Cons. Stato, Sez. II, 9 maggio 2025, n. 3959
Il “principio del risultato”, il quale, sebbene sia espressamente enunciato rispetto ai contratti pubblici, dal relativo codice approvato con d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, ha una naturale portata espansiva, in quanto rappresenta una declinazione del generale principio del buon andamento dell’amministrazione sancito dall’art. 97 Cost. (come affermato dallo stesso art. 1, comma 3, del citato codice dei contratti e come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza 16 luglio 2024, n. 132, la quale ha descritto l’evoluzione in ragione della quale nell’ordinamento «la scelta a favore di un’amministrazione di risultato si è andata via via consolidando»): l’applicazione del principio del risultato – ossia, a ben vedere, di quello del buon andamento – al settore degli incentivi energetici comporta infatti che questi non possano essere negati unicamente per motivi formali, dovendosi accertare se sia stato in concreto pregiudicato l’interesse sotteso all’adempimento o alla prescrizione che si assume inosservata o che viene comunque in rilievo.
Guida alla lettura
La particolare rilevanza della pronuncia n. 3935 dello scorso 9 maggio della II Sezione del Consiglio di Stato sta tutta nella qualificazione che la stessa pone del principio del risultato, quale declinazione del generale principio del buon andamento dell’amministrazione, sancito dall’art. 97 Cost.
Tale affermazione conduce ad una conseguente vis espansiva dell’indicato principio del risultato, che finisce per estendere il suo ambito di applicazione al di là del settore nel quale esso è oggi espressamente indicato da parte del legislatore, ovvero l’attuale Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), costituendo, invece, un principio che permea ogni attività amministrativa (i.e. ogni settore nel quale si esplica il potere pubblico).
La sentenza in commento, dunque, amplia ulteriormente la posizione sorta all’indomani dell’espressa previsione del principio del risultato nella materia dei contratti pubblici, la quale ha con fermezza affermato che tale principio risulta “immanente” al sistema della cd. amministrazione di risultato, ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa già prima dell’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023 e, dunque, suscettibile di trovare applicazione anche rispetto alle procedure ad evidenza pubblica precedenti rispetto all’entrata in vigore del nuovo Codice (in termini, Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2024, n. 9510; Id., 13 settembre 2024, n. 7571; Cons. Stato, Sez. VI, 4 giugno 2024, n. 4996, con richiamo a Cons. Stato, Sez. III, 31 luglio 2024, n. 286; Cons. Stato, Sez. V, 27 febbraio 2024, n. 1924; Cons. Stato, Sez. III, 15 novembre 2023, n. 9812).
Ulteriore passo in avanti, dunque.
Il principio del risultato, infatti, risultando immanente al sistema della cd. amministrazione di risultato, quale declinazione del generale principio del buon andamento della pubblica amministrazione, non solo deve essere considerato “preesistente” rispetto all’entrata in vigore del nuovo Codice appalti, che di esso costituisce l’incipit, nel settore delle commesse pubbliche, ma finisce per estendere i suoi confini applicativi, dovendo qualificare ogni attività amministrativa, anche estranea al settore delle commesse pubbliche.
Pubblicato il 09/05/2025
N. 03959/2025REG.PROV.COLL.
N. 00330/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 330 del 2023, proposto da Bergamo Brescia Energia s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Battista Conte e Guglielmo Aldo Giuffrè, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via E.Q. Visconti, n. 99;
contro
Gestore dei servizi energetici – GSE s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianluigi Pellegrino e Antonio Pugliese, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione III-ter, 3 giugno 2022, n. 7219, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Gestore dei servizi energetici – GSE s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2025 il consigliere Alessandro Enrico Basilico e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Battista Conte, Guglielmo Aldo Giuffrè e Amina Labate, per delega dell’avvocato Gianluigi Pellegrino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante impugna la sentenza che, dopo averli riuniti, ha respinto i ricorsi proposti contro il diniego ammissione agli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili diverse da quella solare, nonché i motivi aggiunti avverso il rigetto dell’istanza di riesame degli stessi, in relazione a tre impianti di cui è titolare.
2. I fatti di causa rilevanti, quali emergono dalle affermazioni delle parti non specificamente contestate e comunque dagli atti e documenti del giudizio, possono essere sinteticamente ricostruiti nei termini seguenti.
2.1. L’appellante è titolare di tre impianti di generazione di energia elettrica da fonte idraulica ad acqua fluente, identificati con codici FER004723, FER003564 e FER003567, rispettivamente situati nei Comuni di Grassobbio, Ponte San Pietro e Treviolo, in forza di concessioni rilasciate dalla Provincia di Bergamo per la derivazione di acque dai fiumi Serio e Brembo.
2.2. Con distinte istanze presentate nel 2014 ha chiesto al Gestore dei servizi energetici–GSE s.p.a. l’iscrizione al registro informatico relativo agli impianti idroelettrici per l’accesso ai meccanismi d’incentivazione della produzione di energie elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici (registro IDRO_RG2014), secondo quanto previsto dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 luglio 2012.
Ai fini dell’ammissione agli incentivi, il decreto prevede che il GSE formi le graduatorie degli impianti iscritti a ciascun registro secondo criteri di priorità da applicare in ordine gerarchico, elencati, per gli impianti idroelettrici, all’art. 10, comma 3, lettera e).
In questo caso, la società ha allegato di essere in possesso dei presupposti per beneficiare dei criteri di cui ai romanini iii) e iv), rispettivamente riferiti agli impianti «che utilizzano salti su briglie o traverse esistenti senza sottensione di alveo naturale o sottrazione di risorsa» e a quelli «che utilizzano una quota parte del DMV senza sottensione di alveo naturale» (ossia solo una parte del deflusso minimo vitale, che rappresenta la portata istantanea minima che deve essere garantita, a valle delle opere di derivazione o captazione, per salvaguardare le caratteristiche dei corpi idrici).
2.3. Dopo aver costruito gli impianti, nel 2017 la società ha chiesto per ciascuno di essi di essere ammessa agli incentivi.
2.4. Il GSE ha respinto ciascuna delle tre istanze, previo invio del preavviso di diniego e acquisizione delle controdeduzioni della società.
In particolare:
a) la domanda relativa all’impianto FER004723 di Grassobbio, dopo invio del preavviso di diniego del 20 febbraio 2018, è stata respinta con provvedimento del 1 ottobre 2018 (prot. GSEWEB/P20180283437);
b) quella relativa all’impianto FER003564 di Ponte San Pietro, dopo invio del preavviso di diniego del 18 aprile 2018, è stata respinta con provvedimento del 2 ottobre 2018 (prot. GSEWEB/P20180286549);
c) quella relativa all’impianto FER003567 di Treviolo, dopo invio del preavviso di diniego del 5 marzo 2018, è stata respinta con provvedimento del 2 ottobre 2018 (prot. GSEWEB/P20180286548).
I provvedimenti si fondano tutti sul presupposto che «ai fini del rispetto delle condizioni per il riconoscimento del criterio di priorità previsto dall’art. 10, comma 3, lettera e), romanino iv, del Decreto, un impianto idroelettrico deve essere realizzato in corrispondenza dell’opera di restituzione del deflusso minimo vitale (DMV) e utilizzare esclusivamente le acque rilasciate quale DMV o una quota parte della portata destinata a tale scopo» e sull’osservazione che in ciascuno dei tre casi l’impianto «non è realizzato in corrispondenza dell’opera di restituzione del DMV e non utilizza in modo esclusivo le acque rilasciate quale DMV o una quota parte della portata destinata a tale scopo», con la conseguenza che non è applicabile il criterio di priorità di cui all’art. 10, lettera e), romanino iv), del decreto 6 luglio 2012.
3. L’interessato ha impugnato i dinieghi con tre distinti ricorsi al T.a.r. per il Lazio, incardinati rispettivamente con n.r.g. 13263 del 2018 (per l’impianto di Treviolo), n.r.g. 14250 del 2018 (per quello di Ponte San Pietro) e n.r.g. 14231 del 2018 (per quello di Grassobbio).
Tutti i ricorsi deducono un unico articolato motivo, con cui si sostiene che in realtà gli impianti utilizzano un quantitativo d’acqua corrispondente al DMV o una quota parte di esso (nel caso di Grassobbio, in ragione del funzionamento dell’impianto in concreto; in quelli di Ponte San Pietro e Treviolo, per il fatto che l’impianto dell’appellante opera a valle di derivazioni di altri soggetti cui è imposto il rispetto di un DMV) e, in subordine, s’invoca un’ammissione parziale agli incentivi, connessa al fatto che non è contestato ricorra il requisito di cui al romanino iii) dell’art. 10, comma 3, del decreto, nonché la “decurtazione” prevista, in luogo del diniego o decadenza totali dall’incentivo, dall’art. 42, comma 3, del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, come modificato dall’art. 13-bis del d.l. 3 settembre 2019, n. 101, convertito con modificazioni in legge 2 novembre 2019, n. 128.
4. Con motivi aggiunti “propri” la società ha dedotto nuove censure contro i provvedimenti già impugnati, lamentando in particolare la violazione dell’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, come nelle more modificato dall’art. 56, comma 7, lettera a), del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni in legge 11 settembre 2020, n. 120.
5. Nel corso del giudizio, la società ha presentato al GSE istanze di riesame ai sensi dell’art. 56, comma 8, del d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020.
Il Gestore ha respinto le richieste sostenendo che l’ammissione in graduatoria «non costituisce in alcun modo un provvedimento di ammissione agli incentivi ovvero di attribuzione di vantaggi economici», pertanto il diniego non potrebbe essere considerato un provvedimento di annullamento d’ufficio.
La società ha impugnato i riscontri con ulteriori motivi aggiunti, sostenendo che invece l’art. 56, comma 8, sarebbe applicabile anche nel caso di specie.
6. Il T.a.r. ha riunito i tre ricorsi, integrati da motivi aggiunti, e li ha respinti, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto:
a) che un obbligo di rilascio del DMV rilevante ai fini dell’utile collocazione in graduatoria può dirsi sussistente solo quando esso è espressamente previsto nella concessione di derivazione, non essendo a tal fine sufficiente la previsione generale di cui all’art. 95 del codice dell’ambiente approvato con d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, pertanto correttamente il GSE avrebbe ritenuto insussistente il criterio di preferenza di cui al romanino iv), non risultando dai disciplinari di concessione allegati alle richieste di accesso agli incentivi l’imposizione dello sfruttamento di uno specifico DMV;
b) che la non veridicità delle dichiarazioni di possesso del requisito di cui al romanino iv) comporta comunque la caducazione della complessiva domanda di ammissione ai benefici, senza che sia possibile un accesso parziale in ragione dell’asserito possesso del requisito di cui al romanino iii);
c) che il comma 3 dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, come modificato dal d.l. n. 76 del 2020, non si applica ai provvedimenti di rigetto adottati prima dell’entrata in vigore del decreto legge;
d) che il riesame di cui all’art. 56, comma 8, del d.l. n. 76 del 2020 riguarda solo i provvedimenti di decadenza, non anche quelli di rigetto dell’istanza di ammissione.
7. La società ha proposto appello contro la sentenza.
7.1. Nel giudizio di secondo grado si è costituito il GSE, chiedendo il rigetto del gravame.
7.2. Nel corso del processo le parti hanno depositato scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi.
7.3. All’udienza pubblica del 25 marzo 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
8. Con una censura preliminare, l’appellante deduce: «Eccesso di potere giurisdizionale. Abnormità della motivazione per indebita integrazione del contenuto dei provvedimenti impugnati. Violazione degli artt 112 cpc e 34 cpa».
8.1. In particolare, il T.a.r. avrebbe integrato in maniera inammissibile la motivazione dei provvedimenti del GSE, introducendo ulteriori ragioni a giustificazione dei dinieghi, ossia l’applicabilità del criterio di cui al romanino iv) solo in caso di espressa indicazione dell’obbligo di sfruttare uno specifico DMV nella concessione di derivazione, la non veridicità delle dichiarazioni della società e la conseguente caducazione della complessiva domanda di ammissione ai benefici.
8.2. Il motivo è infondato, in quanto il Tribunale si è mantenuto nei limiti dei propri poteri.
8.2.1. Sotto un primo profilo, la necessità della previsione del DMV nella concessione di derivazione attiene all’interpretazione della disposizione di cui al romanino iv), che il giudice può – anzi, deve – dare quando occorre farne applicazione.
Sotto un secondo profilo, il GSE, nei provvedimenti impugnati, ha dedotto l’assenza del requisito in questione proprio dall’esame dei disciplinari di concessione e, in particolare, dal fatto che in essi si attesta che, in base alla normativa regionale, i vari impianti non sono soggetti all’obbligo di rilascio del DMV.
Per questo, la tesi secondo cui criterio previsto dal romanino iv) sia invocabile solo quando l’obbligo di rispetto del DMV è espressamente previsto nella concessione di derivazione non rappresenta un argomento nuovo introdotto dal giudice, ma si evinceva già dai provvedimenti del GSE.
8.2.2. Analogamente, i dinieghi danno altresì conto del fatto che «il GSE, al momento della richiesta di accesso ai meccanismi di incentivazione, verifica la congruità tra le informazioni e le dichiarazioni fornite in fase di iscrizione» e che, in base al paragrafo 4.2 delle procedure applicative, «qualora da tale verifica dovessero emergere la non sussistenza e/o il venir meno del possesso dei requisiti necessari per l’iscrizione al pertinente Registro o alla pertinente Procedura d’Asta o rilevanti ai fini della formazione della graduatoria, il GSE non ammetterà l’impianto agli incentivi e procederà a dichiarare decaduto l’impianto dalla graduatoria».
Già nei provvedimenti impugnati, dunque, il diniego totale di ammissione agli incentivi è stato ricollegato a un esito negativo della verifica di corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto risultava dalla documentazione in punto di possesso dei requisiti rilevanti ai fini della formazione della graduatoria.
Anche sotto questo aspetto, dunque, per respingere le pretese della ricorrente il T.a.r. non ha esposto argomentazioni che non fossero già contenute nei provvedimenti del GSE.
9. Dopo questa censura preliminare, l’appello articola quattro motivi.
9.1. Con il primo si deduce: «Violazione di legge, in particolare degli artt. 23 co. 3 del d.lgs. n. 28/2011 e 11 del dm 31 gennaio 2014. Erroneità della sentenza per il possesso da parte di BBE del requisito di prevalenza di cui all’art. 10 co. 3, lett. e) romanino iii del dm 6 luglio 2012. Difetto di ‘rilevanza’ della asserita falsa dichiarazione/falsa rappresentazione dei fatti. Eccesso di potere giurisdizionale».
In particolare, si ribadisce che gli impianti avrebbero dovuto essere ammessi agli incentivi in ragione del non contestato possesso del prevalente criterio di cui al romanino iii), in quanto «utilizzano salti su briglie o traverse esistenti senza sottensione di alveo naturale o sottrazione di risorsa», e si sostiene che il T.a.r. abbia errato nel ritenere irrilevante la circostanza invocando, quale “assorbente ragione”, la rappresentazione non veritiera del possesso del requisito di cui al romanino iv).
Per ragioni analoghe, il Tribunale avrebbe erroneamente fondato sulla sussistenza di una falsa dichiarazione l’esclusione della “decurtazione” prevista dall’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, come modificato dalla legge n. 205 del 2017 (e che, secondo una lettura costituzionalmente orientata, riguarderebbe tanto i provvedimenti di decadenza, quanto quelli di diniego di accesso agli incentivi).
9.2. Con il secondo motivo si deduce: «Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione degli artt. 112 cpc e 34 cpa. Violazione di legge, in particolare degli artt. 23 co. 3 del d.lgs. n. 28/2011 e 75 dPR 445/2000. Erroneità della sentenza per inconfigurabilità di una dichiarazione falsa o di una falsa rappresentazione dei fatti da parte di BBE. Omessa pronuncia».
Secondo l’appellante, le dichiarazioni presentate per l’accesso agli incentivi non potrebbero ritenersi “false”, essendo al più fondate su un’interpretazione del romanino iv) diversa da quella accolta dal GSE e dal T.a.r..
9.3. Con il terzo motivo si deduce: «Violazione e falsa applicazione del dm 6 7 2012. Eccesso di potere per sviamento, illogicità, sproporzione, ingiustizia manifesta, violazione del principio di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento. Errore nei presupposti in relazione alla sussistenza del requisito di cui all’art. 10 co. 3, lett. e), iv,) del DM 6 7 2012. Omessa pronuncia. Eccesso di potere giurisdizionale».
In particolare, il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere necessario, ai fini dell’applicazione del requisito di cui al romanino iv), la formale attestazione nella concessione di derivazione dell’obbligo di rispettare il DMV, in quanto esso sarebbe integrato quando di fatto l’impianto turbina (almeno in quota parte) il DMV senza sottensione d’alveo, come avverrebbe nella specie, dato che gli impianti di Treviolo e Ponte San Pietro sono posti a valle dell’impianto di un altro operatore che rilascia nel Brembo il solo DMV che poi viene sfruttato da questi, mentre quello di Grassobbio sfrutta per concessione un quantitativo di acqua (pari a 1 mc/s) inferiore al DMV del Serio (pari a 2,72 mc/s).
9.4. Con il quarto motivo si deduce: «Violazione di legge, in particolare dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 e dell’art. 56 del d.l. n 76/2020, conv. nella l. n. 120 del 2020».
Secondo l’appellante, il T.a.r. avrebbe errato sia nell’escludere la necessità di verificare la ricorrenza dei presupposti per l’autotutela previsto dall’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 come nelle more modificato dal comma 7 dell’art. 67 del d.l. n. 76 del 2020, nonché nel ritenere inapplicabile il “riesame” previsto dal comma 8 della stessa disposizione, il quale riferirebbe la rivalutazione sia alla decadenza dagli incentivi, sia al rigetto dell’ammissione agli stessi (diversamente, la norma risulterebbe incostituzionale per violazione degli artt. 3, 41, 42 e 97 Cost.).
10. Il terzo motivo, inerente la sussistenza del requisito di cui al romanino iv) e alla veridicità della dichiarazione della società in merito, è fondato e, trattandosi di una censura logicamente presupposta rispetto alle altre, ne comporta l’assorbimento.
10.1. L’art. 95 del codice dell’ambiente approvato con d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce che la tutela della risorsa idrica avviene mediante «una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta ad evitare ripercussioni sulla qualità delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile» (comma 1), che nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico come definito dalle autorità di bacino, nel rispetto, tra l’altro, «del deflusso minimo vitale» (comma 2), e che «tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall’Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni» (comma 4).
Una disposizione analoga era contenuta nell’art. 22 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, che è stato abrogato con l’entrata in vigore del codice dell’ambiente.
Sulla base di quest’ultima norma è stato emanato il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 28 luglio 2004 che ha approvato le linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la determinazione del minimo deflusso vitale, definito come «la portata istantanea da determinare in ogni tratto omogeneo del corso d’acqua, che deve garantire la salvaguardia delle caratteristiche fisiche del corpo idrico, chimico-fisiche delle acque nonché il mantenimento delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali»; le stesse linee guida stabiliscono che i piani di tutela delle acque devono stabilire il valore specifico del DMV per ogni tratto di corso d’acqua.
A sua volta, l’art. 12-bis, comma 1, lettera b), del testo unico sulle acque e impianti elettrici approvato con r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 – inserito dall’art. 5 del d.lgs. 12 luglio 1993, n. 275, poi sostituito dall’art. 23 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, come modificato dall’articolo 7 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 258 – stabilisce che la concessione di derivazione è rilasciata se, tra l’altro, «è garantito il minimo deflusso vitale e l’equilibrio del bilancio idrico».
A livello regionale, l’art. 53-ter della legge della Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, introdotto dalla l.r. 29 ottobre 2013, n. 9, impone per tutte le concessioni di derivazione d’acqua pubblica a scopo idroelettrico «di installare, presso ogni opera di presa ubicata su corsi d’acqua naturali, sistemi per la misurazione e il monitoraggio telematico in continuo del deflusso minimo vitale […] rilasciato in alveo dalle opere di presa» e aggiunge, al comma 6, che «l’autorità concedente può motivatamente escludere dall’obbligo di rilascio del DMV gli impianti idroelettrici ad acqua fluente con centrale collocata nel corpo traversa o in adiacenza della stessa e che restituiscono le acque turbinate nell’alveo del corso d’acqua immediatamente al piede della traversa medesima garantendo la continuità idraulica del corso d’acqua e senza sottensione di alveo naturale».
Inoltre, la delibera della giunta regionale del 19 dicembre 2007, avente a oggetto “Determinazioni in merito all’adeguamento delle derivazioni al rilascio del deflusso minimo vitale e contestuale revoca della D.G.R. n. 3863/2006” prevede, al punto 3.6, che «le derivazioni ad uso idroelettrico ad acqua fluente con centrale collocata nel corpo della traversa (o in adiacenza della stessa) che restituiscono le acque turbinate immediatamente al piede della traversa medesima garantendo la continuità idraulica del corso d’acqua, non necessitano di rilascio di DMV».
10.2. Dal quadro normativo esposto emerge che il deflusso minimo vitale (DMV) è la quantità minima d’acqua che un impianto idroelettrico non deve distogliere ma deve lasciare defluire nel corso d’acqua, al fine di tutelare la risorsa idrica, l’ecosistema e la vita acquatica dai rischi vitali derivanti da un utilizzo più intenso; il criterio di preferenza di cui al romanino iv) si giustifica dunque per ragioni di natura ambientale, in quanto viene accordata preferenza agli impianti che utilizzano parte del DMV «nel senso che la portata utilizzata dall’impianto idroelettrico deve essere comunque una parte, ossia minore, del deflusso minimo vitale nel suo complesso», quindi non alterano – o alterano in modo non eccessivamente invasivo – la risorsa idrica e i corsi d’acqua su cui insistono (Cons. Stato, sez. II, 21 marzo 2025, n. 2342).
Sebbene si debba dare atto di un pregresso orientamento secondo cui, per beneficiare dell’incentivo in questione, occorre che il titolo autorizzatorio preveda lo sfruttamento della risorsa idrica «con l’individuazione del rilascio di un deflusso minimo vitale» (Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2021, n. 3924, richiamata anche dal T.a.r. nella sentenza impugnata), il collegio ritiene che le ragioni di tutela dell’ambiente poste alla base del requisito, unite alla complessiva logica di favore verso la produzione di energia da fonti rinnovabili che ispira l’intero sistema degli incentivi, inducano piuttosto a ritenere che non assuma portata dirimente l’indicazione, formale ed espressa, del DMV nella concessione di derivazione, quanto piuttosto il fatto che in concreto l’impianto effettivamente ne utilizzi una parte.
D’altro canto, la normativa statale e quella regionale prevedono che il DMV sia calcolato in base a indici e criteri che non sono stabiliti dall’autorità concedente, ma di cui questa, nel rilasciare la concessione, fa applicazione, pertanto rimane possibile, anche nel silenzio del titolo, verificare se in concreto l’impianto utilizzi una quota parte del DMV, come richiesto dal romanino iv).
Pertanto, dal fatto che nella concessione non sia previsto l’obbligo di garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici non si può di per sé solo desumere che esso non sia assicurato in concreto e che dunque l’impianto, utilizzandone una quota parte, non possa beneficiare del criterio di priorità di cui al romanino iv). In questi termini si è invero pronunciata questa sezione con la sent. 23 gennaio 2024, n. 730, le cui conclusioni non sono smentite dalla più recente sent. 21 marzo 2025, n. 2342, la quale, pur definendo il deflusso minimo vitale come la quantità minima di acqua “stabilita nella concessione” che un impianto idroelettrico deve lasciare defluire nel corso d’acqua, da una parte ha affermato che l’utilizzazione di parte del DMV deve essere interpretato «come criterio volto a incentivare economicamente la minore utilizzazione del corso d’acqua, quale strumento di tutela della vita acquatica e della presenza nell’alveo di un livello minimo d’acqua, prescindendo anche dai profili di un eventuale regolare adempimento della concessione di impiego (laddove effettivamente esistente), come pure dall’obbligo di rispetto del DMV rilasciato nell’alveo (nel caso tale prescrizione sia effettivamente sussistente)», dall’altra ha comunque ritenuto dirimente la circostanza che, in quello specifico caso, l’impianto impiegasse a fini idroelettrici «una quantità d’acqua che, alla luce dell’istruttoria posta a base del provvedimento impugnato, è sistematicamente superiore al deflusso minimo vitale».
A tale conclusione, del resto, conduce anche il “principio del risultato”, il quale, sebbene sia espressamente enunciato rispetto ai contratti pubblici, dal relativo codice approvato con d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, ha una naturale portata espansiva, in quanto rappresenta una declinazione del generale principio del buon andamento dell’amministrazione sancito dall’art. 97 Cost. (come affermato dallo stesso art. 1, comma 3, del citato codice dei contratti e come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza 16 luglio 2024, n. 132, la quale ha descritto l’evoluzione in ragione della quale nell’ordinamento «la scelta a favore di un’amministrazione di risultato si è andata via via consolidando»): l’applicazione del principio del risultato – ossia, a ben vedere, di quello del buon andamento – al settore degli incentivi energetici comporta infatti che questi non possano essere negati unicamente per motivi formali, dovendosi accertare se sia stato in concreto pregiudicato l’interesse sotteso all’adempimento o alla prescrizione che si assume inosservata o che viene comunque in rilievo.
Pare infine opportuno precisare che, pur essendovi un precedente di segno diverso pronunciato da un’altra sezione, allo stato non sussistono i presupposti per deferire la questione all’Adunanza plenaria, essendo questa tipologia di controversie ormai interamente attribuita alla seconda sezione.
10.3. Nella specie, le relazioni tecniche prodotte dall’appellante nel procedimento – e acquisite agli atti del giudizio di primo grado – hanno fornito un calcolo del DMV dei fiumi le cui acque sono derivate per produrre energia elettrica, dando conto del fatto che in concreto ne viene utilizzata una parte, e sul punto non sono state specificamente contestate né nel provvedimento, né in corso di causa.
L’uso di parte del DMV può comunque presumersi, per gli impianti di Treviolo e Ponte San Pietro, dal fatto che questi si trovano a valle di un impianto di altro operatore che rilascia nel fiume Brembo esclusivamente il DMV, e, per quello di Grassobbio, dal fatto che la concessione obbliga al rilascio di un deflusso pari a 1 mc/s, a fronte di un DMV del corpo idrico pari a 2,72 mc/s, pertanto è logico ritenere che tale impianto utilizzi una quota parte di quest’ultimo (corrispondente alla differenza tra il DMV e il rilascio imposto).
In tutti e tre i casi, infine, si tratta di impianti realizzati senza sottensione di alveo naturale, dato che comportano una derivazione non dissipativa (o “non distributiva”) nella quale la lunghezza del tratto di alveo fluviale tra la sezione di presa e la sezione di restituzione è limitata al valore minimo imposto dall’ingombro delle strutture necessarie all’alloggiamento dei macchinari d’impianto e dalle esigenze di corretta derivazione e restituzione delle portate prelevate, comprese le fondazioni, e non è incrementata da elementi quali condotte di adduzione o canali.
11. L’appello è dunque meritevole di accoglimento e, in riforma della sentenza appellata, devono essere accolti i ricorsi di primo grado e annullati i dinieghi con essi impugnati.
12. Sono invece improcedibili per carenza d’interesse i motivi aggiunti presentati in ciascuno dei tre giudizi di primo grado: quelli “propri”, perché le “nuove ragioni a sostegno” delle originarie domande di annullamento risultano assorbite dalla fondatezza della censura di cui al terzo motivo di appello; quelli “impropri”, proposti per l’impugnazione dei dinieghi di applicazione dell’art. 56, comma 8, del d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020, perché l’annullamento dei dinieghi di ammissione per vizi propri rende superfluo verificare se tali atti potessero essere oggetto dello speciale riesame previsto dalla norma sopravvenuta. È opportuno precisare che i dinieghi di applicazione dell’art. 56, comma 8, non possono considerarsi un atto di conferma propria dei dinieghi di ammissione – ipotesi nella quale, invece, permarrebbe un interesse alla pronuncia sulla loro legittimità – dato che si fondano sulla preliminare ragione per cui – in tesi – la norma sopravvenuta non sarebbe applicabile, dunque senza che vi sia stata alcuna rivalutazione in concreto delle determinazioni originarie.
13. Il GSE dovrà quindi ripronunciarsi sulle istanze di ammissione agli incentivi tenendo conto di quanto argomentato in questa pronuncia rispetto all’interpretazione da dare al requisito di cui al romanino iv).
14. L’esistenza di diversi orientamenti sulla questione che è infine risultata decisiva giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione II, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata:
- accoglie i ricorsi presentati in primo grado e, per l’effetto, annulla i provvedimenti del GSE del 1 ottobre 2018 (prot. GSEWEB/P20180283437), del 2 ottobre 2018 (prot. GSEWEB/P20180286549) e del 2 ottobre 2018 (prot. GSEWEB/P20180286548);
- dichiara improcedibili i motivi aggiunti presentati in primo grado.
Compensa tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2025 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente
Francesco Frigida, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Alessandro Enrico Basilico, Consigliere, Estensore