Cons. Stato, Sez. V,30 ottobre 2025, n. 8415
- Le società partecipate, ivi comprese quelle cd in house, hanno, quindi, assunto ormai definitivamente carattere privatistico sul piano dello status generale, venendo considerate, solo a fini disciplinari, enti pubblici solo in quei settori in cui vi sia una norma espressa ed eccezionale di equiparazione ai soggetti pubblici.
- Dal momento che la richiesta di ostensione all’accordo di cui è causa è rivolta a un soggetto di diritto privato, si deve concludere che la regola scolpita dall’art. 22, l. 7 agosto 1990, n. 241, non può operare in virtù dell’assenza del requisito della soggettività pubblica e della conseguente non configurabilità di un documento amministrativo ex art. 22, co. 1, lett. d), l. n. 241/1990.
Guida alla lettura
Con la sentenza in rassegna la V Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito la portata del diritto di accesso nei confronti di una società in house.
La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte del ricorrente, di un diniego all’istanza di accesso agli atti formulata, sia ai sensi degli artt. 22 e ss della l. 241/1990 sia ai sensi del D.Lgs n. 33/2013. L’istanza aveva a oggetto la richiesta di ostensione della documentazione concernente la conciliazione effettuata tra il datore di lavoro della ricorrente e un altro dipendente in seno al giudizio incardinato innanzi al Tribunale del Lavoro.
Il Collegio, nel confermare le statuizioni della sentenza di primo grado, con cui il TAR aveva ritenuto infondata la domanda di condanna all’ostensione dei documenti, ha perimetrato l’ambito di applicazione dell’accesso agli atti nei confronti delle società in house.
Il punto di partenza dell’indagine condotta dal Consiglio di Stato è rappresentato dalla natura giuridica delle società a partecipazione pubblica, se soggetti privati o soggetti pubblici. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, in coerenza con l’art, 1, comma 3 del T.U. 175/2016, ha osservato che la qualificazione pubblicistica di un ente societario necessita di una base legale che, a determinati fini, la legge equipari soggetti privati a enti pubblici. In assenza di tale dato normativo, non può che operare il regime privatistico coerente con la veste societaria del soggetto.
Viene sconfessata la tesi della neutralità delle forme giuridiche e della de specializzazione dei modelli organizzativi, secondo cui una società pubblica andrebbe identificata con il socio pubblico in quanto non può svolgere funzioni inibite alla pubblica amministrazione e coinciderebbe con la pubblica amministrazione di cui sarebbe pura articolazione organizzativa con vincolo di scopo. Viene, invece, accettata la tesi della neutralità della partecipazione pubblica, secondo cui viene in rilievo una società di diritto comune costituita per effetto di atto di autonomia privata volto a evitare l’applicazione dello statuto pubblicistico a favore del più efficiente ed elastico modello societario.
Ne deriva, quindi, che una società pubblica non può essere ente pubblico, ma solo soggetto privato equiparato a un ente pubblico da leggi specifiche a enti pubblici per singoli settori. In virtù di una giurisprudenza confermata dal D.Lgs 175/2016, le società pubbliche, anche in house, operano come soggetti di diritto privato laddove manchi una norma di legge che le equipari a una p.a. ai sensi dell’art. 7, comma 2 c.p.a. Sono, quindi, privatistici gli atti adottati dalle società e dai soci, così come sono retti dal diritto privato gli apporti tra soci, tra società e dipendenti, nonché tra società e terzi.
Nel caso all’esame della V Sezione, come anticipato, l’istanza di accesso aveva a oggetto l’ostensione di un accordo tra la società in house e il dipendente, vale a dire un atto negoziale, di gestione del rapporto di lavoro richiesto a un soggetto privato. La possibilità di formulare istanza di accesso a soggetti formalmente privati, quale la società in house, è pertanto limitata, in applicazione della lett. e) dell’art. 22 della l. 241/1990, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale e comunitario, quindi riconducibile a un documento amministrativo.
In definitiva, quindi, “la società in house pur costituendo una longa manus dell’amministrazione controllante sul piano organizzativo, è una vera e propria società di natura privata dotata di una sua autonoma soggettività giuridica rispetto all’ente pubblico socio. Confutata la tesi della cd neutralità della società pubblica e abbracciata l’opposta teoria della neutralità della qualità pubblica del socio, si ritiene che la veste societaria implichi l’assoggettamento alle regole di diritto comune in campo societario e, quindi, la natura intrinsecamente privatistica dell’ente”.
Pubblicato il 30/10/2025
N. 08415/2025 REG.PROV.COLL.
N. 03291/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3291 del 2025, proposto da
Giovanni Ragosa, rappresentato e difeso dall'avvocato Gaetano D'Emma, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Arechi Multiservice Spa, rappresentato e difeso dall'avvocato Marco Sansone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Lorena Della Monica, rappresentato e difeso dall'avvocato Vincenzo Fiorillo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Terza) n. 00595/2025, resa tra le parti, DINIEGO ACCESSO AGLI ATTI
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Arechi Multiservice Spa e di Lorena Della Monica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2025 il Pres. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Gaetano D'emma e Marco Sansone.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Sig. Ragosa, odierno appellante, e la Sig.ra Della Monica, controinteressata, sono entrambi lavoratori alle dipendenze della Arechi Multiservice S.p.A., società in house della Provincia di Salerno.
Il giudizio concerne il diritto dell’appellante di accedere alla documentazione relativa all’accordo conciliativo sindacale sottoscritto tra la Arechi Multiservice S.p.A. e la controinteressata per porre fine al contenzioso tra la controinteressata e la società.
In particolare, la controinteressata aveva convenuto in giudizio la società per ottenere l’accertamento di una serie di diritti relativi al rapporto di lavoro ed all’inquadramento contrattuale, ottenendo sentenza di accoglimento parziale delle domande proposte.
Al fine di evitare il giudizio di appello, la controinteressata e la società intimata hanno quindi ritenuto di addivenire al predetto accordo conciliativo.
2. Nell’ambito del contenzioso in atto tra l’appellante e la società intimata, il Tribunale di Salerno, Sezione Lavoro, ha invitato le parti a “trovare un accordo conciliativo sulla falsariga di quanto già occorso in passato con altri dipendenti”.
Il Sig. Ragosa (che aveva in precedenza formulato altre istanze di accesso, tutte respinte) ha domandato l’accesso al suddetto accordo, segnalando la necessità di “formulare una proposta conciliativa concreta, basata su fatti oggettivi, coerente con la politica aziendale ma che nello stesso tempo tenga conto della professionalità, dei curricula vitae, dei risultati ottenuti e della responsabilità ed impegno profuso nello svolgere le attività che l’azienda ha richiesto ed assegnato nel tempo”, e di poter utilizzare l’accordo “come falsariga per formulare una proposta conciliativa”.
L’istanza di accesso è stata proposta dal Sig. Ragosa sia ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241/1990, sia ai sensi dell’art. 5, co. 1, d.lgs. n. 33/2013.
3. La Arechi Multiservice S.p.A. ha opposto diniego all’istanza di accesso, ritenendo l’ostensione richiesta attinente a pattuizioni individuali con altro dipendente nell’ambito di un contenzioso di natura giuslavoristica e, comunque, non riguardante il servizio pubblico reso dalla società a beneficio della collettività. Inoltre, la società ha richiamato l’opposizione della controinteressata all’ostensione dell’accordo richiesto e ha, comunque, invitato l’appellante a formulare una proposta conciliativa relativa al contenzioso in atto.
4. L’istante ha impugnato il provvedimento di diniego dinanzi al T.A.R. sostenendo, in sintesi, di avere diritto di accedere all’accordo a seguito dell’invito formulato dal giudice del lavoro, e che all’esercizio di tale diritto, non osterebbe all’esigenza di riservatezza della controinteressata.
4. Il T.A.R. ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile e infondato per carenza dei presupposti che giustificano l’accesso documentale e l’accesso civico generalizzato, soffermandosi in particolare sull’estraneità dell’accordo richiesto a settori di rilevanza pubblicistica e di interesse pubblico e sulla mancanza del nesso di strumentalità tra conoscenza del documento in esame e formulazione della proposta conciliativa alla società.
5. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Sig. Ragosa, deducendo: 1) l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto senza contestare “l’assenza né di una delle condizioni dell’azione né di uno dei presupposti processuali”; 2) la violazione ed errata interpretazione del d.lgs. n. 104/2010, della l. n. 241/1990, del d.P.R. n. 184/2006, unitamente all’irragionevolezza, all’abnormità e allo sviamento, avendo la sentenza introdotto “nuove cause ostative all’accoglimento dell’accesso”; 3) la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 cost., della l. n. 241/1990, del d.P.R. n. 184/2006, unitamente al travisamento dei fatti, allo sviamento e alla contraddittorietà per avere la sentenza trascurato che la società Arechi Multiservice S.p.A., in quanto società in house, riveste natura pubblicistica, e che per il rilievo pubblicistico della sua attività non opera alcun limite al diritto di accesso anche agli atti di gestione dei rapporti di lavoro con i dipendenti; 4) la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 104/2010, degli artt. 3 e 97 Cost. e del d.lgs. n. 33/2013, insieme alla contraddittorietà, allo sviamento e al travisamento dei fatti, sussistendo i presupposti per l’accesso civico generalizzato, dal momento che l’accesso all’accordo conciliativo “potrebbe orientare in senso conforme anche futuri, analoghi procedimenti di soggetti attualmente terzi”, in linea con i principi del d.lgs. n. 33/2013; 5) la violazione e l’errata applicazione del d.lgs. n. 104/2010, degli artt. 3 e 97 Cost. e del d.lgs. n. 33/2013, insieme alla contraddittorietà, allo sviamento e al travisamento dei fatti, in quanto l’istanza di accesso documentale è condizione essenziale per addivenire ad un accordo conciliativo con la società intimata.
6. La società appellata si è costituita, contestando la fondatezza dell’appello, di cui ha chiesto il rigetto.
7. La causa è passata in decisione nella camera di consiglio del 16 ottobre 2025.
DIRITTO
1.. In via preliminare, deve disattendersi la prima censura.
Il primo giudice ha, infatti, dichiarato l’inammissibilità del ricorso sul corretto rilievo della carenza dell’interesse diretto, concreto ed attuale in capo all’istante ai fini dell’accesso documentale e del difetto dei presupposti fondanti il diritto di accesso civico generalizzato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, dall’altro.
2. Sempre in via preliminare, è priva di pregio la doglianza rivolta alla sentenza appellata per avere introdotto “nuove cause ostative all’accoglimento dell’accesso”, avendo il T.A.R. applicato le coordinate normative di cui agli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990 e 5 e ss. d.lgs. n. 33/2013.
3. Venendo al merito, l’appello è infondato e la sentenza impugnata dev’essere confermata, sulla scorta delle seguenti motivazioni, anche in chiave di integrazione delle considerazioni svolte nella sentenza appellata.
3.1. L’appellante sostiene che l’attività svolta dalla Arechi Multiservice S.p.A., in qualità di società in house sprovvista di terzietà nei confronti dell’ente di appartenenza, sia permeata dalla disciplina pubblicistica, e che, di conseguenza, trovi nel caso di specie applicazione l’istituto dell’accesso documentale.
3.1.1. Sulla natura della società in house si sono contese il campo due ricostruzioni.
Secondo un primo orientamento, la società in house, assoggettata al potere gerarchico dell’ente pubblico controllante e priva di un potere decisionale suo proprio, non sarebbe in grado di collocarsi come un’entità posta al di fuori dell’amministrazione, che ne dispone come di una propria articolazione interna (cd. longa manus). La società si identificherebbe, quindi, nel socio pubblico in ragione del carattere solo formale del velo societario, che esclude la sussistenza di effettivi profili di intersoggettività sostanziale.
Un secondo approccio ermeneutico, avallato dalla dottrina, ha, invece, rilevato che la società in house, pur costituendo una longa manus dell’amministrazione controllante sul piano organizzativo, è una vera e propria società di natura privata dotata di una sua autonoma soggettività giuridica rispetto all’ente pubblico socio. Confutata la tesi della cd. neutralità” della società pubblica e abbracciata l’opposta teoria della neutralità della qualità pubblica del socio, si ritiene che la veste societaria implichi l’assoggettamento alle regole di diritto comune in campo societario e, quindi, la natura intrinsecamente privatistica dell’ente associativo.
Tale seconda tesi è stata recepita con nettezza dal legislatore, che all’art. 1, comma 3, del T.U.S.P. (d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175), ha stabilito che «si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato». Le società partecipate, ivi comprese quelle cd. in house, hanno, quindi, assunto ormai definitivamente carattere privatistico sul piano dello status generale, venendo considerate, solo a fini disciplinari, e enti pubblici solo in quei settori in cui vi sia una norma espressa ed eccezionale di equiparazione ai soggetti pubblici (vedi il combinato disposto degli artt. 7, comma 2, cpa e 29 della legge n. 241/1990).
Dal momento che la richiesta di ostensione all’accordo di cui è causa è rivolta a un soggetto di diritto privato, si deve concludere che la regola scolpita dall’art. 22, l. 7 agosto 1990, n. 241, non può operare in virtù dell’assenza del requisito della soggettività pubblica e della conseguente non configurabilità di un “documento amministrativo” ex art. 22, co. 1, lett. d), l. n. 241/1990.
3.1.2. Tale rilievo non può essere superato nemmeno dal richiamo alla previsione di cui alla lett. e) dell’art. 22, co. 1, l. n. 241/1990, che ricomprende nella nozione di pubblica amministrazione, ai fini dell’accesso, “i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.
Il documento richiesto afferisce, infatti, all’attività di gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti con la Arechi Multiservice S.p.A.: attività, questa, tout court privatistica, all’evidenza avulsa dai profili di pubblico interesse che attrarrebbero l’atto nella sfera pubblicistica ed autoritativa protetta dal diritto di accesso e, quindi, estraneo, sia sul pino letterale che sul versante teleologico, al raggio di azione del meccanismo ostensivo volto a garantire il valore primario della trasparenza amministrativa.
Risulta, dunque, immune dalle critiche rivolte a la decisione del T.A.R. nella parte in cui ha ritenuto l’accordo transattivo non ostensibile perché estraneo ai settori di rilevanza pubblicistica e/o di interesse pubblico in cui il soggetto privato esercita una funzione pubblica o, comunque, opera in un “ambiente pubblicistico” che ne implica la soggezione alle regole in materia di public transparency (cfr. Cons. Stato, sez. III, 17 marzo 2017, n. 1213).
3.1.3 Ad avviso del Collegio, infatti, il documento richiesto dall’appellante è un atto negoziale non riconducibile alla definizione di documento amministrativo poiché, come già osservato, non concernente “attività di pubblico interesse”.
L’accordo conciliativo sottoscritto tra la Arechi Multiservice S.p.A. e la controinteressata ai sensi degli articoli 2113, co. 4, c.c., 411, co. 3, e 412 c.p.c. consiste, secondo pacifica giurisprudenza di legittimità, in una scrittura privata, avente natura di atto negoziale, tra lavoratore e datore di lavoro che si caratterizza, strutturalmente, per il necessario intervento del giudice e, funzionalmente, per l’effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, oltre che per gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato tra le parti (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. lavoro, 26 ottobre 2017, n. 25472).
Tale negozio “complesso”, che si conclude con la formazione e sottoscrizione del processo verbale di conciliazione, è frutto dell’incontro delle volontà di parti private, con la conseguenza che ne è radicalmente esclusa l’appartenenza al perimetro pubblicistico di esercizio del potere, della funzione e del servizio pubblico.
Ne deriva la legittimità del rigetto opposto dalla Arechi Multiservice S.p.A. all’appellante in quanto il documento “attiene a pattuizioni individuali con altro dipendente e notizie afferenti contenzioso di natura giuslavoristica”.
Va, pertanto, ribadita, sotto il profilo soggettivo, la non azionabilità del diritto di accesso, in quanto l’atto di cui si controverte è esplicazione di autonomia negoziale di un soggetto privato non equiparato ratione materiae a ente ‘pubblico.
3.2. A considerazioni analoghe si giunge guardando all’istanza di accesso nella prospettiva dell’accesso civico generalizzato.
Sul piano soggettivo va rilevato, anzitutto, che l’art. 5 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 sancisce l’obbligo di garantire l’accesso “ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione” (accesso c.d. generalizzato) esclusivamente in capo alle pubbliche amministrazioni, e non anche a enti privati (a meno che non esercenti funzioni amministrative o attività di pubblico interesse), non ricorrendo in tal caso l’esigenza, declamata dalla norma, di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.
3.2.1. Anche a prescindere dal dirimente profilo soggettivo, l’istanza di accesso civico formulata dall’appellante non può trovare accoglimento per le ragioni compiutamente esposte dal T.A.R. nella sentenza appellata.
Costituisce presupposto imprescindibile di ammissibilità dell’istanza di accesso civico la sua vocazione “generale”, che lo differenzia dall’accesso documentale, invece “proteso alla tutela di interessi conchiusi entro la sfera giuridica del soggetto richiedente” (Cons. Stato, Sez. III, 21 marzo 2022, n. 2019).
Dal tenore dell’istanza avanzata dall’appellante traspare un interesse conoscitivo sganciato dalle finalità tipiche dell’accesso civico generalizzato,, sostanziantisi nell’“arricchimento della dinamica democratica e partecipativa dei cittadini all’esercizio del potere pubblico [e la] garanzia del buon andamento della P.A.” (Cons. St., sez. III, n. 2019/2022), cui questo genus di accesso è finalisticamente orientato.
Anche sotto tale angolo visuale, dunque, la richiesta di accesso dell’appellante non può trovare accoglimento.
3.2.2. Deve, poi, evidenziarsi come, nel delicato bilanciamento tra gli interessi che si fronteggiano, risulta ragionevole la preferenza concessa, in sede di diniego, all’esigenza di riservatezza della controinteressata.
Infatti, il d.lgs. n. 33/2013, all’art. 5-bis, introduce un catalogo di eccezioni alla regola dell’accesso civico generalizzato, tra cui, per quanto qui di interesse, quella relativa alla “protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia” (art. 5-bis, co. 2, lett. a)). In questo caso (come per tutte le eccezioni relative contenute nei commi 1 e 2 dell’art. 5-bis), è rimesso all’Amministrazione il compito di effettuare un proporzionato e adeguato bilanciamento tra l’interesse pubblico alla conoscibilità e il danno all’interesse-limite alla riservatezza, secondo il criterio del c.d. harm test.
Nel caso dell’accesso civico, il contemperamento tra gli interessi in gioco deve essere condotto con ancor maggior rigore, trattandosi di accesso “massivo”, esteso a tutti i dati, informazioni e documenti detenuti dalla P.A., “ove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un controllo meno in profondità, se del caso in relazione all’operatività dei limiti” (Cons. St., Sez. IV, n. 1117/2024) e nel cui ambito, come rimarcato dalla giurisprudenza, lo scrutinio di necessità e proporzionalità, in presenza di controinteressi rilevanti (cd. interessi limite), è orientato alla massimizzazione della tutela della segretezza in danno della trasparenza.
Facendo applicazione di tali coordinate di principio, si può ritenere ragionevole e proporzionata la decisione di non considerare l’esigenza conoscitiva dell’appellante idonea a giustificare il significativo sacrificio dell’interesse alla riservatezza della controinteressata.
4.Le considerazioni esposte giustificano la reiezione dell’appello.
La peculiarità delle questioni giustifica la compensazione delle spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate,
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2025 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente, Estensore
Valerio Perotti, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere
Annamaria Fasano, Consigliere