Cons. Stato, Sez. IV, 24 luglio 2025, n. 6595

La definizione di sottotetto contenuta nel cd. quadro delle definizioni uniformi, per come recato Conferenza unificata Stato-Regioni (20 ottobre 2016), individua uno “spazio compreso tra l’intradosso della copertura dell’edificio e l’estradosso del solaio del piano sottostante”.

Orbene, avuto riguardo a tale definizione normativa, si attesta legittimo l’intervento edilizio che sfrutti sia la possibilità prevista dallo strumento urbanistico di incrementare l’altezza massima dell’edificio di 1,7 metri mediante la realizzazione di un “sottotetto abitabile” sia la deroga prevista dal c.d. piano casa di ampliamento volumetrico tramite “sopraelevazione di un piano”.

Ritiene il, Collegio, infatti, che, dal punto di vista giuridico, si tratta di due facoltà certamente cumulabili tra loro, in mancanza di un espresso divieto in tal senso e non essendo nemmeno incompatibili l’una con l’altra.

Tale cumulo, inoltre, risulta conforme al principio di matrice ambientale del contenimento del consumo di suolo che, come evidenziato anche in dottrina, ha assunto la valenza di principio generale nella materia del governo del territorio.

Un riscontro normativo di tale principio lo si rinviene proprio in materia di recupero dei sottotetti, alla luce del recente intervento normativo di cui al d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2024, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica (c.d. decreto salva casa).

Con tale novella, infatti, è stato introdotto il nuovo comma 1-quater all’art. 2-bis del t.u. edilizia, il quale ha ampliato i casi di interventi di recupero dei sottotetti al dichiarato fine di “incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa limitando il consumo di nuovo suolo”.

 

Guida alla lettura

Con sentenza n. 6595/2025, la IV Sezione del Consiglio di Stato si pronuncia sul tema del recupero abitativo del sottotetto con specifico riferimento al profilo dell’altezza massima consentita.

La decisione assume rilievo in ragione dell’ivi affermata cumulabilità tra le misure premiali previste, rispettivamente, dallo strumento urbanistico (incremento dell’altezza massima dell’edificio di 1,7 metri mediante la realizzazione di un “sottotetto abitabile”) e dal c.d. piano casa (ampliamento volumetrico tramite “sopraelevazione di un piano”).

L’iter argomentativo caratterizzante il ricorso di primo grado, proposto dal proprietario latistante, risulta incentrato sulla impugnazione del cd. diniego di autotutela in sede di riesame dei titoli abilitativi, originariamente, però, non impugnati

Ivi, parte ricorrente deduce che: a) non sarebbe stata fornita dimostrazione del rispetto delle disposizioni regionali in materia di rendimento energetico nell’edilizia; b) l’edificio previsto in progetto supererebbe “l’altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici”; c) non sarebbe stato verificato l’indice di permeabilità dei suoli; d) l’edificio da costruirsi non rispetterebbe le caratteristiche tipologiche del contesto; e) l’intervento violerebbe gli standard di parcheggi pubblici e la dotazione di legge di parcheggi privati; f) il Comune, anziché avvedersi dei gravi errori commessi nel rilascio dei titoli edilizi impugnati, non avrebbe analiticamente considerato le violazioni lamentate dai ricorrenti con l’istanza di autotutela.

Il dictum di prime cure introduce una prima valutazione, a contenuto processuale, degna di nota, in tema di titoli edilizi e connessi limiti di ammissibilità dell’azione di impugnazione.

Il Collegio, infatti, respinge tutte le eccezioni preliminari proposte dalla P.A. in tema sia di mancata impugnazione degli originari titoli edilizi sia di difetto di legittimazione attiva. Qualifica, infatti, nel caso, l’opposto diniego di autotutela come un atto propriamente confermativo (e non meramente confermativo), in quanto adottato all’esito di un nuovo procedimento con rinnovata istruttoria, limitando, però, espressamente l’ambito del sindacato giurisdizionale ai soli profili oggetto di riesame da parte del Comune e ritenendo, di contro, non più ammissibili tutti gli altri.

Nel merito, ritiene legittimo il cd. cumulo di premialità attribuite, rispettivamente, dal piano casa e dai cd. “bonus” previsti dal P.R.G., onde la conseguente legittimità dell’intervento realizzato sommando l’altezza massima consentita dal P.R.G. in termini di incremento per la realizzazione del sottotetto abitabile con quella necessaria per incrementare di un piano l’edificio ai sensi dell’art. 4, comma 5 della l.r. Piemonte n. 20/2009.

L’appellante introduce, di contro, una pluralità di censure:

a) erroneità della decisione di primo grado relativa alla delimitazione del sindacato giurisdizionale alle sole censure riesaminate nell’atto impugnato;

b) illegittimità del cumulo tra la premialità prevista dal c.d. piano casa (sopraelevazione di un piano) e quella prevista dal P.R.G. (altezza di 1,70 metri per il sottotetto abitabile).

Sotto il primo profilo, il principio processuale che, nella sostanza, la Sezione ribadisce investe il tema della cd. impugnazione del diniego di autotutela, secondo cui non è consentito al privato di eludere il prescritto termine decadenziale introducendo le censure attraverso il meccanismo dell’impugnazione del diniego di provvedere su una istanza di autotutela riferita ad un atto inoppugnabile, aggirando così i prescritti termini in violazione del principio di certezza delle situazioni giuridiche. Tale principio trova logico corollario nella non configurabilità di un obbligo di provvedere a fronte di una istanza di autotutela e, conseguentemente, sulla insussistenza, nella fattispecie, di una ipotesi di silenzio-inadempimento.

A ciò, chiarisce il Collegio, deve anche aggiungersi la piena condivisibilità della relativa statuizione del primo Giudice secondo cui, in tema di impugnazione del diniego di autotutela rappresentato da un provvedimento di conferma in senso proprio, l’ambito di cognizione del giudice amministrativo è limitato ai soli profili di legittimità che siano stati oggetto di espresso riesame da parte dell’amministrazione.

Sul punto, precisa, inoltre, che il diniego di autotutela può manifestarsi o in maniera espressa, mediante un atto di diniego esplicito di autotutela, oppure in maniera tacita, mediante la mancata adozione di un atto di riscontro.

Con riferimento al diniego espresso di autotutela, poi, occorre distinguere il caso in cui con tale diniego l’amministrazione si limiti a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (c.d. atto meramente confermativo), dal caso in cui l’amministrazione adotti il diniego di autotutela all’esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi (c.d. atto di conferma in senso proprio) e, pertanto, connotato anche da una nuova motivazione.

Dal punto di vista processuale, quindi, il diniego espresso di autotutela deve ritenersi impugnabile solo se contenuto in un atto confermativo in senso proprio sicché ogni profilo, ivi, non oggetto di riesame, deve ritenersi non più censurabile in sede giurisdizionale.

Quanto, invece, al profilo sostanziale, la Sezione conferma la cumulabilità delle premialità, per come statuita dal Giudice di prime cure, e ritiene, dal punto di vista giuridico, che essa investa due facoltà certamente cumulabili tra loro, in mancanza di un espresso divieto in tal senso e non essendo nemmeno incompatibili l’una con l’altra. Tale cumulo, inoltre, risulta conforme al principio di matrice ambientale del contenimento del consumo di suolo che, come evidenziato anche in dottrina, ha assunto la valenza di principio generale nella materia del governo del territorio.

Peraltro, un riscontro normativo di tale principio lo si rinviene proprio in materia di recupero dei sottotetti, alla luce del recente intervento normativo di cui al d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2024, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica (c.d. decreto salva casa). Con tale novella, infatti, si introduce il nuovo comma 1-quater all’art. 2-bis del t.u. edilizia, il quale amplia i casi di interventi di recupero dei sottotetti al dichiarato fine di “incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa limitando il consumo di nuovo suolo” (art. 2-bis, comma 1-quater, t.u. edilizia).

La Sezione, per l’effetto, ha concluso per il rigetto dell’appello.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3536 del 2021, proposto da Maria Pia Baravalle e Paolo Girardo, rappresentati e difesi dagli avvocati Angelo Clarizia, Alessandro Paire e Andrea Gandino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Savigliano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Botasso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Immobiliare Santarosa s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandra Golinelli e Pier Paolo Golinelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Stefano Alasia e Marta Biolatti, non costituiti in giudizio;

e con l'intervento di

ad opponendum:

Michele Testa, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Barosio e Serena Dentico, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 00647/2020, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Savigliano e della società Immobiliare Santarosa s.r.l.;

Visto l’atto di intervento del sig. Michele Testa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 aprile 2025 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. – I sig.ri Maria Pia Baravalle e Paolo Girardo, nella rispettiva qualità di nudo proprietario e usufruttuario del compendio immobiliare residenziale di civile abitazione sito in Savigliano, via Lamarmora, n. 14, al confine con l’immobile oggetto dell’intervento edilizio in contestazione, in data 10 maggio 2019 hanno presentato al Comune di Savigliano una istanza di riesame del permesso di costruire n. 8/PC18 rilasciato in data 20 febbraio 2018 in favore della Immobiliare Santarosa s.r.l. (poi variato con SCIA n. SC 8/158 del 2 novembre 2018), avente ad oggetto la demolizione parziale e ricostruzione di un fabbricato ad uso civile abitazione ai sensi dell’art. 4 della legge regionale del Piemonte n. 20 del 2009 (c.d. piano casa), con restauro e risanamento conservativo del piano primo del fabbricato non demolito.

2. – Con nota del 10 giugno 2019, prot. 2017/32, il Comune, a seguito di apposita istruttoria, ha confermato la legittimità dell’intervento opponendo un diniego alla richiesta di autotutela.

3. – Con il ricorso di primo grado, i ricorrenti hanno quindi impugnato il suddetto diniego di autotutela e i titoli edilizi autorizzativi, deducendo che: a) non sarebbe stata fornita dimostrazione del rispetto delle disposizioni regionali in materia di rendimento energetico nell’edilizia e delle prescrizioni del Protocollo Itaca richieste ai sensi della l.r. n. 20/2009; b) l’edificio previsto in progetto supererebbe “l’altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici” anche considerando l’incremento della “quantità necessaria per sopraelevare di un piano” consentito dalla norma regionale; c) non sarebbe stato verificato l’indice di permeabilità dei suoli; d) l’edificio da costruirsi non rispetterebbe le caratteristiche tipologiche del contesto; e) a fronte della necessità di soddisfare gli standard di parcheggi pubblici e la dotazione di legge di parcheggi privati, i calcoli progettuali sarebbero sprovvisti di verifica del rapporto di copertura che, quantomeno con riferimento alle autorimesse, non potrebbe essere derogato; f) il Comune, anziché avvedersi dei gravi errori commessi nel rilascio dei titoli edilizi impugnati, non avrebbe analiticamente considerato le violazioni lamentate dai ricorrenti con l’istanza di autotutela.

4. – Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha respinto le eccezioni preliminari di inammissibilità per mancata impugnazione dei titoli edilizi (punto 8.1 della sentenza impugnata) e di difetto di legittimazione attiva (punto 8.1 della sentenza impugnata), qualificando il diniego di autotutela come un atto propriamente confermativo (e non meramente confermativo), in quanto adottato all’esito di un nuovo procedimento con rinnovata istruttoria, limitando però espressamente l’ambito del sindacato giurisdizionale ai soli profili oggetto di riesame da parte del Comune.

4.1. – Nel merito, ha ritenuto le censure in parte infondate e in parte inammissibili:

a) sulla volumetria realizzabile, ha ritenuto la censura infondata in quanto, degli originari due corpi di fabbrica uniti tra loro da un elemento di collegamento (terrazzo), il primo di essi, è stato oggetto di demolizione e parziale ricostruzione ai sensi della l.r. n. 20/2009, potendo quindi beneficiare sia della premialità attribuita da detta legge, sia dei “bonus” previsti dal P.R.G., mentre per il secondo, interessato solo da restauro e risanamento conservativo, sono state applicate le ordinarie norme del piano regolatore generale (di seguito, P.R.G.) con gli incrementi ivi previsti (punto 9.1 della sentenza impugnata);

b) sul rendimento energetico, ha ritenuto la censura inammissibile trattandosi di un profilo non esaminato dall’atto di secondo grado (punto 9.2 della sentenza impugnata);

c) sull’altezza massima consentita, ha ritenuto la censura infondata in quanto l’intervento è stato realizzato sommando l’altezza massima consentita dal P.R.G., l’incremento per la realizzazione del sottotetto abitabile e quello necessario per incrementare di un piano l’edificio ai sensi dell’art. 4, comma 5 della l.r. n. 20/2009, arrivando così ad una altezza virtuale pari a 15,03 metri, laddove l’altezza virtuale massima è pari a 15,20 metri (punto 9.3 della sentenza impugnata);

d) sulle distanze dai confini nel caso di sopraelevazione e sulla permeabilità dei suoli, ha ritenuto le doglianze inammissibili per difetto di specificità (punto 9.4 della sentenza impugnata);

e) sulle caratteristiche tipologiche del contesto, ha ritenuto la censura inammissibile trattandosi di un profilo non esaminato dall’atto di secondo grado (punto 9.5 della sentenza impugnata);

f) sullo spostamento di volume premiale, ha ritenuto la censura parimenti inammissibile trattandosi di profilo non esaminato dall’atto di secondo grado (punto 9.6 della sentenza impugnata);

g) sulla verifica del rapporto di copertura, ha ritenuto la censura infondata, in quanto il rapporto di copertura può essere derogato nell’ambito degli interventi realizzati ai sensi della l.r. n. 20/2019 (non rientrando nei parametri qualitativi) e, pertanto, non vi era alcun obbligo da parte dell’amministrazione di verificarne il rispetto con riferimento alle disposizioni degli strumenti urbanistici comunali; in secondo luogo, tale “conclusione è riferibile all’intero intervento edilizio nel suo complesso, inclusi, quindi, i locali ad uso autorimessa che siano previsti in progetto” tenuto conto che le stesse costituiscono pertinenze delle abitazioni e neppure costituiscono volume stante le loro dimensioni contenute entro i 2,5 metri (punto 9.7 della sentenza impugnata);

h) sul calcolo della superficie destinata a parcheggi, ha ritenuto la censura inammissibile trattandosi di un profilo non esaminato dall’atto di secondo grado (punto 9.8 della sentenza impugnata);

i) sul difetto di istruttoria, in relazione al mancato rispetto dei parametri qualitativi, al mancato rispetto dell’altezza massima e alla realizzazione delle autorimesse in violazione al rapporto di copertura, oltre alla “la questione del giunto sismico” e alla corretta installazione della gru di cantiere (considerati come temi “riconducibili alla sfera dei rapporti civilistici tra confinanti”), ha ritenuto il motivo infondato non sussistendo un obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi su tutte le censure contenute nell’istanza, stante il carattere discrezionale dell’autotutela (punto 10 della sentenza impugnata).

5. – Con atto di appello, la parte ricorrente ha impugnato la suddetta sentenza.

6. – Con apposita memoria, si è costituito il Comune che ha ribadito le difese svolte in primo grado chiedendo il rigetto dell’appello.

7. – Con apposita memoria si è costituita anche la società immobiliare Santarosa s.r.l. che ha eccepito: a) l’inammissibilità del ricorso per mancanza di specificità dei motivi di appello; b) l’irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività; c) l’infondatezza nel merito.

8. – Con atto di intervento ad opponendum ex art. 28 c.p.a., si è costituito anche il notaio Michele Testa in qualità di proprietario del quarto piano dell’edifico e di due autorimesse.

9. – Con ordinanza istruttoria del 31 maggio 2024, il Collegio ha disposto una verificazione al fine di accertare lo stato dei luoghi sia ante operam che post operam, con specifico riferimento alla preesistenza o meno di un “sottotetto abitabile” e alle sue caratteristiche planovolumetriche, anche confrontando la situazione preesistente con l’attuale “piano quarto sottotetto abitabile”, così come definito nella relazione tecnico-descrittiva.

10. – In data 7 novembre 2024, è stata depositata la relazione definitiva di verificazione.

11. – All’udienza pubblica del 10 aprile 2025, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. – Con il primo motivo di appello (pag. 5-16), la parte ricorrente ha articolato una prima censura (pag. 5-7 dell’appello), con cui ha lamentato l’erroneità della decisione di primo grado relativa alla delimitazione del sindacato giurisdizionale alle sole censure esaminate nell’atto impugnato, con esclusione delle altre contenute nella relativa istanza di riesame, con conseguente violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato per omessa pronuncia.

In particolare, ha ritenuto che la statuizione di primo grado sarebbe incorsa in un “travisamento di fattispecie” (pag. 6 dell’appello), dal momento che il primo giudice avrebbe motivato richiamando un principio di diritto (Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2020, n. 4405) enunciato in relazione ad una fattispecie di silenzio-inadempimento, ossia diversa da quella oggetto del giudizio (pag. 7 dell’appello).

1.1. – La censura è infondata.

Invero, nessun “travisamento della fattispecie” è stato operato dal primo giudice, avendo quest’ultimo richiamato un principio di diritto consolidato in materia di impugnazione del diniego di autotutela, secondo cui non è consentito al privato di eludere il prescritto termine decadenziale introducendo le censure attraverso il meccanismo dell’impugnazione del diniego di provvedere su una istanza di autotutela riferita ad un atto inoppugnabile, aggirando così i prescritti termini in violazione del principio di certezza delle situazioni giuridiche (Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2020, n. 4405).

1.2. – Peraltro, deve ritenersi errata la stessa prospettazione della censura di appello nella parte in cui qualifica la fattispecie di cui al suddetto precedente giurisprudenziale in termini di silenzio-inadempimento.

Invero, il principio di diritto ivi enunciato si fonda proprio sulla inconfigurabilità di un obbligo di provvedere a fronte di una istanza di autotutela e, conseguentemente, sulla insussistenza di una fattispecie di silenzio-inadempimento: “non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall’esterno l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l’istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto; il potere di autotutela si esercita discrezionalmente d’ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione, e non su istanza di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere” (Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2020, n. 4405, cit.; più di recente, Cons. Stato, sez. III, 12 giugno 2025, n. 5088).

1.3. – A ben vedere, infine, il dedotto vizio di omessa pronuncia non è nemmeno astrattamente configurabile, in quanto il primo giudice, in relazione alle censure non esaminate nel provvedimento di secondo grado, si è espressamente pronunciato con una statuizione di inammissibilità.

La censura è, quindi, infondata.

2. – Con la seconda censura (pag. 12-16) contenuta sempre nel primo motivo di appello, i ricorrenti hanno impugnato la sentenza reiterando le censure in merito alla violazione dell’altezza massima (ritenuta il “vero punto cruciale della presente vicenda” pag. 12 dell’appello).

Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha respinto la censura già articolata in primo grado, ritenendo che l’intervento sia stato realizzato sommando l’altezza massima consentita dal P.R.G., l’incremento per la realizzazione del sottotetto abitabile e quello necessario per incrementare di un piano l’edificio ai sensi dell’art. 4, comma 5 della l.r. n. 20/2009, precisando che “Non vi sono ragioni, inoltre, per postulare un’incompatibilità [tra i due benefici] considerato che, se così non fosse, la possibilità di costruire in deroga offerta dalla citata normativa verrebbe di fatto posta nel nulla”. (cfr. punto 9.3 della sentenza impugnata).

La parte appellante, da parte sua, ha contestato il cumulo tra la premialità prevista dal c.d. piano casa (sopraelevazione di un piano) e quella prevista dal P.R.G. (altezza di 1,70 metri per il sottotetto abitabile).

A seguito della verificazione disposta da questo Consiglio di Stato, è innanzitutto emersa la seguente situazione di fatto: nella situazione ante operam non sussisteva un “sottotetto abitabile” (pag. 6 della verificazione) e nella situazione post operam il quarto piano “ha le caratteristiche di un sottotetto abitabile” (pag. 7 della verificazione).

Ciò posto, il verificatore ha concluso per la legittimità dell’intervento essendo stata rispettata l’altezza massima, ritenendo che l’aumento di 1,70 m per il sottotetto abitabile vada riferito non all’edificio preesistente ma a quello in progetto (pag. 12 della verificazione).

2.1. – Orbene, la norma del P.R.G., applicabile alla specie, dispone che all’altezza massima ammessa, nelle aree a prevalente destinazione residenziale, si possa sommare la misura di 1,70 metri “fatte salve diverse disposizioni attinenti a singoli casi, e comunque solo nel caso in cui l’edificio sia dotato di sottotetto abitabile o agibile” (nota n. 3 delle NTA).

Inoltre, l’art. 4, comma 5, l.r. n. 20 del 2009, prevede che gli interventi di cui al piano casa “non possono superare l’altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici, tranne che per la quantità necessaria per sopraelevare di un piano”.

Ciò posto, la parte appellante contesta che si possa cumulare tale incremento di altezza previsto dal P.R.G. (1,70 metri per il sottotetto abitabile) con quello previsto dal piano casa (sopraelevazione di un piano), almeno con le modalità seguite dalla società nel caso di specie: infatti, anche ammettendo l’astratta possibilità giuridica di cumulare i due benefici, nel caso in esame non si sarebbe trattato di una sopraelevazione di un piano con l’aggiunta di un sottotetto abitabile, ma di una sopraelevazione di fatto di due piani.

In altri termini, la parte si duole del fatto che a fronte di un originario edificio di 3 piani fuori terra, ci si troverebbe ora di fronte ad un edificio di 5 piani fuori terra, come peraltro confermato anche dallo stesso verificatore: “il fabbricato “A” è stato sopraelevato di n. 2 piani rispetto al fabbricato demolito con la realizzazione di n. 5 fuori terra rispetto ai precedenti n. 3 piani fuori terra” (pag. 8 della verificazione).

2.2. – La questione che si pone nella presenta vicenda diventa, dunque, quella di stabilire se quello che nella relazione tecnico-descrittiva viene definito come “piano quarto sottotetto abitabile” (cfr. doc. 4 fascicolo di primo grado del Comune), corrispondente al quinto piano fuori terra, possa essere qualificato come “sottotetto abitabile” oppure come un “piano ulteriore” (pag. 16 dell’appello, ove si afferma anche che la questione è quella di «distinguere tra fattispecie costruttive diverse, ossia tra ciò che è qualificabile come “piano” e ciò che è qualificabile come “sottotetto”»).

Secondo la parte appellante, infatti, il nuovo quarto piano (con altezza media virtuale di 3,23 m), non potrebbe essere definito come “sottotetto” per il solo fatto di trovarsi “sotto” il “tetto” (a doppia falda inclinata dell’8%), trattandosi piuttosto di una unità abitativa ordinaria, con la conseguenza di ritenere che il risultato finale dell’intervento costruttivo non sia stato quello previsto dalla legge (sopraelevazione di un piano, con aggiunta di 1,70 metri per il sottotetto abitabile), bensì la sopraelevazione di due piani.

2.3. – Al fine di risolvere la controversia, occorre avere riguardo alla definizione di sottotetto contenuta nella normativa statale.

A tal proposito, giova innanzitutto ribadire che, con l’art. 4, comma 1-sexies (inserito dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133), del d.P.R. n. 380 del 2001 (t.u. edilizia), il legislatore ha previsto l’adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo al fine di semplificare la struttura dei regolamenti edilizi comunali, anche attraverso la predisposizione di “definizioni uniformi sull’intero territorio nazionale”, con una previsione che è stata “annoverata a pieno titolo tra i principi fondamentali del governo del territorio” in quanto espressione di quella “esigenza unitaria e non frazionabile” di semplificazione e di uniformità da garantire su tutto il territorio nazionale (Corte cost. 26 maggio 2017, n. 125, punto 4.3.2. del Considerato in diritto).

Tale previsione è stata attuata con l’adozione dell’Intesa del 20 ottobre 2016 in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni, avente ad oggetto il suddetto schema di regolamento edilizio-tipo, nonché, per quanto qui interessa, il “Quadro delle definizioni uniformi” (Allegato A).

Tra le definizioni uniformi, si rinviene anche quella di “sottotetto” (voce n. 23), definito come lo “Spazio compreso tra l’intradosso della copertura dell’edificio e l’estradosso del solaio del piano sottostante”.

Nello stesso senso si pongono anche le difese di parte resistente (pag. 3 della memoria di replica della Immobiliare Santarosa s.r.l. del 19 marzo 2025; pag. 6 della memoria di replica del Comune del 20 marzo 2025), richiamando sul punto la conforme definizione di sottotetto contenuta nel regolamento edilizio comunale (art. 23) di Savigliano.

2.4. – Orbene, avuto riguardo a tale definizione normativa, la censura di parte appellante deve ritenersi infondata.

Infatti, quello che nella relazione tecnico-descrittiva viene definito come “piano quarto sottotetto abitabile” (cfr. doc. 4 fascicolo di primo grado del Comune), corrispondente al quinto piano fuori terra, rientra nella definizione normativa di “sottotetto” essendo pacificamente posto “tra l’intradosso della copertura dell’edificio e l’estradosso del solaio del piano sottostante”, come confermato anche dal verificatore laddove ha affermato che il quarto piano “ha le caratteristiche di un sottotetto abitabile con copertura avente pendenza del’8%” (pag. 7 della verificazione).

Il carattere dell’abitabilità, poi, dipende evidentemente da altri fattori, come quello dell’altezza interna, che nella specie risultano sussistenti e comunque non contestati.

Pertanto, nessun abuso edilizio è stato realizzato nella fattispecie in esame, avendo la società immobiliare legittimamente sfruttato sia la possibilità prevista dallo strumento urbanistico di incrementare l’altezza massima dell’edificio di 1,7 metri mediante la realizzazione di un “sottotetto abitabile” (nota n. 3 delle NTA al P.R.G.) e sia la deroga prevista dal c.d. piano casa di “sopraelevare di un piano” (art. 4, comma 5, l.r. n. 20 del 2009).

2.5. – Dal punto di vista giuridico, si tratta di due facoltà certamente cumulabili tra loro, in mancanza di un espresso divieto in tal senso e non essendo nemmeno incompatibili l’una con l’altra.

Tale cumulo, inoltre, risulta conforme al principio di matrice ambientale del contenimento del consumo di suolo che, come evidenziato anche in dottrina, ha assunto la valenza di principio generale nella materia del governo del territorio.

Peraltro, un riscontro normativo di tale principio lo si rinviene proprio in materia di recupero dei sottotetti, alla luce del recente intervento normativo di cui al d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2024, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica (c.d. decreto salva casa).

Con tale novella, infatti, è stato introdotto il nuovo comma 1-quater all’art. 2-bis del t.u. edilizia, il quale ha ampliato i casi di interventi di recupero dei sottotetti al dichiarato fine di “incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa limitando il consumo di nuovo suolo” (art. 2-bis, comma 1-quater, t.u. edilizia).

Concludendo sul punto, quindi, la censura deve ritenersi infondata.

3. – Con il secondo motivo di appello (pag. 11-27), la parte ricorrente ha reiterato le censure già dichiarate inammissibili dal primo giudice, ossia quelle relative a: rendimento energetico (pag. 11-12 dell’appello), distanze dai confini nel caso di sopraelevazione e permeabilità dei suoli (pag. 17-19 dell’appello), caratteristiche tipologiche del contesto (pag. 19-21 dell’appello), calcolo della superficie destinata a parcheggi (pag. 25-26 dell’appello).

Inoltre, ha riproposto la censura relativa alla verifica del rapporto di copertura (pag. 22-25 dell’appello) dichiarata infondata dal primo giudice.

3.1. – Con riferimento al primo gruppo di censure, l’appello deve essere respinto in quanto la tesi attorea è costruita sul medesimo assunto posto a base del primo motivo di appello, già dichiarato infondato, consistente nella asserita erroneità della delimitazione del sindacato giurisdizionale alle sole censure esaminate nell’atto impugnato.

A ciò deve anche aggiungersi la piena condivisibilità della relativa statuizione del primo giudice secondo cui, in tema di impugnazione del diniego di autotutela rappresentato da un provvedimento di conferma in senso proprio, l’ambito di cognizione del giudice amministrativo è limitato ai soli profili di legittimità che siano stati oggetto di espresso riesame da parte dell’amministrazione, dovendo altrimenti ammettere una generalizzata rimessione in termini con elusione dei termini decadenziali.

Sul punto, occorre precisare che il diniego di autotutela può manifestarsi o in maniera espressa, mediante un atto di diniego esplicito di autotutela, oppure in maniera tacita mediante la mancata adozione di un atto di riscontro.

Con riferimento al diniego espresso di autotutela, poi, occorre distinguere il caso in cui con tale diniego l’amministrazione si limiti a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (c.d. atto meramente confermativo), dal caso in cui l’amministrazione adotti il diniego di autotutela all’esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi (c.d. atto di conferma in senso proprio) e, pertanto, connotato anche da una nuova motivazione (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 24 dicembre 2021, n. 8590).

Dal punto di vista processuale, il diniego espresso di autotutela deve ritenersi impugnabile solo se contenuto in un atto confermativo adottato a seguito di nuova istruttoria con rinnovata ponderazione di interessi, mentre non è impugnabile il diniego di autotutela contenuto in un atto meramente confermativo, così come non è impugnabile con l’azione avverso il silenzio il mancato riscontro all’istanza di riesame.

Nella fattispecie in esame, con l’impugnato diniego di autotutela l’amministrazione si è pronunciata in maniera espressa solo limitatamente ad alcuni dei profili indicati nella relativa istanza, mentre per la restante parte non si è pronunciata.

Tuttavia, l’omessa pronuncia su tali profili deve ritenersi non censurabile in sede giurisdizionale, non potendo configurarsi un silenzio-inadempimento, dovendo piuttosto qualificare l’atto impugnato, in parte qua, alla stregua di un diniego implicito di autotutela, in quanto meramente confermativo del precedente provvedimento divenuto inoppugnabile.

3.1.1. – In senso contrario, non vale ritenere che “Una volta concessa l’autotutela, infatti, l’Amministrazione non può unilateralmente scegliere su cosa pronunciarsi, dovendo necessariamente rivalutare la vicenda abilitativa nel suo complesso” (pag. 22 dell’appello) non potendo in tal caso l’amministrazione “ritenersi svincolata da qualsivoglia principio di ragionevolezza e proporzionalità, scegliendo su cosa esprimersi e su cosa no” (pag. 29 dell’appello).

Invero, se la decisione dell’amministrazione di riesaminare o meno la legittimità di un provvedimento inoppugnabile è pacificamente discrezionale e non coercibile, a maggior ragione lo è la decisione di limitare tale riesame solo ad alcuni profili ritenuti meritevoli di approfondimento.

Per la stessa ragione, non può nemmeno ritenersi che, una volta avviato il procedimento di riesame, l’amministrazione resti vincolata, quanto all’oggetto del riesame, a rinnovare la valutazione estendendola a tutti i profili indicati nella relativa istanza del privato, sussistendo un’ampia discrezionalità non solo nell’an, ma anche nel quid del riesame.

Né tale decisione di limitare il riesame solo ad alcuni profili risulta affetta da vizi di irragionevolezza, in mancanza di specifiche allegazioni in merito da parte dell’appellante.

Concludendo sul punto, quindi, nessun vizio di omessa pronuncia può sussistere in relazione alla limitazione del sindacato giurisdizionale di primo grado al solo atto di diniego espresso di autotutela.

3.1.2. – Come già evidenziato, peraltro, il vizio di omessa pronuncia non è nemmeno astrattamente configurabile, in quanto il primo giudice, in relazione alle censure non esaminate nel provvedimento di secondo grado, si è espressamente pronunciato con una statuizione di inammissibilità.

In particolare, si tratta delle statuizioni di inammissibilità delle censure relative al rendimento energetico (punto 9.2 della sentenza impugnata), alle distanze dai confini nel caso di sopraelevazione e sulla permeabilità dei suoli (punto 9.4 della sentenza impugnata), alle caratteristiche tipologiche del contesto (punto 9.5 della sentenza impugnata), allo spostamento di volume premiale (punto 9.6 della sentenza impugnata), al calcolo della superficie destinata a parcheggi (punto 9.8 della sentenza impugnata).

Ne consegue, quindi, l’infondatezza del secondo motivo di appello (pag. 11-27) nella parte in cui si reiterano tali censure già dichiarate inammissibili dal primo giudice, ossia quelle relative a: rendimento energetico (pag. 11-12 dell’appello), distanze dai confini nel caso di sopraelevazione e permeabilità dei suoli (pag. 17-19 dell’appello), caratteristiche tipologiche del contesto (pag. 19-21 dell’appello), calcolo della superficie destinata a parcheggi (pag. 25-26 dell’appello).

3.2. – Sempre nell’ambito del secondo motivo di appello, la parte ricorrente ha reiterato la censura relativa alla verifica del rapporto di copertura (pag. 22-25 dell’appello).

Sul punto, il T.a.r. ha ritenuto la censura infondata, in quanto il rapporto di copertura può essere derogato nell’ambito degli interventi realizzati ai sensi della l.r. n. 20/2009 (non rientrando nei parametri qualitativi) e, pertanto, non vi era alcun obbligo da parte dell’amministrazione di verificarne il rispetto con riferimento alle disposizioni degli strumenti urbanistici comunali; in secondo luogo, tale “conclusione è riferibile all’intero intervento edilizio nel suo complesso, inclusi, quindi, i locali ad uso autorimessa che siano previsti in progetto” tenuto conto che le stesse costituiscono pertinenze delle abitazioni e neppure costituiscono volume stante le loro dimensioni contenute entro i 2,5 metri (punto 9.7 della sentenza impugnata).

A tal riguardo, la parte appellante si è limitata a reiterare la censura di primo grado (ossia che i calcoli sono totalmente sprovvisti di verifica del rapporto di copertura che, quantomeno con riferimento alle autorimesse, non potrebbe essere derogato) aggiungendo solamente che il giudice di primo grado “non spiega affatto alla luce di quale ragionamento un intervento edilizio estraneo alla disciplina premiale, qual è quello delle autorimesse, dovrebbe giovarsi della deroga ivi prevista” (pag. 25 dell’appello).

3.2.1. – La censura è innanzitutto inammissibile per difetto di specificità, essendosi la parte limitata a prospettare genericamente una sorta di difetto di motivazione della sentenza impugnata senza misurarsi con le argomentazioni spese dal primo giudice; in secondo luogo, è anche infondata, in quanto il T.a.r. ha ben motivato in ordine alla infondatezza della censura evidenziando che il rapporto di copertura, non rientrando nei parametri qualitativi, può essere derogato nell’ambito degli interventi realizzati ai sensi della l.r. n. 20/2009.

4. – Con il terzo motivo di appello (pag. 27-30), la parte ricorrente ha contestato la statuizione di primo grado con cui è stato dichiarato infondato il motivo di ricorso relativo al difetto di istruttoria su vari altri profili (mancato rispetto dei parametri qualitativi e dell’altezza massima; realizzazione delle autorimesse in violazione al rapporto di copertura; questione del giunto sismico; corretta installazione della gru di cantiere).

In particolare, il T.a.r. ha ritenuto il motivo infondato non sussistendo un obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi su tutte le censure contenute nell’istanza, stante il carattere discrezionale dell’autotutela (punto 10 della sentenza impugnata).

Con il suddetto motivo di appello, la parte si è limitata a ribadire la non condivisibilità della ricostruzione effettuata dal primo giudice in ordine all’istituto dell’autotutela.

Sul punto, è quindi sufficiente richiamare quanto già detto in merito all’impugnazione del diniego di autotutela, in quanto anche tale motivo di appello si fonda sulle medesime argomentazioni già ritenute infondate.

5. – In conclusione, quindi, l’appello deve essere respinto.

6. – Le spese di lite possono essere compensate in ragione della novità e complessità della questione trattata, mentre le spese di verificazione, liquidate con separato provvedimento, restano a carico della parte appellante richiedente.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di lite.

Pone le spese di verificazione a carico di parte appellante.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.