Cons. Stato, sez. V, 4 dicembre 2025, n. 9568
Un’interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 133 c.p.a. esclude dalla giurisdizione esclusiva le vicende in cui la materia del contendere non involga l’esercizio di poteri riconducibili, nemmeno in via indiretta, alle funzioni pubblicistiche dell’amministrazione; a tali fini non è sufficiente l’attinenza della vicenda ad interessi di ordine pubblicistico - in qualche misura sempre implicati nell’agire della pubblica amministrazione - dovendo stabilirsi se, in funzione del perseguimento di quell’interesse, l’amministrazione sia o meno dotata di un potere di supremazia.
Sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie concernenti la revisione dei prezzi, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a., soltanto laddove la pubblica amministrazione mantenga una posizione di supremazia rispetto all’operatore economico e, sia, quindi, ravvisabile la spendita, almeno indiretta, di potere pubblicistico. Pertanto, se il contenuto della clausola individua puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza a tale obbligo di un diritto soggettivo dell'appaltatore, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario laddove la parte ricorrente non invochi l'applicazione di una clausola contrattuale di revisione del prezzo, bensì l’applicazione obbligatoria di un meccanismo di adeguamento automatico, introdotto direttamente dalla legge, come quello previsto dall’art. 26 del decreto legge 17 maggio 2022, n. 50 (convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91), ancorato a precisi parametri fissati dal legislatore (ossia i prezziari regionali aggiornati) quale misura straordinaria e obbligatoria, dettata dall’emergenza economica e dall’aumento dei costi dei materiali e dell’energia.
Rientrano nella giurisdizione ordinaria, in base al criterio della causa petendi, le pretese di carattere patrimoniale, aventi natura di diritti soggettivi, relative al rapporto contrattuale in quanto il potere amministrativo non è ravvisabile quando, esaurita la fase pubblicistica della scelta del contraente, sia sorto il vincolo contrattuale e siano in contestazione, in assenza di atti autoritativi, la delimitazione del contenuto del rapporto, gli adempimenti delle obbligazioni contrattuali e i relativi effetti sul piano del rapporto.
Guida alla lettura
Giurisdizione esclusiva. Presupposti.
La Sezione V del Consiglio di Stato, nel confermare che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, ha in primo luogo evidenziato che, come noto, l’art. 103, primo comma, della Costituzione, conferisce agli organi di giustizia amministrativa “giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.
Spiega il Collegio che, l’attribuzione di una giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo in determinate materie, che affonda le sue radici nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 2840, nasce e si spiega storicamente in ragione dell’intimo intreccio tra diritti e interessi che connota tali materie, risultando la commistione delle due posizioni giuridiche così stretta da rendere ardua e inopportuna, sul piano della concentrazione dei rimedi e dell’effettività delle tutele, la scissione dell’’una dall’altra.
Si legge tuttavia nella sentenza che, un’interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 133 c.p.a. esclude dalla giurisdizione esclusiva le vicende in cui la materia del contendere non involga l’esercizio di poteri riconducibili, nemmeno in via indiretta, alle funzioni pubblicistiche dell’amministrazione.
A tali fini, rimarcano i Giudici, non è sufficiente l’attinenza della vicenda ad interessi di ordine pubblicistico - in qualche misura sempre implicati nell’agire della pubblica amministrazione - dovendo stabilirsi se, in funzione del perseguimento di quell’interesse, l’amministrazione sia o meno dotata di un potere di supremazia.
In definitiva, secondo la Quinta Sezione, condizione ineludibile perché si configuri la giurisdizione amministrativa è che la pubblica amministrazione agisca come autorità, e che oggetto di causa sia sempre la contestazione dell’esercizio del potere in concreto, almeno in forma mediata o indiretta
Giurisdizione esclusiva in materia di revisione dei prezzi nei contratti pubblici. Presupposti.
Con specifico riferimento al tema della revisione dei prezzi nei contratti pubblici, l’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a. il quale assegna al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulle controversie concernenti la revisione dei prezzi, ad avviso del Collegio, deve essere letto alla luce del principio secondo cui tale giurisdizione sussiste soltanto laddove la P.A. mantenga una posizione di supremazia rispetto all’operatore economico e, sia, quindi, sia ravvisabile la spendita, almeno indiretta, di potere pubblicistico.
Per il Consiglio di Stato, dunque, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie concernenti la revisione dei prezzi, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a., soltanto laddove la pubblica amministrazione mantenga una posizione di supremazia rispetto all’operatore economico e, sia, quindi, ravvisabile la spendita, almeno indiretta, di potere pubblicistico. Pertanto, se il contenuto della clausola individua puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza a tale obbligo di un diritto soggettivo dell'appaltatore, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.
Nella sentenza si rammentano le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno osservato come il citato art. 133, co. 1, n. 2, lett. e), c.p.a., “logicamente non è stato inteso, nella giurisprudenza del riparto, come conferente al giudice amministrativo qualunque controversia relativa alla revisione dei prezzi degli appalti pubblici per servizi ad esecuzione continuata o periodica, sviluppandosi un'applicazione (peraltro non del tutto uniforme, ma sovente plasmata dai casi specifici) del criterio fondato sulla sussistenza o meno di esistenza ed esercizio di potere, per tutela dei correlati pubblici interessi” (Cass. Civ., SS.UU., n. 21990/2020).
La Quinta Sezione evidenzia che, tale pronuncia enuncia conclusivamente la regola del riparto di giurisdizione in subiecta materia nei seguenti termini: “se il contenuto della clausola esprime e quindi implica la persistenza di una discrezionalità, vale a dire di una posizione di potere, dell'autorità amministrativa, si rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; se invece il contenuto della clausola individua puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza a tale obbligo di un diritto soggettivo dell'appaltatore, così da confluire nella giurisdizione ordinaria. La natura del contratto quale fonte di posizione paritetica per le parti che lo hanno stipulato rispetto agli obblighi esecutivi e ai correlati diritti soggettivi trova allora logicamente, prima ancora che normativamente, un limite nel contenuto delle specifiche clausole. Se, dunque, la clausola di revisione dei prezzi non include alcuna discrezionalità determinativa della parte pubblica, ai fini del riparto giurisdizionale vale la situazione paritetica che ne discende, salvo, ex art. 386 c.p.c., ogni successivo esito nel merito, inclusa l'eventuale nullità della clausola stessa. Se, invece, la clausola rimette alla stazione appaltante una discrezionalità nella determinazione della debenza della revisione e/o del suo quantum, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ricorre, perché la pariteticità non è stata raggiunta nella specifica regola negoziale della revisione e pertanto non può sussistere nella fase esecutiva di detta regola”.
Applicazione obbligatoria di un meccanismo adeguamento automatico introdotto direttamente dalla legge. Giurisdizione.
Nel caso di specie, afferma il Collegio, la Siters s.r.l. non invoca l’applicazione di una clausola contrattuale di revisione del prezzo, bensì l’applicazione obbligatoria di un meccanismo di adeguamento automatico introdotto direttamente dalla legge, ossia dall’art. 26 del d.l. n. 50/2022, il quale prescrive che lo stato di avanzamento dei lavori afferente alle lavorazioni eseguite “è adottato, anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali, applicando i prezzari aggiornati ai sensi del comma 2 ovvero, nelle more del predetto aggiornamento, quelli previsti dal comma 3” (art. 26, co. 1, d.l. n. 50/2022).
Rimarcano i Giudici che, quello descritto è un meccanismo erosivo di ogni margine di discrezionalità in capo alla P.A., atteso che l’adeguamento del prezzo è ancorato a precisi parametri fissati dal legislatore (ossia i prezziari regionali aggiornati, di cui al comma 2 dell’art. 26).
Pertanto, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario laddove la parte ricorrente non invochi l'applicazione di una clausola contrattuale di revisione del prezzo, bensì l’applicazione obbligatoria di un meccanismo di adeguamento automatico, introdotto direttamente dalla legge, come quello previsto dall’art. 26 del decreto legge 17 maggio 2022, n. 50 (convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91), ancorato a precisi parametri fissati dal legislatore (ossia i prezziari regionali aggiornati) quale misura straordinaria e obbligatoria, dettata dall’emergenza economica e dall’aumento dei costi dei materiali e dell’energia.
Fase esecutiva del rapporto intercorrente tra la stazione appaltante e l’operatore economico. Giurisdizione.
Infine, rammenta il Collegio che, l’adeguamento automatico del prezzo trova sede nella fase esecutiva del rapporto intercorrente tra la stazione appaltante e l’operatore economico, ed evidenzia che, non venendo in rilievo i meccanismi revisionali e adeguativi di cui agli articoli 115 e e 133 del citato d.gs. n.163/2006, ai quali l’articolo 133, comma 1, lett. e, n. 2, c.p.a. rinvia, si configura una vicenda totalmente privatistica alla quale è estraneo ogni profilo di discrezionalità con riferimento sia all’an che al quantum dell’aggiornamento. Ne discende dunque, ad avviso della Quinta Sezione, la qualificazione dell’agire pubblico come attività puramente privatistica, imputabile alla amministrazione come contraente e non come autorità, in assenza dell’esplicazione, o anche della sola a connessione con il potere schiettamente pubblicistico.
Il Collegio ritiene, quindi, di dovere dare seguito all’indirizzo giurisprudenziale già espresso dalla stessa Sezione (sentenze n. 3347, n. 3348, n. 3350, n. 3352 e 8527 del 2025), che attrae nella giurisdizione ordinaria, in base al criterio della causa petendi, le pretese di carattere patrimoniale, aventi natura di diritti soggettivi, relative al rapporto contrattuale sulla scorta del rilievo che il potere amministrativo non è ravvisabile in linea di principio quando, esaurita la fase pubblicistica della scelta del concessionario, sia sorto il vincolo contrattuale e siano in contestazione, in assenza di atti autoritativi, la delimitazione del contenuto del rapporto, gli adempimenti delle obbligazioni contrattuali e i relativi effetti sul piano del rapporto.
In definitiva, si legge nella sentenza, le controversie che attengono alla fase esecutiva del rapporto contraente pubblico– operatore economico spettano al giudice ordinario in quanto regolate in via integrale dal diritto comune (vedi la clausola d rinvio esterno di cui all’art. 12, comma 1, lett. B), del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36).
Nel caso in esame, afferma la Sezione V, la posizione fatta valere dalla società assume la consistenza di un diritto soggettivo pieno e perfetto, sicché la relativa controversia spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.
Pubblicato il 04/12/2025
N. 09568/2025REG.PROV.COLL.
N. 06288/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6288 del 2025, proposto da
Siters S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lorenzo Grisostomi Travaglini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Mit Provv. Interreg. per Le Oo.Pp. per il Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Sede Coordinata di Tries, non costituito in giudizio;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) n. 00194/2025, resa tra le parti,
Per l'annullamento e la riforma
-
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) n. 194/2025 del 2 maggio 2025, non notificata, con la quale è stata dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sul ricorso proposto dalla odierna appellante di richiesta di
Annullamento
- della determinazione con la quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Provveditorato Interregionale per le OO.PP. per il Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli - Venezia Giulia, Sede coordinata di Trieste ha determinato l'aggiornamento dei prezzi riferito al contratto di appalto di seguito indicato;
- dei SAL (stati di avanzamento lavori) n. 1 bis e n. 2 bis, emessi in data 24 aprile 2024, con i quali l'Amministrazione ha determinato l'adeguamento dei prezzi dovuto alla appaltatrice in euro 26.882,57 (per i lavori afferenti al SAL n. 1) e in euro 0.789,48 (per i lavori afferenti al SAL n. 2);
-degli atti istruttori del procedimento e di ogni altro atto antecedente, conseguente, successivo e comunque connesso, anche non cognito alla ricorrente;
nonché per l'accertamento del legittimo adeguamento prezzi in favore della ricorrente e per la condanna al relativo pagamento.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
visti gli artt. 105, co. 2 e 87, co. 3, cod. proc. amm.;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2025 il Cons. Francesco Caringella e udio l’avv. Grisostomi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Siters s.r.l., odierna appellante, si aggiudicava la gara di appalto indetta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, odierno appellato, per l’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria degli edifici demaniali marittimi denominati “ex monopoli” ed “ex frigoriferi”, ubicati al civico 1/1 del molo F.lli Bandiera nel porto di Trieste.
All’aggiudicazione faceva seguito il contratto n. 309 del 29.03.2022.
Successivamente alla stipulazione del contratto di appalto, si manifestavano pregiudizievoli fenomeni inflattivi e difficoltà di approvvigionamento delle materie prime che determinavano l’esposizione delle imprese di costruzioni a costi non prevedibili al di fuori della normale alea contrattuale.
Al fine di attenuare le conseguenze sul settore economico di riferimento, il legislatore interveniva con l’art. 26 del decreto legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, disposizione che riconosceva il diritto dell’appaltatore all’adeguamento dei prezzi del contratto in applicazione dei criteri normativamente enucleati.
La società azionava il diritto all’adeguamento del corrispettivo relativo al contratto di appalto di lavori di cui è causa, con richiesta del 16.04.2024 formulata ai sensi dell’art. 26 d.l. n. 50/2022.
Tuttavia,il Ministero intimato riconosceva tale adeguamento solo nella seguente misura:
- € 26.882,57 per i lavori afferenti al SAL n. 1;
- € 10.789,48 per i lavori afferenti al SAL n. 2.
Detti importi venivano contestati dall’appellante, che trasmetteva all’amministrazione committente due diversi computi, con il calcolo del corrispettivo quantificato in:
- € 71.199,56 per i lavori afferenti al SAL n. 1;
- € 71.595,48 per i lavori afferenti al SAL n. 2.
La società invitava, quindi, la Committente a procedere alla rettifica della determinazione suddetta, ritenendo che la stessa avesse riconosciuto un importo inferiore rispetto a quello effettivamente dovuto. A tale invito non seguiva alcun riscontro.
2.La Sisters insorgeva, allora, innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, impugnando gli atti della Committente di determinazione dell’adeguamento prezzi.
L’appellante deduceva, in particolare, che la diversità degli importi che aveva condotto alla sottoscrizione con riserva dei SAL fosse riconducibile a una non corretta modalità di calcolo del quantum, conseguente a un’errata individuazione dei parametri di cui ai prezziari regionali di riferimento in sede di adeguamento dei corrispettivi.
Il giudizio culminava con la sentenza n. 194 del 2 maggio 2025, con cui il Tribunale di prime cure dichiarava inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso proposto dalla società, dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario. Nello specifico, il primo giudice riteneva non sussistente alcun potere valutativo del Ministero nella determinazione dell’importo dovuto alla società ai sensi dell’art. 26 del d.l. 50/2022, venendo così attratta la relativa controversia nella giurisdizione del giudice ordinario.
3.Con l’odierno appello la ricorrente deduce doglianze, ulteriormente sviluppate con apposita memoria, volte a stigmatizzare l’error in iudicando del T.a.r., consistente nella “Violazione e falsa applicazione dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 c.p.a. Violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 113 Cost. e dei principi in tema di effettività della tutela giurisdizionale, di concentrazione delle tutele giurisdizionali e di ragionevole durata del processo. Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di adeguamento dei prezzi di appalto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 26 D.L. 50/2022 conv. In L. 91/2022”.
Ad avviso dell’appellante, infatti, la presente controversia apparterebbe alla cognizione del giudice amministrativo alla luce dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a., che assoggetta alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie “relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’art. 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto”. In particolare, vertendo la pretesa dell’appellante in materia di revisione del prezzo, oggettivamente sussumibile in una delle “particolari materie” devolute dal legislatore al G.A. in via esclusiva, perderebbe di rilievo la consistenza della posizione giuridica azionata in giudizio, e quindi la contrapposizione interesse legittimo - diritto soggettivo, dirimente ai fini del radicamento della giurisdizione in base al criterio ordinario di riparto imperniato sulla causa petendi o petitum sostanziale. Risulterebbe, pertanto, preclusa al giudice adito ogni verifica sulla sussistenza in concreto di un potere autoritativo in capo alla P.A. che incida sulla determinazione del compenso revisionale dovuto all’appaltatore.
In tale prospettiva, il T.a.r. avrebbe erroneamente qualificato la pretesa della società appellante reputandola alla stregua di una posizione di diritto soggettivo al compenso revisionale.
Inoltre, secondo l’appellante, il meccanismo di adeguamento automatico dei prezzi introdotto dall’art. 26 del d.l. n. 50/2022 non esaurirebbe il potere dell’amministrazione, che, anche nel rispetto di criteri puntualmente determinati, resta pur sempre titolare di una potestà discrezionale nella concreta determinazione del compenso spettante all’appaltatore.
La ratio su cui poggia tale meccanismo- che ad avviso della società è da ravvisarsi nell’interesse a che le prestazioni di beni e servizi in favore della P.A. non siano esposte nel tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, da un lato, e, dall’altro, a che il corrispettivo del contratto di durata non subisca aumenti incontrollati tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione- consentirebbe di ritenere radicata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. L’adeguamento prezzi di cui al d.l. n. 50/2022 costituirebbe, in altri termini, una species dell’istituto della revisione prezzi, con cui condividerebbe natura e finalità tanto da attrarlo nella sfera di potere attribuito al giudice amministrativo
3.1. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti chiede il rigetto dell’appello.
3.2. All’esito della camera di consiglio del 20 novembre 2025, la causa è stata trattenuta per la decisione
4. L’appello non merita accoglimento.
4.1. Come noto, l’art. 103, primo camma, della Costituzione, conferisce agli organi di giustizia amministrativa “giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.
L’attribuzione di una giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo in determinate materie, che affonda le sue radici nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 2840, nasce e si spiega storicamente in ragione dell’intimo intreccio tra diritti e interessi che connota tali materie, risultando la commistione delle due posizioni giuridiche così stretta da rendere ardua e inopportuna, sul piano della concentrazione dei rimedi e dell’effettività delle tutele, la scissione dell’’una dall’altra.
La natura “ibrida” della situazione giuridica di cui è titolare il privato giustifica il suo ricadere in una delle “particolari materie” affidate al giudice amministrativo, oggi contenute nell’art. 133 del c.p.a.
Secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale (vedi, in particolare sentenza Corte Cost nn- 204/2004, 191/2006 e 140/2007), il citato art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario un’assoluta e incondizionata discrezionalità nell'attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie.
Tale necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive - e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa - è espresso dall'art. 103, laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo.
Il legislatore ordinario ben può ampliare l'area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall'altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo.
Ne deriva l’incoerenza con il dettato costituzionale di una scelta legislativa o di un’opzione esegetica che includa nella giurisdizione amministrativo un campo d’azione in cui sia assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità e, quindi, non sia giustificabile, per connessione, l’attrazione a tale giurisdizione di comportamenti ex se privatistici, non qualificabili, neanche in ragione del rapporto in cui si iscrivono e dell’orbita alla quale si ricollegano, alla stregua di forme di esercizio mediato, o, se si preferisce, indiretto, del potere amministrativo. .
In definitiva, condizione ineludibile perché si configuri la giurisdizione amministrativa è che la pubblica amministrazione agisca come autorità, e che oggetto di causa sia sempre la contestazione dell’esercizio del potere in concreto, almeno in forma mediata o indiretta (sulla stessa linea si pongono le successive sentenze della Cote Costituzionale 5 febbraio 2010 n. 35 e 15 luglio 2016 n. 179).
4.2. Alla stregua di tali ordini di considerazioni, occorre, quindi, accedere a un’interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 133 c.p.a., escludendo dalla giurisdizione esclusiva le vicende in cui la materia del contendere non involga l’esercizio di poteri riconducibili, nemmeno in via indiretta, alle funzioni pubblicistiche dell’amministrazione. E infatti, “l’attinenza della vicenda ad interessi di ordine pubblicistico – in qualche misura sempre implicati nell’agire della Pubblica amministrazione – non è sufficiente a risolvere il problema del riparto della giurisdizione, perché quel che veramente conta è stabilire se, in funzione del perseguimento di quell’interesse, l’amministrazione sia o meno dotata di un potere di supremazia, in relazione – si intende – allo specifico oggetto del contenzioso portato dinanzi al giudice” (Cass. Civ., SS.UU., 8 luglio 2019, n. 18267; cfr. anche Cass. Civ., SS.UU., 17 marzo 2025, n. 7152, Cass. Civ., SS.UU., 3 luglio 2023, n. 18669 e ord. 29 ottobre 2020, n. 23908).
Ne discende che la sentenza impugnata non è meritevole di censura, avendo il T.a.r. fatto buon governo dei principi espressi da Corte Cost., 6 luglio 2004, n. 204.
L’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a., che assegna al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulle controversie concernenti la revisione dei prezzi, deve, infatti, essere letto alla luce del principio secondo cui tale giurisdizione sussiste soltanto laddove la P.A. mantenga una posizione di supremazia rispetto all’operatore economico e, sia, quindi, sia ravvisabile la spendita, almeno indiretta, di potere pubblicistico.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con specifico riferimento al tema della revisione dei prezzi nei contratti pubblici e nel solco dei principi tracciati dal Giudice delle leggi, hanno osservato come l’art. 133, co. 1, n. 2, lett. e), c.p.a., “logicamente non è stato inteso, nella giurisprudenza del riparto, come conferente al giudice amministrativo qualunque controversia relativa alla revisione dei prezzi degli appalti pubblici per servizi ad esecuzione continuata o periodica, sviluppandosi un'applicazione (peraltro non del tutto uniforme, ma sovente plasmata dai casi specifici) del criterio fondato sulla sussistenza o meno di esistenza ed esercizio di potere, per tutela dei correlati pubblici interessi” (Cass. Civ., SS.UU., n. 21990/2020).
La medesima pronuncia enuncia conclusivamente la regola del riparto di giurisdizione in subiecta materia nei seguenti termini: “se il contenuto della clausola esprime e quindi implica la persistenza di una discrezionalità, vale a dire di una posizione di potere, dell'autorità amministrativa, si rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; se invece il contenuto della clausola individua puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza a tale obbligo di un diritto soggettivo dell'appaltatore, così da confluire nella giurisdizione ordinaria. La natura del contratto quale fonte di posizione paritetica per le parti che lo hanno stipulato rispetto agli obblighi esecutivi e ai correlati diritti soggettivi trova allora logicamente, prima ancora che normativamente, un limite nel contenuto delle specifiche clausole. Se, dunque, la clausola di revisione dei prezzi non include alcuna discrezionalità determinativa della parte pubblica, ai fini del riparto giurisdizionale vale la situazione paritetica che ne discende, salvo, ex art. 386 c.p.c., ogni successivo esito nel merito, inclusa l'eventuale nullità della clausola stessa. Se, invece, la clausola rimette alla stazione appaltante una discrezionalità nella determinazione della debenza della revisione e/o del suo quantum, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ricorre, perché la pariteticità non è stata raggiunta nella specifica regola negoziale della revisione e pertanto non può sussistere nella fase esecutiva di detta regola”.
4.2. Nel caso di specie, la Siters s.r.l. non invoca l’applicazione di una clausola contrattuale di revisione del prezzo, bensì l’applicazione obbligatoria di un meccanismo di adeguamento automatico introdotto direttamente dalla legge, ossia dall’art. 26 del d.l. n. 50/2022.
La disposizione è chiara nella sua portata, prescrivendo che lo stato di avanzamento dei lavori afferente alle lavorazioni eseguite “è adottato, anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali, applicando i prezzari aggiornati ai sensi del comma 2 ovvero, nelle more del predetto aggiornamento, quelli previsti dal comma 3” (art. 26, co. 1, d.l. n. 50/2022).
Quello descritto è un meccanismo erosivo di ogni margine di discrezionalità in capo alla P.A., atteso che l’adeguamento del prezzo è ancorato a precisi parametri fissati dal legislatore (ossia i prezziari regionali aggiornati, di cui al comma 2 dell’art. 26).
Esso, pertanto, come condivisibilmente ritenuto dal primo giudice, non rientra nella revisione prezzi in senso stretto, la cui finalità consiste nell’esigenza “di assicurare un costante equilibrio tra le prestazioni dedotte in contratto, sì da mantenere inalterato il c.d. sinallagma funzionale quando si verificano circostanze sopravvenute incidenti sull’equilibrio tra le prestazioni” (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. III, nn. 3317/2022 e 7288/2023; sulla funzione “integrativa” della revisione prezzi vedasi anche Cons. St., Ad. Plen., 6 agosto 2021, n. 14). Diversamente, il d.l. n. 50/2022 (c.d. “decreto-aiuti”) ha previsto l’adeguamento quale misura straordinaria e obbligatoria dettata dall’emergenza economica e dall’aumento dei costi dei materiali e dell’energia.
A conforto di quanto sopra vale rammentare che l’adeguamento automatico del prezzo trova sede nella fase esecutiva del rapporto intercorrente tra la stazione appaltante e l’operatore economico. La presente controversia, come correttamente statuito dal T.a.r., attinge a una pretesa di adempimento contrattuale tendente al riconoscimento del corrispettivo relativo al contratto di appalto, peraltro sotto il solo profilo del quantum debeatur. Non sussistendo, dunque, alcun potere valutativo del Ministero, l’atto di aggiornamento del corrispettivo deve considerarsi atto pienamente paritetico, in quanto tale sottratto alla cognizione del giudice amministrativo.
Va soggiunto che, non venendo in rilievo i meccanismi revisionali e adeguativi di cui agli articoli 115 e e 133 del citato d.gs. n.163/2006, ai quali l’articolo 133, comma 1, lett. e, n. 2, rinvia, si configura una vicenda totalmente privatistica alla quale è estraneo ogni profilo di discrezionalità con riferimento sia all’an che al quantum dell’aggiornamento. Ne discende la qualificazione dell’agire pubblico come attività puramente privatistica, imputabile alla amministrazione come contraente e non come autorità, in assenza dell’esplicazione, o anche della sola a connessione con il potere schiettamente pubblicistico.
4.3. Il Collegio ritiene, quindi, di dovere dare seguito all’indirizzo giurisprudenziale già espresso da questa Sezione ( sentenze n. 3347, n. 3348, n. 3350, n. 3352 e 8527 del 2025), che attrae nella giurisdizione ordinaria, in base al criterio della causa petendi, le pretese di carattere patrimoniale, aventi natura di diritti soggettivi, relative al rapporto contrattuale sulla scorta del rilievo che il potere amministrativo non è ravvisabile in linea di principio quando, esaurita la fase pubblicistica della scelta del concessionario, sia sorto il vincolo contrattuale e siano in contestazione, in assenza di atti autoritativi, la delimitazione del contenuto del rapporto, gli adempimenti delle obbligazioni contrattuali e i relativi effetti sul piano del rapporto. In definitiva, le controversie puramente paritetiche a precisato che le controversie che attengono alla fase esecutiva del rapporto contraente pubblico– operatore economico spettano al giudice ordinario in quanto regolate in via integrale dal diritto comune (vedi la clausola d rinvio esterno di cui all’art. 12, comma 1, lett. B), del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36).
Nel caso in esame, la posizione fatta valere dalla società assume la consistenza di un diritto soggettivo pieno e perfetto, sicché la relativa controversia spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.
4.3. In conclusione, l’appello è infondato e va respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio:
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge,
Spese compensate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2025 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente, Estensore
Valerio Perotti, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere
Marina Perrelli, Consigliere