SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi sulla natura dell’ente pubblico e suoi tratti essenziali. – 2. Ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici: 2.1 Ambito soggettivo di applicazione del codice dei contratti pubblici: organismo e impresa pubblica; - 2.2 Ambito oggettivo di applicazione del codice dei contratti pubblici: la necessità di definire il concetto di prestazioni strumentali. - 3 Come la natura di ente pubblico incide sulla responsabilità disciplinare del notaio rogante per aver accolto un atto contrario all’ordine pubblico. – 4. Il ricorso alle Aziende speciali per l’erogazione dei servizi pubblici. - 5. La natura giuridica delle società in house: l’evoluzione del concetto di controllo analogo. – 6. Analisi della fondazione di partecipazione. - 7. Fondazione di partecipazione: obbligo di motivazione rafforzata per bilanciare il vuoto normativo del TUSP. - 8. Analisi ragionata sulla natura di ente pubblico della fondazione di partecipazione “Milano-Cortina 2026”. - 9. Sul “visto di legittimità” della Corte dei conti ai sensi dell’art 5, comma 3 del TUSP: il caso “Società Ponte sullo stretto S.p.a.”. - 10. Il concetto di ente pubblico secondo lo “splyt payament”. - 11. La nozione di pubblica amministrazione secondo il TUPI. - 12. L’amministratore quale incaricato di pubblico servizio, riflessioni alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 34036 del 16 ottobre 2025. - 13. La pubblica amministrazione secondo il diritto di accesso ai sensi della L. 241 del 1990. - 14. Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, l’amministratore ad hoc.
1. Cenni introduttivi sulla natura dell’ente pubblico e suoi tratti essenziali
Scopo della trattazione è quello di delineare possibilmente i tratti e i caratteri essenziali affinchè una qualsivoglia persona giuridica possa essere ricondotta nella categoria degli enti pubblici.
La tematica è quantomai dibattuta da decenni e il quadro normativo appare confuso e disorganico ma emerge sempre più la necessità, considerando il momento storico, di provare a tracciare delle linee generali che possano permettere di addivenire ad una conclusione certa o quantomeno di fornire degli strumenti concreti che applicati al caso di specie possano essere utili a dipanare la zona d’ombra che da sempre pervade la natura pubblicistica o privatistica delle persone giuridiche.
La personalità giuridica di diritto privato non esclude che tali persone giuridiche possano essere inserite dall’Istat nell’elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore delle amministrazioni pubbliche (Settore S.13) di cui al Sistema europeo dei conti (SEC 201050)[1]. L’eventuale inclusione nell’elenco Istat è tutt’altro che irrilevante, in quanto determina, sul piano del trattamento normativo, la sostanziale assimilazione della persona giuridica alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, L. 196/2009: il soggetto sarà tenuto all’applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica[2] così come alle disposizioni normative che, nell’individuare i propri destinatari e/o il proprio oggetto, fanno riferimento appunto alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, L 196/2009.
Anche per i giudici contabili “La pubblica amministrazione non appare oggi più riconducibile ad un unico modello qual è quello delle articolazioni ministeriali, ma evidenzia una pluralità di figure soggettive dai contorni non sempre univoci, che diversamente attingono a criteri pubblicistici, e che comunque sono chiamate a svolgere attività operative per l’amministrazione nella concreta attuazione di importanti interventi. Gli enti lato sensu strumentali assumono crescente rilevanza nell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche, rispondendo all’esigenza di garantire che compiti di carattere più strettamente operativo siano attribuiti a figure giuridiche dotate di strumenti organizzativi più agili, nonché di specifiche competenze tecniche. L’ampio utilizzo di atti normativi di rango primario come base giuridica dei vincoli di strumentalità tra amministrazione centrale e soggetti vigilati rafforza il carattere “strutturato” dell’utilizzo di tali soggetti esterni alle amministrazioni centrali per il conseguimento dei relativi scopi istituzionali”[3].
Per effetto del concetto di pluralismo della pubblica amministrazione, parallelamente allo Stato che è l’ente pubblico per eccellenza[4], vi sono altri soggetti che dotati di capacità giuridica di diritto pubblico, perseguono finalità di pubblico interesse. Sicuramente la riforma del titolo V, fortemente tesa alla realizzazione del principio di sussidiarietà verticale, ha delegato numerosi servizi amministrativi in capo agli enti locali che, non essendo sufficientemente strutturati o per garantire maggior efficienza della prestazione, spesso sono costretti ad erogare i servizi pubblici attraverso società. Ecco allora che si crea la fisiologica problematica di qualificare e perimetrare quali siano effettivamente i soggetti da indentificare come Pubblica Amministrazione. La soluzione non è agevole in quanto è sempre più frequente che, per il tessuto economico-sociale del nostro tempo e per come si è evoluta la pubblica amministrazione, ci si trovi ad avere quali stazioni appaltanti le cosiddette società “in house”, delle municipalizzate, delle fondazioni di partecipazione, dei consorzi tra comuni e ancora, delle vere e proprie società aventi la forma giuridica di S.p.a. ma aventi quale soggetto controllante una P.A., così finendo per essere, fondamentalmente, una “longa manus” di quest’ultima.
Legittimo allora che sorgano dubbi interpretativi sulla corretta collocazione di questi enti che sempre più frequentemente sono dei veri e propri ibridi che operano a fasi alterne, talvolta come soggetto pubblico, talvolta come soggetto privato[5]. È apparso, allora, assai condivisibile il suggerimento proposto da autorevole dottrina[6] nel senso di superare, in queste ipotesi sempre più numerose, il “velo” formale della personalità giuridica privatistica nella società per azioni in mano pubblica e di incentrare l’analisi su una nozione funzionale di P.A. implicante che un determinato ente considerato pubblico ai fini del conseguente assoggettamento ad una determinata disciplina è invece da ritenere privato ad altri effetti e viceversa. Si parla di nozione dinamica e cangiante della pubblica amministrazione. Vi è pertanto un patrimonio di principi e garanzie che investe pubblico e privato che va complessivamente (e in ogni caso) osservato, essendo a tal fine irrilevante che si tratti di attività amministrativa resa con modalità di diritto privato o di diritto pubblico. Si pensi a come la formazione dei contratti della pubblica amministrazione, che in tutti gli ordinamenti europei è procedimentalizzata e retta da regole comuni, venga considerata da noi e in altri Paesi attività di diritto pubblico, mentre in altri è considerata attività precontrattuale di diritto privato. La sostanza dei principi e delle garanzie pare tuttavia essere equipollente[7].
2. Ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici
2.1 Ambito soggettivo di applicazione: organismo e impresa pubblica
Il codice dei contratti pubblici, col fine di indicare i soggetti che sono tenuti a rispettare il codice in epigrafe nella selezione del contraente cui affidare l’appalto, non indica una lista di enti nominativi ma fornisce una nozione di organismo di diritto pubblico. A parere di chi scrive, sulla base di un approccio sostanziale alla nozione di P.A. di matrice unionale, il codice non detta un catalogo chiuso di enti ma tende a fornire una definizione che, caso per caso[8], possa essere utile a richiamare nell’alveo di organismo di diritto pubblico anche soggetti che formalmente e in linea generale non lo sarebbero ma che di fatto nella singola circostanza operano come ente pubblico.
La definizione di “organismo di diritto pubblico”, ai sensi del art.1 lett. E dell’allegato I.1 del D.Lgs. n. 36 del 2023, statuisce che per organismo di diritto pubblico si intende “qualsiasi soggetto, anche avente forma societaria:
- dotato di capacità giuridica;
- istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, attraverso lo svolgimento di un’attività priva di carattere industriale o commerciale;
- la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.
Tale disposizione normativa trova concorde e consolidato riscontro nelle delibere ANAC[9]e nella giurisprudenza europea[10]. La Corte Suprema di Cassazione[11], il Consiglio di Stato[12] e varie Sezioni Regionali di Controllo della Corte dei Conti[13] hanno statuito pronunce in tal senso e hanno ribadito che gli elementi distintivi di un soggetto pubblico sono quelli contenuti nelle norme europee e nell’art. 3 del D.L. 50/2016 (ad oggi art. 1 lett. E dell’allegato I.1 del D.Lgs. n. 36 del 2023)[14].
Tale giurisprudenza[15], pertanto, afferma che, affinché un ente sia configurabile come organismo di diritto pubblico[16] sono necessarie tre condizioni (sostanzialmente richiamando la disposizione legislativa del codice dei contratti), che devono ricorrere cumulativamente, e cioè si deve verificare che:
a) l'organismo sia dotato di personalità giuridica (requisito personalistico);
b) l’attività dell'organismo sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure che la gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure l’organo di amministrazione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (requisito dell'influenza dominante)[17] ;
c) l'organismo (anche in forma societaria) venga istituito per soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale ed aventi finalità non lucrative (requisito teleologico)[18].
Il problema che allora emerge nella pratica, come anticipato in precedenza, e la cui soluzione è storicamente camaleontica, è quello di stabilire quali possano essere, gli istituti positivi, sintomatici della pubblicità di un ente[19].
Pare che, l’approccio più ragionevole possa essere quello del caso per caso[20], che in armonia con la disposizione codicistica[21] non esista un catalogo chiuso e prestabilito ma che sia necessario compiere un’analisi di volta in volta sui vari parametri forniti[22] . Ciò implica che, “il riconoscimento ad un determinato soggetto della natura pubblica a certi fini non ne comporta l'automatica e integrale sottoposizione alla disciplina prevista in generale per la pubblica amministrazione … la considerazione di soggetti formalmente o anche sostanzialmente privati come "enti pubblici" varia, così, da disciplina a disciplina e sta ad indicare non una diversa natura giuridica ma, semplicemente, l'applicazione di alcune regole in luogo di altre: può apparire dunque inutile, o addirittura (come opinano alcuni studiosi) sbagliato qualificare tali soggetti come "enti pubblici": la realtà è che, a seconda dei fini e dei casi, si applicano ad essi discipline tipicamente pubblicistiche e discipline tipicamente privatistiche. Alle certezze delle letture dicotomiche si sostituisce pertanto la continua e sempre mutevole ricostruzione degli istituti”[23].
In sostanza, “tutto ciò implica che il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a seconda dell'istituto o del regime normativo che deve essere applicato. La nozione di ente pubblico nell'attuale assetto ordinamentale non può, dunque, ritenersi fissa ed immutevole. Non può ritenersi, in altre parole, che il riconoscimento ad un determinato soggetto della natura pubblicistica a certi fini, ne implichi in maniera automatica la integrale sottoposizione alla disciplina valevole in generale per la pubblica amministrazione. Si ammette senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica”[24]
Il codice dedica anche uno specifico titolo ai cosiddetti settori speciali, ossia settori di mercato “chiusi”, cioè non esposti ad un regime di concorrenza, in ragione del fatto che per operarvi è necessaria la titolarità di diritti speciali o di esclusiva. Col fine di garantire comunque un principio di concorrenza, si è reso necessario definire una normativa che recuperasse la garanzia di concorrenza attraverso l’imposizione dell’obbligo di scegliere i propri contraenti tramite procedure ad evidenza pubblica[25]. E’ evidente come per tali settori l’ambito soggettivo di applicazione sia ben più esteso rispetto alla disciplina ordinaria essendovi un riferimento non solo alle amministrazioni, ma anche a soggetti formalmente organizzati secondo modelli privatistici, quali le imprese pubbliche[26] e i soggetti privati che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi.[27] Secondo la dottrina maggioritaria, il tratto fondamentale che differenzia l’impresa dall’organismo di diritto pubblico è la sussistenza di condizioni concorrenziali di mercato.[28]
Spesso la differenza ai fini della classificazione nell’una o nell’altra sfera potrebbe risultare di difficile soluzione ed allora la giurisprudenza ne ha colto la differenza non già nel modello organizzativo adottato, quanto invece “nella circostanza che l’impresa pubblica è esposta alla concorrenza, gestisce servizi rinunciabili da parte dell’ente di riferimento, subisce o può subire perdite commerciali, mentre l’organismo di diritto pubblico è caratterizzato dalla mancata esposizione alla concorrenza, dalla irrinunciabilità del servizio e dal conseguente obbligo di ripianamento in caso di perdite da parte dell'ente di riferimento”[29].
2.2 Ambito oggettivo di applicazione: la necessità di definire il concetto di prestazioni strumentali
Preliminarmente è importante evidenziare che il codice prevede deroghe e obblighi che potremmo definire opposti a seconda che la prestazione strumentale ricada nei settori ordinari piuttosto che in quelli speciali. Ed infatti nei settori ordinari in presenza di un provvedimento “sufficientemente motivato” dispone espressamente la possibilità di derogare all’evidenza pubblica qualora sia necessario appaltare tali prestazioni[30]. La disciplina dei settori speciali invece prevede che “le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi applicano le disposizioni del presente Libro solo per i contratti strumentali da un punto di vista funzionale a una delle attività previste dagli articoli da 146 a 152”[31].
Il punto cruciale diviene allora quello di comprendere cosa si debba intendere esattamente per appalto strumentale all’attività rientrante nel settore speciale[32]e appalto che possa derogare l’evidenza pubblica nei settori ordinari proprio in virtù della strumentalità della prestazione.
È evidente, a parere di chi scrive, che ci si trovi dinanzi ad un vuoto normativo dato che ad oggi il codice dei contratti non fornisce un catalogo o una definizione di prestazioni strumentali. Il rischio più concreto è che in modo elusivo ed arbitrario si possa nel caso dei settori ordinari agire in deroga all’evidenza pubblica annoverando nella categoria delle prestazioni strumentali delle prestazioni che di fatto non lo sono e nel caso dei settori speciali derogare all’applicabilità del codice da parte delle imprese pubbliche adducendo la non strumentalità di prestazioni che di fatto lo sono. Tale meccanismo è sicuramente incentivato, almeno per quanto concerne i settori ordinari, dal fatto che per agire in deroga al codice sia necessario un provvedimento “sufficientemente motivato” che non richieda quindi degli stringenti o quantomeno convincenti canoni motivazionali. Emerge ancora una volta la difficoltà di bilanciare correttamente le esigenze unionali di speditezza, di efficacia e di risultato con una adeguata attività di procedimentalizzazione, controllo e rendicontazione della spesa pubblica.
Orbene, dinanzi ad un vuoto normativo, come spesso accade, la giurisprudenza ha tentato di fornire (soprattutto per i settori speciali) una definizione di prestazioni strumentali per delineare quantomeno una linea uniforme da seguire. Il giudice comunitario[33] ha cercato di delineare un catalogo che, almeno in principio, costituisca un metodo di approccio basato sull’esistenza di un nesso[34] tra l’attività “strumentale” e quella oggetto del contratto di appalto rientrante nei settori speciali anche per non discriminare eccessivamente a vantaggio di chi opera nei settori ordinari[35].
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato[36] ha aderito alla tesi restrittiva “valorizzando il dato della prestazione e intendendo la strumentalità in senso stretto”[37]. L’attività, quindi, per poter essere ritenuta “strumentale” deve porsi “in un rapporto di mezzo a fine all’esercizio dell’attività speciale e realizzare uno scopo omogeneo, e non diverso, rispetto all’esercizio dell’attività istituzionale dell’ente”[38]. Ad oggi, almeno nei settori speciali, anche per la giurisprudenza nazionale[39] la tesi prevalente è quella restrittiva. Nel frattempo anche la giurisprudenza unionale sembra aver avuto un orientamento che potremmo quasi definire “a fisarmonica”: se inizialmente si riteneva che un contratto fosse strumentale laddove fosse determinante ai fini dello svolgimento del servizio nel settore speciale di riferimento, oggi si considera strumentale il contratto la cui mancanza non garantirebbe il servizio speciale in modo adeguato[40]. Per una parte della dottrina il rapporto di strumentalità accederebbe a concetti giuridici maggiormente indeterminati, di carattere “empirico” rimessi, dunque, ad apprezzamenti fattuali che risultano ben lontani dall’aderire a canoni giuridici generali e condivisi, lasciando ampio spazio ad incertezza interpretativa[41]. L’esigenza assume ancor più rilievo perché dalla definizione del concetto di strumentalità deriva l’esistenza o meno di società costituite ad hoc e previste per legge: si fa riferimento all’art.4.2 lett d del TUSP che consente alle Pubbliche Amministrazioni di costituire società o mantenere partecipazioni per lo svolgimento delle attività strumentali concernenti “autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento”.
E dunque, a parere di chi scrive, il richiamato vuoto normativo, pone un ulteriore problema legato alla corretta delimitazione e delineazione dell’oggetto sociale di tali società. In altre parole, se ad oggi non è ben chiaro quali siano le prestazioni strumentali, come e possibile costituire società con un oggetto definito che nascono solo con lo scopo di svolgere prestazioni strumentali? In concreto, si corre il rischio di costituire una società che, di fatto, non abbia un oggetto sociale chiaro e definito o che comunque persegua uno scopo che “non le compete”.
Dalla disamina presentata emerge, nonostante i tentativi della giurisprudenza, la necessità di un intervento legislativo che vada a definire quali siano le prestazioni strumentali soprattutto per evitare, come sottolineato in precedenza, che nei settori ordinari l’art.7, comma 2 richiamato costituisca una “clausola d’uscita” per permettere di derogare arbitrariamente alle disposizioni codicistiche.
3. Come la natura di ente pubblico incide sulla responsabilità disciplinare del notaio rogante per aver accolto un atto contrario all’ordine pubblico
Nel quadro generale, teso ad analizzare tutte le possibili implicazioni che comporta il riconoscimento di natura di ente pubblico anche a soggetti giuridici diversi dalle amministrazioni dello stato, giova evidenziare come, anche il ministero dell’attività notarile sia coinvolto da questa disamina. Nel momento in cui vi sia un soggetto giuridico che possegga cumulativamente i 3 requisiti descritti in precedenza, ed abbia necessità quindi di contrarre per conto della pubblica amministrazione mediante procedure ad evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 18, comma 1 del D.Lgs. n. 36 del 2023[42] (nel quale è confluito l’art 32, comma 14 del D.Lgs. n. 50 del 2016) il notaio rogante è tenuto alla stipula del contratto mediante atto pubblico notarile informatico a pena di nullità.
Attualmente quindi, la modalità informatica, non è più un’ipotesi alternativa o residuale rispetto alla forma cartacea, ma appare la regola con cui è possibile procedere alla stipula dei contratti in parola. Tale previsione, sicuramente mira a favorire quello che è il processo di digitalizzazione che sta investendo il settore pubblico, tendente a privilegiare l’uso dell’informatica sulla base delle direttive e della strada tracciata e richiesta dal PNRR[43]. Emerge quindi, in maniera evidente, la necessità di delineare con certezza se ci si trovi dinanzi ad un soggetto giuridico/stazione appaltante che di fatto sia anche un ente pubblico per evitare che il notaio rogante possa stipulare un atto che sia nullo per violazione delle prescritte forme contrattuali previste ex lege. Da tale assunto, deriva poi, l’obbligo di assoggettare e ricondurre la stipula dell’atto alla disciplina della contrattualistica pubblica e quindi alla necessarietà dell’atto informatico o meno.
Da un punto di vista disciplinare, la violazione della forma contrattuale prevista per legge, comporta per il notaio rogante l’istruzione di un procedimento a suo carico per violazione dell’art 28 della Legge Notarile[44] implicante, in presenza di una nullità che sia assoluta ed inequivoca[45], anche ipotesi di sospensione dall’esercizio dell’attività notarile[46].
Nel caso in esame, la contrarietà all’ordine pubblico del contratto di appalto non stipulato in modalità digitalizzata è da ravvisarsi in ragione che potremmo definire “ecologiche” legate alla capacità di smaltimento della documentazione in carico agli archivi notarili. In base alla legge n.89 del 1913 (legge notarile), seppur con modalità diverse in base alla fattispecie in cui si ricade (tra le più comuni si annoverano dispensa a domanda, limiti di età, decesso, trasferimento ad altro distretto), qualsiasi notaio che cessi dall’attività notarile è tenuto a consegnare tutti gli atti e registri di cui è titolare al competente archivio notarile di appartenenza. Da tale momento in poi è compito e responsabilità del Conservatore[47] dell’archivio notarile la corretta custodia e conservazione di tutta la documentazione presa in carico. Dunque, in base a quanto disposto dal codice dei beni culturali e del paesaggio[48], gli archivi notarili versano all’archivio di stato, con cadenza decennale, tutti gli atti notarili che abbiano trascorso un centennio dal loro deposito previa effettuazione dello scarto documentario e previa disponibilità in termini di spazio dell’archivio di stato ad accogliere i volumi oggetto di versamento. Il versamento della documentazione è subordinato anche alla indizione e riunione della commissione di sorveglianza con il compito di valutare e vagliare la procedura di scarto. Ai sensi dell’art 1 e ss. DPR n. 37 del 2001, la commissione deve necessariamente essere composta da due rappresentanti degli archivi notarili di cui uno in funzione di presidente e l’altro di segretario, un membro in rappresentanza della prefettura ed uno in rappresentanza dell’archivio di Stato. Il fatto che in commissione vi sia anche un membro della prefettura fa chiaramente emergere quanto si tratti di una tematica indissolubilmente legata all’assicurare il rispetto e a garantire l’ordine pubblico. Il problema è che si tratta di fare ricorso a norme di istituzione più che ventennale che non prevedono una “procedura di riserva” nel caso in cui in sede di commissione riunita l’archivio di stato possa dichiararsi per ragioni di spazio non disponibile ad accogliere la documentazione oggetto di scarto da parte dell’archivio notarile. A parere di chi scrive è questo il momento in cui si palesa un evidente vuoto normativo che, proprio per ragioni di inquinamento e quindi di ecologia legata a quello che sostanzialmente è un processo di smaltimento e conservazione di materiale documentario in formato cartaceo (per ricollegarci all’affermazione fatta in premessa), il legislatore ha pensato di arginare con il processo di digitalizzazione dei contratti prevedendo in particolare al già richiamato art. 18, comma 1 del D. Lgs. n. 36 del 2023 l’obbligo di provvedere alla forma contrattuale digitale nel momento in cui si tratti di rogare contratti aventi ad oggetto procedure ad evidenza pubblica proprio a tutela dell’ambiente e dell’ordine pubblico. È chiaro che questo rappresenti solo un punto di partenza ma la su richiamata forma contrattuale sarà destinata ad involgere tutte le fattispecie contrattuali proprio per le ragioni proposte.
4. Il ricorso alle Aziende speciali per l’erogazione dei servizi pubblici
Scopo dell’analisi che segue è quello di fornire un adeguato supporto argomentativo teso al pacifico riconoscimento della natura di ente pubblico delle aziende speciali. Contrariamente alla combattuta natura delle società in house, il riconoscimento di ente pubblico alle aziende speciali sembra essere sostenuto sia dalle disposizioni legislative che dalla giurisprudenza oltre che dall’autorità di controllo[49]. L’analisi è tesa poi ad evidenziare le disarmonie createsi sotto la spinta di una giurisprudenza non sempre unanime sulla possibilità di riconoscere le aziende speciali come una species delle società in house.
Ai sensi dell’art. 114 del D.Lgs. 267/2000 (TUEL) “l’azienda speciale è ente strumentale dell’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale (…)”. La disposizione prosegue delineando quei caratteri tipici dell’ente pubblico precisando che: l’azienda conforma la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed ha l’obbligo dell’equilibrio economico (comma 4); l’ente locale conferisce il capitale di dotazione, determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali (di cui al comma 8), esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione, provvede alla copertura degli eventuali costi sociali (comma 6).
“Le aziende speciali, previste e disciplinate dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 114, sono enti strumentali del Comune, istituiti per l'esercizio di servizi sociali pubblici in alternativa alla gestione diretta e destinati a rimanere in vita fino a quando permanga la relativa scelta; nonostante il riconoscimento, per ragioni funzionali, della personalità giuridica e della capacità di compiere tutti i negozi giuridici necessari per il raggiungimento del loro fine, costituiscono parti del Comune nel quadro unitario del suo assetto ordinamentale, sicché gli atti emanati configurano determinazioni riferibili all'ente territoriale che incide, oltretutto, sui processi decisionali dell'azienda speciale attraverso un'ampia ingerenza negli atti gestionali e organizzativi e una penetrante azione di controllo”[50].
Inoltre, le aziende speciali non posseggono nemmeno uno statuto privatistico di tipo societario (bensì uno statuto approvato direttamente dal Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 114 TUEL, che individua le modalità di nomina degli organi amministrativi e non si relazionano con l’ente istitutivo secondo modelli e schemi privatistici[51]. Del resto, è lo stesso art. 114 TUEL a qualificare l’azienda speciale in termini di “organismo strumentale dell’ente locale per l’esercizio di servizi sociali” ed i relativi poteri di indirizzo e controllo vengono esercitati con le modalità previste dai successivi co. 6, 7 e 8.
Contrariamente al requisito della separazione e dell’alterità soggettiva riconosciuto dalla giurisprudenza più recente alle società in house in relazione all’ente controllante, le aziende speciali possono essere considerate delle vere e proprie articolazioni dell’Ente conferente, atteso che i suoi organi sono assoggettati a vincoli gerarchici facenti capo al soggetto pubblico e che i suoi dirigenti sono legati alla P.A. da un diretto rapporto di servizio. Dunque, non si tratta di soggetti giuridici autonomi rispetto alle amministrazioni da cui promanano[52].
“L’azienda speciale gode … di autonomia (che l’art. 114, comma 1, TUEL, definisce opportunamente “imprenditoriale”) ma la sua attività è diretta e orientata dall’ente controllante in un rapporto assimilabile a quello che l’ente ha con un proprio organo (non è un caso che nella vigenza della l. 103/1903 l’azienda speciale era considerata quale organo speciale dell’ente, incardinata nel suo apparato amministrativo, ma dotata di propria autonomia gestionale e contabile). Si tratta, in breve, di un’”amministrazione parallela”, cioè di una struttura inquadrata organicamente nella più ampia organizzazione pubblicistica dell'ente pubblico (così, testualmente, Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2017, n. 4435; cfr. anche Cons. Stato, sez. III, 10 aprile 2015, n. 1842; V, 20 febbraio 2014, n. 820)”[53].
L’analisi sulla natura dell’azienda speciale non può prescindere da una sua stretta correlazione con le società in house. Per molto tempo, e in maniera sostanzialmente pacifica la giurisprudenza è giunta alla conclusione “dell’assimilazione sostanziale tra affidamento in house e affidamento ad azienda speciale”[54]. Tale impostazione è ben chiara anche dalla lettura dei pareri ANAC secondo cui “l’affidamento diretto di un servizio all’azienda speciale costituita dall’amministrazione di riferimento, alla luce delle caratteristiche proprie di tale organismo, come sopra illustrate, va ricondotto nello schema dell’affidamento in house (ex art. 5 del d.lgs. 50/2016), quindi soggetto agli oneri motivazionali sanciti dall’art. 192, comma 2 del Codice. Del resto, la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice, di procedere ad affidamento diretto di un servizio ad un proprio ente strumentale, con particolare riguardo all’azienda speciale costituita ai sensi dell’art. 114 d.lgs. 267/2000, è espressamente prevista dal d.lgs. 201/2022”[55]. Orbene, tali orientamenti, tesi sostanzialmente alla sovrapposizione o per meglio dire all’inclusione delle aziende speciali nel novero delle società in house, hanno probabilmente condotto e influenzato la nuova formulazione del codice dei contratti pubblici che ad oggi è privo di riferimenti soggettivi riconducibili alle aziende speciali. In contrasto con la spinta giurisprudenziale e a questo punto anche legislativa si pone la già citata pronuncia dei giudici contabili[56] tesa a riconoscere la natura privatistica delle società in house e tesa a sconfessare che queste siano una longa manus dell’ente con parallela attribuzione di natura di ente pubblico alle aziende speciali. Tale pronuncia, pur se non in toto, precluderebbe la possibilità di ragionare per analogia e quindi di poter applicare le disposizioni del codice dei contratti riferite alle società in house anche con riguardo alle aziende speciali. È evidente che sia necessario un riordino della materia o quantomeno una proposta emendativa al Codice dei contratti tesa all’espresso riconoscimento soggettivo delle aziende speciali.
5. La natura giuridica delle società in house: l’evoluzione del concetto di controllo analogo
L’in house è un istituto, di matrice anglosassone ed evolutosi grazie alla giurisprudenza europea, mediante il quale le pubbliche amministrazioni possono procurarsi i fattori di produzione e le risorse necessarie allo svolgimento delle funzioni istituzionali senza ricorrere al mercato e, quindi, derogando alle regole e ai principi europei posti a tutela della concorrenza e del mercato[57]. L’in house costituisce una modalità di “autoproduzione” delle risorse necessarie al funzionamento delle amministrazioni[58], del tutto contrapposta alle altre forme giuridiche mediante le quali queste ultime ricorrono al mercato per procurarsi beni e servizi oppure per delegare l’esercizio di pubbliche funzioni (cd. esternalizzazione): il contratto di appalto e la concessione. La scelta tra il modello dell’esternalizzazione e quello dell’in house è interamente rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione, essendo il diritto europeo[59] totalmente indifferente alle modalità con cui i soggetti pubblici si procurano le risorse materiali necessarie al funzionamento e allo svolgimento dei compiti istituzionali[60]. L’Unione Europea non parrebbe obbligare le Pubbliche Amministrazioni a ricorrere al mercato per acquisire beni e servizi ma impone l’espletamento delle procedure ad evidenza pubblica se si decida di far ricorso a questo. Va precisato che il meccanismo dell’in house fa ingresso per la prima volta nell’ordinamento con la nota pronuncia Teckal[61] concernente la legittimità dell’affidamento diretto e senza gara di un appalto misto di servizi e forniture da parte del Comune di Viano (RE) ad un consorzio, dotato di personalità giuridica e costituito dallo stesso insieme ad altri Comuni.
La Corte trae spunto da tale giudicato per delineare quali siano le tre condizioni[62], al verificarsi delle quali, è possibile aversi affidamento in house:
1) la sottoposizione dell’organismo in house ad un controllo analogo a quello che l’amministrazione aggiudicatrice esercita sui propri uffici;
2) la destinazione della parte più importante della propria attività a favore dell’ente controllante;
3) la totale pubblicità del capitale sociale.
La nozione di controllo analogo è stata ed è ancora oggi dibattuta dalla giurisprudenza[63] di riferimento pur essendovi delle disposizioni legislative[64] che però lasciano adito a dubbi data la scivolosità della materia che è obbiettivamente camaleontica. Il controllo analogo deve essere dunque strutturale e consentire in concreto un'influenza dominante ex ante ed ex post rispetto alle attività e alle scelte strategiche della società controllata. La teoria della società in house quale longa manus della pubblica amministrazione e quindi non come un’entità al di fuori dell’ente se, da un lato, ha trovato il favore del Consiglio di Stato[65], dall’altro, è stata confutata dai giudici della Suprema Corte[66] secondo i quali “il legame partecipativo non può essere assimilato ad una relazione interorganica”. Ed ancora per altra Cassazione e nella stessa direzione “il controllo analogo non è un controllo assoluto come su un pubblico ufficio né un controllo gerarchico, trattandosi del controllo di un soggetto esterno e rimasto distinto, a ben guardare, da quello controllato. Ne consegue la limitazione dell’obiettivo del controllo alle decisioni fondamentali del soggetto così controllato, ovvero a quelle riconducibili alle linee strategiche e alle più importanti scelte operative, onde preservare le finalità pubblicistiche avute di mira dall’Amministrazione controllante”.[67] Emerge in modo evidente il requisito dell’alterità soggettiva secondo il quale l’ente e la società sono due entità diverse e distinte. È utile richiamare ancora una volta la già citata delibera della Corte dei Conti Campania secondo cui “la valorizzazione dell’autonomia soggettiva della società in house si pone in sintonia con la scelta operata dal legislatore attraverso l’emanazione del d.lgs. n. 175/2016 (cd. TUSP), il cui art. 1, co. 3, onde ovviare alla pregressa “confusione” tra regole pubblicistiche e di diritto comune, positivizza un principio di fondo: l’ente pubblico che si avvale dello strumento societario soggiace alla disciplina di diritto comune, fatte salve le eccezioni espressamente previste dalla legge. Dunque, il provvedimento normativo intende “restituire” lo statuto delle società a partecipazione pubblica alla disciplina di diritto privato, contenendo le relative deroghe nella misura strettamente necessaria al concreto soddisfacimento dell’interesse pubblico coinvolto. In un quadro così tratteggiato, l’accentuazione del profilo pubblicistico delle società in house mira esclusivamente a sottrarre l’affidamento diretto della gestione di attività e servizi pubblici all’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica, senza determinare l’inapplicabilità dello statuto dell’imprenditore. Infatti, l’operatività del sistema di pubblicità legale costituito dall’iscrizione della società nel registro delle imprese è idonea ad ingenerare nei terzi un legittimo affidamento in ordine all’applicabilità di un regime conforme al nomen iuris dichiarato, affidamento che risulterebbe aggirato ed eluso qualora il diritto societario venisse disapplicato e sostituito da particolari disposizioni pubblicistiche non espressamente previste dalla legge, nonché tali da tramutare artificiosamente un organismo societario privato in una ibrida articolazione interna dell’amministrazione controllante. Non vi è dubbio che l’ente titolare del controllo analogo sia e debba essere in grado di esercitare sulla società poteri di ingerenza e di condizionamento superiori rispetto a quelli riconosciuti dal diritto societario alla maggioranza sociale (attraverso le deroghe all’ordinaria disciplina societaria consentite dall’art. 16 TUSP), altrimenti realizzandosi una indebita sovrapposizione alla meno stringente nozione di “controllo pubblico”. Ma tali poteri, che comunque non escludono la qualificazione della società in house come autonomo ente privatistico, non devono necessariamente produrre una soggezione assoluta e totalmente riproduttiva dei modelli di comando interni alla P.A., poiché ciò priverebbe di senso la stessa scelta di ricorrere al modello societario per lo svolgimento di un’attività di rilievo pubblicistico”. Va inoltre riportato che, una forma di tutela volta a salvaguardare la procedimentalizzazione e l’evidenza pubblica, è data dalla disposizione prevista dall’art 16, comma 7 del TUSP secondo cui le società in house sono tenute al rispetto della disciplina prevista dal codice dei contratti qualora intendano acquistare lavori, beni o servizi.
A parere di chi scrive, negli ultimi anni si è assistito ad una evoluzione dell’ordinamento interno tendente ad assimilare sempre più i concetti di liberalizzazione propri della giurisprudenza unionale[68]. Il concetto di controllo analogo, dapprima implicante fisiologicamente la natura di ente pubblico della società in house, sembra essere attualmente secondario e non più prodromico al riconoscimento di ente pubblico[69]. Si assiste ad una evoluzione che, seppur sostenuta da una valida e solida giurisprudenza di riferimento, presta il fianco a problemi legati all’efficacia e alla effettiva possibilità di porre in essere controlli a tutela della spesa pubblica e al contrasto di fenomeni clientelari e di corruzione. È doveroso sottolineare che seguire la scia di stampo fortemente liberalizzante dell’unione europea comporta la sofferenza di alcuni meccanismi di controllo e rendicontazione che di fatto implicano un naturale aumento del rischio di trovarsi dinanzi a fenomeni che il nostro ordinamento ripudia. Se da un lato la liberalizzazione è in principio un incentivo a ricercare la migliore soluzione che consenta di offrire un servizio/risultato al giusto prezzo e ad un elevato standard di qualità, dall’altro non si può non considerare che gli effetti negativi della liberalizzazione fanno venir meno le possibilità di svolgere controlli legittimi ed effettivi a tutela delle risorse pubbliche stanziate per interessi generali e a presidio e prevenzione dei reati contro la pubblica amministrazione oltre che rendere difficile il rispetto della disciplina legata al conferimento degli incarichi, delle incompatibilità e al naturale svilimento del concetto di conflitto di interesse. Indubbiamente non si può non tener conto degli orientamenti e delle linee fornite e richieste dall’Europa ma è altrettanto vero che qualificare le società in house come società di diritto privato implica il naturale venir meno di meccanismi di controllo tesi a verificare che tali società non costituiscano di fatto delle succursali degli enti pubblici a cui fanno riferimento. Essendo sicuramente un equilibrio complesso da ricercare, sarebbe quantomai opportuno, in concomitanza al processo di liberalizzazione cui si assiste, prevedere almeno un adeguato impianto normativo che miri in modo effettivo e concreto a fare emergere tutte le situazioni, potenziali e di fatto, legate al conflitto di interessi che possa manifestarsi tra l’ente e la società magari prevedendo l’obbligo di dotarsi di un modello organizzativo che preveda controlli più rigidi e pregnanti. A titolo meramente esemplificativo, cosa succede se un operatore economico che si è reso aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica effettua una donazione a favore della società in house che è in controllo analogo dell’ente/stazione appaltante? È configurabile il conflitto di interessi? Possono esserci ipotesi di corruzione? Il requisito dell’alterità soggettiva e la mancanza del rapporto interorganico sono sufficienti ad escludere qualsiasi tipo di violazione? La questione non è di facile solvibilità e il dibattito rimane aperto.
6. Analisi della fondazione di partecipazione
Sicuramente il soggetto giuridico meno conosciuto e che desta più curiosità, anche perchè ad oggi appare il meno regolamentato e quindi il più congeniale a porre in essere fenomeni elusivi, è quello delle fondazioni di partecipazione. Si tenterà dapprima di fornire dei lineamenti generali sulla corretta collocazione di questa figura nel nostro ordinamento e successivamente si passerà in rassegna l’analisi di un caso pratico. Le fondazioni di cui si discute sono enti di diritto privato, ai quali pertanto si applica la disciplina comune e quindi il codice civile; ma, nel contempo, in ragione di un contatto qualificato con un’amministrazione pubblica, si espongono all’applicazione di segmenti di normativa pubblicistica, occorre di volta in volta verificare se il contatto qualificato con l’amministrazione pubblica implichi, ai sensi e per gli effetti di una determinata disciplina, che la fondazione debba essere considerata (e regolata) alla stregua di un’amministrazione pubblica, pur rimanendo ente privato sotto altre prospettive e ad altri fini.
Dall'emanazione della c.d. prima legge Bassanini, è derivata un'imponente opera di privatizzazione[70], che però da sola non ha fornito le indicazioni occorrenti per affermare la ammissibilità delle fondazioni di partecipazione. Si è in origine posto un problema legato preliminarmente all’ammissibilità nell’ordinamento di questa figura di fondazione sui generis. Il fenomeno nasce da un’evoluzione spontanea del modello di fondazione tradizionale, in risposta a esigenze pratiche emerse nel contesto dell’amministrazione pubblica e della società civile. Si colloca all’incrocio tra diritto civile, amministrativo e contabilità pubblica, rappresentando una delle più interessanti evoluzioni delle fondazioni, si tratta di una forma atipica che combina elementi propri delle fondazioni come la destinazione di un patrimonio a uno scopo, con tratti tipici delle associazioni come la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti. Si parla infatti di una nuova tipologia di fondazione – la c.d. fondazione di partecipazione’ – destinata a combinare alcuni elementi tipici delle figure fondazionali e di quelle associative[71].
La disciplina degli enti del terzo settore (D.Lgs. 117/2017), nel regolare il funzionamento dell'assemblea delle associazioni, prevede ad es. al comma 6 dell'art. 24 che “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche alle fondazioni del Terzo settore il cui statuto preveda la costituzione di un organo assembleare o di indirizzo, comunque denominato, in quanto compatibili ed ove non derogate dallo statuto. Da ciò si può quindi trarre un primo argomento a sostegno della generale ammissibilità della costituzione di fondazioni che, quand'anche non riconducibili agli enti del terzo settore, prevedano come organo necessario un'assemblea[72]. Secondo autorevole dottrina è “possibile configurare una fondazione che non persegua finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che non intenda far parte degli enti del terzo settore, rimanendo regolata solo dal codice civile e dal d.p.r. n. 361 del 2000”[73]. Tralasciando il problematico aspetto sulla disciplina applicabile al caso di recesso del socio[74] la quale involge profili marginali in relazione alla nostra analisi, per le fondazioni il punto cruciale dell'istituzione dell'ente è la destinazione d'un patrimonio allo scopo e l’effettiva adeguatezza dello stesso al perseguimento dello scopo. Per quanto qui di interesse, dato per pacifico l’ingresso nel nostro ordinamento delle fondazioni di partecipazione seppur con diversi tratti di atipicità legati alla non totale riconducibilità al codice del terzo settore, è la possibilità che le fondazioni siano partecipate da enti pubblici. Se pensiamo alla possibilità di perseguire finalità diverse dalla gestione di servizi pubblici e che siano di interesse sociale la disposizione che consente una maggior apertura alla partecipazione alla fondazione ma senza necessità di gare è nell'art. 119, per il quale “in applicazione dell'articolo 43 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati, i comuni, le province e gli altri enti locali indicati nel presente testo unico, possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi”[75]. Va inoltre considerato che l'intervenuta abrogazione del comma 6 dell'art. 9 del d.l. 95 del 2012, che fissava il “divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'articolo 118, della Costituzione”, ha portato la giurisprudenza contabile a ritenere oggi che non sussista più alcun ostacolo alla partecipazione ad una fondazione, “sia essa il frutto della trasformazione di preesistenti organismi, anche associativi, sia la conseguenza della costituzione ex novo di tali soggetti giuridici”[76]. Certo bisogna tenere conto che interessato a partecipare alla fondazione possa essere la regione (come nel caso che esamineremo in seguito) alla quale il TUEL non è applicabile. Ora lo snodo fondamentale, che riguarda però anche gli enti locali, è dato dall'impiego di finanza pubblica, che ovviamente è vincolato oltre quello della finalità perseguita. Per i giudici contabili “l'ente locale che istituisce una fondazione deve adottare tutte le cautele tese ad assicurare che essa sia in grado di generare un reddito capace di assicurare un equilibrio di bilancio”[77], indicazione che contrasta allora con la possibilità che l'ente si vincoli in qualsiasi modo a versare i contributi deliberati dall'assemblea, quali che siano. È chiaro allora che la partecipazione di un ente pubblico, in questi termini, può avvenire anzitutto solo a condizione che la fondazione sia finanziata o dai soli apporti dei privati o dall'esercizio di attività economiche necessariamente produttive del reddito occorrente per perseguire lo scopo stabilito[78]. Ai fini della qualificazione come ente pubblico delle fondazioni di partecipazione la giurisprudenza amministrativa ritiene infatti che, quando il controllo sulla persona giuridica privata spetti all'ente pubblico che vi partecipa, come accade se possa nominare il consiglio di amministrazione o la sua maggioranza, allora la fondazione diventi (o possa diventare ricorrendo altri presupposti relativi al fine perseguito), un organismo di diritto pubblico[79], come definito dal codice degli appalti[80] e dalla giurisprudenza domestica amministrativa[81] ma anche ordinaria[82] che discende da quella comunitaria[83]. Richiamando la possibilità di porre in essere fenomeni elusivi con lo strumento della fondazione, dovrebbe essere evidente che essa non possa essere istituita con lo scopo di realizzare con finalità sociali opere e servizi[84], sarebbe una chiara manovra per raggirare le procedure di gara e tutta la regolamentazione prevista da codice dei contratti pubblici.
7. Fondazione di partecipazione: obbligo di motivazione rafforzata per bilanciare il vuoto normativo del TUSP
Sempre più frequentemente si assiste all’uso e al ricorso alla fondazione di partecipazione quale strumento per conseguire gli scopi più disparati. È fisiologico che l’assenza di regolamentazione crea spazi volti alla degenerazione e ad un uso distorto della fondazione che può fungere da mezzo idoneo all’aggiramento ad esempio delle già menzionate procedure dell’evidenza pubblica o delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale, la fondazione non può essere utilizzata come “generico schermo privatistico finalizzato all’esercizio di funzioni pubbliche svincolate dall’applicazione dello specifico regime ad esse connesso”[85]. Allo stato attuale, l’assenza di disposizioni legislative ad hoc, ha implicato la necessità di svolgere un ragionamento che potremmo definire per analogia. L’ennesimo vuoto normativo è stato parzialmente colmato da un’emblematica pronuncia dei giudici contabili secondo cui “l’assenza di una disciplina organica per le fondazioni pubbliche ha portato dottrina e prassi a interrogarsi sulla possibilità di applicare il T.U.S.P. in via analogica o estensiva, soprattutto quando la fondazione presenti un contatto qualificato con la P.A. tale da configurare una forma di controllo pubblico….In altre parole, anche se l’art. 5 T.U.S.P. non è formalmente applicabile, i suoi principi – in particolare quelli relativi alla coerenza con le finalità istituzionali, alla sostenibilità economica e alla motivazione dell’atto costitutivo – devono essere rispettati ogniqualvolta una P.A. decida di costituire o partecipare a una Fondazione”[86]. Inoltre, gli stessi giudici contabili sembrerebbero porre un argine al copioso ricorso alle fondazioni da parte delle pubbliche amministrazioni nel momento in cui, per controbilanciare l’assenza di disposizioni legislative, pongono un obbligo che potremmo definire di motivazione “rafforzata” riconoscendo che “le Fondazioni di partecipazione rappresentano un modello organizzativo utile e flessibile per il perseguimento di finalità pubbliche, ma la loro natura ibrida impone una valutazione attenta e rigorosa del rapporto con la pubblica amministrazione. Anche in assenza di una norma espressa, infatti, le Amministrazioni pubbliche che intendano costituire o partecipare a una fondazione devono motivare adeguatamente tale scelta, dimostrandone la coerenza con le proprie finalità istituzionali e valutandone la sostenibilità economico-finanziaria”. È chiaro che, seppur non si voglia creare un testo legislativo dedicato alle fondazioni di partecipazione, emerge la necessità di emendare l’art. 5 del TUSP prevedendo espressamente anche tali soggetti.
8. Analisi ragionata sulla natura di ente pubblico della fondazione di partecipazione “Milano-Cortina 2026”
Coerentemente con il taglio pratico che la trattazione si prefigge, e alla luce delle considerazioni svolte in precedenza, si analizzerà attraverso l’esposizione di dati concreti la persona giuridica della Fondazione di partecipazione “Milano-Cortina 2026”. Giova preliminarmente evidenziare che, seppur resa in diversa fattispecie, come impostazione utilizzabile in via di principio generale la Corte dei conti del Veneto, nella delibera n. 130/2020/PAR, ha affermato che la coerenza della fondazione con le funzioni dell’ente locale è essenziale per evitare che risorse pubbliche siano destinate a finalità estranee, eludendo i vincoli di destinazione della spesa. Inoltre, ha ribadito che l’eventuale contribuzione pubblica non può diventare sistematica per coprire perdite, pena lo snaturamento della fondazione in uno “schermo privatistico” per l’esercizio di funzioni pubbliche. Dunque, partendo da tale assunto, si tenterà di far emergere i più volte menzionati 3 requisiti utili alla qualificazione di ente pubblico della fondazione “Milano- Cortina 2026”. Pare ridondante richiamare (ancora una volta) disposizioni normative già analizzate e già menzionate, lo scopo dell’analisi è rendere concreti aspetti di diritto e giurisprudenza concernenti la natura dell’ente pubblico, di essere pragmatici e fornire al caso concreto dei parametri che fungano da indirizzo. Tuttavia, nel caso in esame non si può non partire dall’art 11 del decreto legge n. 76 del 11 giugno 2024 ai sensi del quale “le attività svolte dalla Fondazione Milano Cortina 2026 non sono disciplinate da norme di diritto pubblico e che la Fondazione non riveste la qualifica di organismo di diritto pubblico”.
A parere di scrive e per autorevole dottrina[87], pur essendovi una disposizione ad hoc, la Fondazione presenta congiuntamente i 3 caratteri (personalistico, teleologico e requisito dell’influenza dominante) che la riconduco al riconoscimento della natura di ente pubblico.
Sul requisito personalistico pare esservi un pacifico riconoscimento dato che la Prefettura di Milano ha iscritto la Fondazione “Milano-Cortina 2026” nell’apposito Registro delle Persone Giuridiche il 07.02.2020 al numero d’ordine 1684 (pagina 6348), come riportato nell’Atto modificativo di Fondazione del 17.01.2023.
Sulla sussistenza del requisito teleologico legato al soddisfacimento di specifiche esigenze di interesse generale pare difficilmente ipotizzabile come un evento olimpico di portata mondiale possa non esserlo, basti pensare che la giurisprudenza ha riconosciuto la portata di interesse generale anche al carnevale di Viareggio[88]. Ed inoltre si riporta all’attenzione una recente sentenza del Tar Lombardia che nel riconoscere il diritto di accesso civico generalizzato promosso da un giornalista con lo scopo di rendere pubbliche le modalità di impiego degli stanziamenti per gli “extra costi” legati alle opere olimpiche si afferma che “le opere di realizzazione delle infrastrutture olimpiche sono….di interesse generale” oltre che di “interesse pubblico di rilevanza statale necessarie per l’evento” e che la richiesta dell’istante è legittima essendo gli extra costi finanziati con risorse derivanti dalla spesa pubblica come disposto dal cosiddetto “Decreto Sport”. Per i giudici amministrativi infatti “è evidente che, in relazione agli extra-costi sostenuti dalle società responsabili per la realizzazione delle opere olimpiche, i quali, per espressa ammissione del Comune di Milano, verranno coperti dalle risorse pubbliche stanziate con il Decreto Sport, la richiesta di accesso civico avanzata dal ricorrente non fuoriesce dall’ambito di controllo diffuso tutelato dall’art. 5 del d. lgs. n. 33/2013”[89]. Negli stessi termini l’ANAC, essendo la Fondazione costituita al principale fine di perseguire un compito coesseziale alla mission istituzionale di tali soggetti; ne consegue che essa è “volta a realizzare un interesse pubblico di portata generale”.[90]
Sul requisito dell’influenza dominante va evidenziato che è determinante svolgere un’attenta lettura dello statuto della fondazione secondo il quale all’art 1, comma 2 sancisce la totale composizione pubblica dei fondatori stabilendo che ne sono membri “la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (“CONI”), il Comitato Italiano Paralimpico (“CIP”), la Regione Lombardia, la Regione del Veneto, le Province autonome di Trento e di Bolzano, il Comune di Milano e il Comune di Cortina d'Ampezzo”. Ed inoltre dalla lettura dell’articolo 6 del predetto statuto emerge come gli amministratori siano nominati dai fondatori e che siano soggetti ad effettuare una periodica attività di rendicontazione a questi; si legge infatti che “per tutta la durata del proprio incarico, ciascun Consigliere relaziona con continuità all’ente Membro della Fondazione che lo ha nominato, per la trasmissione delle informazioni necessarie all’adempimento di eventuali obblighi di legge e un costante aggiornamento sulle attività della Fondazione”. Proseguendo, fino ad arrivare all’articolo 10 si evince che la nomina dell’amministratore delegato sia espressione della volontà governativa essendo questo “nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Membri della Componente Territoriale”. Dunque emerge in maniera evidente la soggezione al controllo pubblico e l’obbligo di rendicontazione a tutti gli enti pubblici/fondatori. Il potere di revoca e di nomina del consiglio di amministrazione di fatto è esercitato da enti pubblici.
A tal punto, a parere di chi scrive l’aspetto determinante da valutare è soprattutto quello della copertura finanziaria. È opportuno, con lo scopo di fornire elementi utili al corretto inquadramento giuridico della Fondazione, evidenziare gli impegni e gli obblighi “economici” assunti dagli enti pubblici in merito ad eventuali rimborsi da corrispondere al CIO in caso di cancellamento, limitazione o spostamento dei giochi e le garanzie a copertura degli eventuali “debiti residui” in capo alla Fondazione alla data di scioglimento della stessa.
Infatti per l’art 4 del D.L. 11 marzo del 2020 n. 16 “Per l'adempimento dell'impegno assunto dal Comitato Organizzatore di rimborsare quanto ricevuto dal Comitato Olimpico Internazionale a titolo di anticipo sui diritti televisivi, laddove l'evento sportivo dovesse subire limitazioni, spostamenti o venisse cancellato, è concessa, a favore del medesimo Comitato Olimpico Internazionale, la garanzia dello Stato fino ad un ammontare massimo complessivo di euro 58.123.325,71”. Quindi, se si considera che, il comitato organizzatore è confluito nella costituzione della fondazione “Milano- Cortina 2026”[91], se ne deduce che, in caso di inadempimenti e di debiti da ripianare lo Stato interverrà in soccorso della Fondazione.
Ed ancora, dalla delibera n.1 del 20 gennaio 2020 si apprende che “tra gli obblighi dei partecipanti alla Fondazione…vi è l’intervento solidale nelle eventuali perdite (shortfall) che Fondazione dovesse in qualche modo affrontare” e considerato la necessità di “precostituire una riserva in grado di fare fronte a un eventuale evento negativo” il Comune di Milano si impegna a garantire eventuali perdite per un ammontare complessivo di 99,9 milioni di euro. Dalla delibera si evince che oltre al Comune di Milano anche gli altri fondatori sono impegnati nelle eventuali perdite[92]ed emergono anche quelle che potremmo impropriamente definire percentuali di “suddivisione del rischio” anche in materia di diritti televisivi.
Dunque, dalla semplice e pedissequa piana lettura dei documenti e delle disposizioni legislative richiamate, è possibile intuire come, a parere di chi scrive, sia poco plausibile il riconoscimento di ente di diritto privato in capo alla fondazione “Milano- Cortina 2026”. D’altronde anche l’Autorità di controllo si è pronunciata in tal senso ritenendo che la Fondazione debba essere soggetta all’applicazione del codice dei contratti pubblici[93].
In virtù della recente giurisprudenza quantomeno per gli enti locali come il Comune di Milano, bisogna ragionevolmente porsi una domanda: cosa succederebbe se il Comune non fosse capace di far fronte ed eventuali impegni assunti? Il Tribunale di Roma, con decreto ingiuntivo n. 12818/2025 ha storicamente intimato lo Stato di rispondere dell’insolvenza di un ente locale sulla base di una emergente giurisprudenza unionale[94]. Orbene, lo scopo della disamina non è porre dei dubbi sulla solidità economico finanziaria del Comune di Milano ma porre l’accento su come il proliferare sul territorio nazionale di enti locali che abitualmente costituiscano fondazioni di partecipazione non possa far altro che implicare debiti di cui lo Stato debba rispondere pur non essendone il diretto responsabile. Tale meccanismo crea sicuramente una disarmonia con la riforma del titolo V della Costituzione volta a valorizzare le autonomie locali e ispirata al decentramento amministrativo. Il fatto che lo Stato debba ripianare eventuali debiti dell’ente locale implica fisiologicamente il moltiplicarsi di casi di mala gestio a detrimento della spesa e della cosa pubblica favorendo politiche di gestione che potremmo definire meno oculate e più “coraggiose” forti dell’intervento statale in qualità di “paracadute” per ripianare eventuali insolvenze.
9. Sul “visto di legittimità” della Corte dei conti ai sensi dell’art 5, comma 3 del TUSP: il caso “Società Ponte sullo stretto S.p.a.”
L’esistenza di una normativa[95] che preveda la necessarietà di quello che potremmo definire “visto di conformità” da parte della Corte dei Conti implica necessariamente il fatto che i soggetti giuridici che ne siano sottoposti sono volti al perseguimento di un interesse generale e alla gestione di uno stanziamento di spesa pubblica; implica, in definitiva, che debbano essere scongiurate le ipotesi di danno erariale e di mala gestio della cosa pubblica. L’ente interessato alla costituzione della società o all’acquisto di una partecipazione societaria (diretta o indiretta) deve trasmettere l’atto deliberativo alla Corte dei conti che entro 60 giorni deve verificarne la compatibilità con riguardo alla sostenibilità finanziaria e alla compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa, decorsi i 60 giorni in mancanza del pronunciamento (che assume la veste formale di parere pur trattandosi sostanzialmente di un controllo) si prescinde da questo e si può procedere autonomamente. Le Sezioni Riunite in sede di controllo hanno evidenziato l’esigenza di “sottoporre a scrutinio i presupposti giuridici ed economici della scelta dell’amministrazione, prima che la stessa venga attuata mediante gli strumenti del diritto privato; ciò in ragione delle rilevanti conseguenze che la nascita di un nuovo soggetto societario o l’intervento pubblico in una realtà già esistente determina sotto molteplici profili”[96]. In ordine ai requisiti da valutare il giudice contabile è tenuto a “verificare che il provvedimento adottato dall’amministrazione contenga un’analitica motivazione in ordine a cinque parametri:
i) “necessità” della società per il perseguimento delle finalità istituzionali (come declinate dal precedente art. 4 del medesimo T.U.S.P.);
ii) ragioni e finalità che giustificano la scelta sul piano della convenienza economica in relazione alle due diverse opzioni di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato (o da affidare);
iii) sostenibilità finanziaria, in senso oggettivo e soggettivo di tale scelta, in relazione alle due diverse opzioni di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato (o da affidare);
iv) compatibilità con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa;
v) assenza di contrasto con le norme dei Trattati europei e, in particolare, con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato alle imprese”[97].
E ancora per la Corte “la serietà dell’analisi, dunque, richiede che il vaglio della Sezione regionale di controllo non si riduca alla semplice presa d’atto della rappresentazione istruttoria fornita dall’Amministrazione, e dall’altro che l’amministrazione svolga una sua istruttoria preliminare fornendone in modo esaustivo gli elementi, evitando cioè superficiali descrizioni e valutazioni meramente apodittiche”.
Si segnala che è stato elaborato dalla giurisprudenza contabile, proprio coi fini di rendere un approccio pratico, un questionario da allegarsi alla richiesta di parere contemplante una serie di quesiti analiticamente sviluppati afferenti ai seguenti parametri richiesti dall’art. 5 del T.U.S.P[98].
In relazione al fatto se la Corte dei conti per il ruolo che riveste sia o meno competente ad esprimere il parere non vi sono molti dubbi considerando che ai sensi dell’art. 5, comma 4 del TUSP “per gli atti delle regioni e degli enti locali, nonché dei loro enti strumentali, delle università o delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione, è competente la Sezione regionale di controllo”.
Recentemente volendo ancora una volta perseguire l’approccio pratico che è il trait d’union della trattazione, la Corte dei conti in merito alla legittimità della “Società Ponte sullo stretto” e in relazione allo scopo che questa si prefigge, in un recente comunicato stampa ha già preannunciato che non rilascerà il visto e ha ribadito come “il rispetto della legittimità è presupposto imprescindibile per la regolarità della spesa pubblica, la cui tutela è demandata dalla Costituzione alla Corte dei conti”[99]. Ha, inoltre, evidenziato “come risulterebbe non compiutamente assolto l'onere di motivazione difettando, a sostegno delle determinazioni assunte dal Cipess, anche in relazione a snodi cruciali dell'iter procedimentale, una puntuale valutazione degli esiti istruttori”. Per cui la delibera si presenta “più come una ricognizione delle attività intestate ai diversi attori istituzionali del procedimento che come una ponderazione delle risultanze”[100]. Tale posizione pone un freno all’emendamento che ha visto qualificare la Società Ponte sullo Stretto S.p.a. come stazione appaltante.
Si tenga conto che la Cassazione penale a Sezioni Unite, richiamando e facendo sue alcune pronunce, ha affermato che “in tema di giudizi di responsabilità per danno erariale, le Sezioni Unite civili hanno ritenuto che “si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, si perseguono le finalità proprie dell'amministrazione pubblica mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato (così, tra le tante: Sez. U civ., n. 7645 del 01/04/2020, Rv. 657525 - 01; Sez. U civ., n. 32608 del 12/12/2019, Rv. 656173 - 01; Sez. U civ., n. 19667 del 22/12/2003, Rv. 569157- 01). E, sembra opportuno rilevarlo, questa affermazione è stata ribadita per individuare una delle condizioni necessarie per il radicamento della giurisdizione contabile anche in relazione ad attività svolta per conto di fondazioni di diritto privato e concernente investimenti finanziari a notevolissimo rischio (Sez. U civ., n. 7645 del 01/04/2020, cit.)”[101].
Tornando all’analisi precedentemente svolta, confermando la tendenza che attualmente le fondazioni di partecipazione siano regolamentate dalla giurisprudenza sulla base di ragionamenti per analogia, anche in relazione al visto della Corte dei conti si addiviene alla conclusione che pur ribadendo che “le fondazioni di partecipazione rappresentano un modello giuridico atipico che si è affermato nella prassi amministrativa come strumento di collaborazione tra pubblico e privato per il perseguimento di finalità di utilità sociale” rientrino nel novero dei soggetti obbligati di cui all’art. 5 del TUSP[102].
10. Il concetto di ente pubblico secondo lo “split payment”
Ai sensi dell’art 17 ter del DPR 633 del 1972 rubricato “Operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società” : “Per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di amministrazioni pubbliche, come definite dall'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni e integrazioni, per le quali i cessionari o committenti non sono debitori d'imposta ai sensi delle disposizioni in materia d'imposta sul valore aggiunto, l'imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze”. La norma non fa altro che definire quello che è convenzionalmente noto come “splyt payment” ossia il sistema di scorporo dell’IVA. In base a tale meccanismo le Pubbliche Amministrazioni, anche se non rivestono la qualità di soggetto passivo dell'IVA, sono tenute a versare direttamente all'erario l'imposta sul valore aggiunto che è stata addebitata loro dai fornitori. Sulla base di tali premesse giova evidenziare come, il riconoscimento di ente pubblico in capo alle persone giuridiche diverse dalla classica nozione di pubblica amministrazione è determinante anche per garantire e assicurare tempestivamente il versamento dell’IVA all’erario in modo tale da avere un introito immediato e non differito nel tempo. A tal fine sarebbe quindi auspicabile anche un’armonizzazione della disciplina dello splyt payment in combinato disposto con le disposizioni tese a regolamentare gli enti pubblici “di fatto” che pur non essendolo formalmente si trovino comunque nella posizione di gestire stanziamenti pubblici finalizzati al perseguimento di interessi generali.
11. La nozione di pubblica amministrazione secondo il TUPI
Altra tematica degna di nota è l’applicabilità del testo unico del pubblico impiego a tutte quelle forme giuridiche che pur non essendo formalmente enti pubblici lo siano di fatto o in determinati momenti secondo la logica del caso per caso. La trattazione si propone di creare delle linee uniformi supportate da una solida giurisprudenza che possa portare a delineare o meno l’applicabilità del citato testo unico.
Da un punto di vista della prestazione lavorativa e della disciplina contrattuale ad essa applicabile, l’art 1, comma 2 del D.Lgs. 165 del 2001 definisce pubbliche amministrazioni tutte “le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”.
Inoltre l'art. 2, comma 2, D.Lgs. 165/2001, prevede che “i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell' impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto”. Si riproduce perciò l’applicabilità al rapporto lavorativo delle norme privatistiche, salvo eccezioni costituite o dalla positiva esclusione di tali norme (a vantaggio di altre) o da deroghe puntuali, più o meno ampie. Sul piano giurisdizionale, la riforma si traduce nell'attribuzione al giudice ordinario specializzato (giudice del lavoro) di tutte le controversie di lavoro dei dipendenti pubblici, purché relative “a questioni attinenti al periodo di rapporto successivo al 30 giugno 1998” (data che funge quindi da discrimine temporale per il nuovo regime giurisdizionale) ivi comprese quelle concernenti l'assunzione al lavoro[103]. Restano tuttavia al giudice amministrativo le controversie per l'assunzione che abbiano ad oggetto la fase della procedura concorsuale, essendosi evidentemente scorto in questa fase una predominanza del cosiddetto “ager publicus”.
In relazione alle controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende municipalizzate, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che la loro cognizione “spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, in considerazione della natura privatistica del rapporto stesso con tali aziende, che integrano strutture con connotati di impresa, autonome rispetto all'organizzazione pubblicistica del Comune. Appartiene, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario anche la cognizione della domanda con cui un soggetto faccia valere il suo diritto all'assunzione alle dipendenze di un'azienda municipalizzata, in virtù proprio della natura privatistica dell'attività svolta, anche con riferimento all'espletamento delle procedure concorsuali”[104].
Tale orientamento è condiviso anche dalla giurisprudenza amministrativa la quale, al riguardo, ha ribadito che “ai sensi dell'art. 2093, alle imprese gestite da enti pubblici e ai relativi dipendenti si applicano le disposizioni sull' impresa contenute nel codice stesso; pertanto, le relative controversie esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo. Infatti, nell'ambito degli enti pubblici non economici sono enucleabili delle strutture ontologicamente e funzionalmente distinte rispetto all'apparato istituzionale degli enti stessi e non operando come pubbliche amministrazioni né come strumenti di amministrazione attiva, rivestono i connotati propri dell'organizzazione economica imprenditoriale di cui alla previsione normativa dell'art. 2093, 2° co., e quella dell'art. 409 c.p.c., con la conseguenza che le controversie relative ai rapporti di lavoro dedotti come intercorrenti con siffatte strutture rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario”[105]. Sempre il giudice amministrativo ha specificato che “nelle ipotesi in cui si controverta in materia di contratto di lavoro instaurato da azienda municipalizzata costituita in forma di società per azioni ai sensi dell'art. 115 t.u. enti locali e, quindi, soggetta al regime proprio degli enti pubblici economici, la matrice pubblicistica si configura esclusivamente sotto il profilo organizzativo, quando cioè predispongono con provvedimento discrezionale la propria struttura e le regole del proprio funzionamento, mentre il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, intervenendo successivamente, allorché si è già formata una organizzazione, ricade nella disciplina privatistica di cui all'art. 2093”.[106]
Si segnala inoltre che, per quanto concerne la competenza del giudice del lavoro in relazione alle controversie individuali di lavoro relative ai dipendenti degli enti pubblici, l’art 409 c.p.c. ai commi 4 e 5 statuisce che “si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica; rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, semprechè non siano devoluti dalla legge ad altro giudice”.
La tematica più delicata è sicuramente l’applicabilità o meno della procedura concorsuale per quanto riguarda il reclutamento del personale ai sensi dell’art. 97 Cost. secondo cui “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”. Il punto da analizzare e da porre all’attenzione di chi legge a prescindere da qualsiasi disposizione di dettaglio, è che se la copertura finanziaria è data dallo stato o comunque è finanziata con soldi pubblici pare di difficile soluzione derogare al principio generale richiamato a prescindere dalla qualificazione giuridica del soggetto interessato dalla procedura assunzionale. Sarebbe paradossale non poter invocare, per una mera qualificazione formale, la violazione dell’art 97 Cost. da parte di una persona giuridica che si avvale di personale retribuito con denaro pubblico e perseguente interessi generali[107]. La giurisprudenza, con riferimento alle società pubbliche, si è espressa sostenendo che “in questo nuovo quadro normativo per l’assunzione del personale assumono una pregnante valenza anche i principi costituzionali, fissati dall’art. 97 e dall’art. 98 della Costituzione. Nella logica dell’amministrazione «di risultato», che non distingue più tra erogazioni di atti e di servizi, in quanto agisce sempre e comunque al servizio del cittadino e, con accenti tipici della società moderna, per la soddisfazione dell’utente, le società controllate dall’ente pubblico che erogano servizi pubblici devono impiegare selezioni imparziali, trasparenti, pubbliche, ancorate a sistemi oggettivi e predeterminati, a garanzia non solo di chi vi partecipa, ma anche dei terzi, destinatari dell’attività societaria. In sostanza anche per le società a partecipazione pubblica che erogano servizi di interesse generale si pone l’esigenza di adottare procedure di assunzione idonee a selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti loro affidati”[108].
Orbene è da segnalare che vi sono alcune disposizioni legislative sparse tese a regolamentare determinati soggetti giuridici. È il caso dell’art 19, comma 2 del TUSP che sembrerebbe prevedere una sorta di procedura paraconcorsuale per le società a controllo pubblico che sono tenute al rispetto di determinati criteri e parametri ma sono comunque libere dal vincolo della procedura concorsuale in senso stretto prevista dall’art 97 della Costituzione. La disposizione potrebbe essere pacifica laddove la società a controllo pubblico reperisse autonomamente la fonte di finanziamento per le assunzioni ma giova evidenziare che i commi successivi dell’articolo 19 prevedono, seppure con parametri stringenti e al ricorrere di determinate condizioni, la possibilità di effettuare una mobilità dalla società all’ente pubblico qualora il servizio oggetto della prestazione venga reinternalizzato. È sicuramente un’ipotesi che andrebbe rivista proprio per evitare quelli che potrebbero delinearsi come fenomeni di pantouflage[109] dato che di fatto si configura il passaggio di un dipendente dal privato (può essere il caso delle società in house che sono state in precedenza trattate) al pubblico. E ancora, sarebbe opportuno aggiornare e rivedere la disciplina sulla inconferibilità degli incarichi data la copiosa tendenza che consente alla classe dirigente di porsi in aspettativa presso l’amministrazione di appartenenza e di ricevere incarichi presso le società partecipate dall’ente stesso. Emerge, ancora una volta, la necessità di meglio delineare le già richiamate ipotesi di conflitto di interessi e prevenzione dei meccanismi corruttivi.
12. L’amministratore quale incaricato di pubblico servizio, riflessioni alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 34036 del 16 ottobre 2025
Prima di svolgere le considerazioni che seguiranno giova ancora una volta partire da quella che, in un quadro normativo disarmonico e lacunoso, sembra essere la premessa più valida e pragmatica: il fatto che una persona giuridica sia destinataria di uno stanziamento pubblico vincolato al perseguimento di un interesse generale è sufficiente a connotare in capo agli amministratori della stessa la qualifica di incaricato di pubblico servizio?
Ai sensi dell’art. 358, comma 1 c.p.: “Sono incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio” ed ancora “per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”. Dunque, partendo da tale assunto, giova soffermarsi sulla recente pronuncia della Cassazione[110] resa nell’ambito del giudizio sulla possibilità che la raccolta del risparmio postale abbia natura pubblicistica e, in caso positivo, se l’operatore di Poste Italiane s.p.a. addetto alla vendita e gestione di tali prodotti rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. Per il Collegio “il dipendente di Poste italiane S.p.A., quando agisce in relazione dell'attività di raccolta del risparmio postale, riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto tale attività ha una specifica connotazione pubblicistica”. E ancora i Giudici sembrano superare il già richiamato “velo formale”[111] e sottolineare che il processo di privatizzazione che ha investito poste non sembra inficiare quelle che di fatto ed effettivamente sono le funzioni e i servizi svolti da quella che attualmente si configura come S.p.A. e, infatti, si legge che “anche dopo la c.d. "privatizzazione" dell'Ente “oste in società per azioni, le disposizioni normative hanno continuato ad evidenziare la natura pubblicistica dell'attività di raccolta del risparmio postale”. Dunque, seppur rese nell’ambito di un contesto diverso da quello oggetto della trattazione, sembra potersi desumere un campionario di principi utili ai fini della disamina. Sulla nozione di incaricato di pubblico servizio ribadisce come essa sia “predicabile indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di impiego tra l'agente ed un ente pubblico, in quanto l'art. 358 c.p. fa riferimento a colui che, a qualunque titolo, presta un servizio pubblico, e richiede una regolamentazione pubblicistica di quest'ultimo, che vincola l'operatività del soggetto o ne disciplina la discrezionalità in coerenza col principio di legalità”[112]e ancora “al fine di stabilire se l'attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen., è necessario verificare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi - nell'ambito dell'attività definita pubblica sulla base di detto parametro oggettivo - la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza (nell'una) o la mancanza (nell'altro) dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell'art. 357 cit.”. Continuando l’analisi delle argomentazioni svolte, per gli Ermellini, richiamando una serie di casi[113], la personalità giuridica di diritto privato non esclude la configurabilità della qualifica di incaricato di pubblico servizio. Il profilo di maggior rilevo è che si giunge alla conclusione che “possa rivestire la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio l'amministratore di una società a partecipazione pubblica anche quando questa partecipazione sia minoritaria e non di maggioranza, a condizione che sussista il carattere pubblico del servizio svolto dall'impresa (Sez. 6, n. 22282 del 07/05/2024, Rinaldi, Rv.286666 - 01)”[114]. L’argomentazione è ricca e articolata e i Giudici proseguono delineando un ulteriore approccio pratico volto alla verifica “se l'attività, sebbene svolta per conto di un soggetto di diritto privato, e quindi anche di una società, e sebbene realizzata mediante strumenti di diritto privato, debba ritenersi regolata da una disciplina pubblicistica”. Un'affermazione costante, ripetuta da numerosissime decisioni, è quella secondo cui il parametro di delimitazione esterna del pubblico servizio è identico a quello della pubblica funzione ed è costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l'operatività dell'agente o ne disciplina la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell'autonomia privata. Si avverte - ancora - la necessità di richiamare pedissequamente la pronuncia in epigrafe perché, dato il suo approccio estremamente pratico assume a pieno titolo i caratteri di linea guida, anche attraverso il richiamo ad una solida rassegna di casi pratici volti a porre l’attenzione sull'attività “che viene in rilievo ai fini della qualifica di incaricato di pubblico servizio o di pubblico ufficiale, non è solo quella dell'ente, ma anche, e segnatamente, quella concretamente esercitata dal soggetto agente, la cui condotta costituisce il riferimento dell'imputazione” (sembra un’affermazione volta a rimarcare il concetto di “longa manus”). Il criterio dell’attività effettivamente svolta sembra anche coerente e in armonia con il comma 2 dell’art 358 che esclude dall'area del pubblico servizio sia lo “svolgimento di semplici mansioni di ordine” sia la “prestazione di opera meramente materiale”. È necessario fare riferimento “all'attività svolta dallo specifico soggetto agente, e non a quella complessiva dell'ente di riferimento, nonché, nel caso di più attività svolte dal medesimo soggetto agente, a quella cui specificamente attiene la condotta oggetto di contestazione” ed ancora “ad avviso delle Sezioni Unite, ai fini della configurabilità della qualifica di pubblico agente, non hanno funzione preclusiva né lo svolgimento dell'attività per conto di ente strutturato sulla base di forme privatistiche, né, almeno di per sé solo, l'impiego, nell'esplicazione di tale attività, di contratti di diritto privato”. Si giunge poi alla conclusione che il pubblico servizio possa essere erogato “anche mediante contratti di diritto privato, se questi costituiscono strumenti operativi di un modulo organizzativo specificamente istituito per l'effettuazione di prestazioni di interesse pubblico, che mette a disposizione a tal fine risorse pubbliche in forza di una previsione normativa e senza obblighi di pagare un corrispettivo, che assicura il servizio agli interessati in condizioni di parità, continuità ed obbligatorietà, e che impone all'erogatore vincoli di "prezzo", con recessività dello scopo di profitto rispetto a quello di erogazione…il pubblico servizio può essere fornito anche mediante contratti di diritto privato, quando questi sono strumenti operativi di un modulo organizzativo specificamente istituito per l'effettuazione di prestazioni di interesse pubblico, che mette a disposizione a tal fine risorse pubbliche in forza di una previsione normativa e senza obblighi di pagare un corrispettivo, che assicura il servizio agli interessati in condizioni di parità, continuità ed obbligatorietà, e che impone all'erogatore vincoli di "prezzo", con recessività dello scopo di profitto rispetto a quello di erogazione”. La pronuncia in esame ci porta a svolgere alcune considerazioni che interessano la nostra trattazione: preliminarmente viene ribadito ancora una volta la necessità di svolgere dei ragionamenti e delle valutazioni in concreto a prescindere dalla veste formale che la persona giuridica assume; viene inoltre riconosciuta in capo agli amministratori della società, seppur in presenza di determinate condizioni, la qualifica di incaricato di pubblico servizio e conseguentemente permette il configurarsi in capo a questi la possibilità di essere chiamati a rispondere di peculato e non di appropriazione indebita e questo rappresenta sicuramente il passaggio ad una forma di “tutela rafforzata” della spesa pubblica.
13. La pubblica amministrazione secondo il diritto di accesso ai sensi della L. 241 del 1990
Giova evidenziare come, la natura di ente pubblico influisca anche sugli obblighi di trasparenza e partecipazione al procedimento amministrativo. Infatti ai sensi dell’art. 23 delle L. 241 del 1990 “Il diritto di accesso di cui all'articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi”. Sicuramente ci troviamo dinanzi ad una disposizione normativa estremamente includente ma che necessita sicuramente di un adattamento a quelle che sono le esigenze attuali tese ad includere in modo esplicito anche ad esempio le fondazioni di partecipazione o le altre persone giuridiche private.
14. Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, l’amministratore ad hoc
Nell’ambito delle disposizioni normative che nel nostro ordinamento, a più riprese, cercano di definire e delineare cosa debba intendersi per organismo di diritto pubblico, non ci si può non soffermare sulla figura del responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza.
Si noti come, in relazione agli obblighi in materia di anticorruzione, il comma 59 dell’art. 1 della L. 190/2012 (recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”) circoscrive l’applicazione delle disposizioni dettate dai precedenti commi da 1 a 57 alle sole amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 165/2001. Quindi, il testo normativo, col fine di delineare l’ambito soggettivo di applicazione delle suddette disposizioni, attraverso un’operazione di rimando, fa propria la nozione di Pubblica amministrazione prevista nel testo unico del pubblico impiego. E ancora, per quanto concerne la disciplina sugli obblighi di trasparenza, il comma 34 del medesimo articolo, statuisce che sono tenuti al rispetto di tali prescrizioni “le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli enti pubblici nazionali, nonché alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea”. Sicuramente il comma 34 rispetto al 59 si presta ad essere più inclusivo, ad ampliare il novero dei soggetti tenuti al rispetto delle succitate disposizioni e si presta ad una visione più fattuale e sostanziale della persona giuridica.
Dalla lettura combinata dei due commi analizzati, se ne deduce che vi è un’ampia platea di soggetti giuridici tenuti al rispetto delle predette disposizioni, ma si è certi che non vi siano forme giuridiche che non essendo annoverate sfuggono alle maglie dei protocolli anticorruzione? È pacifico che il catalogo di soggetti obbligati delineato dai due commi sia sufficientemente ampio?
Da una prima lettura, a parere di scrive, sembra esservi un vuoto normativo legato alla mancata previsione delle fondazioni di partecipazione tra il novero dei soggetti obbligati. Certo la lacuna viene parzialmente recuperata quando all’art. 1 comma 2 bis della L. 190/2012 si prevede che: “Il Piano nazionale anticorruzione… costituisce atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione, e per gli altri soggetti di cui all’articolo 2-bis, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai fini dell’adozione di misura di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, anche per assicurare l’attuazione dei compiti di cui al comma 4, lettera a)”
Tra i soggetti di cui all’art. 2-bis, comma 2 del D.Lgs. 33/2013 rubricato “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” sono incluse, sub lett. c), anche le fondazioni che presentino tre particolari requisiti[115]. Se ne può dedurre che, in presenza di determinati parametri, anche le fondazioni di partecipazione siano tenute ad adottare misure integrative del “modello 231” volte a prevenire fenomeni di corruzione e illegalità in coerenza con le finalità della L. 190/2012. La prevenzione della corruzione assume carattere di interesse generale da tutelare[116], le amministrazioni pubbliche aventi partecipazioni in fondazioni devono promuovere l’adozione del modello di organizzazione e gestione ex D.Lgs. 231/2001 e, con specifico riguardo all’attività di pubblico interesse, l’adozione di protocolli di legalità contenenti misure di prevenzione della corruzione necessarie ad assicurare la correttezza dell’attività svolta[117]. Il recupero della lacuna, definita parziale, è tale proprio perché non è esplicitamente richiamata la figura delle fondazioni di partecipazione e, l’applicabilità della disciplina a queste è possibile, in via deduttiva, solo a fronte di una lettura in combinato di più normative e in presenza cumulativa dei 3 parametri menzionati in nota. Basti pensare, a titolo esemplificativo che laddove una fondazione di partecipazione abbia un bilancio inferiore a 500.000 euro, pur in presenza degli altri due requisiti, non sia tenuta alla prevenzione della corruzione.
Quanto agli obblighi in materia di trasparenza, le fondazioni di partecipazione sono tenute[118]a pubblicare sul proprio sito internet entro il 30 giugno di ogni anno, le informazioni relative a sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o altra natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, che siano stati effettivamente erogati nell’esercizio finanziario precedente da amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 165/2001 e dai soggetti di cui all’art. 2-bis del D.Lgs. 33/2013. Altra disposizione alla quale le fondazioni sfuggono sono gli obblighi di pubblicazione imposti dall’art. 22 del D.Lgs. n. 33/2013 in relazione agli enti finanziati, costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni secondo cui in base alla norma citata, ciascuna pubblica amministrazione aggiorna annualmente “l’elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, in controllo dell’amministrazione, con l’indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell’amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate. Ai fini delle presenti disposizioni sono enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciuti, anche in assenza di partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici e dei componenti degli organi”.
Il caso analizzato delle fondazioni di partecipazione è emblematico per dare la percezione di quanto sia necessario un approccio pratico e operativo senza il quale si delineerebbero delle zone d’ombra a discapito della procedimentalizzazione che richiede l’attività di gestione e impiego delle risorse pubbliche. Dall’analisi proposta sono emerse ancora una volta le lacune della normativa di riferimento dovute anche all’obiettiva scivolosità della materia trattata. Piuttosto che elaborare cataloghi, elenchi o definizioni di rimando sarebbe auspicabile, nel momento in cui una persona giuridica (qualunque forma essa rivesta) sia destinataria di sovvenzioni e risorse pubbliche destinate al perseguimento di un interesse generale prevedere “in automatico” la nomina di responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza ad hoc in capo ad uno degli amministratori della persona giuridica destinataria. Tale nomina sarebbe destinata a sorgere con lo stanziamento e ad esaurirsi con il conseguimento dell’interesse generale. Il “punto di contatto” necessario a determinare l’obbligo di nominare un RPCT dovrebbe essere rappresentato dal prendere in gestione soldi pubblici finalizzati al perseguimento di interessi generali. Si ricordi che comunque, il contrasto alla corruzione è un fenomeno che trova collocazione anche nelle relazioni tra privati: infatti l’art 2635 c.c. rubricato “Corruzione tra privati” prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo”. È evidente come si tratti di un fenomeno di portata generale aprioristicamente ripudiato dal nostro ordinamento e avente rilevanza a prescindere dal coinvolgimento o meno dell’ente pubblico. Seppur esistente praticamente da sempre, la citata disposizione codicistica pare ad oggi poco praticata; sarebbe dunque necessario, in un contesto come quello che si sta analizzando caratterizzato dalla commistione tra pubblico e privato, riportarla in auge e procedere ad una effettiva attuazione della norma facendole assumere quantomeno i caratteri di disposizione residuale tutte quelle volte in cui non fosse ipotizzabile che vi sia il menzionato punto di contatto volto a connotare l’esistenza di un soggetto pubblico danneggiato.
[1] Come definito dal Regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio, n. 549/2013.
[2] Ai sensi dell’art. 1, co. 2 della L. 196/2009, “Ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 228, e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo, effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.
[3] Corte dei conti, Sez. riun. contr. n. 9/2025, parifica del bilancio dello Stato.
[4] R. GAROFOLI, Compendio di diritto Amministrativo parte generale e speciale, Nel diritto, ed. 2024-2025.
[5] Sul punto si veda F. CINTIOLI, D. IELO, I profili soggettivi, in R. VILLATA, M. BERTOLISSI, V. DOMENICHELLI, G. SALA, I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Cedam, Padova, 2014, p. 255; F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Cedam, Milano, 2018, p. 1007.
[6] F. CARINGELLA, M. PROTTO, Codice e regolamento unico dei contratti pubblici, Dike, Roma, 2011, p. 34.
[7] G. IUDICA, A. CARULLO, Commentario breve al Codice degli appalti, Cedam, Padova, 2018, p. 331 ss.
[8] L’organismo di diritto pubblico, pertanto, si configura proprio come “un soggetto cangiante” perché “è equiparato a una pubblica amministrazione quando fa una gara d’appalto, tornando ad essere privato negli altri casi” R. CHIEPPA - R. GAROFOLI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2018, 361.
[9] Si veda sempre la delibera ANAC n. 427 dell’11102023 p. 7 in cui “Il principio in questione è stato ribadito anche con la delibera n. 691 del 17.07.2019, con la quale è stato chiarito che: “le Aziende Speciali degli enti locali disciplinate dall’art. 114 TUEL (“L'azienda speciale è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale”), qualificate da costante orientamento di questa Autorità (Orientamento numero 16 del 06 maggio 2015; AG 30/2015/AC; Orientamento numero 15 del 30 aprile 2015 disponibili sul sito istituzionale), ai fini dell’applicazione del d.lgs. 39/2013, come enti pubblici economici secondo quanto stabilito nell’art. 1, comma 2, lett. b) del predetto decreto legislativo, ossia tra «gli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati»”. Pertanto, in base al relativo Statuto nonché alla luce dei precedenti citati, l’Azienda sembra qualificabile come un ente pubblico – apparentemente di livello provinciale, in quanto strumentale a diversi comuni siti nella Provincia di omissis – ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. b), del d.lgs. n. 39/2013”.
[10] Corte di Giustizia delle Comunità Europee (CGCE), sentenza 15 gennaio 1998, causa C-44/96, Mannesmann Anlagenbau Austria AG contro Strohal Rotationsdruck GmbH. Materia successivamente disciplinata dalla Direttiva UE n. 24/2014. Ed ancora si veda L’art. 1 direttive 92/50/CEE (servizi), 93/36/CEE (forniture) e 93/37/CEE (lavori), ora art. 3, comma 26, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, definisce l’organismo di diritto pubblico come «qualsiasi organismo, anche in forma societaria: - istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; - dotato di personalità giuridica; - la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico».
[11] Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza n. 14958 del 7 luglio 2011.
[12] Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 7393 del 12 ottobre 2010. Da ultimo vedi sent. n. 8542 del 26 giugno 2023 sempre sez. V secondo cui in base all’art. 3, lett. d), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 deve ritenersi che tre sono le condizioni perché possa parlarsi di un “organismo di diritto pubblico” ai fini dell’applicazione della normativa sui contratti pubblici: deve trattarsi, in particolare, di un soggetto 1) dotato di personalità giuridica; 2) sottoposto ad influenza pubblica dominante; 3) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale. Si tratta di una tipologia di amministrazione fondata su parametri oggettivi, ossia sulla tipologia delle attività esercitate e sulla natura delle stesse; i requisiti in questione non sono inoltre tra loro alternativi, ma devono essere posseduti cumulativamente (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7031) e sono valutati dal giudice caso per caso, in quanto l’elenco degli organismi di diritto pubblico – di cui all’allegato IV del Codice dei contratti pubblici – non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo (Consiglio di Stato, Sez. V, 15 luglio 2021, n. 5348).
[13] Corte dei Conti - Sez. Reg. di Controllo per la Liguria, Deliberazione n. 81/2013; Corte dei Conti - Sez. Reg. di Controllo per il Lazio, Deliberazione n. 151/2013/PAR; Corte dei Conti - Sez. Reg. di Controllo per la Basilicata, Deliberazione n. 52/2017/PAR).
[14] La nuova formulazione dell’articolo si sofferma particolarmente sul requisito teleologico sulla scorta della giurisprudenza comunitaria che esalta la doppia indagine su interessi perseguiti ed attività svolta (non commerciale o industriale) come evidenziato dal parere ANAC funz. cons. n. 19 del 2025 in cui “La nozione di organismo di diritto pubblico sopra richiamata recepisce la ricostruzione operata dal legislatore comunitario e conferma, altresì, la disciplina già dettata in materia dal previgente d.lgs. 50/2016, contemplante all’art. 3, comma 1, lett. d), disposizioni pressoché sovrapponibili a quella sopra riportata. Nella nuova disposizione è stato effettuato un adattamento «all’elaborazione giurisprudenziale nel frattempo divenuta diritto vivente: in quest’ottica si spiega, ad esempio, nella definizione del requisito teleologico dell’organismo di diritto pubblico (art. 3, lett.c), la scelta di riferire il carattere non commerciale o industriale all’attività svolta e non più al bisogno soddisfatto (…)” (Relazione Illustrativa del d.lgs. 36/2023). Con specifico riguardo al requisito teleologico, inoltre, è stato evidenziato che l’organismo di diritto pubblico si caratterizza per il suo asservimento al soddisfacimento di esigenze di interesse generale che persegue lasciandosi “guidare da considerazioni diverse da quelle economiche”, quand’anche parte della sua operatività sia svolta sul mercato. Tale figura “non ricorre quindi quando il soggetto esercita la sua missione in un contesto economico concorrenziale con i privati ed è gestito secondo criteri di efficacia e redditività tipici dell’imprenditore privato, con assunzione del rischio di impresa (parere AG 3/2021, parere AG12/2011, Parere AG 20-2009). Al contrario, ricorre la figura dell’organismo di diritto pubblico, quando il soggetto non fondi la sua attività principale solo su criteri di rendimento, efficacia e redditività, non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento dell’attività (i quali devono ricadere sulla pubblica amministrazione controllante) e il servizio d’interesse generale, oggetto dell’attività, non possa essere rifiutato per mere ragioni di convenienza economica (Cass. SS.UU., 28 marzo 2019, n. 8673; Cons. Stato, V, 19 novembre 2018,
n. 6534). Inoltre gli approdi giurisprudenziali più recenti in materia, pongono l’accento sulle ragioni istitutive dell’organismo di diritto pubblico, affermando che ricorre il requisito teleologico se l’organismo è stato costituito da un soggetto pubblico appartenente al perimetro allargato della pubblica amministrazione, per dare esecuzione ad un servizio che è necessario perché è strettamente connesso alla finalità pubblica di quest’ultimo (sul punto parere AG3/2021 e giurisprudenza ivi citata; parere Funz. Cons 70/2022)”.
[15] Vedi Tar Veneto, sez. I, n. 1046 del 2025.
[16] Per la ricostruzione del fenomeno che ha portato all’elaborazione della nozione di organismo di diritto pubblico, v., in particolare, A. POLICE, Dai concessionari di opere pubbliche alle società per azioni di “diritto speciale”: problemi di giurisdizione, in Dir. Proc. Amm., 1996.
[17] Ai fini della determinazione del potere di controllo dello Stato sull’ente di riferimento, giova la consultazione dello statuto dell’ente dal quale può risultare che tale potere viene esercitato mediante lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che provvede alla nomina o revoca degli organi amministrativi e quindi mediante provvedimenti di carattere governativo. Talvolta, sempre dallo statuto, può desumersi la natura pubblicistica dell’ente che sovente è espressamente dichiarata (si fa riferimento all’articolo che convenzionalmente è rubricato con “denominazione-sede-durata”).
[18] Sui criteri che implicano l’esistenza del requisito teleologico, si veda E. GIARDINO, Organismo di diritto pubblico e requisito teleologico, in Giornale di diritto amministrativo, n. 5, 1° settembre 2022, p. 646.
[19] Sull’applicabilità del Codice dei Contratti Pubblici all’organismo di diritto pubblico, si veda si veda A. CAVINA, Organismo di diritto pubblico e settori speciali: l’interesse generale e il nesso di strumentalità, in Urb. e app., 2019, p. 216 ss.
[20] Come indicato anche dal parere ANAC n.15 del 2023 p.2 in cui “sulla base delle indicazioni che precedono che occorre valutare la sussistenza, caso per caso, dei caratteri tipici dell’organismo di diritto pubblico”.
[21] Si fa riferimento all’ art.1 lett. E dell’allegato I.1 del D.Lgs. n. 36 del 2023.
[22] In merito è opportuno trattare del parere n. 934/2022 espresso dal Consiglio di Stato nell’Adunanza della Prima Sezione del 27 aprile 2022, nel quale si analizza sotto molteplici sfaccettature il “principio del pluralismo della pubblica amministrazione”. In tale circostanza il Consiglio di Stato ha ampiamente dibattuto sulle caratteristiche che connotano un soggetto, anche formalmente privato, come “ente pubblico” o “amministrazione pubblica”. Si è optato per l’impossibilità di definire in toto un soggetto “pubblico” o “privato”, propendendo per una definizione funzionale, che guarda ai singoli aspetti dell’attività del soggetto, ponendolo per alcuni di essi nella sfera privata e per altri nell’ambito pubblico. Tale parere fa leva su 3 considerazioni principali:
- “..per pubblica amministrazione si intendono oggi, dal punto di vista soggettivo, sia gli organi amministrativi dello Stato sia gli altri enti pubblici; questi ultimi, tuttavia, non trovano nel nostro ordinamento una definizione legislativa generale né tantomeno esistono indicatori normativi per individuarli; è stata la giurisprudenza a elaborare gli indici che denotano la “pubblicità” di un ente, ...”;
- “nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”;
- “la nozione di pubblica amministrazione oggi si è pertanto allargata rispetto a qualche decennio fa, ricomprendendo non solo soggetti sin dall’inizio pubblici ma anche soggetti privati che possono svolgere pubbliche funzioni, vuoi perché nel soggetto privato c’è una partecipazione della pubblica amministrazione vuoi perché la pubblica amministrazione, attraverso provvedimenti amministrativi di concessione, di affidamento o di aggiudicazione, ha consentito l’esercizio di attività di pubblico interesse”.
[23] Cass., sez. un., 19 aprile 2021, n. 10244.
[24] Vedi sempre il parere n. 934/2022 espresso dal Consiglio di Stato nell’Adunanza della Prima Sezione del 27 aprile 2022.
[25] Dell’appalto nei settori speciali in Nuovo Codice dei contratti pubblici (diretto da) F. CARINGELLA, Giuffrè, 2023, p. 980.
[26] Allegato I.1 al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, art. 1, comma 1, lett. f), secondo cui “Un’impresa pubblica: impresa sulla quale le stazioni appaltanti possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano detta impresa. L’influenza dominante è presunta quando le stazioni appaltanti, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente:
1) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto;
2) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa;
3) possono designare più della metà dei membri del Consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa”.
[27] Sulla nozione di diritto speciale ed esclusivo si veda V. G. VERCILLO, La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, Dike Giuridica, 2023, p. 71 ss.; A. CRISAFULLI, I diritti speciali o esclusivi nei settori speciali, in Urbanistica e Appalti, 2004, p. 1385.
[28] L. R. PERFETTI - A. DE CHIARA, Organismo di diritto pubblico, società a capitale pubblico e rischio di impresa. Variazioni su Corte di Giustizia delle Comunità europee, sezione V, 22 maggio 2003, C-18/01, in Diritto Amministrativo, n. 1/2004, p. 136.
[29] T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, sent. 12 marzo 2015, n. 772.
[30] L’art 7.2 rubricato “Principio di auto-organizzazione amministrativa” prevede che “In caso di prestazioni strumentali, il provvedimento si intende sufficientemente motivato qualora dia conto dei vantaggi in termini di economicità, di celerità o di perseguimento di interessi strategici. I vantaggi di economicità possono emergere anche mediante la comparazione con gli standard di riferimento della società Consip S.p.a. e delle altre centrali di committenza, con i parametri ufficiali elaborati da altri enti regionali nazionali o esteri oppure, in mancanza, con gli standard di mercato”. Dunque a queste condizioni è possibile derogare all’evidenza pubblica.
[31] Vedi art 141, comma 2, D.Lgs. n. 36 del 2023.
[32] G. URBANO, Gli appalti nei settori speciali e il trasporto pubblico locale, in Giornale di diritto amministrativo, 2023, 1, 92 ss.; A. CAVINA, Organismo di diritto pubblico e settori speciali: l'interesse generale e il nesso di strumentalità (Consiglio di Stato, Sez. V, 19 novembre 2018, n. 6534), in Urbanistica e Appalti, 2019, 2, 216-228; D. NOVELLO, Esenzione dal rispetto della normativa in materia di evidenza pubblica nei settori speciali e interpretazione dell’art. 121 del codice dei contratti pubblici, in Rivista Italiana di diritto pubblico comunitario, 2018, 3/4, 65-676; L. TORCHIA, La disciplina dei settori speciali nel nuovo codice dei contratti, in E. BRUTI LIBERATI, M. DE FOCATIIS, A. TRAVI (a cura di), Aspetti della transizione nel settore dell’energia: gli appalti nei settori speciali, il market design e gli assetti di governance, Cedam, Padova, 2018, p. 17 ss.
[33] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sent. 10 aprile 2008, C-393/06, secondo cui “si deve precisare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, rientrano nella direttiva 2004/17 gli appalti che sono aggiudicati nel settore di una delle attività espressamente considerate negli artt. 3-7 della detta direttiva nonché gli appalti che, anche se sono di natura differente e potrebbero così, in quanto tali, rientrare di norma nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/18, servono per l’esercizio delle attività definite nella direttiva 2004/17 (v., in tal senso, sentenza Strabag e Kostmann, cit., punti 41 e 42).”
[34] G. FONDERICO, Quando un contratto pubblico ha un destino “speciale”: la Corte di Giustizia si pronuncia sul nesso tra l’appalto e il settore speciale nella direttiva 2014/25/Ue., in Munus 3/2020, p. 647.
[35] A. CAVINA, D. GALLI, Dell’appalto nei settori speciali, in Commentario alla normativa sui contratti pubblici, a cura di A. BOTTO e S. CASTROVINCI ZENNA, Giappichelli, 2024, p. 1175. Secondo gli autori, infatti tale approccio indurrebbe a ritenere che un soggetto operante esclusivamente in un settore speciale sarebbe sempre sottoposto all’applicazione delle regole sull’evidenza pubblica, mentre un operatore per così dire “multifunzionale”, ossia attivo anche nei settori ordinari, sarebbe tenuto all’applicazione delle regole previste per gli affidamenti nei settori ordinari solo se rientrante nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici.
[36] F. DEGNI, Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 1° agosto 2011, n. 16, in Amministrazione in cammino; G.F. NICODEMO, Imprese pubbliche: se l’appalto è “estraneo” ai settori speciali, la giurisdizione è del g.o. - il commento, in Urbanistica e Appalti, n. 10, 1° ottobre 2011, p. 1171.
[37] Cons. St., Sez. IV, sent. 5 agosto 2024, n. 6981.
[38] Cons. St., Sez. V, sent. 30 dicembre 2019, n. 8905; Parere ANAC in funzione consultiva, n. 26 del 24 maggio 2024.
[39] Cons. St., Sez. IV, 5 agosto 2024, n. 6989; Cons. St., Sez. V, sent. 12 luglio 2023, n. 6817; Id., sent. 5 dicembre 2022, n. 10634.
[40] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sent. 28 ottobre 2020, causa C-52/18
[41] G. URBANO, Gli appalti nei settori speciali e il trasporto pubblico locale, in Giornale di Diritto Amministrativo, n.1, 1° gennaio 2023, p. 92.
[42] “Il contratto è stipulato, a pena di nullità, in forma scritta ai sensi dell'allegato I.1, articolo 3, comma 1, lettera b), in modalità elettronica nel rispetto delle pertinenti disposizioni del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, in forma pubblica amministrativa a cura dell'ufficiale rogante della stazione appaltante, con atto pubblico notarile informatico oppure mediante scrittura privata. In caso di procedura negoziata oppure per gli affidamenti diretti, mediante corrispondenza secondo l'uso commerciale, consistente in un apposito scambio di lettere, anche tramite posta elettronica certificata o sistemi elettronici di recapito certificato qualificato ai sensi del regolamento UE n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014. I capitolati e il computo metrico estimativo, richiamati nel bando o nell'invito, fanno parte integrante del contratto”.
[43] Si vedano le Milestone M1C1-70 e M1C1-75, rubricate “Riforma del quadro legislativo in materia di appalti pubblici e concessioni”, strumenti che l’Europa utilizza per porre degli obbiettivi-target di settore a carico degli stati membri tra cui:
- semplificare e digitalizzare le procedure delle centrali di committenza;
- definire le modalità per digitalizzare le procedure per tutti gli appalti pubblici e concessioni e definire i requisiti di interoperabilità e interconnettività;
- digitalizzare completamente le procedure di acquisto fino all'esecuzione del contratto (Smart Procurement).
[44] Richiamando l’articolo 1418 del c.c. ai sensi dell’art 28.1 della l. 16 febbraio del 1913 n. 89: “Il notaro non può ricevere ((o autenticare)) atti: se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico”.
[45] Sui caratteri della nullità vedi Cass. 7 Novembre 2005; Cass. 11 novembre 1997 n. 11128.
[46] Ai sensi dell’art 138, comma 2 della L. 16 febbraio del 1913 n. 89: “È punito con la sospensione da sei mesi ad un anno il notaio che contravviene alle disposizioni degli articoli 27, 28, 29, 47, 48, 49 e 52-bis, comma 2”.
[47] Si veda art 110.3 della L. n.89 del 1913.
[48] Art. 41 del D.Lgs. n. 42 del 2004.
[49] Si veda la delibera ANAC n. 436 del 11102023 p.3 in cui, seppure in circostanze diverse, viene rilevato che: “In particolare, veniva citato un parere reso dal Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali che definisce le Aziende speciali come “ente strumentale dell'ente locale, dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto. L'azienda deve essere, quindi, iscritta nel registro delle imprese, (legge 29 dicembre 1993, n. 580; D.P.R. 7 dicembre 1996, n. 581; art. 4, comma 3, D.L. 31 dicembre 1995, n. 26 e art. 2331 cod. civ.). L'azienda speciale rientra, inoltre, nella categoria degli enti pubblici economici (Cass. Sez. un. 15 dicembre 1997, n. 12654) cioè degli enti la cui attività, pur se strumentale rispetto al perseguimento di un pubblico interesse, ha per oggetto l'esercizio di un'impresa ed è uniformata a regole di economicità perché diretta a perseguire un profitto o, quanto meno, a coprire i costi […] Se, dunque, valorizzando il profilo della personalità giuridica dell'azienda speciale, la giurisprudenza ha posto in rilievo l'applicabilità alla medesima di alcune disposizioni tipiche del diritto privato, in virtù della sua natura di ente pubblico economico, è necessario d'altro canto evidenziare anche l'altro elemento fondamentale che connota l'istituto in questione, cioè il rilevato carattere 'strumentale dell'ente locale'. Tale carattere sta a significare che l'attività svolta dall'azienda è di esclusivo interesse dell'ente locale; si tratta cioè di un ente che esercita in proprio servizi che spettano ad altri enti, sui quali si riflettono i risultati (cfr., in tale senso, T.A.R. Liguria, Sez. II, 15 marzo 1999, n. 126). Ciò giustifica il permanere del collegamento con l'Ente locale ex art.114, commi 6 e 8, del T.U.O.E.L. 267/2000 (Cass. civ., Sez. Un., 9 luglio 1997, n. 6225). Al carattere strumentale si ricollega l'esigenza che le attività poste in essere siano finalizzate al conseguimento degli stessi scopi che l'ente locale si prefigge, cioè il soddisfacimento degli interessi della collettività locale e lo sviluppo della stessa. Sulla base di tali considerazioni, la giurisprudenza del Consiglio di Stato e dei T.A.R. ha avuto modo di affermare che l'azienda speciale 'è un ente istituzionalmente dipendente dall'Ente locale’ (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, V Sez., 19.9.2000, n. 4850). Il Comune, infatti, approva lo statuto dell'Azienda speciale, ne determina le finalità e gli indirizzi, ne approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza sui suoi atti, ne verifica i risultati di gestione, provvede alla copertura degli eventuali costi sociali (cfr., il comma 6 del citato art. 114) […] I vincoli che legano l'Azienda speciale al Comune sono quindi così stretti, sul piano della formazione degli organi, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza, da farla ritenere 'elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso Ente territoriale - (Corte cost., 12 febbraio 1996 n.28). La giurisprudenza ha inoltre precisato che 'il rapporto tra gli amministratori dell'azienda speciale e l'Amministrazione comunale, dalla quale proviene la designazione degli amministratori, non è configurabile quale conferimento di un incarico professionale di natura privatistica, ma costituisce esercizio di una potestà amministrativa tendente alla copertura di un ufficio pubblico e finalizzata ad una migliore realizzazione dell'interesse pubblico alla corretta erogazione del servizio pubblico, secondo gli indirizzi e gli orientamenti politici in senso lato dell'Amministrazione stessa (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 1° agosto 2001, n. 1087). L'Azienda speciale, quindi, pur con l'accentuata autonomia derivatele dall'attribuzione della personalità giuridica è parte dell'apparato amministrativo che fa capo al Comune e ha connotati pubblicistici”.
[50] Cass. civ., Sez. lavoro, ord. 29 ottobre 2021, n. 30744.
[51] Cons. Stato, n. 820/2014.
[52] Cass. civ., Sez. Un., n. 26283/2013.
[53] Cons. Stato, sez. V, n. 5444/2019.
[54] TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 23 dicembre 2024, n. 3768; anche per il Consiglio di stato “l’azienda speciale è un soggetto in house, al pari della società a partecipazione pubblica c.d. in house, inteso come longa manus dell’amministrazione pubblica per la realizzazione di lavori o opere o per l’espletamento di servizi. L’affidamento del servizio pubblico ad un’azienda speciale configura, pertanto, un c.d. affidamento in house” (Cons. Stato, Sez. V, 31.07.2019, n. 5444).
[55] ANAC, parere in funzione consultiva n. 27 del 23.05.2023.
[56] delibera corte dei conti Campania del 19.02.2025
[57] G. SORICELLI, Contributo allo studio del modello organizzativo dell’in house providing, Napoli,2008, p. 15 ss;
[58] Per un'ampia trattazione dell'istituto, cfr. R. GAROFOLI e A. ZOPPINI, Manuale delle società a partecipazione pubblica, Molfetta, 2018; D. CASALINI, L'organismo di diritto pubblico e l'organizzazione in house, Napoli, 2003, 4; C. IAIONE, Le società in-house, contributo allo studio dei principi di auto organizzazione e auto-produzione degli enti locali, Napoli, 2007; M. G. ROVERSI MONACO, I caratteri delle gestioni in house, in Gior. dir. amm., 2006, p. 1371 ss.
[59] L’avvento dell’in house nel contesto normativo europeo si è avuto con l’emanazione delle direttive sugli appalti pubblici nei settori ordinari e speciali e sui contratti di concessione (direttive 23,24,25 del 2014). L’art 12, della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici ordinari, delinea un ambito escluso dall’applicazione dei principi e delle procedure sull’aggiudicazione degli appalti pubblici, costituito dall’in house e dagli accordi tra pubbliche amministrazioni noti anche come contratti di partenariato pubblico-pubblico.
[60] R. CARANTA, I contratti pubblici, Torino, 2011, p.25 ss.
[61] Corte giust. CE, sentenza 18 Novembre 1999, in causa C-107/98.
[62] Tali tre condizioni sono richiamate e devono sussistere contemporaneamente anche ai fini dell’assoggettamento alla giurisdizione contabile in materia di azione di responsabilità nei confronti degli organi di gestione e controllo (vedi cas. Ss.uu. ordinanza del 8 gennaio 2024 n. 567) .
[63] Vedi delibera corte dei conti Campania del 19.02.2025 per cui “Non può essere accolta una nozione di controllo analogo esercitata dall’ente pubblico sulla società in house tale da declassare la società di capitali a mera articolazione interna dell’ente pubblico”; i giudici contabili, richiamando la Cass. civ., Sez. Un., n. 14236/2020 e 3869/2023, proseguono ribadendo che “osta a tale interpretazione la previsione come “analogo” del controllo, con ciò intendendosi propriamente affermare che tale controllo non è uguale ma semplicemente simile a quello esercitato dall’ente pubblico sui propri servizi gestiti direttamente. Inoltre, occorre pur sempre rammentare che la società è provvista di autonomia patrimoniale e personalità giuridica, caratteristiche incompatibili con una interpretazione del controllo analogo che lo equipari ad una relazione gerarchica”.
[64] l'art. 16 del TUSPP, che ai commi 2 e 3 prevede “Ai fini della realizzazione dell'assetto organizzativo di cui al comma 1: a) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell'articolo 2380 bis e dell'articolo 2409 novies del codice civile;
b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l'attribuzione all'ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell'articolo 2468, terzo comma, del codice civile;
c) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali; tali patti possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all'articolo 2341bis, primo comma, del codice civile”.
[65] Cons. St., n. 6062/2021; Cons. St., n. 5885/2023.
[66] Cass. civ., Sez. Un., n. 9593/2024.
[67] Cass. civ., Sez. Un., n. 14776/2023.
[68] Infatti il legislatore con l’art 7 del D.Lgs. n.36 del 2023, avvicinando sensibilmente la disciplina nazionale con quella unionale, ha inteso porre sullo stesso piano l’autoproduzione del servizio con l’esternalizzazione di questo non essendovi una preferenza per l’uno piuttosto che per l’altro. Rispetto alla precedente formulazione contenuta nel D.Lgs. n. 50 del 2016 l’onere motivazionale per poter ricorrere all’ in house è stato snellito a vantaggio sostanzialmente di quello che potrebbe essere enunciato col principio del risultato non essendo più necessario dimostrare il fallimento del mercato.
[69] Sicuramente dovuto anche al fatto che ad oggi anche nelle società in house è possibile che vi sia una composizione patrimoniale non più solo pubblica ma che, in base all’art 16 del TUSP, sia prevista una partecipazione privata ove disposto da una legge statale.
[70] M. BASILE, Le persone giuridiche, cit., p. 29 ss.
[71] vedi Le Fondazioni Pubbliche, a cura dell’Osservatorio Enti pubblici e Società partecipate,23 ottobre 2025, https://www.osservatoriopartecipate.eu/alcuni-scatti-dellincontro-la-performance-nelle-partecipate pubbliche una-sfida-per-il-paese-3-2-2-2-2-3-2-2-2-2-2-2/.
[72] vedi Cons. Stato, commiss. spec., 20 dicembre 2000, n. 288/00, in Cons. Stato, 2001, I, 490: l'«istituto della fondazione di partecipazione rinviene la propria disciplina nel disposto dell'art. 12 c.c. (ora art. 1 d.p.r. 10 febbraio 2000 n. 361), nella parte in cui affianca alle associazioni e alle fondazioni le "altre persone giuridiche private", senza che sia quindi necessario definire una disciplina che contenga una commistione tra la normativa prescritta per le associazioni e quella prevista per le fondazioni, perché sarà quest'ultima a fornire le coordinate fondamentali ed uniche della fondazione di partecipazione»; sulla sua natura di «figura giuridica atipica che si colloca in posizione intermedia» si è espressa anche l'Agenzia delle entrate Divisione contribuenti con la risposta n. 255 ad interpello relativo agli aspetti fiscali.
[73] G. SICCHIERO, Le fondazioni di partecipazione, Contratto e Impr., 2020, 1, 19 (commento alla normativa), leggi d’italia e P.A.
[74] Per una più ampia trattazione si rinvia a https://www.gianlucasicchiero.it/fondazioni-di-partecipazione-2/#toc_Il_recesso_dalla_fondazione_di_partecipazione
[75] Cons. Stato, 4 dicembre 2001, n. 6073, in Giur. it., 2002, 1727: «ai sensi dell'art. 43 l. n. 449/97 e dell'art. 119 d.lgs. n. 267/2000, i comuni possono legittimamente stipulare contratti di sponsorizzazione con soggetti pubblici o privati al fine di favorire l'innovazione dell'organizzazione amministrativa, di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati».
[76] Corte Conti Lombardia Sez. contr., delibera, 15 marzo 2017, n. 70; prima dell'abrogazione si era detto invece che il divieto riguardava anche le fondazioni di partecipazione: Corte dei Conti Toscana Sez. contr.,16 ottobre 2013, n. 275.
[77] Corte Conti Lombardia, sez. contr., delibera, 15 marzo 2017, n. 70.
[78] G. SICCHIERO, Le fondazioni di partecipazione, Contratto e Impr., 2020, 1, 19 (commento alla normativa), p. 10 ss., leggi d’italia e P.A.
[79] Secondo Corte Conti Lazio, sez. contr., 24 luglio 2013, n. 151 in Azienditalia, 2013, 721, «il ricorrere di determinati elementi, quali la costituzione/partecipazione, da parte di uno o più enti pubblici, di una persona giuridica privata, finalizzata alla realizzazione di un fine pubblico con l'impiego di finanziamenti pubblici e con modalità di gestione e controllo direttamente collegabili alla volontà degli enti soci, rende, di fatto, la persona giuridica privata un semplice modulo organizzativo dell'ente pubblico socio, al pari di altre formule organizzative aventi parimenti natura pubblicistica (aziende speciali e istituzioni); in altri termini, l'utilizzo dello schema giuridico "fondazione" da parte dell'ente pubblico rende la persona giuridica privata un'entità strumentale dell'ente stesso, ovvero una modalità di gestione dell'interesse generale perseguito». Cfr. anche L. GORI, in P. CONSORTI, L. GORI e E. ROSSI, Diritto del Terzo settore, cit., I confini "affollati" verso il primo ed il secondo settore, p. 192.
[80] Per l'art. 3, comma 1, lett. d), d. lgs. n. 50 del 2016 sono «qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell'allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico».
[81] «L'elemento fondante dell'organismo di diritto pubblico è riconducibile alla rilevanza degli interessi generali perseguiti, in rapporto ai quali non può venire meno una funzione amministrativa di controllo, anche qualora la gestione fosse produttiva di utili: è propria dell'amministrazione, infatti, la cura concreta di interessi della collettività, che lo stato ritiene corrispondenti a servizi da rendere ai cittadini e che pertanto, ove affidati a soggetti esterni all'apparato amministrativo vero e proprio, debbono comunque rispondere a corretti parametri gestionali, anche sul piano dell'imparzialità e del buon andamento»: Cons. Stato, 10 dicembre 2015, n. 5617, Foro amm., 2015, p. 3096. Su queste basi sono state qualificate organismi di diritto pubblico la fondazione teatro di San Carlo (Cons. Stato, 31 ottobre 2017, n. 5026, Foro amm., 2017, p. 2047), la Aci Global spa (Cons. Stato, 16 gennaio 2017, n. 108, Vita not., 2017, p. 245), i fondi paritetici interprofessionali (T.a.r. Lazio, 6 febbraio 2017, n. 1883 Contratti Stato e enti pubbl., 2017, p. 43; Corte Conti, Abruzzo, 29 marzo 2017, n. 37, Riv. corte conti, 2017, p. 393), Aeroporti di Roma (T.a.r. Lazio, 30 novembre 2017, n. 11841, Foro amm., 2017, p. 2321 ma contra invece Cass., sez. un., 18 aprile 2016, n. 7663) o la società aeroporto G. Marconi di Bologna spa (T.a.r. Emilia-Romagna, 15 gennaio 2010, n. 107, Riv. trim. appalti, 2010, p. 1181); spa Expo 2015 (Cons. Stato, 4 febbraio 2015, n. 552, Foro amm., 2015, p. 426); «la società partecipata comunale gerente attività di distribuzione dei farmaci (e il servizio di asilo nido comunale)» (Corte Conti Lombardia, 26 settembre 2011, n. 489, Azienditalia, 2012, p. 68); Cassa depositi e prestiti spa (Cons. Stato,12 febbraio 2007, n. 550).
[82] v. Cass. sez. I, 31 gennaio 2017, n. 2483: «ricorre la figura dell'organismo di diritto pubblico, ai fini del suo assoggettamento alle regole di evidenza pubblica nella stipulazione dei contratti di appalto, allorché un ente: a) sia dotato di personalità giuridica (c.d. requisito personalistico); b) sia stato istituito per la realizzazione di specifiche finalità d'interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico); c) la sua attività sia finanziata, in prevalenza, da p.a. o direttamente controllata dalle stesse o orientata da un organo di gestione a prevalente designazione pubblica (c.d. requisito dell'influenza dominante)». Su queste basi sono state qualificate organismi di diritto pubblico le Asl (Cass., 2 dicembre 2016, n. 24640, Foro it., 2017, I, p. 2451).
[83] v. Corte giust. UE, 5 ottobre 2017, n. 567/15, Foro amm., 2017, p. 1971: «l'art. 1, par. 9, 2° comma, direttiva 2004/18/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (Ue) n. 1251/2011 della Commissione, del 30 novembre 2011, deve essere interpretato nel senso che una società che, da un lato, è detenuta interamente da un'amministrazione aggiudicatrice la cui attività consiste nel soddisfare esigenze di interesse generale e che, dall'altro, effettua sia operazioni per tale amministrazione aggiudicatrice sia operazioni sul mercato concorrenziale, deve essere qualificata come "organismo di diritto pubblico" ai sensi di tale disposizione, purché le attività di tale società siano necessarie affinché detta amministrazione aggiudicatrice possa esercitare la sua attività e, al fine di soddisfare esigenze di interesse generale, tale società si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare».
[84] Sulla fondazione "Ordine mauriziano" di cui si è affermata la natura di «ente pubblico con prevalenti attività sanitarie, sia pure con caratteristiche speciali» e tuttavia assoggettata ad imposizione fiscale per le attività commerciali esercitate v. Cass., 27 marzo 2019, n. 8520.
[85] Deliberazione n. 10/2024 della Sezione delle autonomie della Corte dei conti.
[86] Delibera n. 84/2025 Sezione di controllo della corte dei conti dell’Emilia-Romagna.
[87] Si veda G. SICCHIERO in Contratto e impresa, Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, CEDAM, n.1/2020 p.19 ss.
[88] Cass. Ss.uu. civ. sent. n. 14958 del 07 luglio 2011.
[89] TAR Lombardia n. 3619 del 10 novembre 2025.
[90] Vedi parere reso dal presidente ANAC del 14 febbraio 2025 prot. n. 24237 pag. 7.
[91] Vedi art. 1 dello statuto della fondazione “Milano Cortina 2026” secondo cui “È costituito il Comitato Organizzatore dei XXV Giochi Olimpici Invernali e dei Giochi Paralimpici Invernali del 2026, nella forma giuridica di ‘fondazione ai sensi degli artt. 14 e ss. cod. civ. (“Fondazione”), con la denominazione “MILANO CORTINA 2026’”.
[92] Si legge alla pag.3 che è necessario “procedere alla definizione di un accordo tra le parti che disciplini la determinazione delle quote percentuali di intervento in caso di shortfall secondo la suddivisione geografica tra Area Lombardia e Area Dolomitica in percentuali egualitaria del 50% e all’interno dell’area Lombardia, suddivisione in quote egualitarie del 25% tra Regione Lombardia e Comune di Milano, nonché la previsione dei tempi di pagamento delle quote di competenza nel caso un soggetto sia chiamato in via principale al rimborso di somme di denaro al CIO a valere sugli anticipi dei diritti televisivi da quest’ultimo effettuati a favore della Fondazione”.
[93] Vedi parere reso dal presidente ANAC del 14 febbraio 2025 prot. n. 24237.
[94] Vedi Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 gennaio 2025 - Ricorso n. 59638/15 – Causa Bonanni c. Italia, per la Corte quando Regioni, enti locali o società partecipate non rispettino i propri obblighi di pagamento, anche in caso di fallimento, la responsabilità in via subordinata ricade comunque sullo Stato centrale: il mancato pagamento dei debiti violerebbe non solo il diritto di proprietà, ma, se già esiste una sentenza o un altro titolo, anche il diritto al giusto processo.
[95] Ai sensi dell’art 5.3 del TUSP: “L'amministrazione invia l'atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta alla Corte dei conti, che delibera, entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento, in ordine alla conformità dell'atto a quanto disposto dai commi 1 e 2 del presente articolo, nonché dagli articoli 4, 7 e 8, con particolare riguardo alla sostenibilità finanziaria e alla compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa. Qualora la Corte non si pronunci entro il termine di cui al primo periodo, l'amministrazione può procedere alla costituzione della società o all'acquisto della partecipazione di cui al presente articolo”.
[96] Vedi delibera n. 16/ssrrco/qmig/22 del 3 novembre 2022.
[97] delibera n. 84/2025 Sezione di controllo della corte dei conti dell’Emilia-Romagna.
[98] Il questionario è disponibile al seguente link rubricato “Indicazioni istruttorie preliminari all’esame della Sezione regionale in merito ai provvedimenti contemplati dall’art. 5 del d.lgs. n. 175/2016 (Tusp)”, in https://www.corteconti.it/HOME/Documenti/DettaglioDocumenti?Id=eac695be-94ba-44a0-a30f9ae43efd73c9.
[99] https://www.corteconti.it/HOME/StampaMedia/ComunicatiStampa/DettaglioComunicati?Id=37745c4a-d95a-40a4-b097-2fe95f64b03f.
[100] https://www.camera.it/Leg19/410?idSeduta=0542&tipo=documenti_seduta.
[101] Cass Pen, Ss Uu, 16 ottobre 2025, n. 34036.
[102] Vedi delibera n. 84/2025 Sezione di controllo della corte dei conti dell’Emilia-Romagna secondo cui “nel caso di specie, la costituzione della comunità energetica rinnovabile “IN.COMUNE” tramite il modello della fondazione di partecipazione, risulta autorizzata da una specifica deliberazione del Consiglio (n. 36 del 23 maggio 2024), in linea con quanto previsto dalla lett. c) del c. 1 dell’art. 7. Ciò rappresentato, la Sezione ritiene sussistere, nella specie, il requisito dell’ammissibilità soggettiva”.
[103] Cass. Civ. ss. uu., Sent. 23 novembre 2000, n.1204; Cass. Civ. ss. uu., Sent. 7 novembre 2000, n.1153; Cass. Civ. ss. uu., Sent. 13 marzo 2001, n.111; Cass. Civ. ss. uu., Sent .23 gennaio 2004, n.1240.
[104] Cass. Civ. ss. uu. Sent del 28 giugno 2006 n.14852.
[105] Cons. di St. 7 febbraio 2006 n. 497.
[106] TAR Puglia, Bari, Sez. II, 18 settembre 2007 n.2183.
[107] Ad oggi, una importante lacuna è rappresentata dalla non presenza nell’elencazione di cui all’art 1.2 del d.lgs. 165 del 2001 delle fondazioni di partecipazione che, seppur fondazioni di diritto privato, ancorché costituite e/o partecipate da amministrazioni pubbliche non possono, in via di principio, ritenersi comprese nella definizione di “amministrazione pubblica” di cui al d.lgs. 165/2001 e pertanto ne sono sottratte dalla relativa applicazione. Sarebbe opportuno un intervento normativo, a tutela del principio di buon andamento di cui all’art. 97, Cost., volto all’adozione di provvedimenti che stabiliscano criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’art. 35 del d.lgs. 165/2001.
[108] Cons. Stato, sez. cons. atti normativi, 14.06.2010, n. 2692.
[109] in base alle linee guida dell’ANAC con delibera n.493 del 25 settembre 2024 le amministrazioni tenute al rispetto del divieto di pantouflage sono quelle ai sensi dell’art 1.2 del d.lgs. n. 165 del 2001; gli enti pubblici economici; gli enti di diritto privato in controllo pubblico.
[110] Cass Pen, Ss Uu, 16 ottobre 2025, n. 34036.
[111] Si coglie l’occasione per ribadire che “non è in discussione la natura di ente pubblico di Poste italiane s.p.a., anche perché l'interesse pubblico può essere perseguito con strumenti giuridici di natura privatistica, come riconosciuto espressamente dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, n. 1206 del 02/03/2011)”.
[112] Sotto il profilo soggettivo a parere di chi scrive anche la definizione che viene elaborata di pubblico ufficiale non è molto lontana dai compiti che di fatto è chiamato a svolgere un’ amministratore di una società privata che agisca per il perseguimento di interessi generali attraverso l’impiego di risorse pubbliche dato che “la qualifica di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, quale che sia la loro posizione soggettiva, possono e debbono, nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati”…”la qualifica di pubblico ufficiale deriva e risulta connotata esclusivamente dal concreto esercizio di una pubblica funzione”.
[113] “In questo senso, ad esempio, si è ritenuta sussistente la qualifica di pubblico agente con riguardo al presidente di una università agraria; si è osservato che tali enti, pur avendo assunto personalità giuridica di diritto privato, per effetto della legge 20 novembre 2017, n. 168, svolgono in prevalenza un servizio pubblico, in quanto preposti alla amministrazione di beni di collettivo godimento – ovverossia i domini collettivi - quali strumenti di promozione del patrimonio naturale, storico e culturale dei territori e fonti di risorse rinnovabili, con poteri di gestione dei relativi proventi per il perseguimento di interessi generali (Sez. 6, n. 37705 del 11/07/2022, De Paolis, Rv. 283937- 01)”. Si veda ancora come “Allo stesso modo, si è ritenuto siano incaricati di un pubblico servizio anche il presidente di un'associazione di volontariato, facente parte del sistema integrato di protezione civile (Sez. 6, n. 14171 del 29/01/2020, Raviele, Rv. 278759 - 01), nonché il presidente della fondazione "Lombardia Film Commission", in quanto tale ente, pur se con gli strumenti privatistici, persegue finalità pubbliche, quali la promozione del territorio lombardo e dello sviluppo del suo comparto industriale nonché dei servizi nel settore delle nuove tecnologie (Sez. 6, n. 33779 del 21/06/2021, Scillieri, Rv. 282107- 01)”.
[114] Ed ancora sempre per fornire una visione pragmatica e ispirata alla logica del concreto ed effettivo esercizio di fatto dell’attività svolta “È stato ritenuto incaricato di pubblico servizio il legale rappresentante di una società privata, la quale, in forza di un contratto stipulato con un ente pubblico, abbia il compito della raccolta e della conservazione su di un server delle immagini registrate dall'impianto di videosorveglianza installato da un Comune sul proprio territorio, allo scopo di tutela della sicurezza dei cittadini, in quanto tale attività, pur quando è svolta da un soggetto operante con gli strumenti del diritto privato, attiene ad un ambito, quello avente ad oggetto il diritto alla riservatezza della generalità degli individui, tipicamente disciplinato da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi (Sez. 6, n. 31171 del 20/06/2023, Canu, Rv. 285085 - 01).
[115] Dalla consultazione delle FAQ Anac in materia di trasparenza sull’applicazione del d.lgs. n. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016 si evince che i tre requisiti che devono ricorrere cumulativamente sono:
1) bilancio superiore a 500.000 euro;
2) finanziamento maggioritario per almeno due esercizi consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche
amministrazioni;
3) designazione da parte delle pubbliche amministrazioni della totalità dei titolari o componenti
dell’organo di amministrazione o di indirizzo.
[116] Si veda delibera ANAC n. 1134 del 2017, pag. 38.
[117] Si veda delibera ANAC n. 1134 del 2017 (§ 3.4.1.), pag.43 ss.
[118] Ai sensi dell’art. 1, co. 125 della L. 124/2017.