Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2025, n. 6957
L'errore per travisamento del giudicato, sia esso esterno o interno, equivale a un errore di diritto e non di fatto. Pertanto, l'erronea presupposizione dell'esistenza del giudicato rileva come errore di diritto, equiparabile al vizio del giudizio sussuntivo, e non integra gli estremi dell'errore revocatorio
Guida alla lettura
Con sentenza del 6 agosto 2025, n. 6957, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, nel dichiarare inammissibile il ricorso per revocazione - stante la insussistenza del lamentato errore di fatto rilevante ai sensi dell’articolo 395, primo comma, n. 4, c.p.c.- ha osservato in linea generale:
a) che non può giustificare la revocazione una contestazione sull’attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852; sez. V 12 maggio 2015, n. 2346; sez. III 18 settembre 2012, n. 4934); di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass. 22 marzo 2005, n. 6198);
b) affinché possa dirsi sussistente il vizio revocatorio contemplato dalla norma è inoltre necessario che l’errore di fatto si sia dimostrato determinante, secondo un nesso di causalità necessaria, nel senso che l’errore deve aver costituito il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata per revocazione. È stato puntualizzato che il nesso causale non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, e non degli accadimenti concreti (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 826); la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso della causa (Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099);
c) l’errore deve poi essere caduto su un punto non espressamente controverso della causa e in nessun modo deve coinvolgere l’attività valutativa svolta dal giudice circa situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5).
Evidenziano i Giudici che, la giurisprudenza amministrativa ha condivisibilmente affermato che l’errore “è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento; in sostanza l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4800/2020).
La Sezione ha aggiunto che il giudicato, essendo equiparato a un comando giuridico, richiede un'interpretazione che non si esaurisce in un mero giudizio di fatto, ma che deve essere assimilata all'interpretazione delle norme giuridiche.
Pubblicato il 06/08/2025
N. 06957/2025REG.PROV.COLL.
N. 08315/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8315 del 2024, proposto dal Comune di Piove di Sacco, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuliano Neri, con domicilio eletto presso il suo studio in Padova, Gall. G. Berchet n. 8;
contro
le signore Antonella Romagnosi, Ivona Clara Gobbi, Laura Francesca Romagnosi, Francesca Romagnosi, rappresentate e difese dall'avvocato Raffaele Bucci, con domicilio eletto presso il suo studio in Dolo, via Cairoli, n. 129 c/o Wikind;
nei confronti
della Provincia di Padova, della Regione del Veneto, non costituite in giudizio;
del Consorzio Scardovara, rappresentato e difeso dall'avvocato Michele Greggio, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 giugno 2024, n. 5563.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle signore Antonella Romagnosi, Ivona Clara Gobbi, Laura Francesca Romagnosi e Francesca Romagnosi e del Consorzio Scardovara;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2025 il Cons. Emanuela Loria;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il presente ricorso ha ad oggetto la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5563/2024.
In considerazione della complessa vicenda sottostante è necessario riassumere le evenienze in punto di fatto sulle quali si è pronunciata la citata sentenza 5563/2024.
2. Le sig.re Romagnosi e Gobbi sono comproprietarie, per successione per mortis causa rispettivamente al loro padre e marito, Pasquale Romagnosi, di un terreno ubicato nel Comune di Piove di Sacco e confinante con due altri lotti di forma e dimensioni analoghe: a est con il lotto di proprietà del sig. Meneghetti, facente parte del Consorzio di comparto e ad ovest con il lotto dei controinteressati Adriano e Sandra Benetello, anch’essi soci di tale Consorzio, i quali vi hanno realizzato una casa unifamiliare.
Al lotto complessivo, formato da questi tre terreni confinanti, si accede attraverso due strade pubbliche, entrambe in origine a fondo cieco nel senso di non raccordate tra loro e che finivano sui terreni in oggetto.
La prima di queste strade è via Mameli, in direzione nord- sud, la quale si stacca dal resto della viabilità pubblica e termina in corrispondenza con il confine sud del lotto delle sig.re Romagnosi e Gobbi.
La seconda è un ramo di via Scardovara, in direzione est-ovest, che a sua volta si stacca dalla viabilità pubblica e termina al confine est del lotto Meneghetti di cui si è detto.
Il Comune ha previsto poi un raccordo fra le due strade pubbliche, ossia fra la via Mameli e la via Scardovara, derivandone una sequenza di atti.
Primo, in ordine di tempo, è la variante al P.R.G. del Comune, approvata con la delibera consiliare n. 75/1989 e che comprendeva l’area in questione nella zona denominata “C2 - Area di intervento unitario n. 25”, a destinazione residenziale, edificabile previo piano attuativo, con previsione di una quota della superficie da destinare a verde attrezzato, parcheggio e in parte a viabilità.
Tale variante generale del 1989 prevedeva per la porzione di terreno sulla quale oggi si controverte un vincolo preordinato all’esproprio al fine di realizzare la viabilità di cui sopra.
La suddetta variante generale, con la delibera consiliare n. 54/2014, viene sostituita dalla variante n. 16 al Piano degli interventi che, in base alla l.r. 11/2004, è uno dei due elaborati del Piano di assetto territoriale.
La nuova disciplina di cui alla variante n. 16 riclassifica l’area, per un’estensione ridotta rispetto alla precedente, come B2, edificabile con lo strumento del comparto urbanistico.
Rileva, invece, la prescrizione per cui il soggetto attuatore del parametro aveva l’obbligo “di sistemare la viabilità di accesso sia con via Scardovara che con via G. Mameli”.
Ai sensi dell’art. 1-quater delle norme tecniche del piano degli interventi, il comparto si sarebbe dovuto realizzare su iniziativa dei privati interessati con intervento edilizio diretto, sia per il residenziale sia per le opere di urbanizzazione.
Il comparto urbanistico ex art. 21 l.r. 11/2004 è costituito “dall’insieme degli immobili da trasformare appartenenti a più proprietari o soggetti aventi titolo ad edificare e costituenti una unità minima d'intervento” (comma 1).
In particolare, il comparto può ricomprendere, come in questo caso, (comma 2 ultima parte) “gli interventi singoli spettanti a più soggetti in attuazione diretta del piano degli interventi”.
Ai sensi del comma 3, il comparto si realizza “attraverso la costituzione di un consorzio per la presentazione di un unico titolo abilitativo, previa stipula di una apposita convenzione”, consorzio che opera a maggioranza, nel senso che (comma 4) può essere costituito da tanti proprietari i quali rappresentino almeno il 51% del valore catastale degli immobili in esso compresi, ed il 75% della superficie utile di pavimento.
Il consorzio così costituito prevale sulla volontà dei proprietari dissenzienti, in quanto (comma 5) per eseguire l’intervento può procedere all’occupazione ed esproprio degli immobili di questi ultimi ad esso necessari.
Il meccanismo appena descritto è stato attivato dai controinteressati, i consorti Benetello, titolari della necessaria maggioranza, e con il dissenso del citato Pasquale Romagnosi, nei termini ora riassunti.
Proprio per mezzo dell’apposito consorzio, costituito il 15 giugno 2016, è stata presentata la domanda di permesso di costruire 29 luglio 2016 prot. 28136.
I consorti Benetello, sempre a mezzo del consorzio, hanno ottenuto con la deliberazione consiliare n. 14/2018 l’approvazione del progetto definitivo e dello schema di convenzione, nonché la dichiarazione di pubblica utilità delle opere di urbanizzazione.
Essi hanno sottoscritto la relativa convenzione il 7 giugno 2018 ed ottenuto il corrispondente permesso di costruire n. 289/2018, con occupazione temporanea delle aree in virtù del decreto n. 140/2018.
L’immissione in possesso è avvenuta come da verbale del 30 ottobre 2018.
3. Il proprietario dissenziente, Pasquale Romagnosi, ha impugnato gli atti de quibus, dalla delibera consiliare n. 14/2018 in poi, innanzi al T.a.r. per il Veneto che accoglie in parte il ricorso con la sentenza n. 690/2019, passata in giudicato, annullando la suddetta delibera nella parte in cui “dichiara la pubblica utilità anche della porzione di opera ricadente sulla porzione del fondo del sig. Romagnosi esterna al comparto, su cui grava una servitù di passaggio in favore del fondo di proprietà della ditta Boscaro. Su tale area, infatti, non è apposto alcun vincolo preordinato all’espropriazione, essendo esterna al perimetro del comparto e, quindi, anche all’area raffigurata nella cartografia di Piano ove è prevista la localizzazione di opere viarie”.
La sentenza annulla altresì il decreto di occupazione d’urgenza, non sussistendo l’urgenza stessa, ma lasciando comunque impregiudicata la facoltà di espropriare.
Inoltre, la sentenza afferma: “Entrambe le parti, in punto di fatto, concordano sui seguenti punti: nell’area di cui trattasi sussisteva, prima dell’approvazione della Variante n. 16 al PI un vincolo preordinato all’espropriazione finalizzato alla realizzazione di opere viabilistiche, che è scaduto nel 2013; la cartografia allegata alla scheda urbanistica relativa a via Scardovara individua la zona ove la viabilità di raccordo dovrà essere collocata; manca una motivazione della reitera del vincolo preordinato all’esproprio sulla suddetta area”.
Per il resto, la sentenza ha dichiarato il ricorso inammissibile ovvero lo ha respinto nel merito, non annullando quindi gli altri atti impugnati, segnatamente il permesso di costruire n. 289/2018 rilasciato al consorzio e, per esso, ai consorti Benetello.
I controinteressati, sempre tramite il consorzio, hanno completato l’intervento secondo quanto era possibile dopo la sentenza di annullamento, ossia con il decreto di esproprio n. 11/2019.
E’ seguita la delibera consiliare n. 73/2020 con la quale il Comune ha adottato la variante n. 32 la quale recita: “al fine di rendere accessibile dalla pubblica via il lotto interessato dal Permesso di Costruire di cui sopra, è stata individuata una piccola porzione di viabilità all’interno dello stesso comparto”.
Con la delibera consiliare n. 35/2021 la variante è stata approvata e, nel solco di essa, il Consorzio ha fatto richiesta di variante al permesso di costruire n. 289/2018.
4. Le sig.re Romagnosi e Gobbi hanno proposto un nuovo ricorso al T.a.r. per il Veneto, impugnando questa volta le delibere nn. 73/2020 e 35/2021.
Il Comune, con la nota prot. 51083 del 16 dicembre 2021, ha comunicato l’avvio del procedimento finalizzato al rilascio del permesso in variante.
Le sig.re Romagnosi e Gobbi si sono opposte all’intervento con la nota di osservazioni del 17 febbraio 2022, evidenziando che esso interessa il terreno di loro proprietà e non intendono acconsentirvi.
Il Comune, con la delibera consiliare n. 31/2022, ha approvato il progetto definitivo dell’intervento, dichiarandone la pubblica utilità e respingendo, in particolare, l’osservazione secondo la quale “il comparto si è realizzato attraverso la costituzione di un consorzio per la presentazione di un unico titolo abilitativo, previa stipula di una apposita convenzione (art. 21 comma 3 l.r. n. 11/2004); - il consorzio, costituito ai sensi del comma 4 dell’art. 21 cit., ha titolo per procedere all’occupazione temporanea degli immobili dei dissenzienti per l’esecuzione degli interventi previsti, con titolo di rivalsa delle spese sostenute nei confronti degli aventi titolo, oppure per procedere all’espropriazione degli stessi immobili ai prezzi corrispondenti all’indennità di esproprio (art. 21, comma 5 l.r. 11/2004); per la realizzazione delle opere di urbanizzazione previste all’interno del perimetro di detto comparto e insistenti anche sui terreni dei proprietari dissenzienti, ai sensi dell’art. 21, comma 5 della l.r. 11/2004 si procede all’espropriazione degli immobili ai prezzi corrispondenti all’indennità di esproprio”.
Con ricorso per motivi aggiunti è stata impugnata altresì la delibera n. 31/2022, recante l’approvazione del progetto definitivo delle opere di urbanizzazione, con dichiarazione di pubblica utilità.
5. Il T.a.r., con la sentenza n. 1491/2023, ha accolto il ricorso, ritenendo che siano illegittimi gli atti di approvazione della variante n. 35 e, per effetto, anche la successiva approvazione del progetto, stante la reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio, imposto con i precedenti atti di pianificazione senza avvisare gli interessati dell’avvio del procedimento e senza assolvere l’onere di motivazione rafforzata previsto in questi casi.
6. Il Comune ha appellato la sentenza.
7. Con la sentenza n. 5563/2024, il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha accolto in parte l’appello, confermando la sentenza con una diversa motivazione e compensando le spese.
In particolare, la Sezione:
a) ha, in primo luogo, respinto il primo motivo relativo alla carenza di legittimazione delle ricorrenti di primo grado poiché le stesse otterrebbero dall’accoglimento del ricorso un’utilità ben precisa, ossia l’impossibilità di realizzare l’opera mediante l’esproprio del loro terreno;
b) ha giudicato infondato il secondo motivo, incentrato sulla presunta natura conformativa e non espropriativa del vincolo di cui si tratta: natura da cui deriverebbero la tardività del ricorso di primo grado e, comunque, la non necessità della partecipazione, ritenuta dovuta, invece, dal T.a.r.;
c) ha giudicato fondato il terzo motivo secondo il quale il vincolo ancorché espropriativo non sarebbe stato illegittimamente reiterato non abbisognando della motivazione aggravata dovuta in questi casi:
c.1.) in particolare, la sentenza revocanda ha ritenuto che questo motivo debba essere esaminato, anche se dalla reiezione dei primi due motivi d’appello potrebbe già conseguire la conferma della sentenza impugnata, poiché il terzo motivo attenendo alla sostanza dell’azione amministrativa, è in grado comunque di assicurare alla parte un’utilità poiché attiene all’effetto conformativo della sentenza.
In particolare, quanto alla pianificazione del 2014, risulterebbe dal giudicato formale formatosi sulla sentenza del T.a.r. per il Veneto n. 690/2019 “che l’area in questione era esterna al comparto e quindi per ragioni logiche non si può affermare che su di essa insistesse un vincolo creato dal comparto stesso nè constano vincoli altrimenti posti”, sicché l’affermazione contenuta nella sentenza Tar n. 690/2019, passata in giudicato, per cui sull’area vi sarebbe stato un vincolo scaduto nel 2013 appare frutto di errore.
Afferma la sentenza revocanda che tale affermazione appare frutto di un errore poiché in primo luogo, si trattava di un’area esterna al comparto; in secondo luogo, perché è un’affermazione fattuale che dichiara di riprodurre un’allegazione delle parti, ma non è posta a sostegno di un capo della sentenza, indi per cui non può avere acquistato l’efficacia di giudicato;
c.2.) Conseguentemente, la sentenza n. 5563/2024 prosegue affermando che allora, il vincolo sul quale ora si controverte era effettivamente un vincolo preordinato all’esproprio ma, non conseguendo ad una reiterazione, non richiedeva una motivazione aggravata.
d) L’accoglimento parziale dell’appello principale ha comportato l’esame dei motivi riproposti, anch’essi fondati solo in parte:
d.1.) In ordine logico, non sussiste alcuna incompetenza del Consiglio comunale poiché l’effetto ultimo dell’atto impugnato è di fare acquistare al Comune un diritto immobiliare sulla strada aperta al pubblico, da realizzare, e ciò fonda la competenza del Consiglio stesso ai sensi dell’art. 42, co. 2, lettera l) del TUEL;
d.2.) Quanto alla motivazione dell’atto impugnato, l’esistenza del permesso di costruire n. 289/2018 ed il contenzioso in atto fra i proprietari non integrano le ragioni di interesse pubblico per cui si può realizzare un’opera con il relativo esproprio, trattandosi con tutta evidenza di interessi privati, appartenenti al titolare del permesso ed ai vicini.
Non si tratta poi di realizzare il comparto come inizialmente previsto poiché, come accertato dalla sentenza n. 690/2019, l’area interessata è esterna a quel comparto.
L’opera che si vuole realizzare appare, invece, finalizzata ad offrire una via di accesso più comoda ed agevole al fondo dei controinteressati.
Nell’atto impugnato sussiste, quindi, il denunciato vizio di eccesso di potere per sviamento, venendo la funzione pubblica strumentalizzata in favore di un interesse soltanto privato.
8. Avverso la sopra citata sentenza ha proposto ricorso per revocazione il Comune di Piove di Sacco, chiedendo la sua riforma nella parte in cui ha accolto i motivi primo secondo e terzo riproposti in appello dai ricorrenti di primo grado chiedendone pertanto il rigetto.
8.1. Il Comune, dopo avere illustrato il fatto e lo svolgimento del giudizio, ha articolato un unico motivo:
“Errore di fatto ex art. 395, primo comma, n. 4) c.p.c. - Erronea presupposizione che l’area oggetto di procedura espropriativa sia esterna al comparto e che, pertanto, non ricorra un interesse pubblico per la dichiarazione di p.u.”.
A) Sostiene il Comune di avere interesse alla revocazione della sentenza nella parte in cui ha accertato l’inesistenza di un interesse pubblico a introdurre la Variante al Piano regolatore tale da ricondurre a viabilità la porzione del mappale n. 1108 di proprietà degli originari ricorrenti, in modo da consentire l’attuazione del comparto, come prevista nel progetto per il quale è stato rilasciato il permesso di costruire n. 289/2018.
Con il passaggio in giudicato della statuizione per cui il vincolo è espropriativo e non conformativo e di quella per cui esso, comunque, non darebbe luogo ad una reiterazione, la sentenza del Consiglio di Stato avrebbe l’effetto conformativo di consentire il riesercizio del potere con il rispetto delle forme procedimentali proprie dei provvedimenti di apposizione dei vincoli espropriativi.
Vista la successiva statuizione secondo la quale l’imposizione di tale vincolo non corrisponderebbe ad un interesse pubblico poiché l’area interessata sarebbe estranea al comparto, ne deriva tuttavia un effetto conformativo preclusivo al riesercizio del potere espropriativo volto alla realizzazione del comparto.
Se l’area fosse esterna al comparto, come attestato dal Consiglio, non sarebbe concepibile un interesse pubblico correlato alla realizzazione delle relative previsioni urbanistiche, indi per cui non potrebbe ipotizzarsi in alcun modo una dichiarazione di pubblica utilità delle progettate opere di urbanizzazione, destinate ad insistere sulla porzione del mappale n. 1108.
Poiché, al contrario, l’area è interna al comparto, l’interesse pubblico all’avvio della procedura di esproprio sussiste e fonda l’eventuale riavvio della procedura espropriativa, ove non si raggiungesse l’accordo fra i proprietari.
Pertanto, il legittimo riesercizio del potere espropriativo sull’area presuppone la modifica della decisione del Consiglio sotto questo specifico profilo, con conseguente interesse del Comune alla revocazione.
B) Nel merito, la statuizione contestata sarebbe smentita per tabulas, tanto è vero che la questione riguardo la presenza della porzione di mappale all’interno del comparto, non sarebbe stata controversa nel giudizio né di primo né di secondo grado.
Il dato sarebbe inconfutabile e lo si ricaverebbe: “- dall’estratto catastale (doc. 5) - dalla scheda tecnica della zona B/2 della Variante n. 16 al Piano degli interventi del 2014, mai impugnata (doc. 8); - dalle tavole progettuali che costituiscono il presupposto del p. di c. del 2018 rilasciato e mai annullato (doc. 10 e doc. 4 del fasc. revocazione); - dalle tavole oggetto della variante al p. di c. del 2021 (doc. 24); - dagli allegati planimetrici al verbale di immissione nel possesso del 2018 (doc. 13); - dal piano particellare di esproprio del 2018 (doc. 3 del fasc. del presente grado di giudizio)”.
Sarebbe erronea l’affermazione della sentenza secondo cui l’estraneità della porzione di mappale al comparto sarebbe stata oggetto di accertamento passato in giudicato con la sentenza Tar n. 690/2019.
Invero, il Tar non avrebbe accertato se l’area in discussione fosse interna o esterna al comparto.
Ciò che il T.a.r. avrebbe accertato è che “sussiste, invece, il vizio di violazione dell’art. 9 e 19 d.P.R. 327/2001”. Oggetto dell’accertamento compiuto dal T.a.r. era l’omessa apposizione del vincolo espropriativo sulla porzione del mappale n. 1180 nella delibera consiliare n. 14/2018.
Quindi, il punto di fatto e di diritto sul quale si è formato il giudicato n. 290/2019 è che sull’area de qua “non è apposto alcun vincolo preordinato all’espropriazione”, mentre i percorsi argomentativi attraverso i quali il Giudice è addivenuto a questa statuizione non rientrerebbero nell’accertamento giudiziale.
Peraltro, l’argomentazione era errata, dato che l’intero mappale n. 1180 era ricompreso nel perimetro della zona “B/2”.
Con ogni probabilità, ciò che il Tar intendeva, affermando che sull’area non vi fosse alcun vincolo, “essendo estranea al comparto”, era che nella dichiarazione di pubblica utilità l’area non fosse ricompresa nel perimetro del vincolo viabilistico.
Affermazione del tutto corretta, desumibile dagli allegati agli atti procedimentali.
In altri termini, l’affermazione contenuta nella sentenza T.a.r. n. 690/2019 costituisce un mero errore di fatto su un elemento estraneo all’accertamento giudiziale poiché l’inclusione o meno dell’area all’interno del comparto non costituiva una questione controversa sulla quale il Tar dovesse pronunciarsi.
Essa appare assimilabile ad un’altra affermazione secondo la quale sull’area vi sarebbe stato un vincolo scaduto nel 2013 ma, come chiarito dal Consiglio di Stato, si tratta di una mera affermazione di fatto, non posta a sostegno di alcun capo della sentenza.
L’estraneità o meno della porzione di mappale al perimetro del comparto non rientrava nella causa petendi né costituiva un precedente logico essenziale e necessario del capo di sentenza, atteso che l’occupazione d’urgenza aveva riguardato una porzione di terreno sulla quale la delibera consiliare n. 14/2018 non aveva impresso alcun vincolo preordinato all’esproprio.
Di conseguenza, sotto questo profilo, il Consiglio di Stato non era vincolato ad una statuizione del Tar sull’estraneità del mappale al comparto.
Il Giudice d’appello, invece, era vincolato alla documentazione la quale attesta la presenza dell’area all’interno del comparto.
Nel momento in cui si muove dal presupposto che l’area è interna al comparto, emerge l’interesse pubblico alla realizzazione del collegamento viario con le vie Mameli e Scardovara, come previsto nel progetto di comparto approvato con il permesso di costruire n. 289/2018.
9. Le signore Antonella Romagnosi, Ivona Clara Gobbi, Laura Francesca Romagnosi e Francesca Romagnosi e il Consorzio Scardovara si sono costituiti in giudizio e hanno eccepito l’inammissibilità del deposito di plurimi documenti che non risultano essere stati depositati né in primo grado né in grado d’appello.
Le prime hanno inoltre chiesto la reiezione del ricorso per revocazione mentre il Consorzio ne ha chiesto l’accoglimento. Le une e l’altro hanno depositato memorie ex art. 73 c.p.a. e memorie di replica. Le intimate hanno altresì eccepito l’inammissibilità dei documenti depositati dal Consorzio nonché della stessa costituzione del Consorzio rimasto contumace sia in primo che in secondo grado del giudizio.
10. Alla pubblica udienza del 15 aprile 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
11. E’ da accogliere l’eccezione di inammissibilità sollevata dalle intimate relativamente al deposito di nuovi documenti nel giudizio revocatorio, come affermato dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (tra le molte, Cons. Stato, Sez. II, 16 luglio 2024, n. 6399).
L'errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c. – dedotto nella fattispecie in esame - è un errore di percezione, cioè dei sensi del giudice, risultante dagli atti o documenti della causa, ovvero circostanze comunque non conoscibili, neppure con uno sforzo massimo di diligenza, da parte del giudice e non un errore di giudizio. Pertanto non è configurabile un errore di percezione rispetto ad atti o documenti non prodotti e, conseguentemente, è inammissibile la produzione di nuovi documenti al fine di dimostrare l'errore di fatto.
11.1. In relazione alla eccezione di inammissibilità della stessa costituzione del Consorzio, essendo il ricorso per revocazione inammissibile, il Collegio per ragioni di economia decisionale e motivazionale ritiene di prescindere dallo scrutinio dell’eccezione.
12. Il ricorso per revocazione è inammissibile stante la insussistenza del lamentato errore di fatto rilevante ai sensi dell’articolo 395, primo comma, n. 4, c.p.c., potendo osservarsi in linea generale:
a) che non può giustificare la revocazione una contestazione sull’attività di valutazione del giudice, perché essa riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2015, n. 3852; sez. V 12 maggio 2015, n. 2346; sez. III 18 settembre 2012, n. 4934); di conseguenza, il vizio revocatorio non può mai riguardare il contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, come esposte negli atti di causa, perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono “fatti” ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e perché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass. 22 marzo 2005, n. 6198);
b) affinché possa dirsi sussistente il vizio revocatorio contemplato dalla norma è inoltre necessario che l’errore di fatto si sia dimostrato determinante, secondo un nesso di causalità necessaria, nel senso che l’errore deve aver costituito il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata per revocazione. È stato puntualizzato che il nesso causale non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, e non degli accadimenti concreti (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 826); la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso della causa (Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099);
c) l’errore deve poi essere caduto su un punto non espressamente controverso della causa e in nessun modo deve coinvolgere l’attività valutativa svolta dal giudice circa situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cons. Stato, Ad. plen., 24 gennaio 2014, n. 5).
Ha condivisibilmente affermato la giurisprudenza amministrativa che l’errore “è configurabile nell’attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento; in sostanza l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4800/2020).
12.1. Operata la ricognizione dei principi suesposti, il motivo - con il quale è dedotto che la sentenza revocanda avrebbe erroneamente interpretato ciò che è passato in giudicato della sentenza del Tar per il Veneto n. 690 del 2019 - è inammissibile.
Invero, la Corte di cassazione (sent. Sez. I, 10 ottobre 2024, n. 26442), con sentenza rilevante nel presente caso, ha affermato che:
"L'errore per travisamento del giudicato, sia esso esterno o interno, equivale a un errore di diritto e non di fatto. Il giudicato, essendo equiparato a un comando giuridico, richiede un'interpretazione che non si esaurisce in un mero giudizio di fatto, ma che deve essere assimilata all'interpretazione delle norme giuridiche. Pertanto, l'erronea presupposizione dell'esistenza del giudicato rileva come errore di diritto, equiparabile al vizio del giudizio sussuntivo, e non integra gli estremi dell'errore revocatorio”).
Il principio affermato dalla Corte di cassazione è esattamente applicabile al caso in esame poiché il ricorso per revocazione si basa su un unico elemento e segnatamente sul fatto che la proprietà sud-occidentale della proprietà Romagnosi non sarebbe “esterna al comparto” come affermato dalla sentenza n. 5563/2024.
Tale affermazione è ricavata da parte della sentenza revocanda, dall’accertamento compiuto dalla sentenza del Tar per il Veneto n 690/2019, rimasta inoppugnata e quindi passata in giudicato (anche per il punto in questione che ha costituito un punto fondamentale della sentenza n. 690/2019), per cui la sentenza n. 5563/2024 ha conseguentemente confermato quanto già precedentemente accertato nella sentenza n. 690/2019 passata in giudicato: «Come accertato dalla sentenza 690/2019 più volte citata, l’area a quel comparto è esterna» ed ancora, «Risulta dal giudicato formatosi sulla sentenza T.a.r. Veneto 690/2019 che l’area in questione era esterna al comparto» (pag. 19, rr. 21-22).
Conseguentemente, la sentenza n. 5563/2024 non è incorsa in un «errore di fatto» ma ha tenuto conto dei contenuti del giudicato formatosi sulla sentenza 690/2019, che faceva riferimento alla “porzione del fondo del sig. Romagnosi esterna al comparto”, precisando a riguardo che «su tale area, infatti, non è apposto alcun vincolo preordinato all’espropriazione, essendo esterna al perimetro del comparto e, quindi, anche all’area raffigurata nella cartografia di Piano ove è prevista la localizzazione di opere viarie”.
La sentenza revocanda ha quindi fatto applicazione anche del principio di cui all’art. 2909 c.c. ai sensi del quale il giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi o aventi causa, tenuto conto del fatto che come affermato dalla Corte di Cassazione cit., l’interpretazione di precedenti giudicati da parte del giudice costituisce errore di diritto e non errore di fatto.
13. Conclusivamente, nel caso in esame, l’errore che il ricorrente pone a fondamento del proprio ricorso non può essere ricondotto all’errore di fatto revocatorio e pertanto, per le suindicate motivazioni, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.
14. Le spese del giudizio di revocazione possono essere compensate per la complessità della vicenda in esame e delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Compensa tra le parti le spese del giudizio per revocazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2025 con l’intervento dei magistrati:
Silvia Martino, Presidente FF
Emanuela Loria, Consigliere, Estensore
Ofelia Fratamico, Consigliere
Eugenio Tagliasacchi, Consigliere
Riccardo Carpino, Consigliere