TAR Lazio, Roma, Sez. III quater, 18 settembre 2025, n. 16345

Appartiene alla giurisdizione ordinaria e non già a quella esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. e, n. 2, c.p.a., la controversia avente ad oggetto la richiesta di un appaltatore di applicazione di una clausola di revisione prezzi, introdotta nel contratto di appalto ai sensi dell’art. 106 del d.lgs. 50/2016, che non assegna alcun potere discrezionale di apprezzamento alla stazione appaltante.

Guida alla lettura

La decisione in esame dà vita ad un’ulteriore “tessera” dell’ampio “mosaico” del riparto di giurisdizione in tema di revisione prezzi dei contratti di appalto, “mosaico” che risulta essere tutt’altro che armonico e regolare.

Il TAR Lazio viene chiamato a pronunciarsi sulla seguente fattispecie.

La Regione Lazio indice, ai sensi del d.lgs. n. 50/2016, una gara comunitaria centralizzata a procedura aperta finalizzata alla stipula di Convenzioni quadro per l’affidamento del servizio di ristorazione presso le sedi delle proprie aziende sanitarie e ospedaliere suddivisa in tredici lotti.

I lotti vengono aggiudicati a diversi operatori economici con i quali la stessa Regione Lazio stipula diverse convenzioni quadro “a valle” delle quali le aziende sanitarie interessate hanno stipulato con i fornitori aggiudicatari i contratti attuativi tramite emissione di ordinativi di fornitura di durata di sessanta mesi.

Per quanto qui interessa, le convenzioni quadro dispongono che “a partire dal secondo anno di contratto, il Fornitore potrà richiedere l’adeguamento dei prezzi in base a maggiori oneri derivanti dall’applicazione dei nuovi CCNL e accordi integrativi sottoscritte dalle Organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale”.

Con un unico provvedimento, la Regione Lazio ha autorizzato, indistintamente per tutti i lotti e per ogni fornitore aggiudicatario, l’adeguamento dei prezzi unitari offerti in sede di gara in una misura pari alla media dell’incidenza del costo del lavoro di tutte le imprese aggiudicatarie.

Avverso tale provvedimento insorge, innanzi al Tar Lazio, l’affidatario di alcuni lotti lamentando, in particolare, l’erroneità della metodologia di calcolo della riconosciuta revisione prezzi che, nella prospettiva del ricorrente, non avrebbe dovuto essere determinata secondo una media uguale per tutti i lotti, bensì secondo un calcolo, eseguito caso per caso e lotto per lotto, che tenesse conto del costo del personale indicato delle singole imprese aggiudicatarie.

Una delle amministrazioni resistenti eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito atteso che la controversia si traduce, in sostanza, in una mera domanda per il pagamento del compenso revisionale, richiesto in applicazione di una specifica clausola contrattuale.

I Giudici capitolini accolgono l’eccezione di difetto di giurisdizione sulla scorta dei seguenti argomenti:

  • l’appalto oggetto di lite è stato aggiudicato a conclusione di una gara bandita ed assoggettata alla disciplina di cui al d.lgs. n. 50/2016 e, nello specifico, all’art. 106, co. 1, lett. a), che rimette alla discrezionalità della stazione appaltante, in sede di redazione degli atti di gara, la previsione di clausole di revisione prezzi che dispongano in tal senso in modo chiaro, preciso e inequivocabile;
  • la Convenzione quadro attribuisce all’appaltatore la facoltà di richiedere l’adeguamento dei prezzi in base a maggiori oneri derivanti dall’applicazione dei nuovi CCNL e accordi integrativi sottoscritte dalle Organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale;
  • l’art. 106, co. 1, lett. a), del d.lgs. 50/2016 ha tenore e portata radicalmente e palesemente diversi rispetto a quelli dell'art. 115 del D.Lgs. n. 163 del 2006, disposizione, quest’ultima, a tutt’oggi richiamata dall’art. 133, co. 1, lett. f), n. 2), c.p.a., in vista della perimetrazione dell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di revisione prezzi;
  • conseguentemente, non trovando applicazione la citata disposizione del codice del processo amministrativo, il riparto di giurisdizione in ordine all’azione esercitata va determinato secondo l’ordinario riparto di giurisdizione, vagliando il contenuto della specifica clausola contrattuale;
  • tale clausola di revisione prezzi, per come emerge dalla sua piana lettura, non assegna alla stazione appaltante alcuna discrezionalità in ordine all’apprezzamento della richiesta di revisione prezzi;
  • viene, pertanto, in rilievo una mera pretesa di adempimento contrattuale da parte del privato concorrente che comporta l’accertamento dell’esistenza di un diritto soggetto che ricade nella giurisdizione ordinaria.

La decisione non convince.

In primo luogo, il riconoscimento della giurisdizione ordinaria pare fondarsi sulla circostanza che il d.lgs. 50/2016, ratione temporis applicabile al caso di specie, rimette alla discrezionalità della stazione appaltante l’inserimento di una clausola a di revisione prezzi, con la conseguenza che, stando alla decisione in rassegna, una volta inserita tale clausola nella lex specialis la sua applicazione in sede di esecuzione contrattuale non inerirebbe più al “potere amministrativo” che si sarebbe, irrimediabilmente, esaurito in occasione del conio della clausola nell’ambito dell’atto indittivo del confronto concorrenziale.

Ebbene, si tratta di argomento - sviluppato anche alla luce del diverso tenore letterale fra l’art. 115 del d.lgs. 163/2006 e l’art. 106 del d.lgs. 50/2016 - che, nella sua assolutezza, finisce per negare, sempre e comunque, la sussistenza della giurisdizione esclusiva del g.a. in materia di revisione prezzi relativamente alle fattispecie sottoposte alla disciplina del d.lgs. 50/2016.

Ed invero:

  • se, nell’impianto del d.lgs. 50/2016, il diritto alla revisione prezzi ha diritto di cittadinanza nell’ordinamento giuridico soltanto ove contemplato in una clausola chiara, precisa e inequivocabile dei documenti inziali di gara;
  • e se l’inserimento nella lex specialis di una clausola di tal sorta esaurisce, ex se, ogni ulteriore profilo di discrezionalità in capo alla stazione appaltante in ordine al riconoscimento, o meno, della revisione prezzi;

allora la giurisdizione esclusiva ex art. 133, co. 1, lett. f), n. 2, c.p.a. nelle controversie soggette all’applicazione del d.lgs. 50/2016 non sussisterà mai.

Infatti:

  • o la clausola di revisione prezzi non è stata inserita negli indittivi del confronto concorrenziale, con la conseguenza che non potrà sorgere alcuna controversia inerente al diritto alla stessa (revisione prezzi);
  • o, sebbene contemplata negli atti di gara inziali, il suo inserimento, comportando di per sé l’estinzione di ogni ulteriore profilo di discrezionalità in capo alla stazione appaltante, impedisce che la relativa controversia possa inerire all’esercizio del potere e, dunque, possa involgere posizioni soggettive aventi consistenza di interesse legittimo.

Tertium non datur.

In secondo luogo, la motivazione articolata nella decisione in rassegna non risulta condivisibile anche in considerazione della effettiva portata della clausola di revisione prezzi interessata dalla lite sottoposta allo scrutinio del TAR Lazio.

Contrariamente a quanto affermato da quest’ultimo, detta clausola non reca alcuna compiuta e autonoma regolamentazione del diritto alla revisione prezzi riconosciuta all’appaltatore, limitandosi, alquanto genericamente, ad assegnare al fornitore la possibilità di richiedere l’adeguamento prezzi in base ai maggiori oneri derivanti dall’applicazione dei nuovi contratti collettivi di lavoro: null’altro.

E’ evidente, pertanto, come la clausola della revisione non fosse, in alcun modo, “autosufficiente” e, dunque, richiedesse, in vista della sua concreta applicazione, l’avvio di un’istruttoria amministrativa su cui fondare la decisione della stazione appaltante in ordine sia all’an che al quantum dell’ambita revisione prezzi.

E non caso, la stessa causa petendi del ricorso introduttivo atteneva a profili inerenti al metodo seguito dalla stazione appaltante nella determinazione della riconosciuta revisione prezzi, senza, tuttavia, invocare l’applicazione di criteri automatici di revisione del corrispettivo negoziale.

Da ciò discende che, anche da questo punto vista, la decisione in rassegna avrebbe dovuto riconoscere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo atteso che, secondo la giurisprudenza della Corte regolatrice, “nelle controversie relative alla clausola di revisione del prezzo negli appalti di opere e servizi pubblici, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in conformità alla previsione di cui all’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2), del d.lgs. 104 del 2010, sussiste nell’ipotesi in cui il contenuto della clausola implichi la permanenza di una posizione di potere in capo alla P.A. committente, attribuendo a quest’ultima uno spettro di valutazione discrezionale nel disporre la revisione, mentre, nella contraria ipotesi in cui la clausola individui puntualmente e compiutamente un obbligo della parte pubblica del contratto, deve riconoscersi la corrispondenza di tale obbligo ad un diritto soggettivo dell’appaltatore, il quale fa valere una mera pretesa di adempimento contrattuale, come tale ricadente nell’ambito della giurisdizione ordinaria” (in tal senso Cass. civ., Sez. Un., 8 febbraio 2022, n. 3935; id., 22 novembre 2021, n. 35952; id., 12 ottobre 2020, n. 21990).

In terzo luogo, la sentenza in esame non appare condivisibile nemmeno nella parte in cui, al fine di attribuire natura di diritto soggettivo alla pretesa dell’appaltatore al riconoscimento della revisione prezzi, sembra ricostruire la clausola contrattuale come fonte di una facoltà (quella di richiedere la revisione prezzi) ad esclusivo appannaggio dell’appaltatore e finalizzata a soddisfare, soltanto, un suo interesse individuale.

Tale passaggio motivazionale, infatti, si pone in evidente contrasto con la pacifica giurisprudenza amministrativa secondo cui “la funzione principale del meccanismo revisionale è quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle Pubbliche Amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. C.d.S., Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295; Sez. V, 20 agosto 2008 n.3994), nonché quella di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. C.d.S., Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074; id., 9 maggio 2012, n. 2682; Sez. V, 23 aprile 2014, n. 2052; id., 19 giugno 2009, n. 4079). Ne discende che lo scopo principale dell’istituto revisionale è di tutelare l’interesse pubblico ad acquisire prestazioni qualitativamente adeguate” (così Cons. Stato, 11 giugno 2025, n. 5082).

Come sopra evidenziato, la sentenza qui brevemente analizzata è stata resa su una fattispecie concreta soggetta alla disciplina di cui al d.lgs. 50/2016: occorrerà attendere l’elaborazione giurisprudenziale applicativa del nuovo Codice dei contratti pubblici per verificare se l’attuale disciplina codicistica contribuisca, o meno, alla soluzione del non semplice tema del riparto di giurisdizione relativamente alle controversie relative alla clausola di revisione del prezzo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica.

In prima battuta si segnala la posizione del Consiglio di Stato che, sebbene relativamente ad un caso estraneo all’ambito di applicazione del d.lgs. 36/2023, ha individuato nella disposizione di cui all’art. 220, co. 4, una conferma circa la consistenza di interesse legittimo della posizione soggettiva vantata dall’appaltatore in vista dell’ottenimento della revisione prezzi.

In particolare, secondo i Giudici di Palazzo Spada, in tal senso depone la circostanza che il parere di precontenzioso di ANAC di cui al comma 1 del citato art. 220 possa riguardare casi e tipologie di provvedimenti anche relativi alla fase esecutiva, con riferimento ai quali la stazione appaltante esercita poteri autoritativi (in questi termini Cons. Stato, 11 giugno 2025, n. 5082).

In applicazione dell’art. 220, co. 4, del d.lgs. 36/2023, l’ANAC ha adottato il “Regolamento in materia di pareri di precontenzioso di cui all’articolo 220 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” (Delibera del Consiglio dell’Autorità n. 267 del 20 giugno 2023, con le modifiche recate dalla Delibera n. 552 del 6 novembre 2024), il quale, al proprio art. 4, co. 2, così dispone: “L’Autorità esprime pareri di precontenzioso anche per la risoluzione di controversie insorte durante la fase esecutiva del contratto, nei soli casi in cui è previsto l’esercizio di un potere autoritativo da parte della stazione appaltante o dell’ente concedente, in relazione a: 1) divieto di rinnovo tacito dei contratti; 2) clausola di revisione del prezzo e il relativo provvedimento applicativo; 3) modifiche contrattuali apportate senza una nuova procedura di affidamento in assenza dei presupposti legittimanti; 4) diniego di autorizzazione al subappalto”.

Ebbene, secondo il Consiglio di Stato, “la facoltà di estensione del procedimento di parere di precontenzioso anche alla fase di esecuzione del contratto, prevista dall’art. 220, comma 4, cit., proprio per la natura del parere in discorso, quale rimedio tipico della fase dell’evidenza pubblica, in cui per insegnamento unanime la posizione vantata è di interesse legittimo, è limitata ai soli casi in cui la stazione appaltante o ente concedente esercita anche nella fase esecutiva un potere autoritativo: siffatta facoltà, pertanto, è limitata ai casi del divieto di rinnovo tacito del contratto, delle modifiche contrattuali in difetto dei presupposti giustificativi, del diniego di autorizzazione al subappalto e soprattutto, per quanto rileva in questa sede, della clausola di revisione del prezzo, con il relativo provvedimento applicativo. La dimostrazione che qui viene in gioco l’esercizio di un potere autoritativo è data dalla lettera dell’art. 220, comma 4, cit., che parla, come si è visto, di “tipologie di provvedimenti” (così Cons. Stato, 11 giugno 2025, n. 5082).

 

 

Pubblicato il 18/09/2025

N. 16345/2025 REG.PROV.COLL.

N. 10484/2024 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10484 del 2024, proposto da
Innova Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 7326764CE9, 7326772386, 7326802C45, rappresentato e difeso dall'avvocato Giorgio De Santis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fiammetta Fusco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Asl Roma 5, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Valentino Vincenzo Giulio Vescio di Martirano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Asl Viterbo, Asl Rm 4, Asl Rm 5, Asl Rieti, Asl Latina, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Serenissima Ristorazione, Authentica Spa, Blu Lion Food Spa, Vivenda Spa, Dussman Service S.r.l., non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

della determinazione n. G10924 del 09.08.2024, Proposta n. 30494, assunta dalla Regione Lazio in data 09.08.2024, nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica relativa al servizio di ristorazione delle Aziende Sanitarie del Lazio da gara centralizzata indetta con Determinazione n. G17926 del 20/12/2017, comunicata con nota Registro Ufficiale Regione Lazio U.1015982.09-08.2024, nonché di tuti gli atti ad essa presupposti, anche se non espressamente indicati

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio e dell’Asl Roma 5;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 luglio 2025 la dott.ssa Maria Cristina Quiligotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La società ricorrente è risultata aggiudicataria, nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica relativa al servizio di ristorazione delle Aziende Sanitarie del Lazio da gara centralizzata indetta con Determinazione n. G17926 del 20/12/2017, dei lotti nn. 4, 5 e 7, per gli importi, rispettivamente, di €. 14.252.945,75 (lotto 4), di €. 21.918.064,50 (lotto 5) e di €. 13.118.945,00 (lotto 7), con determina di aggiudicazione n. G06525 del 03.06.2020.

In punto di fatto ha dedotto che:

- nella propria offerta relativa ai lotti aggiudicati, comunicava e allegava un’incidenza del costo della manodopera sull’entità complessiva dell’appalto e pari, al 52,62% nel lotto 4, al 55,97% nel lotto 5 e al 59,89% nel lotto 7;

- gli schemi di convenzione relativi a tali aggiudicazioni prevedevano, all’art. 10, comma 8, che a partire dal secondo anno di contratto, il fornitore potrà richiedere l’adeguamento dei prezzi in base a maggiori oneri derivanti dall’applicazione dei nuovi CCNL e accordi integrativi sottoscritte dalle Organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale;

- i contratti di riferimento avevano avvio, rispettivamente, dalle date di seguito indicate: Lotto 4: ASL Viterbo: 30.03.2021 ASL ROMA 4: 26.03.2021 Lotto 5: ASL Rieti: 02.03.2021 ASL ROMA 5: 08.04.2021; Lotto 7: ASL Latina: 17.03.2021;

- nel corso dell’applicazione del contratto, e già a partire dall’anno 2021, il costo del lavoro ha subito un incremento significativo contrattualmente previsto, quantificabile nella misura del 5,04% dal 01.12.2021 al 31.05.2024;

- per i periodi successivi venivano in essere nuovi aumenti del costo della manodopera a partire del giugno 2024, e quantificabili nella misura del 8,40% dal 01.06.2024 al 31.08.2025 e al 11.09% dal dall’1.09.2025 al 31.08.2026;

- la sussistenza di tali aumenti contrattuali del costo della manodopera è stata espressamente riconosciuta dalla stessa Stazione Appaltante, la quale, nella determina oggetto di impugnazione, ha espressamente riconosciuto che l’incremento del costo della manodopera per la ricorrente era effettivamente quantificabile nella misura del 5.04 % dal 01.12.2021 al 31.05.2024, del 8,40% dal 01.06.2024 al 31.08.2025 e del 11.09% dal dall’1.09.2025 al 31.08.2026;

- la ricorrente formulava apposita richiesta di revisione dei prezzi, alla quale quindi, la stazione appaltante rendeva riscontro solo con la nota prot. 1153733.13.10.2023, che preannunciava l’applicazione dell’aumento, e, poi, con la determina oggetto di impugnazione;

- nel quantificare l’entità della revisione dei prezzi dell’appalto da applicare, la Stazione Appaltante, nella determina impugnata, tuttavia, formulava una media matematica dell’aumento del costo della manodopera, sommando tra loro i vari aumenti relativi ai vari periodi, e quindi, quantificava l’aumento medio del costo della manodopera nella misura dell’8.74%;

- la determina, quindi, ritenuto che il costo della manodopera incideva, nelle offerte degli aggiudicatari, nella misura media del 50% del prezzo offerto, decideva di adeguare il prezzo dei lotti aggiudicati nella misura del 4,37%, pari al 50% dell’aumento medio rilevato;

- la stazione appaltante, quindi, non provvedeva a una quantificazione individuale per ogni impresa aggiudicataria in funzione della propria incidenza del costo della manodopera, effettuando una forfettizzazione dell’aumento, che ha operato a vantaggio di alcune imprese e a svantaggio di altre, tra queste la ricorrente, aventi un’incidenza del costo della manodopera maggiore;

- la stazione appaltante, inoltre, disponeva per l’applicazione dell’aumento solo a partire dal 01.01.2024 sino al 30.06.2026.

La ricorrente ha, quindi, dedotto l’illegittimità del provvedimento impugnato per i seguenti motivi di censura:

- “1. Erroneità, ed illegittimità della determina impugnata nella parte in cui ha fatto decorrere l’adeguamento dei prezzi solo dal 01.01.2024 e, non, invece, dal secondo anno di contratto, nonché nella parte in cui ha erroneamente determinato la percentuale di aumento del costo della manodopera da applicare alla revisione dei prezzi – Eccesso di potere sotto il profilo della ingiustizia manifesta, del travisamento dei fatti e dello sviamento; Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di corretta applicazione dei contratti ad evidenza pubblica.”, in quanto:

- la delibera ha errato nell’applicare la revisione dei prezzi sia in termini di percentuale di aumento da applicare sia in termini di decorrenza dell’aumento stesso;

- la decorrenza dell’adeguamento dei prezzi avrebbe dovuto avere inizio dal 01.12.2021 o, comunque, dal secondo anno di validità del contratto, vale a dire dai mesi di marzo e aprile 2022;

- la norma convenzionale prevede che l’adeguamento dei prezzi dell’appalto in conseguenza di aumenti del costo della manodopera avvenga a partire dal secondo anno di contratto e, non, invece, dalla data di emissione del provvedimento con il quale la P.A. abbia deciso di provvedere a tale adeguamento;

- il principio secondo il quale l’adeguamento del prezzo in applicazione di una clausola contrattuale può e deve avere effetto retroattivo è espressamente stabilito ed acclarato dalla giurisprudenza amministrativa;

- di ciò pare consapevole la stessa PA, allorquando, nel calcolare il valore medio di aumento del costo della manodopera, ha conteggiato anche la percentuale di aumento precedente all’anno 2024;

- se l’aumento del costo della manodopera relativo al periodo dicembre 2021 – giugno 2024 è stato ritenuto rilevante in sede rilevazione della percentuale media di aumento di tale costo, è assolutamente illogico far poi decorrere l’adeguamento del valore dell’appalto solo da un momento largamente successivo a quanto l’aumento del costo della manodopera si è verificato;

- la stessa PA parrebbe consapevole della possibilità di attribuire valore retroattivo alla determina di adeguamento dei prezzi, laddove, con determina dell’agosto 2024 ha stabilito la decorrenza dell’aumento dal gennaio 2024;

2. “Erroneità ed illegittimità dell’entità di aumento dei costi disposto dalla PA”, in quanto

- l’aumento riconosciuto avrebbe dovuto essere calcolato con una diversa metodologia e, quindi, con esiti totalmente diversi in termini quantitativi;

- la stazione appaltante ha ritenuto, con metodologia astrattamente condivisibile, che la percentuale di aumento del costo della manodopera per le imprese non dovesse comportare una revisione dei prezzi dell’appalto nella medesima entità, ma, ritenendo, invece, che tale percentuale in aumento dovesse applicata solo alla quota di costi delle imprese aggiudicatarie relativa al costo del personale;

- la Regione non ha operato un calcolo caso per caso e lotto per lotto del costo del personale indicato dalle imprese aggiudicatrici, andando, invece, a parametrarsi alla media dell’incidenza del costo del lavoro di tutte le imprese aggiudicatarie, quantificato nel 50 %;

- di conseguenza, presa la media dell’aumento del costo del personale conseguente agli adeguamenti contrattuali quantificato nell’8,74%, la Stazione Appaltante ha applicato a tutti gli operatori ed a tutti i lotti un’identica revisione del prezzo dell’appalto nella misura del 4,37%;

- operando in tal modo, tuttavia, la Stazione Appaltate ha operato un’evidente disparità di trattamento tra le imprese aggiudicatarie e tra i lotti oggetto di appalto;

- effettuando la media matematica dell’incidenza del costo del personale sul totale dell’offerta dichiarato da tutte le imprese, la Stazione Appaltante ha, inevitabilmente, sovrastimato tale valore per alcune imprese (quelle che avevano un’incidenza del costo della manodopera inferiore) e sottostimando quello di altre (quelle che avevano un’incidenza del costo della manodopera maggiore, tra le quali la ricorrente;

- a fronte di un aumento generalizzato riconosciuto nella misura del 4,37%, la ricorrente avrebbe avuto pienamente titolo per aumenti maggiori, come da tabella riportata nel ricorso, e pari, quindi, in media, a più dello 0,6%, con punte, per il lotto 7, di quasi l’1%, percentuali che, quantificate sull’ingente importo degli appalti di riferimento, comporta una perdita ingente per la ricorrente;

- l’unica metodologia corretta di calcolo, nel caso che ci occupa, era quella di effettuare lo stesso lotto per lotto, andando a parametrare la integrazione 11 dei costi, appunto, di caso in caso e di lotto in lotto, potendosi, al massimo, ove si fosse ritenuto opportuno procedere sulla base di valori medi, accorpare tra loro i lotti aggiudicati alla medesima azienda, ma, certo non effettuando una media generale tra tutte le imprese.

La ricorrente ha concluso per l’adozione di apposita sentenza di condanna ex art. 30, comma 1, c.p.a, che espressamente disciplina la possibilità per il TAR di condannare la PA, evidentemente anche ad un facere specifico e provvedimentale, sia, in alternativa, con annullamento della determina impugnata ed adozione, ex art. 34, comma 1, lettera C), c.p.a., di un ordine alla PA di adottare un provvedimento sostitutivo emendato dai vizi di quello impugnato.

2. La Regione Lazio si è costituita in giudizio in data 10.10.2024 e, con memoria del 6.6.2025, ha dedotto l’infondatezza del ricorso, rilevando, da un lato, che la stazione appaltante, che avrebbe potuto legittimamente non riconoscere alla ricorrente l’adeguamento dei prezzi ai sensi di contratto, in quanto di fatto mai richiesto per la motivazione dell’aumento del costo del lavoro, che lo avrebbe potuto riconoscere con decorrenza dall’assunzione del provvedimento ossia dal 09/08/2024, come di norma provvede, che lo avrebbe potuto infine riconoscere con decorrenza dalla istanza di ANIR Confindustria del 07/06/2024, ha invece accordato la decorrenza dal 01/01/2024 proprio come misura di maggior favore per i Fornitori aggiudicatari e, dall’altro, che in fase di gara la stazione appaltante ha stimato per tutti i Lotti i costi della manodopera in misura pari al 45% del valore del Lotto e che, pertanto, la stazione appaltante, nel definire la percentuale sulla quale calcolare l’aumento da riconoscere ai fornitori, ha tenuto conto del valore determinato in gara nonché ha considerato che l’adeguamento dei prezzi è stato riconosciuto a seguito di richiesta unitaria dall’Associazione di categoria e pertanto ha ritenuto di operare in maniera uniforme, oltre che per la decorrenza dell’aumento anche per la percentuale riconosciuta. Hai poi eccepito il difetto di giurisdizione quanto alla specifica tipologia di sentenza richiesta.

L’ASL Roma 5 si è costituita in giudizio in data 17.10.2024, eccependo il difetto di legittimazione passiva dell’Asl Roma 5, in quanto l’unica responsabile della gara gravata da ricorso e della relativa istanza di revisione del prezzo è la Regione Lazio e l’Asl Roma 5 è del tutto estranea alle doglianze rassegnate dalla ricorrente nei confronti degli atti impugnati, atti adottati da altra amministrazione, nonché l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adito ritenuto che la controversia si traduce, in sostanza, in una mera domanda per il pagamento del compenso revisionale richiesto e deducendo, nel merito, l’infondatezza del ricorso.

Con la memoria del 6.6.2025, la ricorrente ha controdedotto alla memoria dell’ASL, rilevando, quanto alle eccezione preliminari, che ASL Roma 5 è uno dei soggetti beneficiari del servizio oggetto di causa e, quindi, uno dei soggetti astrattamente tenuti al pagamento dello stesso, stante la propria autonomia patrimoniale, e che il ricorso riguarda l’impugnazione di atti amministrativi assunti e deliberati da un ente pubblico a seguito di procedimento amministrativo e ribadendo la fondatezza nel merito del ricorso con insistenza per il suo accoglimento.

Con le successive memorie di replica rispettivamente del 16.6.2025 e del 18.6.2025 Regione Lazio e ricorrente hanno controdedotto, insistendo nelle rispettive conclusioni.

3. Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2025, il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla presenza dei difensori delle parti, come da separato verbale di causa.

DIRITTO

1. Con Determinazione n. G17926 del 20/12/2017, la Regione Lazio ha indetto una gara comunitaria centralizzata a procedura aperta con criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa finalizzata alla stipula di Convenzioni quadro per l’affidamento del Servizio di ristorazione presso le sedi delle Aziende sanitarie e ospedaliere della Regione Lazio, suddivisa in 13 Lotti, disponendo contestualmente l’approvazione degli atti di gara. Con Determinazione n. G06525 del 03/06/2020, è stata disposta l’aggiudicazione della procedura. In particolare, l’operatore economico INNOVA SPA è risultato aggiudicatario dei seguenti Lotti di gara:

- lotto 4 - ASL VITERBO - ASL ROMA - 4 14.252.945,75 €

- lotto 5 - ASL RIETI - ASL ROMA - 5 21.918.064,50 €

- lotto 7 - ASL LATINA - 13.118.945,00 €.

Nel periodo novembre-dicembre 2020 la Regione Lazio ha stipulato le Convenzioni quadro con tutti i Fornitori aggiudicatari; per quanto di interesse, con INNOVA, ha proceduto a stipula nel mese di novembre 2020; nel periodo dicembre 2020-maggio 2021, le Aziende sanitarie hanno stipulato con i fornitori aggiudicatari i contratti attuativi tramite emissione di ordinativi di fornitura di durata 60 mesi.

Con la ricorrente sono stati stipulati i seguenti contratti attuativi: lotto 4 ASL VITERBO con data inizio validità contratto attuativo 30/03/2021; lotto 4 ASL ROMA 4 con data inizio validità contratto attuativo 26/03/2021; lotto 5 ASL RIETI MA 5 con data inizio validità contratto attuativo 02/03/2021; lotto 5 ASL ROMA 5 con data inizio validità contratto attuativo 08/04/2021; lotto 7 ASL LATINA con data inizio validità contratto attuativo 17/03/2021.

Con l’impugnata determinazione n. G10924 del 09/08/2024, la Regione Lazio ha autorizzato, per tutti i Lotti e per tutti i Fornitori aggiudicatari, l’adeguamento dei prezzi unitari offerti in sede di gara nella misura del +4,37% con decorrenza dal 01/01/2024 per aumento del costo della manodopera risultante da tabelle retributive del CCNL pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo stipulato in data 08/02/2018 e successivo accordo stipulato in data 05/06/2024.

2. La gara di cui trattasi è stata bandita ed era assoggettata alla disciplina ex d.lgs. n. 50/2016 e, nello specifico, all’art. 106, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 50 del 2016.

La norma richiamata disponeva che “Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall'ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti: a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l'effetto di alterare la natura generale del contratto o dell'accordo quadro. Per i contratti relativi ai lavori, le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate, sulla base dei prezzari di cui all'articolo 23, comma 7, solo per l'eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà. Per i contratti relativi a servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 511, della L. 28 dicembre 2015, n. 208;(…)".

La richiamata norma rimetteva, pertanto, alla discrezionalità della stazione appaltante, in sede di redazione dei documenti di gara, la previsione di clausole di revisione dei prezzi (diversamente dal successivo d.lgs. n. 36/2023, che ha sancito l’obbligo per le amministrazioni di inserire tali clausole, le quali sono, peraltro, attivabili “al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva”).

In particolare, secondo il comma 1, lettera a), dell’art. 106, la revisione può essere riconosciuta soltanto se espressamente prevista nei documenti di gara iniziali, attraverso clausole chiare, precise e inequivocabili. Pertanto, sotto il regime del d.lgs. 50/2016, il rinnovo di un CCNL può giustificare la revisione dei prezzi solo se:

- è presente una clausola specifica nei documenti di gara;

- la clausola disciplina espressamente l’adeguamento per variazioni dei costi della manodopera.

L’articolo 10, comma 8, della Convenzione quadro dispone che “A partire dal secondo anno di contratto, il Fornitore potrà richiedere l’adeguamento dei prezzi in base a maggiori oneri derivanti dall’applicazione dei nuovi CCNL e accordi integrativi sottoscritte dalle Organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale”.

Tanto premesso, quanto al dedotto difetto di giurisdizione, si rileva quanto segue.

“… la formulazione dell'art. 106 del D.Lgs. n. 50 del 2016 appalesa di per sé l'inapplicabilità, nel caso in esame, dell'art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 c.p.a., che devolve "alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge, le controversie (…) relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto". 9.1. La su indicata norma del Codice dei contratti del 2016, che rimette alla discrezionalità della stazione appaltante, in sede di redazione dei documenti di gara, la previsione di clausole di revisione dei prezzi, ha, infatti, tenore e portata radicalmente e palesemente diversi rispetto a quelli dell'art. 115 del D.Lgs. n. 163 del 2006 ("Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all'articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5"), sì da essere di per sé impeditiva alla sussumibilità della fattispecie in esame nell'ambito delle controversie in materia di revisione prezzi specificamente devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a., per come individuate e delineate nella norma del codice del processo amministrativo poco sopra riportata. 9.1.1. Non è, infatti, né meramente riproduttiva di quella pre-vigente (contenuta, per l'appunto, nell'art. 115 del D.Lgs. n. 163 del 2006), né ad essa in altro modo riconducibile. …” (cfr., nei termini, da ultimo, T.A.R. Friuli-V. Giulia Trieste, Sez. I, Sent., (data ud. 19/03/2025) 16/04/2025, n. 167).

Non trovando applicazione il richiamato articolo 133, commi 3 e 4, c.p.a., deve ritenersi che la giurisdizione con riguardo alla presente controversia non può che essere individuata, secondo l'ordinario criterio di riparto, vagliando il contenuto della specifica clausola contenuta nel regolamento negoziale (segnatamente, nell'art. 10, co. 8, della Convenzione quadro) per apprenderne gli effetti sul rapporto tra le parti.

La richiamata clausola di revisione dei prezzi non include, come pare emergere dalla sua piana lettura, alcuna discrezionalità determinativa della parte pubblica.

Laddove nella predetta clausola si legge che “A partire dal secondo anno di contratto, il Fornitore potrà richiedere l’adeguamento dei prezzi in base a maggiori oneri derivanti dall’applicazione dei nuovi CCNL e accordi integrativi sottoscritte dalle Organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale”, appare chiaro che non vi è alcun potere discrezionale di apprezzamento della richiesta da parte della P.A. e che viene, sostanzialmente, in rilievo una mera pretesa di adempimento contrattuale da parte del privato contraente, che comporta l'accertamento dell'esistenza di un diritto soggettivo e ricade nella giurisdizione ordinaria. L’utilizzo del termine “potrà” infatti sta evidentemente a evidenziare soltanto che la revisione prezzi - da effettuarsi con le modalità temporali e redazionali indicate - deve essere richiesta all’amministrazione da parte della società interessata, gravando, pertanto, il relativo onere a suo carico.

D'altronde, come rilevato anche da parte delle difese delle amministrazioni al riguardo, la pretesa compendiata dalla ricorrente nel ricorso non riguarda una revisione prezzi determinata da una clausola contrattuale con margini di discrezionalità per la P.A., ma l'applicazione obbligatoria di un meccanismo di adeguamento prezzi di previsione consensuale.

D’altronde le SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione anche di recente hanno ribadito che "il discrimine tra le due giurisdizioni in materia di revisione prezzi è, in genere, condizionato dall'esistenza di una clausola contrattuale che riconosca alla parte pubblica un potere discrezionale di apprezzamento della richiesta, nel senso che, in detta ipotesi, nella fase precedente ad un eventuale riconoscimento, la controversia appartiene al giudice amministrativo; se il contratto contempla un potere vincolato, la lite è invece devoluta al giudice ordinario (Cass. SU 35952/2021; Cass. SU 21990/2020; Cass. SU 3160/2019; Cass. SU 14559/2015). Nel primo caso, sono attratte alla giurisdizione amministrativa anche le questioni concernenti il quantum se non sia in contestazione esclusivamente l'espletamento di una prestazione già puntualmente prevista nel contratto e disciplinata anche in ordine alla quantificazione del dovuto, giacché in tale ultima evenienza la controversia incardinata dall'appaltatore ha ad oggetto una mera pretesa di adempimento contrattuale e comporta l'accertamento dell'esistenza di un diritto soggettivo, e ricade nella giurisdizione ordinaria (Cass. SU 21990/2020; Cass.3160/2019; Cass. SU 3935/2022).

Il delineato discrimine è ulteriormente precisato nel senso che, se nulla abbia disposto il contratto, la controversia appartiene al giudice amministrativo, poiché il diritto viene a dipendere da un provvedimento dell'amministrazione che lo riconosca: prima di tale momento, il privato può vantare solo un interesse legittimo pretensivo (cfr. specificamente in tema di compensazione per aumento dei costi dei materiali Cass. S.U. 19567/2011, nonché, in tema di compenso revisionale, Cass. 9965/2017; Cass. SU 16285/2010)" (Cass. Civ., SS.UU., ord. 5 febbraio 2025, n. 2934).

3. Sulla scorta delle considerazioni svolte e per le ragioni ivi esplicitate, si ritiene, pertanto, che, in accoglimento delle relative eccezioni in rito formulate da parte delle amministrazioni intimate, il ricorso introduttivo è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 9 e 35, comma 1, lett. b), c.p.a., atteso che, nel caso di specie, viene in rilievo la posizione paritetica dei contraenti nella fase esecutiva del rapporto, in assenza di un potere discrezionale della stazione appaltante di procedere a una revisione dei prezzi stabiliti.

Secondo quanto previsto dall'art. 11 c.p.a., il processo può essere proseguito, se vi è interesse, mediante riassunzione davanti al giudice ordinario, munito di giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato, ferma restando la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda originaria nel processo riassunto dinanzi alla competente autorità giudiziaria.

Sussistono, in ogni caso, giusti motivi per compensare per intero le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Ai sensi dell'art. 11 c.p.a., dà atto che, a seguito della presente pronuncia, il processo può essere proseguito mediante riassunzione davanti al giudice ordinario, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato, ferma restando, in ogni caso, la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda originaria nel processo riassunto dinanzi alla competente autorità giudiziaria.

Compensa per intero le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Maria Cristina Quiligotti, Presidente, Estensore

Claudia Lattanzi, Consigliere

Francesca Ferrazzoli, Primo Referendario