Cons. Stato, Sez. V, 31 ottobre 2025, n. 8493
Il Consiglio di Stato ha ritenuto valida e ammissibile un’offerta a rialzo qualora il bando di gara la preveda espressamente, indicando limiti e condizioni ai sensi dell’art. 70, comma 4, lett. f) del nuovo Codice, per come modificato dal cd. correttivo. Infatti, il D.Lgs. n. 209/2024 avrebbe ammesso tale facoltà, in deroga alla regola generale che prevede il divieto di offerte a rialzo. Nel caso di specie, relativo a un Accordo quadro, la Stazione appaltante aveva previsto un limite di spesa e un limite di prestazioni che potevano essere affidate all’aggiudicatario, in ossequio ai vincoli comunitari, con ciò determinando un autovincolo per l’Amministrazione, ma anche una preclusione per l’Operatore economico di presentare offerte al rialzo.
Guida alla lettura
La V Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata su una questione che, alla luce del correttivo, pare peculiare nel panorama delle gare pubbliche: cioè, il caso in cui l’operatore economico presenti un’offerta al rialzo, il cui prezzo superi l’importo posto a base di gara.
Tale possibilità, invero, ad oggi sembra cristallizzata dall’art. 70, comma 4, lett. f) del D.Lgs. n. 36/2023, il quale avrebbe – a seguito del cd. correttivo – ammesso tale possibilità.
Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in esame, osserva che l’art. 70 del nuovo Codice individua tassativamente i casi di inammissibilità delle offerte. Tra questi vi rientrano, in particolare, quelle: a) non conformi ai documenti di gara; b) ricevute oltre i termini indicati nel bando o nell’invito con cui si indice la gara; c) in relazione alle quali vi sono prove di corruzione o collusione; d) considerate anormalmente basse; e) presentate da offerenti che non possiedono la qualificazione necessaria; f) il cui prezzo supera l’importo posto a base di gara, stabilito e documentato prima dell’avvio della procedura di appalto, salvo che il bando non preveda espressamente tale possibilità, individuandone i limiti di operatività.
Tuttavia, l’ultimo inciso della norma, come integrata dal correttivo, introduce una deroga alla regola generale: il bando può prevedere la possibilità di presentare un’offerta superiore, purché ne specifichi chiaramente limiti e condizioni.
Secondo la Relazione illustrativa, tale previsione recepirebbe orientamenti giurisprudenziali già affermati in materia. A sostegno, infatti, viene citata la sentenza del Consiglio di Stato del 18 ottobre 2023, n. 9078, che avrebbe ritenuto legittima l’aggiudicazione ad un operatore la cui offerta superava il valore posto dalla Stazione appaltante a base d’asta, purché il disciplinare avesse tassativamente indicato i limiti a tale facoltà e la clausola in questione non fosse stata oggetto di espressa e tempestiva impugnazione da parte degli altri concorrenti in gara.
In realtà, la pronuncia riportata non ha sancito un principio generale di ammissibilità di offerte a rialzo qualora previste dal bando di gara, ma ha rilevato soltanto che la clausola, pur illegittima, poiché in violazione di legge, non era più contestabile in quanto decorsi i termini per l’impugnazione.
Anche la pronuncia in esame, invero, richiama la giurisprudenza precedente alla riforma, rilevando come fosse granitica la tesi per cui le offerte il cui prezzo superasse l’importo a base di gara fossero inammissibili (ex multis, Cons. Stato n. 2542/2017, da ultimo Cons. Stato n. 688/2022).
Il Collegio, però, da atto della nuova normativa, che – come visto – ha introdotto all’art. 70, comma 4, lett. f) del D.Lgs. n. 36/2023 una clausola di esclusione o di deroga alla regola generale.
Nel caso di specie - una procedura volta all’aggiudicazione di un Accordo quadro - la disposizione in esame non trovava applicazione dato che l’Amministrazione non aveva ammesso tale facoltà nel bando di gara. Infatti, in ossequio alla giurisprudenza comunitaria che impone la previsione per tali Accordi di fissare un valore massimo a tutela della parità di trattamento e della trasparenza, la Stazione appaltante aveva chiaramente indicato i limiti massimi di spesa che l’ente appaltante non può superare e il limite massimo delle prestazioni che possono essere richieste all’aggiudicatario.
Sicché, il limite previsto nella documentazione di gara – frutto di discrezionalità tecnica della Stazione appaltante – costituisce di per sé sia un autovincolo per quest’ultima sia un limite per gli operatori economici, i quali non possono modificare ad libitum la base d’asta.
In definitiva, la sentenza in commento sembra confermare che il correttivo del 2024 abbia ritenuto ammissibile offerte al rialzo, purché le Stazioni appaltanti prevedano negli atti di gara con chiarezza tale possibilità, trattandosi di una deroga alla regola generale fissata dall’art. 70, comma 4, del Codice.
Pubblicato il 31/10/2025
N. 08493/2025REG.PROV.COLL.
N. 02600/2025 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2600 del 2025, proposto da
Step-Servizi e Tecnologie Enti Pubblici s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG B1F1C07135, rappresentata e difesa dagli avvocati Pasquale Cerbo e Enrico Pintus, con domicilio eletto presso lo studio Raffaella Chiummiento in Roma, via Salaria n. 103;
contro
Andreani Tributi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Calzolaio e Maria Cristina Mattiacci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Unione Montana Alta Valle del Metauro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Michela Ubaldi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Comune di Urbino, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) n. 115/2025, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Andreani Tributi s.r.l. e della Unione Montana Alta Valle del Metauro;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2025 il Consigliere Annamaria Fasano e uditi per le parti gli avvocati Cerbo, Calzolaio e Pesce in sostituzione dell'avvocato Ubaldi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con determina dirigenziale n. 60 del 3.6.2024, l’Unione Montana Alta Valle del Metauro indiceva una procedura selettiva aperta, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la conclusione di un Accordo quadro con unico operatore economico per servizi associati in capo tributario ed altre entrate per i Comuni di Acqualagna, Borgo Pace, Carpegna, Fermignano, Frontino, Lunano, Macerata Feltria, Mercatello sul Metauro, Numana, Peglio, Piandimeleto, Pietrarubbia, Piobbico, Sant’Angelo in Vado, Sassocorvaro Auditore, Sassoferrato, Urbania e Urbino. Il Bando di gara, infatti, prevedeva l’affidamento in appalto/concessione, tramite stipula di Accordo Quadro della durata massima di quattro annualità, dei servizi relativi all’accertamento e riscossione delle entrate comunali relativi agli enti aderenti alla convenzione, per un valore stimato di euro 5.300.000.
Presentavano offerta cinque operatori economici: Andreani Tributi s.r.l., Step – Servizi e Tecnologie Enti pubblici s.r.l. (in seguito anche solo Step), Abaco s.p.a., C&C s.r.l. e Creset s.p.a.
La società Step si classificava al primo posto in graduatoria grazie al punteggio sull’offerta economica, maturato in ragione della proposizione di un ribasso unico percentuale nella misura del 48%. La stazione appaltante disponeva l’esclusione di Step, atteso che la società aveva superato il valore complessivo dei ricavi posto a base di gara, violando i principi della par condicio e della concorrenza.
La società Step-Servizi e Tecnologie Enti Pubblici s.r.l. proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo per le Marche contestando, in sostanza, la disposta esclusione per anomalia dell’offerta e, con motivi aggiunti, domandava l’annullamento di alcuni verbali di gara.
Il provvedimento di esclusione stabiliva che: “In relazione alle risultanze del verbale n. 3 della Commissione valutatrice, si comunica che il sottoscritto Responsabile Unico del Progetto ha terminato il procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte ai sensi dell’art. 110 del D. Lgs. n.36/2023 avvalendosi anche di codesta commissione valutatrice ai sensi di quanto disposto dal disciplinare di gara Punto 17.4 e Punto 22. Si comunica che in esito al procedimento di verifica di cui sopra, l’offerta presentata dall’Operatore Economico STEP SRL è risultata ANOMALA e pertanto esclusa dalla gara in oggetto, in quanto: Le giustificazioni presentate violano la disciplina di gara in quanto il valore complessivo dei ricavi ricostruito dall’OE (totale ricavi da Tabella 2 giustificativi) supera il massimo complessivo posto a base di gara; Le giustificazioni addotte violano i principi di trasparenza e parità di trattamento tra i concorrenti in quanto i giustificativi presentati dall’operatore economico non possono trasformarsi in una arbitraria modifica postuma del valore posto a base di gara: in base a quanto asserito dall’Operatore economico nel formulare le proprie giustificazioni il valore della gara (applicando gli AGGI posti a base di gara come da tabella riportata all’art.17.3 del Disciplinare di gara) sarebbe pari ad Euro 7.051.306,90 in totale difformità dalle previsioni formulate dalla stazione appaltante (…), L’Operatore economico basa le sue giustificazioni sulla ipotesi irrealistica e non plausibile che tutti gli Enti aderenti all’accordo quadro affideranno all’Operatore Economico tutti i servizi relativi a tutte le entrate locali (riscossione ordinaria, accertamento e coattiva). L’ipotesi formulata nei giustificativi dall’Operatore Economico relativa al gettito annuale della riscossione coattiva risulta irrealistico, non attendibile e non coerente con gli altri valori indicati dall’operatore economico, di conseguenza risulta altresì non attendibile ed irrealistico anche il valore relativo agli oneri di riscossione”.
Con il ricorso introduttivo, la ricorrente affermava che il provvedimento impugnato non escludeva che l’offerta potesse generare un utile di impresa. Nei giustificativi inviati alla stazione appaltante, si sosteneva che la ricorrente aveva evidenziato un utile nel quadriennio di euro 798.278,16, nonostante l’altissimo costo del lavoro, pari a euro 2.800.000, quantificato dalla stazione appaltante e non soggetto a ribasso. Pertanto, l’offerta economica della ricorrente risultava ampiamente in utile anche se gli introiti complessivi nel quadriennio fossero pari ai soli ricavi da aggi stimati dalla stazione appaltante (euro 4 milioni): infatti, a fronte di spese complessive quantificate in euro 3.495.000, residuava comunque un utile per euro 505.000. Secondo la società, qualora alcuni Comuni non avessero fruito dell’Accordo quadro gestendo in economia i propri tributi, riducendo quindi i ricavi ritraibili dal servizio per la ricorrente, ciò si traduceva in una corrispondente riduzione dei relativi costi, in modo che la medesima avrebbe visto comunque garantito il proprio equilibrio economico e quindi il proprio utile. La società denunciava che era illogica l’affermazione della stazione appaltante secondo cui: «le giustificazioni presentate violano la disciplina di gara in quanto il valore complessivo dei ricavi ricostruito dall’OE (totale ricavi da 12 Tabella 2 giustificativi) supera il massimo complessivo posto a base di gara», non corrispondendo al vero che i ricavi indicati nei giustificativi erano superiori a quelli indicati dall’ Amministrazione, la quale aveva erroneamente imputato a ricavi anche gli introiti non corrispettivi (quantificati da Step in complessivi € 1.204.090,04 nel quadriennio). Tali introiti erano stati previsti normativamente (per giunta, si dice, in larga parte a carico dei contribuenti e non delle amministrazioni) e la loro spettanza al concessionario era stata confermata pure nei chiarimenti forniti dalla stazione appaltante sulle FAQ. Si trattava, in particolare, degli oneri di riscossione sugli incassi coattivi, dei rimborsi per le spese delle procedure coattive e del recupero delle spese postali. Anche tali introiti, quantunque non corrispettivi come gli aggi (ricavi), contribuivano all’economicità dell’offerta. Nelle gare per l’affidamento di concessioni non risultava in alcun modo escluso che l’operatore economico potesse sovrastimare i ricavi rispetto a quanto calcolato dalla stazione appaltante. Secondo la ricorrente, appariva illogica ed erronea l’affermazione dell’Amministrazione secondo cui: “le giustificazioni addotte violano i principi di trasparenza e parità di trattamento tra i concorrenti in quanto i giustificativi presentati dall’operatore economico non possono trasformarsi in una arbitraria modifica postuma del valore posto a base di gara”, atteso che la stima degli introiti effettuata dalla ricorrente per il quadriennio, si basava su dati storici elaborati dai Comuni aderenti all’Accordo quadro, forniti a tutti i concorrenti dalla stessa stazione appaltante unitamente ai chiarimenti, in risposta ad un quesito formulato da un altro concorrente. L’esponente lamentava che, quand’anche non vi fosse tenuta, la stazione appaltante aveva deciso di aprire un subprocedimento di verifica dell’anomalia, invitando la ricorrente a fornire giustificativi sull’offerta anomala in modo generico e senza fare riferimenti di sorta alla problematica dei ricavi. Quindi, a fronte delle articolate giustificazioni fornite, l’Amministrazione aveva proceduto direttamente all’esclusione senza chiedere chiarimenti sulle ‘contestazioni’, laddove, invece, avrebbe dovuto chiedere al concorrente di prendere posizione su tali aspetti, invece di esplicitarli per la prima volta direttamente nel provvedimento di esclusione. Infine, la società Step, nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere che le previsioni del bando, del disciplinare di gara (in particolare all’art. 3) o del capitolato d’oneri, imponessero l’esclusione dalla gara, in ragione dell’indicazione di incassi complessivi superiori ai ricavi stimati, impugnava anche tali atti perché tali previsioni (così interpretate) non erano coerenti con l’assunzione del rischio operativo in capo al concessionario (art. 177 d.lgs. 36 del 2023), e si ponevano in violazione dei canoni di ragionevolezza.
Parte ricorrente, inoltre, proponeva motivi aggiunti, introducendo ulteriori censure agli atti già impugnati, oltre che censure dirette avverso i verbali di gara.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, con sentenza n. 115 del 2025, respingeva il ricorso e i motivi aggiunti, perché in parte infondati e in parte inammissibili.
Il Giudice di prime cure riteneva non persuasive le giustificazioni della ricorrente, assumendo inter alia che, ai sensi dell’art. 5.1 del Capitolato di oneri, la base d’asta di quattro milioni di euro rappresentava espressamente “il valore massimo dell’Accordo quadro”. Inoltre, ai sensi dell’art. 2.1.3. del bando di gara, il valore dei servizi era, al netto dell’IVA, di 5,3 milioni di euro. Si trattava di un valore la cui quantificazione non poteva ritenersi irrilevante, perché incideva anche sulla soglia di rilevanza europea, trattandosi nella specie (anche) di concessioni. Soglia che, come noto, per il 2024 era, per quest’ultime, di 5,538 milioni di euro. Ad avviso del Collegio, l’assunto di parte ricorrente, circa l’incrementabilità ad libitum della base d’asta nel caso di specie, aveva quale effetto quello di demandare (a posteriori) ai concorrenti la qualificazione di rilevanza europea di una gara, con riflessi sulla disciplina applicabile e sugli oneri della stazione appaltante. Anche per tale ragione la tesi di parte ricorrente non poteva trovare accoglimento. Inoltre, oggetto della procedura di evidenza pubblica in rilievo era un Accordo quadro che poteva originare tanto contratti di concessione, che contratti di appalto (cfr. art. 5.2 Capitolato di oneri), a discrezione dei Comuni aderenti all’Accordo, che decidevano di esternalizzare il servizio di gestione dei tributi di propria competenza. Dunque, le considerazioni di parte ricorrente, espresse sia nel primo che nel terzo motivo di diritto, circa la traslazione del rischio economico che avrebbero consentito di superare la base di gara, riguardando le sole concessioni e non gli appalti, non erano condivisibili.
3. Con ricorso in appello, notificato nei termini e nelle forme di rito, la Step – servizi e tecnologie Enti pubblici s.r.l. ha impugnato la suddetta pronuncia, chiedendone la riforma sulla base delle seguenti censure: “1. Ingiustizia della sentenza impugnata con riguardo alla violazione di legge per errata applicazione degli artt. 108, 110 e 177 del d.lgs. n. 36/2023, nonché dell’art. 3 del disciplinare di gara e dell’art. 1 del capitolato d’oneri, e all’eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e per carenza e contraddittorietà della motivazione; 2. Ingiustizia della sentenza impugnata con riguardo all’eccesso di potere per carenza di istruttoria, nonché per violazione di legge per errata applicazione dell’art. 22 del disciplinare di gara e dell’art. 110 d.lgs. n. 36 del 2022 sotto altro profilo; 3. Ingiustizia della sentenza impugnata con riguardo alla violazione di legge per errata applicazione dell’art. 177 d.lgs. 36/2023, nonché all’eccesso di potere per violazione dei principi di ragionevolezza, di concorrenza e del risultato; 4. Ingiustizia della sentenza appellata nella parte in cui ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti”.
4. La società Andreani Tributi s.r.l. si è costituita in resistenza, concludendo per il rigetto dell’appello.
5. L’Unione Montana Alta Valle del Metauro si è difesa, chiedendo che l’appello sia dichiarato inammissibile, improcedibile e/o comunque sia respinto.
6. Le parti, con rispettive memorie, hanno precisato le proprie difese.
7. All’udienza del 17 luglio 2025, la causa è stata assunta in decisione.
DIRITTO
8. Con il primo mezzo, l’appellante censura la sentenza impugnata con riferimento al rilievo assunto dalla base d’asta rispetto alle offerte dei singoli concorrenti. Secondo la ricorrente, il Collegio di prima istanza avrebbe erroneamente qualificato la stima dei ricavi della stazione appaltante come un valore ‘vincolante’ e come ‘limite invalicabile’. A tale riguardo la ricorrente deduce di avere lamentato, con il ricorso introduttivo, la palese illegittimità della valutazione di anomalia della propria offerta sotto molteplici profili, prettamente metodologici, ciascuno dei quali idoneo ad inficiarla in radice. Ciò in quanto, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione, i ricavi da aggi indicati da Step nei giustificativi non erano superiori a quelli stimati (essendo pari ad euro 3.149.188,04 nel quadriennio, a fronte di una stima dell’amministrazione pari ad euro 4.000.000). In ogni caso, come è dato evincere dal disciplinare di gara e dal capitolato d’oneri, il valore dei ricavi indicato dalla stazione appaltante costituisce una mera stima, peraltro dichiarata approssimativa e non suddivisa per singola entrata o tipologia di attività, e non un corrispettivo fisso sul quale applicare il ribasso percentuale offerto. Secondo la Step, nessuna previsione della documentazione di gara vieterebbe ai concorrenti di stimare i propri introiti, ai fini della sostenibilità dell’offerta, utilizzando quale base di calcolo i dati effettivi delle entrate comunali. La società deduce, in sostanza, di non avere modificato in alcun modo il valore della base di gara, poiché la base di gara sarebbe costituita dalla percentuale di aggio da applicare sulle varie entrate e, comunque, la stima degli introiti per il quadriennio sarebbe basata sui dati delle entrate forniti dai Comuni aderenti all’Accordo quadro, secondo un criterio prudenziale, anche in ragione del fatto che molti Comuni devono ancora aggiungere i loro dati.
In particolare, nello sviluppo illustrativo del mezzo, l’appellante lamenta che:
i) la sentenza ha omesso di considerare che Step non poteva essere esclusa, per supposta anomalia dell’offerta, senza che la stazione appaltante abbia mai affermato (e, tantomeno, dimostrato) che l’asserita sovrastima dei ricavi azzeri l’utile dichiarato nei giustificativi;
ii) la sentenza ha omesso di considerare che il giudizio di anomalia è imperniato sull’impossibilità di tenere conto nella stima dei ricavi di tutti i servizi rientranti nell’accordo quadro, quantunque la normativa di settore e la disciplina di gara stabiliscano l’esatto contrario;
iii) la sentenza ha palesemente errato nel ritenere che con la propria offerta economica Step abbia addirittura modificato il corrispettivo a base d’asta o che abbia mutato la soglia di rilievo eurounitario, tenuto conto che il ribasso offerto doveva riguardate gli aggi posti a base di gara e che, comunque, i ricavi da aggi stimati da Step sono significativamente inferiori al tetto massimo indicato dalla stazione appaltante;
iv) la sentenza ha palesemente errato nel ritenere che non si dovesse tenere conto anche di voci diverse e ulteriori rispetto ai ricavi da aggi (qualificate addirittura come occulte o arbitrarie), poiché si tratta di introiti a favore dell’affidatario previsi sia dalla disciplina di settore che dalla documentazione di gara;
v) la sentenza ha palesemente errato nel ritenere che i ricavi stimati da Step non abbiano tenuto conto della possibilità che i servizi siano affidati in appalto invece che in concessione, poiché tale aspetto non è stato preso in considerazione nei provvedimenti impugnati e, comunque, tale distinzione non consente differenze sostanziali sul piano della remunerazione dei servizi;
vi) la sentenza ha completamente omesso di considerare che la stima degli aggi sul coattivo e degli oneri da riscossione è stata calcolata sulle somme espressamente indicate dai Comuni e dalla stessa stazione appaltante e sia comunque prudenziale.
9. Con il secondo motivo di appello, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il secondo motivo del ricorso introduttivo, con il quale Step aveva rilevato un macroscopico vizio di ordine procedurale, utilizzando una argomentazione del tutto inconferente, atteso che con la censura si era evidenziato che la stazione appaltante aveva dapprima invitato la ricorrente a fornire giustificativi “senza fare riferimenti di sorta alla problematica dei ricavi” e poi aveva “proceduto direttamente all’esclusione senza chiedere chiarimenti sulle contestazioni”, finendo a tale stregua per esplicitarle “per la prima volta direttamente nel provvedimento di esclusione”. La ricorrente denuncia uno ‘scollamento’ fra la doglianza e la motivazione di rigetto, atteso che il T.A.R. ha affermato: “il secondo motivo di ricorso va parimenti disatteso, perché punta a sostituire la valutazione tecnica di anomalia espressa dall’amministrazione, con quella di parte. Sostituzione non consentita né alla parte né tantomeno al giudice, il quale in assenza di macroscopiche illogicità o travisamenti in fatto, qui assenti, non può sindacare il merito dell’esercitata discrezionalità tecnica della stazione appaltante in sede di giudizio di anomalia dell’offerta”.
La società deduce che, in disparte la censura, non vi sarebbe dubbio che la condotta procedurale della stazione appaltante sia stata connotata da diversi profili macroscopici di illegittimità. La stazione appaltante avrebbe dovuto fissare e rendere conoscibili ex ante i criteri sulla cui base sarebbe stata effettuata la valutazione di anomalia, e avrebbe dovuto comunicare a Step le ragioni della supposta anomalia prima di procedere all’esclusione, consentendole di prendere posizione sulle stesse, oltre al fatto che l’Amministrazione avrebbe dovuto svolgere una adeguata istruttoria sui giustificativi di Step e, in caso di dubbio, chiedere chiarimenti e integrazioni invece di procedere direttamente all’esclusione.
10. Con il terzo mezzo, Step contesta il rigetto del terzo motivo del ricorso introduttivo, assumendo che il T.A.R. avrebbe respinto la critica con la stessa motivazione utilizzata per rigettare il primo motivo, già contestata nell’atto di appello, a cui fa rinvio, nonché con il rilievo che gli affidamenti possono avvenire non solo in concessione, ma anche in appalto. Secondo la ricorrente, nel caso in cui la lex specialis stabilisca di retribuire in ogni caso l’affidatario non mediante un corrispettivo prestabilito, ma a percentuale sulle effettive entrate (aggi) non sarebbe ragionevole pretendere di distinguere fra concessione e appalto con riguardo alla traslazione del rischio economico.
11. Con la quarta doglianza, l’appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso per motivi aggiunti, con il quale sono state sollevate critiche conseguenti alla acquisita conoscenza della documentazione depositata in giudizio dalla stazione appaltante. Il T.A.R. avrebbe sbrigativamente dichiarato l’inammissibilità delle denunce avverso i verbali di gara, ritenendoli atti di natura endo procedimentale, laddove tali atti, invece, sono stati impugnati perché atti presupposti al provvedimento di esclusione, sul quale si riverberano le relative illegittimità. La società conclude che alla riforma della sentenza appellata sul punto conseguirebbe la necessità che vengano esaminati nel ‘merito’ anche il quarto e il quinto motivo di ricorso, formulati nei motivi aggiunti e ai quali fa rinvio.
12. Le critiche, come sopra sintetizzate, vanno esaminate congiuntamente in quanto attinenti a profili connessi.
12.1. Va premesso, in fatto, che, con nota del 30 settembre 2024, la stazione appaltante, rilevato che l’offerta economica presentata dalla ricorrente ha recato un ribasso del 48% sugli aggi posti a base di gara (pari a 4 milioni di euro, quindi dopo il ribasso, ammontanti a 2,08 milioni di euro) ed essendo stato fissato il costo della manodopera non ribassabile in 2,8 milioni di euro, ha comunicato che tale offerta appare anomala (sull’evidente rilievo che non fosse sufficiente a coprire nemmeno il costo della manodopera), sotto il profilo della congruità, sostenibilità e della realizzabilità della stessa.
Ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. n. 36/2023, la ricorrente è stata, quindi, invitata a far pervenire, nel termine di dieci giorni, giustificazioni relative all’offerta presentata.
Le giustificazioni prodotte non sono state ritenute idonee a superare il giudizio di anomalia, atteso che parte ricorrente, sulla base di dati forniti nelle FAQ e di proprie autonome rielaborazioni e previsioni circa l’andamento del gettito e delle riscossioni nel mercato di riferimento, ha ritenuto che i ricavi da porre a base di gara fossero molti di più dei quattro milioni di euro indicati nella lex specialis, nel disciplinare e nel capitolato di oneri e che dovessero quantificarsi in oltre sette milioni di euro.
Nelle proprie diffuse argomentazioni, riproposte anche nel presente giudizio, parte ricorrente ha sostenuto che la base d’asta fosse una mera stima derogabile, valorizzando il disposto dell’art. 3 del disciplinare e dell’art. 5 del capitolato d’oneri. Ha, inoltre, dedotto, valorizzato il fatto che trattandosi di una concessione di servizi, con traslazione del rischio operativo in capo all’operatore economico, che sia consentito all’operatore stesso prevedere maggiori introiti rispetto a quelli indicati dalla stazione appaltante. Infine, ha ritenuto che accanto agli aggi, andassero computati altri ricavi, quali i rimborsi delle spese postali, gli oneri di riscossione e il rimborso degli oneri delle procedure esecutive. In concreto, la società Step, aumentando la base d’asta (intesa dalla ricorrente come ammontare di entrate complessive ritraibili dalla gestione dei tributi esternalizzati dai comuni), e considerando altre entrate oltre agli aggi, ha ritenuto sostenibile un ribasso del 48% sugli aggi a base di gara, mantenendo, a suo dire, un utile d’impresa.
12.2. La questione all’esame del Collegio impone il richiamo del quadro normativo di riferimento, e in particolare dei principi enunciati dal Codice degli appalti, a mezzo dell’art. 70 del d.lgs. n. 36 del 2023. La norma dispone l’inammissibilità delle offerte: a) non conforme ai documenti di gara; b) ricevute oltre i termini indicati nel bando o nell’invito con cui si indice la gara; c) in relazione alle quali vi sono prove di corruzione e collusione; d) considerate anormalmente basse; e) presentate da offerenti che non possiedono la qualificazione necessaria; f) il cui prezzo supera l’importo posto a base di gara, stabilito e documentato prima dell’avvio della procedura di appalto, salvo che il bando non preveda espressamente tale possibilità, individuandone i limiti di operatività.
La disposizione, modificata a seguito del d.lgs. n. 209 del 2024, stabilisce la facoltà per le stazioni appaltanti di prevedere espressamente nel bando la possibilità che il prezzo delle offerte superi l’imposto posto a base di gara, stabilito e documentato prima dell’avvio della procedura di appalto. Il bando dovrà individuare i limiti di operativi di tale possibilità. Prima della riforma, secondo la giurisprudenza di settore, le offerte il cui prezzo superasse l’importo a base di gara erano inammissibili (Cons. Stato, n. 2542 del 2017; id. n. 688 del 2022).
Appare all’evidenza che una modifica dell’importo posto a base di gara è consentita solo ed esclusivamente se prevista dal bando.
Le valutazioni tecniche che riguardano la determinazione del valore di un Accordo quadro sono espressione di discrezionalità tecnica propria della stazione appaltante e possono essere sindacate solo ove sia dimostrato che esse sono manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie o fondate su di un manifesto travisamento dei fatti.
Orbene, passando all’esame del primo mezzo, il Collegio ritiene che la tesi difensiva sostenuta dall’appellante, secondo cui il Tribunale adito avrebbe qualificato la stima dei ricavi della stazione appaltante come valore ‘vincolante’ e come ‘limite invalicabile’, non può trovare accoglimento.
Va, infatti, correttamente interpretata la motivazione della sentenza impugnata, atteso che il Giudice di prima istanza ha diffusamente argomentato sulle ragioni per le quali la stima dei ricavi non possa essere derogata ad libitum da parte degli operatori economici, tenuto conto che “ai sensi dell’art. 5.1. del Capitolato di oneri, la base d’asta di quattro milioni di euro, è nella specie, espressamente il valore massimo dell’Accordo quadro”.
La disposizione introduce un autovincolo stabilito dalla stazione appaltante ai fini di definire il valore massimo dell’Accordo quadro, e parimenti rappresenta un limite per gli operatori economici, i quali non possono modificare ad libitum la base d’asta, aumentandone la determinazione effettuata dalla stazione appaltante, in questo modo alterando la procedura competitiva e pregiudicando la parità di trattamento.
Come noto, l’Accordo quadro è un accordo tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici volto a stabilire le clausole che andranno a disciplinare gli appalti da affidare entro un determinato arco temporale. L’istituto rappresenta “una procedura di selezione del contraente (che non postula alcuna deroga ai principi di trasparenza e completezza dell’offerta) allo scopo di semplificare, sotto il profilo amministrativo, il processo di aggiudicazione dei contratti fra una o più stazioni appaltanti ed uno o più operatori economici, individuando futuri contraenti, prefissando condizioni e clausole relative agli appalti in un dato arco temporale massimo, con l’indicazione dei prezzi e, se del caso, delle quantità previste. Così facendo l’amministrazione accorpa la maggior parte degli adempimenti amministrativi ed ottiene un risparmio di attività procedimentale, nonché di oneri connessi alle procedure di affidamento” (Cons. Stato, n. 5785 del 2021).
La giurisprudenza ha inquadrato l’Accordo quadro nella tipologia dei contratti normativi, cioè quei contratti da cui non conseguono nell’immediato effetti reali o obbligatori, e il cui effetto pratico è quello di vincolare le parti contraenti al rispetto delle condizioni fissate ai fini della disciplina dei successivi contratti esecutivi. Per tale ragione, l’aggiudicatario non acquisisce alcun diritto o aspettativa a eseguire le prestazioni nella misura indicata come valore massimo dell’Accordo quadro nei documenti di gara.
In questa logica, la giurisprudenza comunitaria ha affermato che nell’Accordo quadro è necessario fissare il valore massimo dello stesso che definisce il limite dello sforzo organizzativo che potrà essere richiesto all’aggiudicatario, al fine di garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e di trasparenza. Ai fini della legittimità dell’affidamento, l’unico obbligo che hanno gli enti appaltanti è quello di fissare nella documentazione di gara il valore dell’Accordo quadro, che costituisce un limite che opera in duplice direzione: limite massimo di spesa che l’ente appaltante non può superare e limite massimo delle prestazioni che possono essere richieste all’aggiudicatario.
Dai rilievi espressi si desume che, se il valore dell’Accordo quadro rappresenta l’ammontare massimo delle prestazioni che possono essere eseguite sulla base dei contratti esecutivi dello stesso, l’operatore economico è tenuto a rispettare tale valore di riferimento.
Infatti, nel caso in esame, la lex specialis ha espressamente previsto all’art. 5.1 della parte I del Capitolato, che tale valore è “il valore massimo dell’Accordo quadro, rappresentativo della sommatoria del valore presunto dei singoli contratti applicativi che saranno stipulati da ciascun Ente”, inteso come ricavo massimo che l’aggiudicatario potrebbe ricavare dall’affidamento e come costo massimo che graverebbe sull’Amministrazione nel suo complesso, al netto del ribasso che ogni partecipante può offrire in sede di partecipazione.
Tale aspetto assume un rilievo determinante ai fini di un corretto dialogo competitivo perché, se non incide sulla possibile di formulazione dell’offerta, incide certamente sulla convenienza economica dell’operatore a partecipare alla procedura e a stipulare l’Accordo e i conseguenti contratti in sede di esecuzione (Cons. Stato, n. 1222 del 2019), proprio sulla base del valore dell’operazione negoziale.
L’assunto trova un supporto normativo nella disciplina di cui all’art. 59 del d.lgs. n. 36 del 2023 che al comma 1 dispone: “L’accordo quadro indica il valore stimato dell’intera operazione contrattuale”. Il Collegio di prima istanza si è fatto carico dei suddetti principi, avendo compiutamente illustrato le ragioni per le quali il valore determinato con la legge di gara non può essere disatteso, in quanto: “Si tratta di un valore la cui quantificazione non può ritenersi irrilevante, perché incide anche sulla soglia di rilevanza europea, trattandosi nella specie (anche) di concessioni. (…) L’assunto di parte ricorrente, circa l’incrementabilità ad libitum della base d’asta nel caso di specie avrebbe quale effetto quello di demandare (a posteriori) ai concorrenti la qualificazione di rilevanza europea di una gara, con riflessi sulla disciplina applicabile e sugli oneri della stazione appaltante”.
12.3. Come correttamente osservato dal T.A.R., il fatto che nei documenti di gara si dica che la base di quattro milioni di euro rappresenta una stima, non consente di ritenere l’irrilevanza di tale dato, posto che tale valore si giustifica con la necessità di tenere conto di due variabili indipendenti: il tasso di adesione all’Accordo quadro da parte dei Comuni (a sua volta dipendente dalla decisione di esternalizzare la gestione dei rifiuti locali, anziché gestirli in economica) e la quantità/tipologia di tributi/o esternalizzati/o.
Pertanto, non può essere consentito, come pretende l’appellante, agli operatori economici di determinare autonomamente tale valore, modificando la base di calcolo, e aumentandola in eccesso, atteso che tale valore, come sopra precisato, rappresenta il ricavo massimo che l’aggiudicatario potrebbe ricavare dall’affidamento e contestualmente il costo massimo che potrebbe gravare sull’Amministrazione sul suo complesso, al netto del ribasso che ogni operatore economico può offrire in sede di partecipazione.
Le emergenze processuali hanno consentito di verificare che la stima di ricavi complessivi indicata da Step supera tale valore massimo. Da tanto emerge l’incongruità dell’offerta, posto che considerando una base d’asta di 4 milioni, e applicando il ribasso nella misura del 48% sulla base di un costo di manodopera di euro 2, 8 milioni, tenendo conto degli ulteriori costi di gestione indicati dalla Step, si giunge ad un risultato dal quale consegue in concreto la mancanza di un utile.
Come precisa la società Andriani Tributi s.r.l. in memoria, pur tenendo conto delle argomentazioni difensive sostenute dall’appellante, secondo cui tale superamento corrisponderebbe solo agli introiti da aggio, che nell’offerta di Step sarebbero inferiori a 4 milioni di euro (3.149,188,04), si desume che da tale calcolo verrebbe escluso il ribasso dalla stessa offerta.
Infatti, “Se, come sostiene STEP, l’importo a base di gara corrisponde al totale dei ricavi derivanti dagli aggi posti a base di gara, a ogni ribasso percentuale di questi ultimi corrisponde una uguale riduzione percentuale dell’importo a base d’asta, il quale, come sancito dall’art. 3 del Disciplinare, <costituisce infatti il valore di aggiudicazione>”.
In sostanza, seguendo il percorso argomentativo sostenuto dall’appellante, si deduce che, se i ricavi stimati da aggio conseguenti all’applicazione del ribasso sono pari al 48% e quindi ad euro 3.149.188,04, ciò significa che la base d’asta sarebbe pari ad euro 6.560.808,42, ossia superiore ai 4.000.000 euro posti a base di gara dall’Unione.
Invero, come osservato dal T.A.R., il valore dei servizi è, al netto dell’IVA, di 5, 3 milioni di euro che è il risultato della somma tra base di gara (4 milioni) e, nel caso di modifica del contratto in fase di esecuzione (cfr. 3.3 disciplinare di gara), opzione di proroga (500 mila euro) e importo massimo del quinto d’obbligo, in caso di variazioni in aumento (800 mila euro), rappresenta “un valore la cui quantificazione non può ritenersi irrilevante, perché incide anche sulla soglia di rilevanza europea, trattandosi nella specie (anche) di concessioni”.
12.4. L’evidente insostenibilità dell’offerta consente di superare le varie eccezioni proposte dalla ricorrente nel corso del presente giudizio avverso l’operato della stazione appaltante nell’ambito della valutazione dell’anomalia, tra cui anche quella relativa alla omessa dimostrazione degli utili della società esclusa.
Infatti, non assume importanza decisiva che nel provvedimento di esclusione non si sia fatto espresso riferimento all’assenza di utile o alle eventuali perdite, dovendosi dare rilievo al fatto che la ratio del provvedimento espulsivo risiede nella sovrastima del valore dell’Accordo quadro, della cui illegittimità si è sopra ampiamente argomentato, e quindi della insostenibilità dell’offerta presentata dall’appellante.
Anche in relazione alle ulteriori critiche enunciate in ricorso, si deve ribadire come non sia consentito comprendere come possa conseguire un utile di euro 798.278,16 (o euro 505.000, se fossero stati considerati i ricavi sugli aggi stimati dalla stazione appaltante) nell’arco del quadriennio contrattuale, laddove a seguito del ribasso del 48% sul valore dell’Accordo quadro di euro 4 milioni, si ottiene un ricavo da aggio di euro 2.080,000, a fronte di un costo della manodopera pari a 2,8 milioni di euro.
12.5. Va respinta, altresì, la censura con la quale si denuncia che il T.A.R. non avrebbe tenuto conto che la valutazione di anomalia della Stazione appaltante sarebbe fondata sul presupposto erroneo secondo cui gli offerenti, nella stima dei ricavi, non avrebbero dovuto tenere conto di tutti i servizi rientranti nell’Accordo quadro.
Il Collegio osserva che nella specie è stato presentato un ribasso eccessivo, tanto da determinare una evidente anomalia dell’offerta, senza che la ricorrente abbia effettivamente formulato convincenti osservazioni critiche al valore dell’Accordo quadro determinato dalla stazione appaltante, non solo nel corso del sub procedimento di anomalia, ma anche nel corso del presente giudizio.
Il ragionamento seguito dalla Step si fonda sulla stima ottimistica, priva di verosimiglianza, che tutti i Comuni aderenti avrebbero deciso di esternalizzare i servizi oggetto di gara e che tutti avrebbero deciso di farlo seguendo il regime di concessione, il quale, ai sensi del Capitolato, prevede un aggio di un punto percentuale più alto rispetto a quanto accade in ipotesi di affidamento in appalto.
Il presupposto su cui è fondato il ragionamento di Step si scontra con il fatto che non vi è un obbligo per i Comuni di stipulare un contratto con l’aggiudicatario, ma, essendo liberi di esternalizzare il servizio, i predetti enti possono anche decidere di scegliere il regime dell’appalto o della concessione in relazione alle proprie esigenze.
Si è trattato di una valutazione senza alcun riscontro, non supportata dai fatti e poco plausibile, atteso che non è possibile escludere ragionevolmente ipotesi alternative.
A tale riguardo, va rammentato che la differenza tra appalto e concessione influisce sulla remunerazione, anche con riferimento alle spese per lo svolgimento del servizio; infatti l’art. 5 del Capitolato espressamente prevede che: “L’aggio costituisce l’unica forma di remunerazione per l’attività svolta dal Concessionario/Appaltatore. In particolare restano a carico del Concessionario/Appaltatore tutte le spese per lo svolgimento del servizio, ivi comprese le spese di notifica e le spese per procedure cautelari ed esecutive, oltre alle ulteriori spese, che per legge sono a carico del contribuente, ma non recuperate in quanto il credito è risultato non riscosso per inesigibilità”, pertanto, le spese di notifica e le spese per procedure cautelari ed esecutive, oltre alle ulteriori spese, restano a carico del gestore se il credito non viene riscosso per inesigibilità.
Va, inoltre, ribadito quanto precisato dal T.A.R. nella sentenza impugnata, ossia che oggetto della procedura di evidenza pubblica è un Accordo quadro che può originare tanto contratti di concessione, che contratti di appalto, secondo la valutazione discrezionale dei Comuni che intendono esternalizzare il servizio; quindi la tesi della ricorrente secondo cui la traslazione del rischio economico che consentirebbe di superare la base di gara, riguardando le sole concessioni e non gli appalti, non è sostenibile. Né si può predicare che la natura concessoria del rapporto possa consentire al concorrente di procedere ad una stima immotivata dei ricavi, prescindendo dalla valutazione dei valori posti a base della gara. Come noto, l’assunzione del rischio di gestione, tipico delle concessioni, che deriva da fattori esterni (art. 177, comma 3, d.lgs. n. 36 cit.) è inconferente ai fini della determinazione del valore della gara, atteso che resta, comunque, in capo alla stazione appaltante la facoltà di determinare il valore dell’affidamento, con obbligo del concorrente di attenersi a tale determinazione (Cons. Stato, n. 2049 del 2022).
Anche in ragione di quanto sopra si deve concludere per l’insostenibilità di una offerta economica fondata su un presupposto non scontato, oltre che opinabile.
12.6. Sono, altresì, ininfluenti ai fini della contestazione dell’assunto, i richiami ai ‘residui introiti’, su cui Step basa la remuneratività della propria offerta, quantificati in euro 1.204.090,00, ossia gli oneri di riscossione, i rimborsi spese di procedura e il recupero delle spese postali, tutte voci che non integrano veri ricavi. Ciò in quanto i rimborsi delle spese di elaborazione e notifica degli atti sono effettuati su base forfettaria e sono riconosciute, come sopra si è detto, nell’ipotesi di concessione e non in caso di appalto (par. 5 del Capitolato già citato), e le spese postali, in quanto rimborsi, non costituiscono ricavi ma precedenti esborsi sopportati dal gestore del servizio.
Il rimborso delle spese postali, gli oneri di riscossione o il rimborso degli oneri delle procedure esecutive, come tali, non costituiscono componenti positive di reddito “a meno di introdurre oneri occulti (e correlativi ricavi occulti) nella gestione dei tributi, in aperto contrasto contrasto con gli artt. 23 e 53 della Costituzione”.
12.7. Proseguendo nell’esame del merito delle censure, il Collegio non rinviene nella sentenza impugnata l’asserito scollamento tra la doglianza contenuta nel ricorso di primo grado e la motivazione espressa dal T.A.R., a fronte delle critiche complessivamente illustrate con l’atto di impugnazione e delle relative deduzioni delle parti controinteressate. Le denunce illustrate dalla ricorrente in ordine alle irregolarità sulle modalità con cui è stato condotto il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, sono state correttamente respinte dal Tribunale adito mediante il richiamo dell’indirizzo prevalente della giurisprudenza di settore, che evidenzia gli ampi margini della discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti, con la conseguenza che sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano manifestamente illogiche, irrazionali e irragionevoli o fondate su un manifesto travisamento dei fatti. Evenienze nella specie non ravvisabili.
Il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è stato svolto nel rispetto del principio del contraddittorio, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, ai sensi dell’art. 101 del d.lgs. n. 36 cit., e mediante la richiesta di giustificativi, che, una volta esaminati, sono stati ritenuti non adeguati. A seguito di tale valutazione, priva di vizi di irragionevolezza, la stazione appaltante ha provveduto alla comunicazione di un provvedimento di esclusione congruamente motivato, senza che fosse necessaria una nuova interlocuzione (la quale avrebbe inutilmente aggravato il procedimento), essendo evidenti i vizi riscontrati e soprattutto palese l’insostenibilità del ragionamento seguito dalla società Step nella fase istruttoria.
Né si può ritenere che l’Amministrazione, nella sua valutazione discrezionale, sia incorsa in omissioni, non ravvisandosi motivi per ritenere che la stessa fosse tenuta a rendere ex ante noti i criteri di valutazione dell’anomalia, atteso che le ragioni che hanno portato all’esclusione sono state desunte dagli atti di gara ben noti alla ricorrente, nonché dai chiarimenti dalla stessa forniti nell’ambito del sub procedimento di verifica dell’anomalia.
12.8. Facendo espresso richiamo delle motivazioni sopra illustrate, anche con riferimento al profilo della traslazione del rischio, il Collegio respinge anche il terzo mezzo, dovendosi ribadire che la legge di gara non consentiva ai partecipanti di sovrastimare senza limiti il valore posto a base di gara e di presentare offerte fondate su dati in concreto ipotetici. Quanto alle denunce prospettate alla lex specialis, l’evidente genericità e indeterminatezza non consente di focalizzare i profili di critica e quindi di esaminarne i contenuti con riferimento alla questione di cui si controverte.
12.9. Infine, non può trovare accoglimento la quarta doglianza, atteso che con i motivi aggiunti Step ha impugnato i verbali di gara, che, come noto, sono atti endo procedimentali, privi di autonoma lesività, in quanto meramente interni alla procedura. In linea con i principi di carattere generale del processo amministrativo, non trattandosi di atti conclusivi del procedimento, non costituiscono atti amministrativi autonomamente impugnabili.
13. In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata, con assorbimento di ogni altra critica e deduzione prospettata dalle parti, atteso che l’eventuale esame della stessa non determinerebbe una soluzione di segno contrario.
14. Le spese di lite del grado seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la società appellante alla rifusione delle spese di lite a favore di ciascuna delle parti costituite che si liquidano in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente
Alessandro Maggio, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere
Marina Perrelli, Consigliere
Annamaria Fasano, Consigliere, Estensore