Master sui Contratti Pubblici - Anci Sardegna - Regione Autonoma della Sardegna

TESI II EDIZIONE MASTER

Introduzione

Capitolo I – La risoluzione: inquadramento generale

I.1. La risoluzione del contratto nell’ordinamento civilistico

I.2. La risoluzione nella contrattualistica pubblica

Capitolo II – La risoluzione del committente

II.1. La disciplina di cui all’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023: i commi 1 e 2

II.2. La disciplina di cui all’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023: i commi 3 e 4

II.3. La procedura di risoluzione

Capitolo III – La risoluzione dell’appaltatore

III.1. Normativa di riferimento e condizioni per la risoluzione dell’appaltatore

III.2. Effetti della risoluzione dell’appaltatore

Capitolo IV – Considerazioni conclusive.

INTRODUZIONE

Nell'affrontare il tema oggetto del presente scritto, per la verità non molto trattato nella letteratura giuridica, si deve muovere da una preliminare osservazione.

Com’è noto, l’impostazione tradizionale nella nostra sistematica dei c.d. contratti ad evidenza pubblica[1] si basa sulla netta separazione tra fase di affidamento del contratto (assoggettata al regime pubblicistico) e fase di esecuzione (assoggettata al diritto privato, salve eccezioni tassativamente previste dalla legge). Tale separazione è talmente consolidata che trova riscontro nello stesso riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, con attribuzione – ai sensi dell’art. 133 del Cod. proc. amm. – al giudice ordinario delle controversie relative alla fase esecutiva ed al giudice amministrativo di ogni questione attinente alla precedente fase di scelta del contraente[2].

Ebbene: storicamente in tema di appalti pubblici si è assistito ad una preminente rilevanza attribuita alla fase di affidamento. Quasi a voler implicitamente sostenere che la successiva fase di esecuzione sia di ridotto significato se non del tutto indifferente nell’ambito della gestione della cosa pubblica. Trattasi di tendenza che solo di recente ha registrato una significativa (seppure ancora parziale) inversione di direzione con il nuovo codice dei contratti[3].

Sotto tale impulso, l’intento del presente lavoro è quindi quello di riportare in primo piano l’attenzione sullo svolgimento del rapporto negoziale ed, in particolare, di porre in rilievo come anch’esso sia caratterizzato da preminenti profili di pubblico interesse. D’altronde, a ben vedere, è propriamente nella fase esecutiva che si concretizza il risultato dell’operazione amministrativa progettata fin dai primi atti di programmazione. E la stessa complessità delle regole che governano la fase di affidamento trova la propria ragione giustificatrice unicamente in quanto funzionale rispetto alla concreta esecuzione del contratto.

In tale contesto, allora, occorre senz’altro principiare dallo spirito del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al Dlgs. n. 36/2023. Può ritenersi senz’altro significativo, al riguardo, il rilievo attribuito già nel primo articolo del codice al “principio del risultato”. Dalla rilevanza attribuita al “miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti” emerge chiaramente che, nella prospettiva del nuovo codice, lo scopo tipico del potere attivato dalla stazione appaltante non si esaurisce nell’emanazione degli atti preparatori e/o di affidamento ma si estende alla sua concreta attuazione. In tale prospettiva, diviene d’estremo rilievo – ad avviso dello scrivente – l’indagine sulle problematiche della fase esecutiva del contratto pubblico che possano condurre al suo scioglimento.

Nell’intento di fornire idonei spunti di riflessione sulla materia, questo lavoro si compone di quattro capitoli: il primo dedicato all’inquadramento generale della materia; il secondo dedicato alla risoluzione dell’amministrazione pubblica committente; il terzo dedicato alla risoluzione dell’appaltatore; il quarto, infine, riservato alle considerazione conclusive.

 

CAPITOLO I

LA RISOLUZIONE: INQUADRAMENTO GENERALE

 

I.1. La risoluzione del contratto nell’ordinamento civilistico

Il termine risoluzione, riferito al contratto, indica lo scioglimento del vincolo insorto tra due contraenti nell'ambito di un accordo a prestazioni corrispettive. Designa, in generale, l’estinzione del contratto per un evento incompatibile con la sua attuazione[4]. Essa si verifica quando il programma contrattuale non è più in grado di svolgere la propria funzione, che è quella di assicurare il soddisfacimento degli interessi dei contraenti composto nel regolamento contrattuale.

Essa viene richiamata, in termini generali, dall’art. 1372 c.c., in base al quale “il contratto ha forza di legge tra le parti” e “non può essere sciolto che per mutuo dissenso o per cause ammesse dalla legge”. L’inserimento di tale norma nel Capo V del codice civile, dedicato agli effetti del contratto, evidenzia il nesso tra la risoluzione ed il momento esecutivo del contratto e sottolinea la differenza tra risoluzione ed invalidità. Mentre l’invalidità colpisce il contratto per un vizio che esso porta in sé e l’inefficacia ne è la conseguenza, la risoluzione incide sull’efficacia di un contratto formalmente valido. Conseguentemente, a differenza di quanto accade nei casi d’invalidità, la risoluzione opera anche se all'origine il contratto è esente da vizi. Può quindi affermarsi, in termini generali, che la risoluzione del contratto è un istituto che si riferisce ad una disfunzione “sopravvenuta” rispetto alla sua stipulazione.

A fronte di tale comune fondamento corrisponde, poi, una pluralità di fattispecie risolutorie che il codice civile regolamenta separatamente, essendo diversi i presupposti e le modalità con le quali si perviene allo scioglimento del rapporto negoziale[5]. Tra le possibili classificazioni, quella maggiormente richiamata nella letteratura giuridica è quella che fa riferimento alle “modalità” con cui si perviene allo scioglimento del contratto. Al riguardo, si distingue tra risoluzione che opera: in modo automatico; per sentenza; per negozio.

La prima ipotesi si realizza al verificarsi di determinati presupposti, normativamente previsti, senza bisogno di pronuncia giudiziale (quali l’avveramento della condizione risolutiva e l’impossibilità sopravvenuta della prestazione)[6].

La seconda fattispecie opera in forza di una pronuncia del giudice che, accertati i presupposti previsti dalla legge, produce l’effetto di sciogliere il vincolo contrattuale ed ha, quindi, carattere costitutivo (quali la risoluzione per inadempimento e per eccessiva onerosità sopravvenuta)[7].

La terza casistica si realizza quando il contratto si scioglie per effetto della manifestazione della volontà della parte legittimata allo scioglimento, senza bisogno di una pronuncia giudiziale che, se eventualmente interviene, si limita ad accertare la risoluzione già prodotta, con effetto dichiarativo (quali le risoluzioni per inadempimento determinate da diffida ad adempiere o per dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa o del termine essenziale)[8].

Gli effetti della risoluzione sono disciplinati dall’art. 1458 cc, testualmente riferito alla risoluzione per inadempimento ma che si ritiene applicabile ad ogni tipo di risoluzione[9]. Esso prevede che la risoluzione del contratto “ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.

La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione”.

Può quindi affermarsi, in linea generale, che rispetto ai terzi la risoluzione non è retroattiva, seppure con rilevanti limiti. Il primo limite, espressamente previsto, è quello dell’avvenuta trascrizione della domanda nelle ipotesi di risoluzione di contratti aventi ad oggetto beni immobili[10]; altro limite è dato dalle regole processuali in tema di successione a titolo particolare nel diritto controverso: nel caso di chi acquisti dalla parte “dopo” che è stata domandata in giudizio la risoluzione, la sentenza (ai sensi dell’art. 111 cpc) fa stato anche nei suoi confronti (salve le norme sull’acquisto in buona fede dei beni mobili e sulla trascrizione)[11].

Tra le parti, invece, gli effetti della risoluzione variano a seconda che il contratto sia “ad esecuzione immediata” o “ad esecuzione continuata o periodica”. Nei contratti del primo tipo, la risoluzione ha effetto retroattivo, obbligando alla restituzione delle prestazioni già eseguite; nei contratti del secondo tipo, cd. di durata, la risoluzione opera solamente per il futuro, lasciando inalterate le prestazioni già eseguite[12].

 

I.2. La risoluzione nella contrattualistica pubblica

La definizione di “risoluzione” adottata dal nostro ordinamento civilistico non risulta essere pienamente recepita nell’ambito della contrattualistica pubblica[13]. Detto istituto è regolato, per gli appalti, dall’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023 (rubricato “risoluzione”) e, per le concessioni, dell’art. 190 (rubricato “risoluzione e recesso”), che, sostanzialmente, riproducono la disciplina di stampo europeo.

Il legislatore europeo, infatti, utilizza il nomen iuris “risoluzione” nell’art. 44 della direttiva 2014/23/UE, nell’art. 73 della direttiva 2014/24/UE e nell’art. 90 della direttiva 2014/25/UE. In tali disposizioni viene previsto un nucleo minimo di ipotesi nelle quali gli Stati membri sono tenuti ad assicurare alle amministrazioni aggiudicatrici la possibilità di risolvere i contratti pubblici di appalto e concessione durante il periodo di validità degli stessi. Con l’intento, evidentemente, di riservare alle stazioni appaltanti la potestà di liberarsi unilateralmente dal vincolo negoziale assunto al ricorrere di alcune specifiche situazioni in cui risulta intollerabile per l'interesse generale il suo mantenimento [14].

Ciò che rileva, e che in questa sede s’intende rimarcare, è che nel concetto di “risoluzione” declinato nelle direttive europee e riprodotto nell’art. 122 del codice (ma tale discorso può farsi anche per l’art. 190 in tema di concessioni) vengono riportate fattispecie non tutte riconducibili alla categoria della risoluzione civilistica in senso proprio[15]. Infatti:

- il primo comma dell’art. 122 del Codice prevede varie ipotesi di scioglimento “facoltativo” del contratto, ove si stabilisce che le stazioni appaltanti “possono” risolvere il contratto in caso di gravi vizi riguardanti l'affidamento; indipendentemente dalla qualificazione formale utilizzata dal legislatore, posto che dette fattispecie si riferiscono a vizi “genetici” del contratto, detta facoltà di sciogliersi dal contratto appare piuttosto riconducibile ai poteri di autotutela che l'ordinamento riconosce alle amministrazioni pubbliche, anche a seguito della stipula del contratto. Esso presuppone, infatti, l'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali, essendo l'amministrazione chiamata a scegliere tra lo scioglimento e la conservazione del contratto di cui è parte[16];

- il secondo comma dell’art. 122 del Codice contempla, invece, ipotesi di risoluzione doverosa e vincolata, da esercitarsi in seguito alla sopravvenienza di situazioni che, a differenza di quelle cui si riconducono le ipotesi di risoluzione facoltativa del contratto, sono ritenute talmente gravi da risultare incompatibili con la fisiologica continuazione del rapporto; anche in questo caso, lo scioglimento del rapporto è determinato dal sopraggiungere, in fase esecutiva, di una situazione patologica che investe il contratto come tale e, quindi, non riconducibile alla risoluzione in senso proprio;

- il terzo comma prende in considerazione l'ipotesi della risoluzione per grave inadempimento dell'appaltatore ed il quarto comma, infine, regola l'ipotesi di risoluzione del contratto a seguito di inottemperanza alla diffida ad adempiere; trattasi di due ipotesi che, a differenza di quelle delineate nei primi due commi dell’art. 122, appaiono chiaramente riconducibili alla definizione privatistica della risoluzione: in tali fattispecie, la dichiarazione di risoluzione, nonostante sia procedimentalizzata e fisiologicamente finalizzata al pubblico interesse, non ha natura provvedimentale in senso stretto poiché incide direttamente su diritti soggettivi aventi origine contrattuale[17].

In definitiva, le fattispecie delineate dall’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023, risultano accomunate sotto il profilo “funzionale” della eliminazione degli effetti a seguito dello scioglimento unilaterale del contratto, diversi essendo i presupposti e le modalità con cui ad esse si perviene.

È da rimarcare che, nella contrattualistica pubblica, il concetto di “risoluzione” viene a comprendere anche ipotesi che nella sistematica civilistica sarebbero piú propriamente attinenti alla materia della “validità” solo per ciò che attiene allo scioglimento del contratto su iniziativa del committente pubblico.

Il Codice, invece, non disciplina in alcun modo la risoluzione dell’appaltatore. La risoluzione su iniziativa di quest’ultimo, quindi, troverà la propria definizione ed il proprio regolamento nel codice civile.

 

CAPITOLO II

LA RISOLUZIONE DEL COMMITTENTE

 

II.1. La disciplina di cui all’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023: i commi 1 e 2

Come si è già accennato, la disciplina dell’istituto è dettata dall’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023, il quale prevede (al comma 1) che “le stazioni appaltanti possono risolvere un contratto di appalto senza limiti di tempo” al verificarsi di alcune specifiche condizioni. Al verificarsi di tali ipotesi, l'amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, è tenuta a valutare comparativamente l'interesse pubblico al mantenimento in vita del contratto, derivante all'esigenza di evitare pregiudizievoli interruzioni nella sua esecuzione, con quello relativo al ripristino della legalità violata.

Le condizioni previste dal primo comma sono cosí delineate:

a. modifica sostanziale del contratto, che richiede una nuova procedura di appalto ai sensi dell’art. 120;

b. con riferimento alle modificazioni di cui all’art. 120 co. 1 lett. b) e c), superamento delle soglie di cui al co. 2 del predetto art. 120 e, con riferimento alle modificazioni di cui all’art. 120 co. 3, superamento delle soglie di cui al medesimo art. 120 co. 3, lettere a) e b);

c. l’aggiudicatario si è trovato, al momento dell’aggiudicazione dell’appalto, in una delle situazioni di cui all’art. 94 co. 1, e avrebbe dovuto pertanto essere escluso dalla procedura di gara;

d. l’appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in un procedimento ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.

Le ipotesi sub a) e b) del primo comma richiamano i limiti allo jus variandi, in materia di appalti pubblici, disciplinato dall’art. 120 del codice. Com’è noto, tale disposizione (riprendendo il testo dell’art. 72 della Dir. UE 24/2014) limita ai casi tassativamente previsti la possibilità che un contratto pubblico possa essere modificato in corso di esecuzione. In specifico, al comma 6 viene fornita una definizione legale di modifica sostanziale, consistente in quella modifica che “altera considerevolmente la struttura del contratto o dell’accordo quadro e l’operazione economica sottesa[18]. Al comma 2 sono previste le modifiche non ammesse in ragione del dato quantitativo, ovvero quelle fattispecie richiamate al comma 1, lettere b) e c), nelle ipotesi in cui l’aumento di prezzo ecceda il 50 per cento del valore del contratto iniziale. In caso di più modifiche successive, la limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Al comma 3 del predetto art. 120 del Codice sono previste le modifiche non ammesse in ipotesi di superamento di determinati limiti: delle soglie fissate dall’art. 14 del Codice (le soglie di rilevanza europea); del 10 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di servizi e forniture; del 15 per cento del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori; in caso di più modifiche successive, il valore è accertato sulla base del valore complessivo del contratto al netto delle successive modifiche. Per scrupolo, è da segnalare che l’ipotesi in parola non è assimilabile al rimedio privatistico della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. Quest’ultimo mira ad assicurare che il contratto produca effetti corrispondenti a ciò che le parti hanno liberamente stabilito ed interviene in presenza di fattori che, in maniera imprevedibile rispetto al momento della stipulazione, ne abbiano alterato l’equilibrio[19]. La risoluzione facoltativa di cui all’art. 122 co. 1 lett. a) e b) mira invece ad evitare che modifiche sostanziali al contenuto del contratto possano vanificare i valori dell’esperita procedura ad evidenza pubblica: trattasi di una reazione al mancato rispetto delle regole che impongono una nuova procedura in presenza di modifiche sostanziali o di modifiche che superino le soglie indicate dalla legge ed è, pertanto, riconducibile piuttosto all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio[20].

Le ipotesi sub c) e d) contemplano i casi in cui si consente all’Amministrazione di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale in situazioni in cui la realizzazione dell’interesse pubblico cui era funzionale il contratto risulta compromessa da illegittimità commesse nella fase di aggiudicazione. Rappresentano, dunque, una reazione al mancato rispetto delle regole che presiedono alla correttezza dell’aggiudicazione e, per questa ragione, risultano agevolmente inquadrabili nella categoria dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione[21]. La disposizione di cui al comma 1 dell’art. 122 del Codice introduce, quindi, nel settore dei contratti pubblici, profili di specialità rispetto al potere di annullamento d’ufficio di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, pur ritenuto quest’ultimo esperibile, in via generale, anche dopo aver sottoscritto il contratto d’appalto[22].

Accanto a tali ipotesi di risoluzione facoltativa, il comma 2 dell’art. 122 prevede due ipotesi di risoluzione obbligatoria, prescrivendo che: “Le stazioni appaltanti risolvono un contratto di appalto” al ricorrere di determinate circostanze. In queste ipotesi non vi è alcuno spazio per una valutazione discrezionale in merito alla scelta tra risoluzione e conservazione del contratto (per questo si parla in proposito di risoluzione “doverosa”).

Tali ipotesi sono cosí delineate:

“a. sia intervenuta la decadenza dell’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci;

b. sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione, di cui al Dlgs. n. 159/2011, ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per i reati di cui al Capo II del Titolo IV della Parte V del presente Libro”.

In entrambe dette ipotesi, lo scioglimento del vincolo contrattuale rappresenta, in senso lato, una reazione ad un comportamento illecito dell’appaltatore. Per questa ragione, non è prevista alcuna valutazione discrezionale della stazione appaltante: la risoluzione consegue al solo dato oggettivo dell’intervenuta decadenza dell’attestazione o dell’intervenuta applicazione di una misura di prevenzione o di una sentenza di condanna per uno dei reati di cui agli artt. da 94 a 98 del Codice. Sulla natura di tale fattispecie, per parte della dottrina si tratterebbe di risoluzione riconducibile alla categoria dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione[23], per altra parte della dottrina si tratterebbe di risoluzione rientrante nella categoria della decadenza per originaria insussistenza dei presupposti necessari alla regolarità del rapporto[24]. In ogni caso, trattasi di fattispecie non riconducibili alla risoluzione privatistica.

La giurisprudenza[25] (formatasi sulle corrispondenti norme di cui al precedente Dlgs. n. 50/2016) su tali ipotesi ha avuto modo di chiarire:

- per quanto riguarda l’ipotesi sub a, che ciò che rileva è, per quanto riguarda la decadenza dall’attestazione di qualificazione, il fatto oggettivo della falsità dei documenti sulla base dei quali essa è stata conseguita, indipendentemente da ogni ricerca sulla imputabilità soggettiva del falso[26];

- per quanto riguarda l’ipotesi sub b, che si tratta di una risoluzione operante ipso iure, come conseguenza della intervenuta definitività del provvedimento giudiziale di applicazione della misura di prevenzione o di condanna, di cui l’Amministrazione si limita a prendere atto della sopravvenienza e dichiarare l’intervenuto scioglimento del vincolo contrattuale[27].

 

II.2. La disciplina di cui all’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023: i commi 3 e 4

Il comma 3 dell’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023 disciplina l’ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’appaltatore, disponendo che “Il contratto di appalto può inoltre essere risolto per grave inadempimento delle obbligazioni contrattuali da parte dell’appaltatore, tale da compromettere la buona riuscita delle prestazioni”.

Accanto a tale previsione si pone quanto disposto dal successivo comma 4, a norma del quale “qualora, al di fuori di quanto previsto dal co. 3, l’esecuzione delle prestazioni sia ritardata per negligenza dell’appaltatore rispetto alle previsioni del contratto, il direttore dei lavori o il direttore dell’esecuzione, se nominato, gli assegna un termine che, salvo i casi d’urgenza, non può essere inferiore a dieci giorni, entro i quali deve eseguire le prestazioni. Scaduto il termine, e redatto il processo verbale in contraddittorio, qualora l’inadempimento permanga, la stazione appaltante risolve il contratto, con atto scritto comunicato all’appaltatore, fermo restando il pagamento delle penali”.

Trattasi di due ipotesi di risoluzione aventi chiaramente natura privatistica: la prima, è connessa a comportamenti dell’appaltatore integranti grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali, tale da compromettere la buona riuscita delle prestazioni; la seconda, richiama le ipotesi in cui vi sia ancora spazio per poter adempiere alle obbligazioni contrattuali e la stazione appaltante ne abbia ancora interesse, con assegnazione di un termine entro cui adempiere, scaduto il quale, si attiva il procedimento di risoluzione contrattuale.

Esaminando nel dettaglio le due diverse ipotesi, si può evidenziare come il comma 3 precisi che l’inadempimento che consente la risoluzione deve essere “grave” e tale da “compromettere la buona riuscita delle prestazioni”. Tale regola richiama l’inadempimento “di non scarsa importanza” richiesto dall’art. 1455 cc con una significativa differenza: nell’ambito civilistico, lo scioglimento del contratto si produce per effetto della sentenza costitutiva che accoglie la domanda di risoluzione; in virtú dell’art. 122 co. 3 del Codice, il contratto si scioglie per una manifestazione di volontà della stazione appaltante, senza bisogno di una pronuncia giudiziale, la quale avverrà, eventualmente, per accertare e dichiarare la risoluzione già prodotta. Invero, anche il comma 4 richiama un’ipotesi di risoluzione di diritto: si tratta di un rimedio analogo alla diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 cc. Anche in questo caso, il Dlgs. n. 36/2023 prevede una significativa differenza rispetto al rimedio privatistico: la risoluzione non viene ricollegata al mero decorso del termine contenuto nella diffida (come prevede l’art. 1454 cc appunto) ma alla redazione di apposito processo verbale, in contraddittorio con l’appaltatore, e si perfeziona col provvedimento con cui viene disposta, su proposta del RUP, la risoluzione del contratto[28].

In definitiva, le fattispecie contemplate dai commi 3 e 4 dell’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023 individuano diritti potestativi costituenti poteri di autotutela privatistica che l’Amministrazione esercita nella sua qualità di parte del rapporto contrattuale. Per la giurisprudenza, in effetti, la disciplina di cui all’art. 122 del Dlgs. n. 36/2023, con riferimento alle predette ipotesi di inadempimento del contratto di appalto, integra (senza sostituirla integralmente) la normativa in tema di mancato adempimento e di risoluzione del contratto di cui agli artt. 1453 ss. del codice civile[29]. Perciò, anche quando l’inadempimento dell’appaltatore sia contestato rispetto ad obbligazioni nascenti dalla disposta esecuzione in via d’urgenza, stante la natura privatistica dei diritti coinvolti, la competenza è riservata al giudice ordinario[30].

 

II.3. La procedura di risoluzione

Come si è già avuto modo di rimarcare, particolarità significativa della risoluzione del committente, nell’appalto pubblico, risiede nella circostanza per cui l’accertamento dei presupposti per lo scioglimento del contratto è interamente devoluto agli organi della stazione appaltante, senza alcuna necessità di dover ricorrere all’Autorità giudiziaria. Nel caso in cui l’istruttoria svolta dal RUP avvalori l’esistenza di uno dei presupposti normativamente previsti, la pubblica amministrazione adotta la decisione di “dichiarare” la risoluzione del contratto, così ottenendo istantaneamente gli effetti che, per i contratti di diritto privato, sono subordinati ad una pronuncia del giudice ordinario.

I contratti di appalto di opere pubbliche, in effetti, costituiscono fattispecie negoziali in cui le parti vengono a collocarsi in una posizione di tendenziale parità, dalla quale deriva la titolarità, nella fase di esecuzione del contratto, di diritti soggettivi devoluti alla cognizione del giudice ordinario[31]. Pur in tale ottica, la pubblica amministrazione conserva speciali poteri di autotutela di natura pubblicistica che giustificano, in deroga alla disciplina di diritto comune, anche la risoluzione anticipata del contratto sulla base di una valutazione compiuta unilateralmente dalla stessa e soggetta al controllo giurisdizionale in via meramente eventuale e successiva, su iniziativa della controparte[32]. Tale potere del committente pubblico di disporre autoritativamente la risoluzione del contratto trova la sua ragione nell’interesse che tale potere è chiamato a soddisfare: l’interesse pubblico alla pronta realizzazione dell’appalto aggiudicato[33]. La funzione di cura dell’interesse pubblico caratterizza, quindi, anche la fase “esecutiva”, successiva all’individuazione del contraente[34]. Trattasi di interesse pubblico costituente diretta espressione del principio costituzionale del buon andamento, che deve conformare l’intero agire dell’amministrazione pubblica e manifestarsi concretamente nella sua motivazione.

A fronte di tale potere attribuito all’Amministrazione, è prevista – quale “contrappeso” – una particolare procedimentalizzazione della risoluzione, il cui rispetto risulta essenziale al fine di garantire la tutela dei diritti dell’appaltatore. La disciplina è contenuta nell’Allegato II.14.

In particolare, ricorrendo le ipotesi di risoluzione, a norma dell’art. 10 dell’Allegato II.14 il direttore dei lavori (o il direttore dell’esecuzione nei contratti di servizi e forniture, in virtú del richiamo di cui all’art. 39 del medesimo Allegato II.14) è chiamato a inviare “al RUP una relazione particolareggiata, corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente, il cui importo può essere riconosciuto all’appaltatore” (co. 1). Sulla scorta di tale relazione, lo stesso direttore dei lavori formula “la contestazione degli addebiti all’appaltatore, assegnando a quest’ultimo un termine non inferiore a quindici giorni per la presentazione delle sue controdeduzioni al RUP” (co. 2).

Dunque, vi è una prima fase, c.d. di avvio del procedimento di risoluzione, consistente in una formulazione di addebiti da parte del committente per il tramite del direttore dei lavori.

A tal riguardo, è da segnalare che, nell’ipotesi in cui il provvedimento risolutorio fosse riconducibile a fattispecie espressione di autotutela decisoria della pubblica amministrazione, si porrebbe la necessità della previa comunicazione dell’avvio del procedimento di cui all’art. 7 della L. n. 241/1990[35]. Pertanto, in un’ottica prudenziale, sarebbe opportuno precisare nella nota di formulazione degli addebiti che la stessa vale come comunicazione di avvio del (sub) procedimento di cui alla L. n. 241/1990.

Agli addebiti formulati, l’appaltatore è tenuto a controdedurre nel termine di quindici giorni. Qualora tali controdeduzioni non siano valutate positivamente, oppure l’appaltatore non le produca, “la stazione appaltante su proposta del RUP dichiara risolto il contratto” (co. 3). L’organo decisionale dell’amministrazione, nell’assumere le sue decisioni definitive in ordine alla risoluzione del contratto, dispone perciò di tre atti (la relazione del direttore dei lavori, le controdeduzioni dell’appaltatore e la proposta del responsabile del procedimento), il cui contenuto può apprezzare liberamente (nel senso di disporre o meno la risoluzione del contratto), salvo l’obbligo di motivare la scelta operata.  Se alle contestazioni mossegli l’appaltatore omette di rispondere nel termine assegnatogli, il RUP deve necessariamente proporre la risoluzione del contratto all’amministrazione. Comunicata la risoluzione del contratto, nei venti giorni successivi il direttore dei lavori dovrà curare “la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti, l’inventario di materiali, macchine e mezzi d’opera e la relativa presa in consegna” (co. 4). Tale previsione si lega con quanto disposto dall’art. 122, co. 5, a norma del quale “In tutti i casi di risoluzione del contratto l’appaltatore ha diritto soltanto al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti”. Redatto lo stato di consistenza, il co. 8 dell’art. 122 impone all’appaltatore di provvedere “al ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze nel termine assegnato dalla stazione appaltante; in caso di mancato rispetto del termine, la stazione appaltante provvede d’ufficio addebitando all’appaltatore i relativi oneri e spese”.

Ovviamente, la risoluzione del contratto porta con sé anche oneri economici a carico dell’appaltatore. Prevede, infatti, il co. 6 dell’art. 122 che “nei casi di risoluzione del contratto di cui ai co. 1, lett. c) e d), 2, 3 e 4, le somme di cui al co. 5 sono decurtate degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto, e in sede di liquidazione finale dei lavori, servizi o forniture riferita all’appalto risolto, l’onere da porre a carico dell’appaltatore è determinato anche in relazione alla maggiore spesa sostenuta per il nuovo affidamento, se la stazione appaltante non si sia avvalsa della facoltà prevista dall’art. 124, co. 2, primo periodo[36].

In sintesi, dunque, la stazione appaltante ha il potere di risolvere il contratto – al ricorrere di specifiche ipotesi – autoritativamente, senza necessità dell’intervento dell’autorità giudiziaria, con l’onere del rigoroso rispetto delle garanzie previste dalle procedure di risoluzione contrattuale[37]. L’appaltatore si trova, conseguentemente, in una posizione di subalternità, a fronte della quale l’unico rimedio esperibile nei confronti della risoluzione contrattuale subita sarà l’attivazione di un giudizio di cognizione dinanzi al Tribunale Civile volto a contestare la illegittimità dell’operato dell’Amministrazione, chiedendo la disapplicazione del provvedimento di risoluzione.

 

CAPITOLO III

LA RISOLUZIONE DELL’APPALTATORE

 

III.1. Normativa di riferimento e condizioni per la risoluzione dell’appaltatore.

È da rimarcare che il codice dei contratti pubblici non disciplina la risoluzione del contratto per inadempimento del committente pubblico. Sebbene detta fattispecie non venga disciplinata dal codice, ciò non significa che l’appaltatore non possa esperire questo rimedio. Tale mancata previsione normativa ha quale unica – seppure non da poco – conseguenza la soggezione dell’appaltatore alle regole ordinarie dettate dal codice civile. Tale conclusione, peraltro, risulta suffragata dall’espressa previsione, di cui all'art. 190 del Dlgs. n. 36/2023, relativo alle concessioni, la quale prevede che la risoluzione per inadempimento dell'ente concedente è disciplinata dagli articoli 1453 e seguenti del codice civile, con principio – quindi – che può essere applicato estensivamente anche ai contratti di appalto pubblico.

Ebbene, l’art. 1453 c.c. prevede che “Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.

La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione.

Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”.

Dunque, in caso di inadempimento alle obbligazioni contrattuali, la controparte può domandare (giudizialmente) l’adempimento o la risoluzione del contratto: se richiesto l’adempimento può poi invocarsi la risoluzione ma non può farsi il contrario, ovvero domandata la risoluzione del contratto non potrà poi chiedersi l’adempimento delle obbligazioni.

L’art. 1453 c.c. va letto in combinato con l’art. 1455 c.c., secondo il quale “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”. Tale norma, dunque, sancisce il principio della “gravità” dell’inadempimento quale presupposto necessario per la risoluzione del contratto. Al ricorrere di un’ipotesi di grave inadempimento della committente, l’appaltatore non potrà disporre automaticamente e unilateralmente lo scioglimento del vincolo contrattuale, bensì dovrà rivolgersi al Tribunale Civile chiedendo una pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto d’appalto.

Parallelamente a tale previsione di risoluzione giudiziale, vi è un’ulteriore ipotesi prevista dall’art. 1454 c.c., a norma del quale può essere intimato alla parte inadempiente l’adempimento delle obbligazioni entro un termine congruo – di norma quindici giorni (co. 2) – dichiarando espressamente che, in caso di inutile decorso, il contratto s’intenderà risolto. Seppure il terzo comma affermi che “decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto”, in caso di contestazioni della controparte, è in ogni caso necessario il ricorso all’autorità giudiziale, volto ad ottenere una sentenza – in questo caso di accertamento – dell’intervenuta risoluzione contrattuale.

La differenza tra le due ipotesi sopra richiamate, dunque, posto che nella pratica entrambe si risolvono in una pronuncia giudiziale, è da individuare nella diversità del termine di produzione degli effetti della risoluzione: nell’ipotesi di c.d. risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c. questi si produrranno con la sentenza costitutiva di risoluzione contrattuale; nel caso della diffida ad adempiere ex art. 1455 c.c., la sentenza si limiterà ad accertare l’avvenuta risoluzione di diritto del contratto allo spirare del termine assegnato con l’intimazione, decorrendo da tale momento gli effetti.

Per la giurisprudenza, l’appaltatore può chiedere la risoluzione per grave inadempimento della stazione appaltante, senza necessità di iscrivere riserve negli atti contabili, posto che le riserve si applicano ai contratti validi di cui si chiede l’esecuzione e non la risoluzione[38].

Ipotesi particolare di inadempimento della stazione appaltante è quella del ritardo nella consegna dei lavori. Al riguardo, l’art. 3 co. 4 dell’Allegato II.14 al Dlgs. n. 36/2023 prevede che: “Qualora la consegna avvenga in ritardo per causa imputabile alla stazione appaltante, l’esecutore può chiedere di recedere dal contratto. Nel caso di accoglimento dell’istanza di recesso l’esecutore ha diritto al rimborso delle spese contrattuali effettivamente sostenute e documentate, ma in misura non superiore ai limiti indicati ai commi 12 e 13. Ove l’istanza dell’esecutore non sia accolta e si proceda tardivamente alla consegna, lo stesso ha diritto a un indennizzo per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo, le cui modalità di calcolo sono stabilite dal comma 14”. In tale specifica ipotesi d’inadempimento della stazione appaltante, quindi, l’appaltatore non ha il diritto di risolvere il rapporto ai sensi degli artt. 1453 e 1454 cc, né di avanzare pretese risarcitorie: ha solo la “facoltà” di recedere dal contratto per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo. Per la giurisprudenza, se l’appaltatore non esercita detta facoltà accetta implicitamente di proseguire il contratto senza pretese risarcitorie[39].

 

III.2. Effetti della risoluzione dell’appaltatore

In caso di risoluzione del contratto per inadempimento della stazione appaltante l'appaltatore ha diritto al risarcimento del danno subito, comprensivo del mancato guadagno e delle spese sostenute[40].

Peraltro, costituisce principio consolidato che il contratto di appalto pubblico, fatta eccezione per i contratti per servizi e per manutenzioni periodiche, non sia ad efficacia istantanea e neppure a prestazioni continuative o periodiche, ma configuri un contratto ad esecuzione “prolungata”, con conseguente efficacia retroattiva della risoluzione[41]. L’efficacia “prolungata” del contratto fa sì che l’effetto restitutorio operi a pieno regime a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili[42]. Qualora non sia possibile operare la restituzione in forma specifica, il giudice ordina la restituzione per equivalente. In altri termini, sorge a carico di entrambe le parti l'obbligazione di restituire alla controparte le prestazioni ricevute in forza del contratto dichiarato inefficace, attraverso il pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore di dette prestazioni[43]. La sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento ha infatti un effetto liberatorio ex nunc rispetto alle prestazioni ancora da eseguire, ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto a quelle già eseguite[44]: in tal senso, vengono meno tutti gli effetti del contratto e tutti i diritti che ne sarebbero derivati. E l’obbligazione restitutoria deve essere determinata con riferimento alla data della sentenza e in relazione all’ammontare del corrispettivo originariamente pattuito[45]. Con riguardo alla concreta determinazione del credito restitutorio, tuttavia, la stessa Suprema Corte ha adottato criteri diversi, talvolta facendo riferimento al valore venale dell'opera eseguita al momento della risoluzione e talvolta facendo riferimento ai prezzi contrattuali[46].

La situazione è differente nel caso di appalti aventi ad oggetto attività di manutenzione periodica e, in generale, negli appalti di servizi che, per le loro intrinseche caratteristiche, pregiudicano la ripetibilità delle prestazioni già svolte[47].

In tali rapporti l'esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva, per cui rispetto alle reciproche prestazioni eseguite il rapporto deve intendersi esaurito senza alcun effetto restitutorio (in caso di risoluzione): l'esecuzione di queste prestazioni attua, progressivamente, l'equilibrio contrattuale senza che si renda necessaria alcuna restituzione[48].

A quanto detto occorre soggiungere che, in ipotesi di risoluzione, diventa irrilevante ogni questione sulla legittimità delle sospensioni e sulla tempestività, fondatezza ed entità delle riserve. Per costante giurisprudenza, tali norme trovano applicazione soltanto nel caso in cui l’appalto sia stato ultimato ed eseguito, ma non nell’ipotesi di risoluzione del contratto[49].

 

CAPITOLO IV

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

Dopo aver esaminato la disciplina della risoluzione dei contratti pubblici, può rilevarsi come la costante funzionalizzazione dell’azione amministrativa rispetto alla cura dell’interesse pubblico si esplichi non solo nella fase di affidamento ma anche nella fase esecutiva dell’appalto. La rilevanza che assume l’interesse pubblico, in particolare, trova conferma nelle norme del codice dei contratti pubblici che riconoscono espressamente all’Amministrazione il potere di risolvere unilateralmente il contratto in presenza di illegittimità commesse in sede di affidamento o in sede di esecuzione, tali da non consentire al contratto di realizzare la funzione cui era concretamente destinato. A tal riguardo, in giurisprudenza si è rimarcato che l’Amministrazione opera, “in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato” perché “le sue posizioni di specialità, essendo l’amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono[50]: nella fase esecutiva del rapporto la pubblica amministrazione è parte di un rapporto paritetico per così dire “a specialità limitata” siccome circoscritta dalle norme speciali di diritto pubblico che le conferiscono uno status differenziato[51].

In tale fase, peraltro, il principio dell’inesauribilità del potere pubblico e la necessità che l’azione amministrativa, anche quando esercitata tramite moduli privatistici, sia costantemente rispondente al fine di interesse pubblico individuato dalla legge[52] si contrappone al principio di intangibilità dell’accordo[53]. L’equo contemperamento di tali principi viene individuato nella necessità di motivare in maniera esauriente e completa le ragioni dello scioglimento del contratto.

Particolarmente significativo è quindi l’approdo cui è giunto il nuovo codice che, fin dal suo primo articolo, nel delineare il “principio del risultato”, precisa che il risultato della “massima tempestività” e del “migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo” deve essere perseguito sia nella fase di “affidamento del contratto” che nella sua “esecuzione[54]. Sia la fase procedimentale che quella negoziale dell’appalto sono due percorsi che mirano al medesimo obiettivo concreto: la stipulazione di un negozio produttivo che assicuri prestazioni utili, anche in applicazione del principio costituzionale del buon andamento dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 della costituzione.

 

Bibliografia

 

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TAGLIANETTI, Lo scioglimento unilaterale dei contratti di appalto e di concessione per motivi di interesse pubblico, in Diritto amministrativo, fasc. 3;

TRIMARCHI, I rapporti contrattuali della pubblica amministrazione, in Dir. Pubbl., 1998.


[1]CIANFLONE – GIOVANNINI, L’appalto di opere pubbliche, XIV ed., 2021.

 

[2]Cass. Civ., Sez. Un., n. 9861/2015; Cass. Civ., Sez. Un., n. 10705/2017; Cons. Stato, Sez. V, n. 4650/2022.

 

[3]CARBONE – CARINGELLA – ROVELLI, Manuale dei contratti pubblici, 2024.

 

[4]BIANCA, Diritto Civile, vol. III, Il contratto, 2000, p. 731 ss.; GALGANO, Trattato di diritto civile, vol. II, 2014, p. 575 cc.; GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, p. 1023 ss.; ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto privato, 2011, p. 891 ss.

 

[5]GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, p. 1024 ss.

 

[6]Ai sensi dell’art. 1353 cc: “Le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto”; ai sensi dell’art. 1463 cc: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito”.

 

[7]Ai sensi dell’art. 1455 cc: “Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”; ai sensi dell’art. 1467 cc: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.

 

[8]Ai sensi dell’art. 1454 cc: “Alla parte inadempiente l'altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s'intenderà senz'altro risoluto. Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore. Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto”; ai sensi dell’art. 1456 cc: “I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva”; ai sensi dell’art. 1457 cc: “Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell'interesse dell'altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l'esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all'altra parte entro tre giorni. In mancanza, il contratto s'intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione”.

 

[9]Cass. Civ., Sez. II, n. 17710/2023.

 

[10]Trib. Brindisi 8/10/2024.

 

[11]Cass. Civ., Sez. III, n. 28895/2024.

 

[12]Cass. Civ., Sez. II, n. 7445/2024.

 

[13]RAIMONDI, I poteri amministrativi nell’attività di diritto privato della pubblica amministrazione, 1970, p. 28 ss.

 

[14]GRECO, Poteri amministrativi ed esecuzione del contratto, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, fasc. 1, 2022, p. 1 ss.

 

[15]TAGLIANETTI, Lo scioglimento unilaterale dei contratti di appalto e di concessione per motivi di interesse pubblico, in Diritto amministrativo, fasc. 3, p. 618 ss.

 

[16]TAR Lazio, Roma, Sez. III quater n. 1830/2022: quando lo scioglimento del vincolo contrattuale non interviene a causa di vizi propri del contratto o a causa dell'inadempimento delle obbligazioni poste a carico dell'appaltatore, ma per l'esistenza di una causa di illegittimità dell'aggiudicazione, il provvedimento impugnato rappresenta espressione del potere pubblicistico di annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, cui corrisponde una posizione di interesse legittimo dell'impresa appaltatrice.

 

[17]Cass. Civ. Sez. I n. 10968/2023: In tema di appalto di opere pubbliche, le disposizioni speciali dettate con riferimento alle ipotesi di inadempimento del contratto di appalto (così come agli artt. 1662, 1667, 1668, 1669 c.c. o all'art. 133 d.lg. n. 163 del 2006) integrano, senza peraltro sostituirli, i principi generali dettati dal legislatore in tema di mancato adempimento e di risoluzione del contratto di cui agli artt. 1453 ss. c.c.

 

[18]Per il comma 6: “In ogni caso, fatti salvi i commi 1 e 3, una modifica è considerata sostanziale se si verificano una o più delle seguenti condizioni: a) la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d'appalto iniziale, avrebbero consentito di ammettere candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o di accettare un'offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione; b) la modifica cambia l'equilibrio economico del contratto o dell'accordo quadro a favore dell'aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale; c) la modifica estende notevolmente l'ambito di applicazione del contratto; d) un nuovo contraente sostituisce quello cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l'appalto in casi diversi da quelli previsti dal comma 1, lettera d)”. Per il comma 7: “Non sono considerate sostanziali, fermi restando i limiti derivanti dalle somme a disposizione del quadro economico e dalle previsioni di cui alle lettere a) b) e c) del comma 6, le modifiche al progetto proposte dalla stazione appaltante ovvero dall’appaltatore con le quali, nel rispetto della funzionalità dell'opera: a) si assicurino risparmi, rispetto alle previsioni iniziali, da utilizzare in compensazione per far fronte alle variazioni in aumento dei costi delle lavorazioni; b) si realizzino soluzioni equivalenti o migliorative in termini economici, tecnici o di tempi di ultimazione dell’opera”.

 

[19]GIOVAGNOLI, Il contratto, 2019, p. 741.

 

[20]SANDULLI - SINISI, in Risoluzione del contratto e autotutela pubblicistica, in Trattato sui contratti pubblici, 2019.

 

[21]GALLONE, Annullamento d’ufficio e risoluzione del contratto pubblico, 2016, p. 69; SANDULLI - SINISI, in Risoluzione del contratto e autotutela pubblicistica, in Trattato sui contratti pubblici, 2019.

 

[22]TAR Calabria Reggio Calabria n. 94/2025; Cons. Stato Sez. V n. 2123/2019.

 

[23]GALLONE, Annullamento d’ufficio e risoluzione del contratto pubblico, 2016, p. 80.

 

[24]SANDULLI - SINISI, in Risoluzione del contratto e autotutela pubblicistica, in Trattato sui contratti pubblici, 2019.

 

[25]Di recente: Cons. Stato, Sez. III, n. 1937/2025.

 

[26]Cons. Stato, Sez. VI, n. 568/2015.

 

[27]GIAMPAOLINO, La risoluzione del contratto, in Trattato sui contratti pubblici, vol. VI, 2008.

 

[28]Cass. Civ. Sez. I n. 22843/2024.

 

[29]Cass. Civ. Sez. I n. 10968/2023.

 

[30]TAR Sardegna Sez. II n. 15/2021; TAR Sardegna Sez. II n. 316/2020.

 

[31]Cass. Civ. Sez. Unite n. 489/2019.

 

[32]TAR Lazio, Roma, Sez I quater n. 4788/2024.

 

[33]Cons. Stato Ad. Plen. n. 10/2020: Non rileva, pertanto, che la fase esecutiva del rapporto negoziale sia tendenzialmente disciplinata da disposizioni privatistiche, poiché anche e, si direbbe, soprattutto questa fase rimane ispirata e finalizzata alla cura in concreto di un pubblico interesse, lo stesso che è alla base dell’indizione della gara e/o dell’affidamento della commessa, che anzi trova la sua compiuta realizzazione proprio nella fase di realizzazione dell’opera o del servizio.

 

[34]GUARINO, Interesse pubblico e interesse privato nell’attuazione delle opere pubbliche, in Le opere pubbliche degli enti locali, 1958, p. 69 ss.

 

[35]TAR Campania, Sez. IV, n. 1123/2021.

 

[36]Cass. Civ. Sez. III n. 33858/2023: In tema di appalto di opere pubbliche, in caso di risoluzione anticipata del contratto per fatto e colpa dell'appaltatore, quando i lavori, sebbene non integralmente ultimati, siano stati almeno parzialmente eseguiti e l'interesse creditorio sia stato, almeno in parte, soddisfatto, l'ente pubblico appaltante è tenuto ad emettere il certificato di collaudo sia pure parziale, ossia limitato alla parte dei lavori eseguiti, pena l'estinzione della polizza fideiussoria, dovendosi evitare che il garante resti vincolato ad libitum, in forza di un rapporto accessorio ormai privo del fondamento causale.

 

[37]C. Appello Ancona n. 13/2025.

 

[38]Cass. Civ. Sez. I n. 38188/2021:  la riserva, attenendo ad una pretesa economica di matrice contrattuale, presuppone l’esistenza di un contratto valido di cui si chiede l’esecuzione, mentre, ogni qualvolta si faccia questione di invalidità del contratto e dei modi della sua estinzione, come nel caso della risoluzione per inadempimento, le pretese derivanti dall’inadempimento della stazione appaltante non vanno valutate in relazione all’istituto delle riserve, ma seguono i principi di cui agli artt. 1453 e 1458 c.c.” (Cass. 289/2019; Cass. 25326/2017; Cass. 22275/2016; Cass. 22036/2014; Cass. 19531/2014; Cass. 3830/2013; Cass. 738/2007).

 

[39]C. Appello Firenze n. 1630/2024; Cass. Civ. Sez. I n. 28653/2024.

 

[40]Cass. Civ. Sez. I n. 27690/2023: In caso di risoluzione del contratto per inadempimento della S.A., spetta all’appaltatore il risarcimento del danno da lucro cessante, calcolabile in via parametrica come 10% dell’importo contrattuale.

 

[41]Cass., 9 febbraio 2022, n. 4225

 

[42]Cass. Civ. Sez. II n. 20460/2023.

 

[43]Trib. Roma Sez. III n. 13654/2017.

 

[44]Cass. Civ. Sez. II n. 27640/2018.

 

[45]Cass. Civ. Sez. I n. 12162/2007.

 

[46]Cass. Civ. Sez. II n. 738/2007.

 

[47]Cass. Civ. Sez. I n. 4225/2022.

 

[48]Cass. Cov. Sez I n. 22065/2022.

 

[49]Cass. Civ. Sez. I n. 8765/2024.

 

[50]Cons. Stato Ad. Plen. n. 14/2014.

 

[51]TAR Campania n. 132/2024.

 

[52]SANDULLI - SINISI, in Risoluzione del contratto e autotutela pubblicistica, in Trattato sui contratti pubblici, 2019.

 

[53]CAMMEO, I contratti della pubblica amministrazione, 1937; TRIMARCHI, I rapporti contrattuali della pubblica amministrazione, in Dir. Pubbl., 1998.

 

[54]CARINGELLA, La filosofia del nuovo codice dei contratti pubblici e il coraggio del cambio di paradigma, 2024.