nuovo aggiornamento dei prezzi.
2. Avverso la delibera n. 45 del 1993 la ditta Beton è insorta davanti al T.a.r. per la Puglia - sede staccata di Lecce – articolando due complessi motivi di gravame.
3. L’impugnata sentenza-T.a.r. per la Puglia, sede staccata di Lecce, sezione II, n. 173 del 31 gennaio 2009-:
a) ha respinto entrambi i motivi;
b) ha compensato fra le parti le spese di lite.
4. La ditta Beton ha interposto appello notificato il 21 maggio 2009 e depositato il successivo 3 giugno, contestando tutti i capi sfavorevoli.
5. Si è costituito il comune di Leverano deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.
6. All’udienza pubblica del 23 ottobre 2012 la trattazione dell’affare è stata rinviata al 4 dicembre 2012 su istanza del difensore del comune che ha aderito ad uno sciopero di categoria.
La causa è stata infine trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 4 dicembre 2012.
7. L’appello è infondato e deve essere respinto.
8. Preliminarmente il collegio:
a) rileva l’inammissibilità dell’introduzione, per la prima volta nel giudizio di appello, di doglianze ulteriori rispetto a quelle che, proposte con atti ritualmente notificati, hanno delimitato il perimetro del thema decidendum in prime cure; non si può tener conto di tali profili nuovi perché sollevati in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. (ora art. 104, co.1, c.p.a.), ed al valore puramente illustrativo delle memorie conclusionali (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 18 aprile 2012, n. 2232; sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640; ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co.1, e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.);
b) dà atto che nella memoria difensiva dell’8 ottobre 2012 (pagine 1 e 2), l’appellante afferma che non <<…intende contestare la sentenza nella parte in cui dispone l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 46 della L.R. 27.1985 (circostanza contestata con il ricorso di primo grado)….>>, ma che tale asserzione è ambigua perché non specifica se è prestata acquiescenza all’intero capo di sentenza che ha respinto il primo complesso motivo dell’originario ricorso;
c) conseguentemente, per ragioni di comodità espositiva, prende in esame direttamente i motivi dell’originario ricorso al T.a.r., secondo l’ordine fatto proprio dalla società Beton.
8.1. Con il primo motivo dell’originario ricorso (pagine 8 – 11), l’impresa ha contestato la falsa ed erronea interpretazione dell’art. 46, co. 1, lett. f), l. r. n. 27 del 1985; sostiene che la stretta connessione funzionale delle opere costitutive dei vari lotti fondava la necessità della trattativa privata; per ragioni tecniche l’impresa Beton era l’unica capace di eseguire i lavori; non si sarebbe dovuto considerare l’importo unitario del valore dei tre lotti, ai fini del rispetto del limite sancito dal terzo alinea della lett. f) cit., così come aveva mostrato di intendere l’organo tutorio che aveva annullato la delibera n. 20 del 1991 per ragioni diverse dalla violazione della norma sancita dalla lett. f), terzo alinea cit..
8.1.1. Il motivo è infondato sia in fatto che in diritto e deve essere respinto nella sua globalità.
8.1.2. In diritto è sufficiente osservare (sulla scorta di consolidati principi giurisprudenziali, cfr. Corte giust. CE, sez. II, 2 ottobre 2008, n. C-157/06; grande sezione, 8 aprile 2008, n. C-337/05; Cons. St., sez. V, 2 novembre 2011, n. 5837; sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 780; sez. V, 24 aprile 2009, n. 2600; sez. IV, 10 giugno 2004, n. 3721), che:
a) il ricorso alla trattativa privata (procedura negoziata), nel micro ordinamento di settore (nazionale comunitario), è vicenda assolutamente eccezionale perché lesiva dei valori fondamentali (costituzionali e internazionali) della libertà di impresa, del libero mercato, della trasparenza, della imparzialità dell’azione amministrativa e della buona amministrazione;
b) le disposizioni che consentono il ricorso a tale procedura di affidamento di appalti (e quelle assimilabili: ad es. varianti, atti aggiuntivi ecc.), devono essere interpretate restrittivamente, introducendo ipotesi tassative che costituiscono momento patologico del rapporto contrattuale risolvendosi in affidamenti diretti senza le garanzie delle procedura competitiva;
c) i presupposti applicativi di tale straordinaria procedura devono essere dimostrati in modo rigoroso dalla stazione appaltante e dall’impresa beneficiaria;
d) la portata dell’obbligo di motivazione si declina, coerentemente, nel senso che è la scelta della p.a. di procedere a trattativa che và adeguatamente motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti specifici legali che di volta in volta la giustificano, mentre, qualora l’amministrazione si orienti per la procedura competitiva, non occorre addurre alcuna giustificazione, rientrando ciò nelle normali opzioni che l’ordinamento considera di per sé preferibili, anche quando si verifichino in astratto i presupposti per aggiudicare l’affare mediante procedura negoziata;
e) la stazione appaltante, anche in extremis, se rileva che la stipula comporta la violazione di norme imperative deve immediatamente interrompere la trattativa privata avviata e annullare gli atti della procedura fin lì posta in essere; l’ordinamento, invero, esige il ritorno alla legalità, anche attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela da parte dell’amministrazione, mentre non prende in considerazione favorevole - sotto il profilo di possibili pretese risarcitorie - la posizione di coloro che, coinvolti nella trattativa privata o nella gara finalizzate alla stipula del contratto che si rilevi contra legem, abbiano consapevolmente e colposamente aderito all’iniziativa illegittima dell’amministrazione: in tali casi non è configurabile una ipotesi di responsabilità precontrattuale derivante da mancata stipula del contratto con la conseguente impossibilità di accogliere la domanda di risarcimento del danno.
Dall’applicazione dei su esposti principi discende che correttamente la stazione appaltante ha interpretato la norma di sbarramento sancita dall’art. 46, lett. f), terzo alinea l.r. n. 27 del 1985, nel senso letterale e sistematico suo proprio, ovvero considerando unitariamente il valore complessivo dei lotti per sottoporlo al riscontro in concreto del non superamento del limite costituito dal doppio dell’importo dell’originario appalto.
8.1.3. Le doglianze in esame sono inaccoglibili anche in fatto posto che l’impresa non ha fornito alcuna prova:
a) della asserita impossibilità tecnica di esecuzione dei lavori da parte di altre imprese;
b) della inscindibilità funzionale che connoterebbe la realizzazione delle opere previste dai lotti 1°, 3° e 4°.
8.2. Con il secondo motivo dell’originario ricorso di primo grado (pagine 11 – 13), l’impresa Beton ha dedotto l’illegittimità della delibera n. 45 del 1993 sotto il profilo della mancanza di motivazione sulla sussistenza dell’interesse pubblico che deve sostenere un provvedimento di autotutela nonché della lesione delle aspettative del privato vulnerato nel suo legittimo affidamento accresciuto anche dall’ordinanza del T.a.r. che aveva accolto la domanda di sospensione degli effetti del provvedimento negativo dell’organo tutorio.
8.2.1. Il mezzo è infondato.
8.2.2. Le su illustrate doglianze si fondano sul decisivo presupposto giuridico che la delibera n. 45 del 1993 sia qualificabile come esercizio di autotutela decisoria per vizi di legittimità.
Tale tesi è smentita:
a) dall’univoco contenuto della delibera n. 20 del 1991 che non ha affatto affidato l’esecuzione dei lavori dei lotti 1°, 3° e 4° alla ditta Beton, essendosi limitata ad aprire una procedura di trattativa privata con quest’ultima, facendo salvi (espressamente ed opportunamente) gli esiti dei successivi controlli sulla sussistenza di tutte le condizioni legali per la stipula della futura convenzione diretta;
b) dal tenore complessivo delle clausole che compongono la delibera n. 45 cit. e dalla sostanza delle argomentazioni spese a sostegno della scelta di non concludere la procedura di trattativa privata con l’impresa Beton.
In quest’ottica è dunque irrilevante che nel primo punto del dispositivo della delibera n. 45 cit. si sia affermato <<…di annullare, in forma di autotutela …>> alcune parti della delibera n. 20 del 1991, perché il potere realmente esercitato dal comune è stato quello di rifiutare (doverosamente, visto l’impedimento legale costituito dalla norma sancita dalla più volte menzionata lett. f), terzo alinea), l’aggiudicazione a trattativa privata alla società Beton dei lotti di lavori per cui è causa.
In ogni caso, anche volendo qualificare la delibera n. 45 come atto di auto annullamento in senso proprio, la medesima sfugge ai lamentati vizi di carenza di motivazione sulla scorta dell’esame del suo apparato argomentativo, specie se apprezzato alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio in materia di trattativa privata (illustrati nel precedente punto 8.1.2.) e per i casi di annullamento degli atti di gara da parte della stazione appaltante (cfr. fra le tante Cons. St., sez. IV, 12 febbraio 2012, n. 743, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co.1, e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
9. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni è giocoforza respingere l’appello.
10. In assenza di prova specifica delle spese sostenute, secondo quanto richiesto dal d.m. n. 140 del 2012, il solo onorario del presente grado di giudizio, regolamentato secondo l’ordinario criterio della soccombenza, è liquidato in dispositivo.
 

P.Q.M.
 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto:
a) respinge l’appello e per l’effetto conferma l’impugnata sentenza;
b) condanna la società appellante a rifondere in favore del comune di Leverano l’onorario del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 6.000 (seimila/00) oltre accessori come per legge (I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.