Cons. Stato, sez. IV, 5 agosto 2025, n. 6930
L'incertezza intrinseca del risultato collegato alla chance deriva, normalmente, dal carattere discrezionale del potere illegittimamente esercitato o che colposamente non è stato esercitato. Tuttavia, anche al fine di non eludere il necessario giudizio di spettanza del bene della vita, è necessario che tale potere non sia più esercitabile. Se, infatti, il potere persiste, il risultato finale è ancora conseguibile, sicché l'occasione non è definitivamente persa, ma, al contempo, non è possibile pretendere un risarcimento, se non dopo il suo riesercizio. Solo se tale potere discrezionale non è più esercitabile, può configurarsi un danno: il danno, in tal caso, non si appunta sul risultato finale, che è un'utilità intrinsecamente incerta in ragione del carattere discrezionale del potere, bensì sull'occasione – questa, andata sì certamente perduta – di conseguirlo.
Come già chiarito in giurisprudenza, «la tecnica risarcitoria della chance presuppone una situazione di fatto immodificabile, che abbia definitivamente precluso all'interessato la possibilità di conseguire il risultato favorevole cui aspirava. Solo qualora il procedimento amministrativo dichiarato illegittimo non sia in alcun modo 'ripetibile' – neppure virtualmente (stante i limiti posti alla cognizione giudiziale), come invece resta possibile in caso di attività vincolata, nel qual caso può essere richiesto soltanto il risarcimento del controvalore del risultato sperato – il giudizio di ingiustizia può assumere ad oggetto la perdita della possibilità di un vantaggio» (Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2021, n. 6268).
Guida alla lettura
Nella pronuncia in esame (n. 69430 del 2925) il Consiglio di Stato (Sezione quarta), seguendo l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, ritiene non risarcibile per equivalente il c.d. danno da perdita di chance, laddove la chance (intesa quale seria possibilità di conseguire un risultato utile) sia ancora suscettibile di essere conseguita attraverso la ripetizione da parte della PA dell’attività procedimentale.
Giova premettere che dottrina e giurisprudenza si sono impegnate a lungo nel tentativo di tracciare una definizione di chance. È opportuno dar conto dei due principali orientamenti.
Secondo una prima tesi, infatti, la chance costituisce un bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione in chiave risarcitoria. In questi termini la chance sarebbe sussumibile nell’ambito del danno emergente.
Sul versante opposto, la teoria della c.d. chance eziologica nega che la chance abbia natura di bene giuridico autonomo. Al contrario, seconda questa tesi, la lesione della chance afferisce ad un diritto non ancora presente nel patrimonio del soggetto ma da questi potenzialmente conseguibile con elevato grado di probabilità. Sembra, pertanto, potersi equiparare la chance al lucro cessante.
Così ricostruito il dibattito sulla delimitazione del perimetro della chance, la sentenza dello scorso agosto del Consiglio di Stato, nell’affermare che la natura della responsabilità della PA per la lesione di un interesse legittimo pretensivo sarebbe riconducibile nel modello aquiliano (2043 cc “danno ingiusto”), si pone nel solco tracciato da due importanti pronunce giurisprudenziali.
Pacificamente attribuita natura sostanziale all’interesse legittimo, la cui illegittima lesione è causa di risarcimento degli eventuali pregiudizi materiali subiti, le S.U. (n. 500 del 1999) e l’Ad. Pl. (n.7 del 2021) affermano, infatti, che, nell’ambito del rapporto amministrativo, l’illegittimo esercizio del potere da parte della p.a., sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano.
Graverebbe, pertanto, sulla parte danneggiata l’onere di provare (art. 2697 cc) gli elementi costitutivi dell’illecito (condotta “contra ius”, danno-evento, nesso causale e danno-conseguenza nelle due componenti del danno emergente e del lucro cessante). È necessario, quindi, in sede giurisdizionale l’accertamento della lesione di un bene della vita a cui anela il titolare dell’interesse legittimo.
Ciò posto, la pronuncia in commento si segnala per aver specificato che il danno-conseguenza da lesione giuridica di un interesse legittimo pretensivo (quella particolare situazione soggettiva che soddisfa, cioè, istanze di ampliamento della sfera giuridica personale e patrimoniale) non è risarcibile ex ante, fintanto che l’amministrazione mantenga l’autorità di determinarsi discrezionalmente, sulla vicenda amministrativa.
Viene, infatti, osservato che il margine di apprezzamento riservato alla p.a., anche in caso di ri-esercizio del potere a seguito di annullamento di un suo precedente provvedimento illegittimo, impedisce di effettuare, in sede giurisdizionale, il giudizio prognostico di spettanza del bene della vita.
Per i rilievi innanzi illustrati, il Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, afferma che il danno da perdita di chance, intesa quale occasione definitivamente persa di conseguimento di un risultato, si può configurare per le sue peculiarità solo allorquando il titolare di un interesse legittimo pretensivo perde definitivamente la possibilità di conseguire il bene della vita di incerta realizzazione. È, pertanto, necessario, ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno di cui sopra, che il potere non sia più esercitabile dalla p.a. Se, infatti, il potere persiste e la situazione è ancora modificabile, il risultato finale favorevole è ancora conseguibile e l’occasione non è definitivamente persa.
In definitiva, ad avviso del Consiglio di Stato, la tecnica risarcitoria della chance presuppone una situazione di fatto immodificabile, che abbia definitivamente precluso all’interessato la possibilità concreta di conseguire il risultato favorevole cui aspirava.
È proprio a quest’ultimo scenario che la Sezione quarta del Consiglio di Stato fa riferimento nel respingere l’appello principale proposto dal Consorzio per l’edilizia residenziale veneta (C.E.R.V. S. Coop. P.A.) avverso la sentenza n. 911 del 2023 del TAR Veneto e che vede come resistente il Comune di Chioggia.
Nel caso in esame il Consorzio partecipava ad un concorso regionale per il finanziamento di progetti di housing sociale. Lo stesso presentava un progetto la cui esecuzione era subordinata al rilascio da parte del Comune di un’autorizzazione, con apposita variante urbanistica, alla trasformazione di un’area agricola in area edificabile. Il Comune aveva dichiarato in via preventiva di perseguire le finalità e gli obiettivi dell’iniziativa con delibera n.286 del 2009.
Il Consorzio veniva, poi, ammesso ad un finanziamento che, in seguito, non veniva conseguito a causa della successiva delibera n. 146 del 2010 con la quale il Consiglio comunale respingeva la proposta di variante presentata dal Consorzio.
Avverso quest’ultima delibera il Consorzio presenta, pertanto, ricorso chiedendone l’annullamento e il risarcimento del danno per la lesione del suo legittimo affidamento nel corretto operare dell’amministrazione.
Il Tar Veneto (sentenza n. 911 del 2023) accoglie solo la domanda di annullamento per difetto di motivazione della delibera, mentre respinge la richiesta di risarcimento dei pregiudizi materiali subiti dal ricorrente.
Proprio quest’ultima parte della sentenza viene appellata dinnanzi alla sezione quarta del Consiglio di Stato che, con la pronuncia in esame (n. 6930 del 2025), respinge in via definitiva la richiesta di risarcimento per le ragioni sopra illustrate. A seguito, infatti, dell’annullamento della delibera, Il Comune deve ri-esercitare il potere (sub specie il potere discrezionale di adozione della variante urbanistica) e, solo allorquando non residuino più margini di discrezionalità e la situazione sia immodificabile, può essere condannato al risarcimento del danno da perdita di chance per la lesione da parte della p.a.
Pubblicato il 05/08/2025
N. 06930/2025REG.PROV.COLL.
N. 00989/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 989 del 2024, proposto dal Consorzio per l'edilizia residenziale veneta - C.E.R.V. S.Coop.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Chiara Cacciavillani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
contro
il Comune di Chioggia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Simonetta De Sanctis Mangelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
per la riforma, per quanto riguarda l'appello principale e l'appello incidentale,
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale (T.A.R.) per il Veneto, Sez. II, 27 giugno 2023, n. 911, non notificata, con la quale è stato deciso il ricorso proposto dal Consorzio per l'edilizia residenziale veneta per l'annullamento della deliberazione di consiglio comunale di Chioggia n. 146 del 30 novembre 2010, nonché per la condanna del Comune di Chioggia al risarcimento dei danni conseguenti all'illegittimo operare amministrativo.
Visti il ricorso in appello principale e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio e l'appello incidentale del Comune di Chioggia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2025 il Cons. Martina Arrivi e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Consorzio per l'edilizia residenziale veneta (in breve, il Consorzio) ha partecipato a un concorso regionale (bandito con delibera di giunta regionale n. 1567 del 26 maggio 2009) per il finanziamento di progetti di housing sociale, consistenti nella costruzione di alloggi da concedere in locazione a canone concertato. A tal fine, il Consorzio ha presentato un progetto da realizzarsi in Chioggia, per la cui esecuzione sarebbe stato necessario che l'omonimo Comune autorizzasse, con apposita variante urbanistica, la trasformazione di un'area agricola in area edificabile.
Per partecipare al concorso, il bando richiedeva che il proponente del progetto avesse acquisito «la disponibilità, da parte dell'Amministrazione comunale, al perseguimento delle finalità e degli obiettivi sanciti dalla presente iniziativa». Pertanto, il Consorzio ha allegato alla propria domanda la delibera di giunta n. 286 del 4 settembre 2009, nella quale il Comune di Chioggia aveva dichiarato di perseguire le finalità e gli obiettivi dell'iniziativa, specificando che la realizzazione del progetto proposto dal Consorzio era subordinata all'approvazione di una variante urbanistica.
Il Consorzio è stato ammesso a un finanziamento regionale di 900.000 euro, che però non ha conseguito, perché, con delibera n. 146 del 30 novembre 2010, il consiglio comunale di Chioggia ha respinto la proposta di variante presentata dal Consorzio.
2. Il Consorzio ha, dunque, agito dinanzi al T.A.R. Veneto, per domandare l'annullamento della delibera consiliare e la condanna del Comune di Chioggia al risarcimento del danno, composto, quanto al lucro cessante, dal mancato profitto ritraibile dalla realizzazione del progetto di housing sociale e, quanto al danno emergente, dalle spese sostenute per il pagamento di due fatture per servizi, resi da soggetti terzi, propedeutici alla progettazione e alla realizzazione dell'iniziativa.
3. Con sentenza n. 911 del 27 giugno 2023 (non notificata), il T.A.R. ha accolto la domanda di annullamento, mentre ha respinto la domanda risarcitoria.
Quanto alla domanda di annullamento, il giudice ha ritenuto illegittima la delibera consiliare n. 146 del 2010, con la quale il Comune di Chioggia aveva respinto la proposta di variante urbanistica presentata dal Consorzio, per difetto di motivazione: l'atto avrebbe dovuto essere motivato, vertendo su una variante puntuale (per la modificazione della destinazione urbanistica di una specifica area) e impattando negativamente sul legittimo affidamento che il Consorzio aveva maturato dopo che la giunta comunale, con la deliberazione n. 286 del 2009, si era dichiarata disponibile al perseguimento delle finalità e degli obiettivi dell'iniziativa, nonché dopo che l'ufficio tecnico comunale aveva reso un parere favorevole all'adozione della variante.
In relazione alla domanda risarcitoria, il giudice ha escluso il ristoro del danno da lucro cessante per mancanza della prova di spettanza del bene della vita (id est dell'accoglibilità della variante), alla luce della natura formale del vizio riscontrato nel provvedimento annullato e del fatto che, in giudizio, il Comune aveva spiegato che, ormai, con una variante generale, erano state individuate altre aree (diverse da quella selezionata dal Consorzio) destinate all'edilizia popolare. Il risarcimento del danno emergente è stato escluso per la mancata dimostrazione dell'avvenuto pagamento delle due fatture richieste in rimborso e poiché queste si riferivano a non meglio specificate prestazioni di progettazione, consulenza e supporto, senza prova della loro attinenza all'iniziativa consortile.
4. Con ricorso notificato il 26 gennaio 2024 e depositato il 6 febbraio 2024, il Consorzio ha appellato la sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda risarcitoria, per tre ordini di motivi.
I) Con il primo motivo, l'appellante ha contestato le ragioni di rigetto della domanda di risarcimento del lucro cessante, sostenendo che il vizio di motivazione (rinvenuto nella delibera comunale che aveva respinto la proposta di variante della destinazione dell'area di interesse da agricola in edificabile) non abbia natura formale (come sostenuto dal T.A.R.), ma sostanziale. L'appellante, inoltre, ha criticato la decisione del giudice di primo grado di dare rilievo, ai fini dell'analisi della domanda risarcitoria, alla motivazione postuma che il Comune aveva fornito in giudizio per spiegare le ragioni di mancata adozione della variante urbanistica (ossia che, frattanto, con variante generale, erano state individuate altre aree destinate all'edilizia sociale). Infine, il Consorzio ha sostenuto di aver dimostrato la spettanza del bene della vita, questi essendo un operatore professionale del settore, che aveva conseguito un consistente finanziamento regionale e che aveva acquisito la disponibilità dell'area di realizzazione del progetto, nonché in considerazione del fatto che la giunta comunale aveva approvato l'iniziativa e l'ufficio tecnico comunale aveva emesso un parere favorevole alla variante.
II) Con il secondo motivo, graduato rispetto al primo, il Consorzio appellante ha dedotto che, ove non si fosse ritenuta provata la certa spettanza del bene della vita, si sarebbe potuto comunque liquidare il risarcimento del danno da lucro cessante in base alla tecnica propria del danno da perdita di chance, ossia in una percentuale dell'utile prospettato nel ricorso, pari alla probabilità di realizzabilità del progetto di housing sociale.
III) Con il terzo motivo di appello, il Consorzio ha criticato la sentenza, laddove ha escluso la spettanza del risarcimento del danno emergente. L'appellante ha domandato di essere autorizzato a provare in appello l'avvenuto pagamento delle fatture delle quali ha domandato il rimborso e ha argomentato in ordine all'attinenza di tali documenti contabili all'iniziativa per cui è causa.
5. Con ricorso notificato il 25 marzo 2024 e depositato l'11 aprile 2024, il Comune di Chioggia ha proposto appello incidentale subordinato, relativamente al capo della sentenza che ha accolto la domanda di annullamento della propria deliberazione n. 146 del 2010, di rigetto della proposta di variante urbanistica. L'appello incidentale si fonda su un unico motivo, con il quale il Comune di Chioggia ha dedotto che la propria decisione di non avallare la proposta di variante urbanistica non dovesse essere motivata, in quanto espressione di un potere pianificatorio e non potendo riconoscersi, in capo al Consorzio, alcuna posizione di legittimo affidamento da tutelare.
6. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 10 luglio 2025, in vista della quale le parti hanno depositato memorie e repliche.
DIRITTO
7. L'appello principale è infondato.
8. Esso verte, come accennato, sul capo della sentenza che ha respinto la domanda di condanna del Comune di Chioggia al risarcimento del danno derivante dall'illegittimo rigetto della proposta di variante urbanistica, necessaria a consentire la realizzazione del progetto di edilizia sociale proposto dal Consorzio per l'edilizia residenziale veneta. Il T.A.R. ha scisso le motivazioni di rigetto della domanda risarcitoria in relazione alle due componenti del lucro cessante e del danno emergente.
9. Per quanto concerne il lucro cessante, il T.A.R. non ha riconosciuto al Consorzio il ristoro del mancato profitto ritraibile dalla realizzazione del progetto, per insussistenza della prova di spettanza del bene della vita, ossia dell'utilità finale anelata dal Consorzio, coincidente con la accoglibilità della variante propedeutica alla realizzazione del progetto stesso. Il giudice ha ritenuto, anzitutto, che il difetto di motivazione, ossia il vizio riscontrato nel provvedimento di rigetto della proposta di variante, abbia natura formale e, pertanto, impedisca di appurare la conseguibilità dell'utilità ambita dal Consorzio. Inoltre, il giudice ha ritenuto che, dal punto di vista prognostico, sarebbe stato improbabile ottenere l'adibizione dell'area di interesse a un progetto di edilizia sociale, visto che, poco prima, il Comune aveva apportato una variante generale al proprio strumento urbanistico, individuando altri luoghi per analoghi interventi.
Il Consorzio contesta tale statuizione con i primi due motivi di appello.
Con il primo, l'appellante sostiene che il difetto di motivazione non possa essere considerato alla stregua di un vizio formale, dal momento che la motivazione è presidio di legalità sostanziale del potere amministrativo. Deduce, inoltre, che il giudice non avrebbe potuto tenere conto delle ragioni fornite in giudizio dalla difesa civica a sostegno della scelta comunale di non acconsentire alla variante urbanistica, trattandosi di una inammissibile integrazione postuma della motivazione provvedimentale. Sostiene, infine, che la propria proposta di variante avesse tutti i requisiti tecnici per essere accolta. In subordine, con il secondo motivo di appello, il Consorzio deduce che l'impossibilità di formulare una prognosi di certa spettanza del bene della vita non lo privi in toto del diritto al risarcimento del danno, potendogli essere riconosciuto il ristoro del danno da perdita di chance, ossia di perdita dell'occasione di realizzare il progetto di edilizia sociale, in misura pari a una percentuale del profitto, corrispondente alla probabilità di conseguimento del risultato finale.
12. Per quanto riguarda il danno emergente, il T.A.R. ha statuito che il Consorzio avesse omesso di dimostrare gli esborsi asseritamente sostenuti, cioè il pagamento di due fatture per prestazioni correlate alla progettazione e alla realizzazione dell'iniziativa. Inoltre, il giudice ha ritenuto che non vi fosse la prova che tali prestazioni effettivamente si riferissero al progetto per cui è causa:
- la prima fattura di 43.680,00 euro, emessa dalla società Laut Engineering s.r.l., riguarderebbe un intervento in località "Ridotto Madonna", perciò in un luogo apparentemente diverso da quello su cui dovrebbe insistere il progetto consortile in esame, e, comunque, afferirebbe a non meglio specificati servizi di progettazione;
- la seconda fattura di euro 48.400,00, emessa dal Consorzio di cooperative edilizie C.E.R.V. di Padova, non indicherebbe le prestazioni per le quali il pagamento è stato richiesto, sicché non sarebbe possibile constatarne l'attinenza al progetto per cui è causa.
Con il terzo motivo di appello, riferito a tale sotto-capo della sentenza, il Consorzio deduce che il Comune di Chioggia abbia contestato solo genericamente l'avvenuto pagamento delle due fatture e che, in ogni caso, l'abbia fatto nella memoria di replica, sicché legittimamente – in base al principio di non contestazione – il ricorrente non aveva ancora prodotto le pezze giustificative dei pagamenti. Poiché l'esigenza probatoria è sorta dopo la scadenza del termine per il deposito dei documenti nel giudizio di primo grado (cfr. art. 73, co. 1, cod. proc. amm.), il Consorzio chiede di poter produrre tale documentazione in appello.
Per quanto riguarda l'afferenza delle fatture al progetto consortile, l'appellante evidenzia:
- che la Laut Engeneering s.r.l. abbia svolto servizi di progettazione coessenziali a redigere la proposta di variante sottoposta al Comune di Chioggia e che la zona "Ridotto Madonna" sia sostanzialmente coincidente con quella su cui il Consorzio intendeva intervenire;
- che il Consorzio di cooperative edilizie abbia prestato servizi di consulenza e sviluppo necessari per individuare l'area di intervento e acquistarla dagli originari proprietari, per la valutazione della fattibilità economico-finanziaria dell'operazione, nonché per la redazione degli schemi di convenzioni urbanistiche e di atti d'obbligo funzionali alla progressione del progetto.
13. Le doglianze meritano di essere analizzate assieme, in quanto la ragione reiettiva addotta dal T.A.R. in relazione alla pretesa di risarcimento del danno da lucro cessante vale anche per quanto concerne il danno emergente. In particolare, il fallimento del cd. giudizio di spettanza del bene della vita impedisce di configurare la lesione di un interesse meritevole di tutela, la quale è l'essenza dell'ingiustizia del danno ex art. 2043 cod. civ., perciò ostacola il risarcimento in tutte le sue componenti, tanto del lucro cessante quanto del danno emergente.
14. A tal riguardo, la sentenza resiste alle censure mosse nel primo motivo d'appello.
15. Il giudice di primo grado si è attenuto al consolidato insegnamento giurisprudenziale, secondo cui la responsabilità dell'amministrazione per lesione dell'interesse legittimo ha natura aquiliana ex art. 2043 cod. civ. e presuppone, quindi, la prova dell'ingiustizia del danno, che può ritenersi integrata solo se risulti dimostrato che, ove l'amministrazione avesse correttamente e tempestivamente esercitato il proprio potere, il privato avrebbe ottenuto o mantenuto il cd. bene della vita, ossia l'utilità sostanziale da questi anelata (cfr., già Cass. Civ., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500: «Potrà […] pervenirsi al risarcimento soltanto se l'attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento»; Cons. Stato, Ad. Plen., 23 aprile 2021, n. 7: «la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita»; cfr., inoltre, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 1 dicembre 2020, n. 7622; Id., Sez. VI, 1 dicembre 2023, n. 10400).
16. Dall'applicazione di tale canone ermeneutico discende che il danno da lesione di un interesse legittimo pretensivo che si interfaccia con un potere discrezionale non è risarcibile ex ante, fintanto che l'amministrazione mantenga l'autorità di determinarsi, discrezionalmente, sulla vicenda amministrativa, poiché il margine di apprezzamento riservato alla pubblica amministrazione impedisce di esercitare, in sede giurisdizionale, il giudizio prognostico di spettanza del bene della vita (Cons. Stato, sez. V, 19 agosto 2019, n. 5737; Id., Sez. IV, 23 maggio 2025, n. 4507: «nei casi in cui la lesione discenda da una illegittimità provvedimentale accertata solo sul piano dei vizi non sostanziali (e, quindi, per definizione, senza il riconoscimento della fondatezza della pretesa sostanziale), il danno può essere riconosciuto soltanto all'esito della (doverosa) riedizione dell'azione amministrativa (correlata all'effetto conformativo del giudicato o, più correttamente, dell'annullamento, che opera, sul piano giuridico, eliminando l'atto che, con la sua adozione, aveva estinto l'obbligo di provvedere sulla istanza privata e riattivando, con ciò, l'obbligo di riprovvedere ex art. 2, della legge n. 241 del 1990): ciò perché solo all'esito del satisfattivo riesercizio del potere potrà dirsi accertata la spettanza del bene della vita»).
17. La fattispecie astratta da ultimo descritta coincide con quella verificatasi nel presente caso concreto. L'interesse legittimo pretensivo del Consorzio alla variazione della destinazione urbanistica (da agricola a edificabile) dell'area su cui intende realizzare il progetto di housing sociale è subordinato alla decisione discrezionale del consiglio comunale e tale margine di discrezionalità residua anche dopo che la prima determinazione negativa del Comune di Chioggia è stata annullata dal giudice amministrativo. Il T.A.R. Veneto, infatti, ha annullato la delibera n. 146 del 2010, di rigetto della proposta di variante del Consorzio, per mancanza di motivazione, perciò lasciando libero il Comune su come rieditare il potere. In siffatto contesto, non è possibile formulare il giudizio di spettanza del bene della vita senza addentrarsi nel merito della scelta riservata alla pubblica amministrazione, il che impedisce riconoscere ex ante il risarcimento del danno.
18. È in questo senso che va intesa la qualificazione, effettuata dal giudice di primo grado, del difetto di motivazione come vizio "formale", ossia come vizio che non si appunta sulla soluzione adottata dalla pubblica amministrazione, bensì sulla mancata esplicitazione delle ragioni di tale soluzione, e che non impedisce a questa di rideterminarsi anche in senso nuovamente sfavorevole al privato, una volta che il vizio sia stato riscontrato in giudizio e il provvedimento annullato, fermo il dovere di motivare la nuova scelta. Non è messo in discussione il principio per cui la motivazione è presidio insostituibile di legalità sostanziale del potere, ragion cui non rientra nei vizi – per l'appunto, formali o procedimentali – non invalidanti di cui all'art. 21-octies, co. 2, l. 241/1990 (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5984; Id., Sez. V, 30 settembre 2024, n. 7856). Nondimeno, il difetto di motivazione è comunemente considerato formale ai fini della riedizione del potere, nel senso che si appunta sul lato estrinseco della decisione. Anche per tale aspetto, la decisione di primo grado è conforme al consolidato indirizzo per cui «il giudicato di annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi formali (quali il difetto di istruttoria o di motivazione), in quanto pacificamente non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non consente di fondare la pretesa al risarcimento del danno» (Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675; Id., Sez. IV, 20 agosto 2021, n. 5965).
19. Gli elementi valorizzati dall'appellante per dimostrare la fattibilità tecnica della variante urbanistica e la meritevolezza del progetto – come la circostanza che la proposta fosse stata valutata favorevolmente dall'ufficio tecnico del Comune di Chioggia e che il progetto fosse stato positivamente scrutinato dalla Regione Veneto (che aveva concesso il finanziamento pubblico) e dalla giunta comunale (che aveva condiviso l'iniziativa) – non sono idonei a condurre a una diversa soluzione, poiché residua, in ogni caso, un margine di apprezzamento discrezionale del consiglio comunale sulla opportunità di variare lo strumento urbanistico, il quale prescinde da considerazioni tecniche e non può essere sindacato, né ex post né tantomeno ex ante, in sede giurisdizionale.
20. I rilievi innanzi illustrati sono ostativi all'accoglimento della domanda risarcitoria, a prescindere dalla rilevanza della motivazione postuma, fornita in giudizio dalla difesa del Comune di Chioggia, del mancato accoglimento della proposta di variante.
21. Non è possibile riconoscere, in subordine, all'appellante un risarcimento da perdita di chance, poiché tale posta risarcitoria afferisce a un differente tipo di danno e non può costituire un escamotage per sopperire alla mancata dimostrazione della spettanza del bene della vita.
22. Il danno da perdita di chance, intesa come occasione sfumata, si configura quando, per via dell'illegittimo o del mancato esercizio del potere amministrativo, il titolare di un interesse legittimo pretensivo perde definitivamente la possibilità di conseguimento di un bene della vita di incerta realizzazione.
L'incertezza intrinseca del risultato collegato alla chance deriva, normalmente, dal carattere discrezionale del potere illegittimamente esercitato o che colposamente non è stato esercitato. Tuttavia, anche al fine di non eludere il necessario giudizio di spettanza del bene della vita, è necessario che tale potere non sia più esercitabile. Se, infatti, il potere persiste, il risultato finale è ancora conseguibile, sicché l'occasione non è definitivamente persa, ma, al contempo, non è possibile pretendere un risarcimento, se non dopo il suo riesercizio. Solo se tale potere discrezionale non è più esercitabile, può configurarsi un danno: il danno, in tal caso, non si appunta sul risultato finale, che è un'utilità intrinsecamente incerta in ragione del carattere discrezionale del potere, bensì sull'occasione – questa, andata sì certamente perduta – di conseguirlo.
Come già chiarito in giurisprudenza, «la tecnica risarcitoria della chance presuppone una situazione di fatto immodificabile, che abbia definitivamente precluso all'interessato la possibilità di conseguire il risultato favorevole cui aspirava. Solo qualora il procedimento amministrativo dichiarato illegittimo non sia in alcun modo 'ripetibile' – neppure virtualmente (stante i limiti posti alla cognizione giudiziale), come invece resta possibile in caso di attività vincolata, nel qual caso può essere richiesto soltanto il risarcimento del controvalore del risultato sperato – il giudizio di ingiustizia può assumere ad oggetto la perdita della possibilità di un vantaggio» (Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2021, n. 6268).
23. Alla luce delle suesposte considerazioni, diverse sono le situazioni che possono prospettarsi a fronte della lesione di un interesse legittimo pretensivo e ad esse corrispondono differenti esiti risarcitori.
La prima situazione è quella in cui il potere amministrativo è ancora suscettibile di essere esercitato. In tal caso, il privato non ha ancora subito un danno coincidente con la perdita del risultato ambito, sicché non può chiedere alcun risarcimento al riguardo, mantenendo la possibilità di conseguire il bene della vita desiderato. Possono profilarsi altri profili di danno, per esempio quelli connessi al ritardo nel conseguimento del risultato finale, ma non anche il danno da perdita del bene della vita. I danni frattanto cristallizzatisi (come, per l'appunto, quelli correlati ai ritardi maturati) sono suscettibili di risarcimento sempre che il privato possa dimostrare la spettanza del bene della vita, id est la conseguibilità dell'utilità sostanziale, mentre se tale prova non viene fornita o non può essere fornita ex ante, in ragione del carattere discrezionale del potere che l'amministrazione è ancora chiamata a esercitare, neppure tali danni, sebbene già verificatasi, sono suscettibili di risarcimento, perché non considerabili alla stregua di danni ingiusti ex art. 2043 cod. civ.
L'altra situazione prospettabile è quella in cui il potere amministrativo non è più esercitabile e la vicenda amministrativa si è esaurita con la perdita del bene della vita. In tale differente contesto, se dal legittimo esercizio del potere sarebbe derivato il conseguimento certo dell'utilità finale, il privato è titolato a pretendere il risarcimento del danno correlato al mancato guadagno ritraibile da tale risultato. Se, invece, il potere (ormai esaurito) ha carattere discrezionale, sicché è intrinsecamente incerto se, ove correttamente esercitato, il privato avrebbe conseguito il bene della vita, può pretendersi il risarcimento del diverso danno da perdita della chance, dunque non del mancato conseguimento del guadagno (ineluttabilmente incerto), ma dell'occasione di ottenere tale guadagno.
24. Il caso di specie è riconducibile alla prima situazione innanzi descritta. Il potere di adozione della variante urbanistica proposta dall'appellante è riesercitabile e, anzi, dovrebbe essere riesercitato in ossequio alla pronuncia di annullamento del provvedimento sfavorevole. Ne consegue che il Consorzio non ha definitivamente perso la possibilità di realizzare il proprio progetto e non può pretendere il ristoro di un controvalore di tale progetto, né configurandolo in termini di danno da lucro cessante, né ricorrendo alla tecnica liquidatoria della perdita della chance.
25. Ferme le considerazioni già spese, procedendo all'approfondimento delle varie poste risarcitorie reclamate dal Consorzio, si osserva, ulteriormente, quanto segue.
26. Il danno da lucro cessante, consistente nel mancato guadagno ritraibile dall'iniziativa è, come visto, non risarcibile già in punto di diritto, non essendo una posta di danno attuale, stante la permanenza della possibilità di realizzare il progetto, sempre che la riedizione del potere pianificatorio lo consenta. In ogni caso, in punto di fatto, il danno viene quantificato forfetariamente – peraltro, solo nella memoria difensiva depositata in primo grado, senza alcuna riproposizione delle relative allegazioni nell'atto di appello – in misura pari al 5% dei costi asseritamente sostenuti per il progetto, senza fornire prove a riguardo. La pretesa risarcitoria non può, quindi, essere accolta, poiché, per consolidato insegnamento giurisprudenziale, è onere del danneggiato offrire la prova dell'utile che avrebbe conseguito da un'iniziativa asseritamente ostacolata dall'illegittimo esercizio del potere, per cui il risarcimento non può essere quantificato mediante criteri forfettari (cfr., ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., 12 maggio 2017, n. 2).
27. Quanto alle poste risarcitorie che il Consorzio e il T.A.R. hanno qualificato come componenti del danno emergente, ossia il pagamento delle due fatture per prestazioni correlate alla progettazione e alla realizzazione dell'iniziativa, occorre effettuare diverse considerazioni.
28. In primo luogo, in quanto danni conseguenza della lesione dell'interesse legittimo pretensivo dipendente dal potere comunale di adozione e di approvazione della variante urbanistica, il loro risarcimento è impedito dal fallimento del giudizio di spettanza del bene della vita.
Il giudizio di spettanza del bene della vita, infatti, condiziona la valutazione di ingiustizia del danno, richiesta dall'art. 2043 cod. civ. Pertanto, se non è possibile stabilire se il privato può conseguire l'utilità finale correlata al proprio interesse legittimo pretensivo, questi non può ottenere alcun risarcimento del danno, se non dopo che l'amministrazione abbia esaurito il proprio potere discrezionale a determinarsi sulla vicenda amministrativa, a prescindere che si tratti di un lucro cessante o di un danno emergente.
Le dizioni "lucro cessante" e "danno emergente", di cui all'art. 1223 cod. civ., sono semplicemente indicative dei vari pregiudizi materiali (i cd. danni conseguenza), suscettibili di risarcimento, che discendono dalla lesione di un interesse meritevole di tutela, ossia dal "danno ingiusto" enunciato dall'art. 2043 cod. civ. Dal momento che il danno, inteso come lesione giuridica, è unico, il mancato accertamento della sua ingiustizia impedisce di riconoscere ristoro a ogni pregiudizio materiale a esso correlato, tanto che si tratti della perdita di utilità già nella disponibilità del danneggiato (danno emergente), quanto che si tratti del mancato conseguimento di utilità future (lucro cessante).
29. Inoltre, le spese funzionali alla progettazione e alla realizzazione dell'iniziativa consortile non sono poste di danno emergente, ma componenti negative del lucro cessante. Come osservato, il Consorzio ha domandato il risarcimento del mancato profitto ritraibile dalla realizzazione del progetto, costituito dalla somma algebrica dei ricavi e dei costi correlati all'intervento. Le spese per prestazioni di progettazione e per prestazioni di consulenza e sviluppo, rese da soggetti terzi in funzione del progetto consortile, non sono altro che costi che, detratti dai ricavi, vanno a formare l'utile finale. Essi non possono, quindi, essere richiesti in rimborso in aggiunta al mancato guadagno.
30. Ad ogni modo, colgono nel segno le considerazioni spese dal T.A.R. in ordine alla mancanza di prova circa l'avvenuto pagamento delle due fatture e la circostanza che il Comune di Chioggia abbia contestato tale allegazione nella memoria di replica depositata nel giudizio di primo grado non rimette il Consorzio appellante in termini per produrre le pezze giustificative del pagamento nel giudizio di appello.
Il principio di non contestazione, in forza del quale un fatto si deve ritenere provato se non specificamente contestato dalla controparte costituita (artt. 115 cod. proc. civ. e 64 cod. proc. amm.) indirizza la formazione del convincimento del giudice su una determinata questione controversa, ma non solleva le parti dal reciproco onere probatorio ex art. 2697 cod. civ. In altri termini, il principio di non contestazione è un precetto processuale e detta una regola di giudizio, rivolgendosi perciò al giudice, mentre non va a derogare alla regola sostanziale che ripartisce l'onere della prova tra le parti. Ne consegue che una parte non può considerarsi esonerata dal dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa (cfr. art. 2697 cod. civ.) fino a che l'altra non li contesti; essa è, al contrario, fin da subito tenuta a fornire la prova delle proprie allegazioni, entro i termini processuali stabiliti dalla legge, e la circostanza che l'altra parte costituita non muova obiezioni alla sua ricostruzione è un accidente, che rileva per il giudice al momento di definizione della controversia, ma non intacca l'onere della prova della parte.
Del resto, la contestazione dei fatti di causa è una mera difesa, che può essere spesa anche all'udienza di discussione; se, dunque, l'omessa contestazione autorizzasse la parte ricorrente a non dimostrare alcunché, una contestazione della parte resistente in sede di udienza imporrebbe di rimettere il ricorrente in termini per produrre documenti, con irragionevole dilungamento delle tempistiche processuali.
Tantomeno, quindi, la parte può essere autorizzata a depositare tali documenti in appello, in deroga al divieto generale di cui all'art. 104, co. 2, cod. proc. amm.
31. Per tutte le ragioni suesposte, l'appello principale va respinto. Diviene, pertanto, improcedibile, per carenza di interesse, l'appello incidentale proposto dal Comune, in quanto da esso esplicitamente subordinato all'accoglimento dell'appello principale.
32. Avuto riguardo alla particolarità e alla complessità della controversia, ricorrono i presupposti per la compensazione delle spese del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli principale e incidentale, così provvede:
- respinge l'appello principale proposto dal Consorzio per l'edilizia residenziale veneta;
- dichiara improcedibile l'appello incidentale proposto dal Comune di Chioggia;
- compensa le spese del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Ofelia Fratamico, Consigliere
Martina Arrivi, Consigliere, Estensore