Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 2024, n. 9212

Il Consiglio di Stato ha escluso, salvo diversa pattuizione contraria, che possa trovare applicazione la revisione prezzi in un appalto sottoposto alla disciplina del D.Lgs. n. 50/2016 il cui bando sia precedente al D.L. n. 4/2022. Infatti, la normativa speciale successiva che ha introdotto l’obbligo di previsione di clausole di revisione prezzi è eccezionale e irretroattiva. Così, al pari, non sussistono istituti civilistici che consentano di operare in modo manutentivo rispetto al contratto e non si ravvisa neanche un principio di rinegoziazione che imponga un obbligo alle parti di modifica in tal senso.

Tuttavia, anche nel caso della mancata previsione di clausole di revisione dei prezzi, e con specifico riguardo alle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, che comportino aumenti esorbitanti dei costi, l’operatore economico non è sprovvisto di tutela giurisdizionale, potendo esperire il rimedio civilistico dell’art. 1467 cod. civ. Quanto alla possibile contrarietà all’interesse pubblico dell’interruzione delle forniture in corso di rapporto che ne seguirebbe, la relativa valutazione non potrebbe che essere rimessa all’amministrazione appaltante, cui lo stesso art. 1467 cod. civ. consente di evitarla “offrendo di modificare equamente le condizioni del rapporto” (comma 3).

Pubblicato il 18/11/2024

N. 09212/2024REG.PROV.COLL.

N. 08508/2023 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

 

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 8508 del 2023, proposto da
Campania Alimentare S.r.l. in proprio e quale mandataria del r.t.i. con Petrazzuolo Alfonso e Gennaro S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luca Tozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Toledo, 323;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

 

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 12851/2023, resa tra le parti.


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha respinto il ricorso proposto dalla Campania Alimentare s.r.l. e dalla società Petrazzuolo Alfonso e Gennaro s.r.l. contro il Ministero della Difesa per l’annullamento del provvedimento prot.n. 0004719 del 18.7.2022 con cui il Ministero ha respinto l'istanza di aggiornamento/revisione dei prezzi praticati formulata dalla ricorrente in data 23.3.2022 e del provvedimento prot. n. 6315 del 27.9.2022 con cui il Ministero ha riscontrato la nota prot. n. 961/is del 21.9.2022 e confermato il precedente provvedimento di diniego, nonché per l'accertamento del diritto della ricorrente alla revisione dei prezzi da parte della S.A. e per l'accertamento, anche in via incidentale ex art. 8 c.p.a., della nullità dell'art. 4 del contratto nella parte in cui dispone che “i prezzi contrattuali s'intendono accettati dall'esecutore a suo rischio e sono invariabili e indipendenti da qualsiasi eventualità o circostanza che l'esecutore non abbia tenuto presente”.

1.1. Il tribunale, dopo aver escluso l’esistenza di un obbligo di revisione prezzi nella vigenza dell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016, nonché l’esistenza di clausole revisionali o di rinegoziazione delle condizioni contrattuali nella fonte contrattuale regolante i rapporti tra le parti del presente giudizio, ha ritenuto che la ricorrente non avesse interesse alla dichiarazione di nullità dell’art. 4 del contratto del 29 gennaio 2020, in quanto, anche a voler ipotizzare la dedotta nullità parziale, l’eliminazione della clausola avrebbe lasciato inalterato il restante impianto del contratto “che non ha nel suo contenuto alcuna clausola revisionale”. Il motivo è stato perciò dichiarato inammissibile.

1.1.1. Esso è stato ritenuto anche infondato perché l’art. 4 in contestazione era stato inserito nel contratto in “doverosa applicazione” dell’art. 103 del d.P.R. 15 novembre 2012, n. 236 (Regolamento recante disciplina delle attività del Ministero della difesa in materia di lavori, servizi e forniture), senza che la parte ricorrente avesse dato prova dell’illegittimità della disposizione regolamentare recepita dal contratto.

1.2. Disattesa, infine, una questione di illegittimità costituzionale prospettata dalla parte ricorrente rispetto all’art. 106, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 50 del 2016, il ricorso è stato respinto e le spese processuali sono state poste a carico della ricorrente ed a favore del Ministero della Difesa.

2. La società Campania Alimentare s.r.l., in proprio e in qualità di mandataria del r.t.i. con la società Petrazzuolo Alfonso e Gennaro s.r.l., ha proposto appello con sei motivi e riproposizione delle domande non esaminate in primo grado.

Il Ministero della Difesa ha resistito all’appello.

2.1. All’udienza del 9 maggio 2024 la causa è stata discussa dal difensore dell’appellante e assegnata a sentenza, previo deposito di memorie di entrambe le parti.

3. Col primo motivo viene riproposta la censura di violazione dell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016, letto congiuntamente all’art. 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015 n. 208, che, secondo l’appellante, conterrebbe una normativa cogente in ordine alla necessità di prevedere l’avvio di un procedimento per la revisione dei prezzi in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta del contratto.

Il motivo di appello si articola in due doglianze.

3.1. Con la prima (Violazione dell’art. 106, comma 1, D.lgs. 50/2016) l’appellante rappresenta che l’Amministrazione avrebbe disatteso i principi affermati dalla giurisprudenza riguardo all’istituto della revisione dei prezzi, in quanto sarebbe sempre richiesta un’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale. Questa attività nel caso di specie non è stata attivata.

3.1.1. L’appellante critica quindi la sentenza di primo grado che, nel respingere la censura, ha affermato che l’art. 106, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 50 del 2016 richiede una specifica clausola contrattuale o una specifica indicazione nei documenti di gara per la disciplina del procedimento di revisione dei prezzi.

Secondo la ricorrente, invece, vi sarebbe un obbligo di inserimento delle clausole revisionali in tutti i contratti di appalto ad esecuzione periodica o continuativa stipulati dalla pubblica amministrazione, come da giurisprudenza citata in atti e come da previsione dell’obbligo per il soggetto aggregatore di valutare la richiesta di riduzione ad equità o riduzione del prezzo ai sensi dell’art. 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

In termini analoghi sarebbe stato previsto dall’art. 29 del d.l. n. 4/2022, dall’art. 26 del d.l. n. 50/2022 e dall’art. 60 del d.lgs. n. 36/2023.

Sarebbe perciò errata, secondo la società appellante, la decisione del primo giudice nella parte in cui ha respinto il ricorso, limitandosi all’applicazione dell’art.106, comma 1, lett. a), del Codice e senza considerare che l’Amministrazione, “in un’ottica di buona fede e leale collaborazione” sarebbe stata tenuta ad eseguire un’istruttoria sulle condizioni di mercato e sull’incremento dei prezzi, onde addivenire alla richiesta revisione contrattuale.

3.2. Con la seconda (Sull’omessa motivazione – Violazione dell’art. 106, comma 2, d.lgs. 50/2016) si invoca l’applicazione, già richiesta in primo grado, del secondo comma dell’art. 106, che prevede una possibile modifica contrattuale, anche in mancanza di apposita clausola, quando la modifica non ecceda le soglie dell’art. 35 ed il 10% del valore iniziale del contratto.

3.2.1. Si critica quindi la sentenza di primo grado perché la richiesta ai sensi del secondo comma dell’art. 106 non sarebbe stata affatto analizzata, con conseguente vizio di omessa pronunzia.

4. Il motivo non merita di essere accolto sotto nessuno dei due profili.

Va premesso che il contenzioso riguarda l’esecuzione di un contratto triennale per la somministrazione di derrate alimentari in favore di enti e reparti dell’Aeronautica Militare (AM), a suo tempo stipulato dalla Direzione di Commissariato nel 2020, segnatamente il n. 185 di Rep. del 29.01.2020, con durata triennale (2020 – 2021 –2022) e naturale scadenza il 31.12.2022.

Nella fase esecutiva sono state formalizzate dalla società Campania Alimentare s.r.l., in rappresentanza del r.t.i. con la società Petrazzuolo Alfonso e Gennaro s.r.l., le richieste di revisione dei prezzi sopra indicate, con motivazioni essenzialmente riconducibili agli effetti derivanti dalla pandemia Covid-19 e all’aumento generalizzato dei prezzi per l’aumento dei costi della materia energetica e di tutta la catena correlata alle diverse filiere di produzione e trasporto, anche per la sopravvenuta situazione di grave crisi internazionale per il conflitto russo-ucraino.

Il contratto tuttavia non contempla una clausola di revisione dei prezzi.

Inoltre, nell’art. 4 è esplicitato che, ai sensi dell’art. 103 del D.P.R. n. 236/2012, i prezzi contrattuali s'intendono accettati dall'esecutore a suo rischio e sono invariabili e indipendenti da qualsiasi eventualità o circostanza che l'esecutore non abbia tenuto presente.

4.1. Ciò chiarito in fatto, va richiamata integralmente la sintesi delle disposizioni normative applicabili al caso in esame di cui al punto 7 della sentenza gravata e va ribadito che ai contratti pubblici regolati dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, quale il contratto in oggetto, la revisione dei prezzi è consentita alle sole condizioni indicate dall’art. 106, comma 1, lett. a), vale a dire se prevista “nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili” e sempre che non alteri la natura generale del contratto.

In proposito, non può che essere confermata la motivazione della sentenza gravata secondo cui “Al di fuori di tali ipotesi, il contraente privato non può pretendere una revisione dei prezzi pattuiti neanche in presenza di eventi eccezionali e imprevedibili stante la scelta compiuta dal legislatore di deviare dal precedente regime in materia, come definito dal previgente articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, che rendeva invece obbligatoria l’inserzione della clausola di variazione/adeguamento dei prezzi.”.

Ne consegue, in mancanza di apposita previsione contrattuale, l’infondatezza della pretesa della società ricorrente, riproposta col primo motivo di appello, per la quale l’amministrazione avrebbe dovuto avviare un’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale.

La giurisprudenza menzionata a supporto di tale pretesa, nonché di quella conseguenziale concernente l’adozione del provvedimento di riconoscimento del compenso provvisionale e di determinazione del relativo importo (in specie, Cons. Stato, III, 6 agosto 2018, n. 4827 e Cons. Stato, V, 6 settembre 2022, n. 7756), è riferita alla diversa disciplina dell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, che, come detto, non è confluita nell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016.

Nel vigore di quest’ultima disposizione, è stato invece affermato in giurisprudenza che “la revisione del contratto è ammessa, di regola (salve disposizioni di leggi speciali) solo ove espressamente pattuita” (Cons. Stato, VI, 23 febbraio 2023, n. 1844).

Detta disciplina e la relativa interpretazione vanno ritenute compatibili col diritto europeo, considerata la sentenza del 19 aprile 2018, pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-152/17, che ha affermato che le direttive dell’Unione europea in materia di appalti pubblici non ostano a norme di diritto nazionale che escludano la revisione dei prezzi dopo l’aggiudicazione del contratto.

4.1.1. Quanto, poi, all’eccezione, richiamata da parte appellante e contemplata nel periodo finale del primo comma, lett. a), dello stesso art. 106, riguardo ai contratti “relativi a servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori”, per i quali “restano ferme le disposizioni di cui all’art. 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”, è sufficiente osservare che il Ministero della difesa non rientra nella categoria dei “soggetti aggregatori” di cui all'articolo 9 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.

4.1.2. Non risultano applicabili al caso di specie nemmeno le norme in materia di revisione dei prezzi previste dalla legislazione speciale successiva al Codice dei contratti pubblici del 2016, pure richiamate dall’appellante (e, segnatamente, l’art. 29 del d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito dalla legge 28 marzo 2022, n. 25, e l’art. 26 del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, convertito dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, in tema di emergenza da Covid-19).

Considerata la natura eccezionale di tali previsioni non ne è possibile un’interpretazione analogica o estensiva oltre i casi ivi previsti (arg. ex art. 14 disp. prel. c.c.).

Pertanto, in disparte l’applicabilità della seconda delle citate disposizioni ai soli appalti di lavori, non anche agli appalti di forniture, quanto a questi ultimi va sottolineato che l’art. 29 del d.l. n. 4/2022, convertito dalla legge n. 25/2022, riguarda soltanto le procedure di affidamento i cui bandi o avvisi siano stati pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del provvedimento normativo, mentre la procedura cui è seguita la stipulazione del contratto de quo è stata bandita ben prima di tale data.

Il richiamo, fatto in appello, alla revisione prezzi introdotta dall’art. 60 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (Nuovo Codice dei contratti pubblici) non può avere sorte migliore. La revisione obbligatoria dei prezzi contrattuali costituisce infatti un’innovazione rispetto alla disciplina del previgente Codice dei contratti pubblici, prevista come novità già dall’art. 1, comma 2, lett. g), della legge delega n. 78 del 2022, cui l’art. 60 del decreto legislativo ha dato attuazione rendendo obbligatorio l’inserimento nei documenti di gara della clausola corrispondente.

La portata innovativa della disposizione impedisce che la stessa fornisca un criterio interpretativo della previgente disciplina, volta a rendere facoltativo l’inserimento di clausole revisionali nei contratti stipulati nella vigenza del d.lgs. n. 50 del 2016.

4.1.3. In mancanza di un obbligo legale di previsione contrattuale della revisione dei prezzi dell’appalto, è infondata la pretesa di parte appellante di inserzione automatica della clausola revisionale nel contratto de quo, dal momento che il meccanismo previsto dall’art. 1339 cod. civ. presuppone una norma imperativa (come quella del citato art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, cui è riferita la giurisprudenza menzionata in ricorso) che consenta l’integrazione ex lege del contratto o la sostituzione della clausola difforme apposta dalle parti.

4.1.4. Parimenti infondata è l’invocazione dei principi della buona fede e della leale collaborazione da parte dell’amministrazione. Pur essendo il primo espressamente previsto anche per la fase esecutiva del contratto (arg. ex art. 1375 cod. civ.), non può essere spinto fino ad imporre ad una delle parti obbligazioni che vanno oltre le previsioni contrattuali o addirittura contro queste ultime (come è nel caso dell’art. 4 del contratto stipulato dalla Campania Alimentare con il Ministero della Difesa).

4.1.5. In definitiva, la prima censura del primo motivo è infondata, dato che “fuori di una disciplina contrattuale o normativa specifica più stringente, la revisione dei prezzi non costituisce né un dovere in capo all’amministrazione, né un diritto del fornitore ma un’evenienza rimessa al raggiungimento di un comune accordo delle parti” (così Cons. Stato, VI, n. 1844/2023 cit.).

4.2. In applicazione di tale ultimo principio di diritto va respinta altresì la pretesa dell’appellante (di cui alla seconda censura del primo motivo) di imporre all’Amministrazione di valutare le richieste di modifica delle condizioni contrattuali avanzate dalla Campania Alimentare ai sensi del comma 2 del detto art. 106.

La disposizione (che consente la modifica dei contratti “senza necessità di una nuova procedura a norma del presente codice” se il valore della modifica è al di sotto di quelli ivi indicati e sempre che la modifica non alteri la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro), così come quella dello stesso art. 106, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 (che consente la modifica dei contratti quando “determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore”, invocato col secondo motivo di appello), non riconosce una posizione di interesse legittimo (men che meno di diritto soggettivo) in capo all’appaltatore per la rinegoziazione delle condizioni contrattuali.

Le norme predette danno attuazione in ambito interno alle norme corrispondenti dell’art. 72 (Modifica dei contratti durante il periodo di validità) della direttiva 2014/24/UE e hanno la precipua finalità di individuare le modifiche consentite alla pubblica amministrazione, nella fase di esecuzione del contratto, senza necessità di indire una nuova procedura di gara e, per contro, di individuare le modifiche non consentite (o meglio, vietate), a tutela della libera concorrenza e della parità di trattamento fra coloro che operano nel mercato (come esplicitato, tra l’altro, dal considerando 107 della direttiva, secondo cui “E’ necessario precisare, tenendo conto della pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, le condizioni alle quali le modifiche di un contratto durante la sua esecuzione richiedono una nuova procedura di appalto”).

Si tratta di una finalità regolatrice dei poteri della committenza pubblica, del tutto distinta dalla finalità di riequilibrio contrattuale che connota l’istituto della revisione dei prezzi.

Le modifiche contrattuali dell’art. 106, comma 2 (e dal comma 1, lett. c) sono previste dal legislatore come praticabili da parte dell’amministrazione committente, unica titolare del potere di modifica, ed è rimessa all’appaltatore soltanto la facoltà di accettarle o meno, salvo che, in presenza di determinate situazioni, sia obbligato a sottostarvi: in sintesi, sono modifiche possibili, ma che presuppongono l’accordo tra le parti, promosso però dalla stazione appaltante e regolato dalla legge nel preminente interesse del mercato e della concorrenza, nonché al fine di delimitare lo ius variandi del committente pubblico.

Esula dall’ambito applicativo dell’art. 106, comma 2 (e comma 1, lett. c) l’iniziativa dell’appaltatore volta ad ottenere la modifica dei prezzi contrattuali reputati non più remunerativi.

Ciò precisato, non può escludersi che l’impresa appaltatrice formuli una richiesta di modifica contrattuale che l’amministrazione potrebbe accettare in quanto rispettosa delle condizioni dell’art. 106, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 - così come d’altronde si sostiene sia stata formulata la richiesta rivolta da Campania Alimentare al Ministero della Difesa - ma la relativa pretesa, se respinta dall’amministrazione, non è tutelabile in giudizio invocando l’applicazione di quella norma (entro tali limiti si condivide il precedente, citato dall’appellante, di cui a Cons. Stato, III, 13 luglio 2023, n. 6846).

4.3. Il primo motivo di appello va quindi complessivamente respinto.

5. Col secondo motivo viene riproposta, in primo luogo, la censura di violazione degli articoli 30, comma 8, del d.lgs. 50/2016 e 1374 e 1375 cod. civ., che, secondo l’appellante, avrebbero consentito l’integrazione contrattuale di natura civilistica.

L’appellante lamenta che il T.a.r. avrebbe totalmente ignorato la richiesta di applicazione delle richiamate norme di legge, soffermandosi soltanto sull’art. 106, comma 1, lett. a) del Codice dei contratti pubblici, non sugli istituti di diritto privato che sorreggono la fase esecutiva degli affidamenti pubblici ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. 50/2016 e art. 1 l. 241/1990.

L’appellante invoca quindi la “rinegoziazione del contratto di natura civilistica”, al fine di adattare il contratto alle circostanze ed esigenze sopravvenute e imprevedibili, quali sarebbero, nel caso di specie, l’emergenza da Covid 19, prima, e la guerra in Ucraina, dopo.

In tema di buona fede e rinegoziazione del contratto viene richiamata la Relazione n. 56/2020 dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione.

5.1. Nel contesto del secondo motivo di appello è formulata un’ulteriore censura di omessa pronuncia, relativamente alla possibilità di riequilibrare il sintagma contrattuale mediante l’adozione di una “perizia di variante” ai sensi dell’art. 106, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 del quale viene contestualmente denunciata la violazione e falsa applicazione.

L’appellante sostiene che le parti, in applicazione di tale ultima norma, avrebbero potuto valutare in contraddittorio una modifica delle condizioni contrattuali in modo da ridurre la fornitura di prodotti il cui prezzo era oramai fuori mercato per prediligere la fornitura di generi alimentari che avevano meno risentito della crisi; ovvero apportare modifiche alle modalità e tempi di consegna dei generi alimentari, per risparmiare sui costi dei trasporti.

Viene quindi censurata la sentenza di primo grado, perché non avrebbe affrontato detta prospettazione di parte, limitandosi a richiamare la previsione dell’art. 4 del contratto che (oltre che nulla) sarebbe stata inconferente, in quanto l’esclusione della clausola di revisione dei prezzi non implica l’impossibilità di apportare modifiche diverse ai sensi dell’art. 106, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016.

6. Nessuna delle due censure è meritevole di accoglimento.

6.1. Va premesso che l’art. 30, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, nel prevedere che “alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”, fa rinvio a queste ultime “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi”.

Il rinvio non è quindi praticabile per la disciplina della revisione dei prezzi, dato che questa è espressamente contemplata nell’art. 106, comma 1, lett. a), nei termini dei quali si è detto sopra. Essendo quest’ultima norma speciale per gli appalti di lavori, servizi e forniture della pubblica amministrazione, prevale sulla normativa del codice civile in tema di revisione dei prezzi per il contratto tipico di appalto (art. 1664, comma 1, cod. civ.), che risulta perciò derogata, nonché su quella in tema di contratto tipico di somministrazione (relativa a prestazioni periodiche o continuative di cose, che è il modello del contratto di fornitura), per il quale il codice civile non prevede alcun meccanismo legale di revisione.

6.2. Piuttosto, come già affermato in sentenza e meglio si dirà nel prosieguo, il rinvio alle norme del codice civile comporta che ai contratti stipulati con la pubblica amministrazione, possa essere applicato il (diverso) rimedio dell’art. 1467 cod. civ., sempre che la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili e che la sopravvenuta onerosità non rientri nell’alea normale del contratto o che il contratto non sia aleatorio per volontà delle parti (art. 1469 cod. civ.).

6.2.1. La regola civilistica generale, per i contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, desumibile dall’art. 1467 cod. civ., pone come unica possibile conseguenza dell’eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti con prestazioni corrispettive il rimedio risolutorio del contratto (comma 1), ma non quello conservativo, salva la facoltà concessa alla parte non incisa dal “verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili” di evitare la risoluzione “offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto” (comma 3).

Dato il tenore della disposizione di carattere generale appena detta, è da escludere che sia rinvenibile nell’ordinamento di diritto civile un principio generale di rinegoziazione contrattuale rimessa all’iniziativa della parte svantaggiata in caso di circostanze sopravvenute e imprevedibili che abbiano alterato il sinallagma contrattuale.

Le deroghe alla regola che privilegia la risoluzione rispetto alla manutenzione del contratto devono essere espressamente previste, in apposite norme di legge, da ritenersi a portata eccezionale.

6.2.2. Sebbene con la Relazione n. 56/2020 dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione si sia fatto leva sul <<generale principio di “buona fede”, che ha valore d’ordine pubblico e si colloca tra i principi fondanti del nostro ordinamento sociale>> per pervenire alla conclusione che <<la “buona fede” può salvaguardare il rapporto economico che le parti avevano originariamente inteso porre in essere, imponendo la rinegoziazione del contratto che si sia squilibrato, al fine di favorirne in tal modo la conservazione>>, non risulta che la giurisprudenza civile ne abbia fatto applicazione in casi riconducibili al presente.

Si è già detto sopra del ruolo della buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 cod. civ.; analogamente è a dirsi dell’integrazione del contratto secondo equità ex art. 1374 cod. civ.: né l’una né l’altra possono valere ad imporre obblighi di rinegoziazione non previsti specificamente, laddove la regola non è la conservazione del contratto, bensì la sua risoluzione.

6.2.3. Questa regola, tradizionalmente operante anche per i contratti della pubblica amministrazione, fatte salve le eccezioni delle modifiche contrattuali consentite per legge (e della revisione dei prezzi fino a quando prevista), è stata superata soltanto di recente mediante l’introduzione dell’art. 9 (Principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale) del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36.

La disposizione prevede infatti, al primo comma, che “se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. […]”.

Si tratta esattamente di quell’obbligo di rinegoziazione delle condizioni contrattuali di cui è detto, sotto vari profili, negli scritti di parte ricorrente. Tuttavia, in disparte la portata e gli effetti dell’art. 4 del contratto (su cui si tornerà), l’obbligo di rinegoziazione dell’art. 9 citato non potrebbe comunque farsi gravare, nel caso di specie, sul Ministero della Difesa poiché la procedura di evidenza pubblica cui è seguito il contratto de quo è stata indetta nel vigore del d.lgs. n. 50 del 2016 ed anche l’esecuzione è regolata dalle disposizioni di questo dettate per la fase esecutiva dei contratti con la pubblica amministrazione.

La norma sopravvenuta del d.lgs. n. 36 del 2023 non ha portata retroattiva poiché non è norma interpretativa né applicativa di un principio generale già presente nell’ordinamento, ma introduce ex novo il rimedio generale di manutenzione del contratto, che, come si legge nella Relazione al Nuovo Codice dei contratti pubblici, è maggiormente conforme all’interesse dei contraenti in considerazione dell’inadeguatezza della tutela meramente demolitoria apprestata dall’art. 1467 c.c. (norma, quest’ultima, applicabile fino all’entrata in vigore del nuovo Codice). Il rimedio della rinegoziazione è regolato, quanto alle forme e ai tempi del contraddittorio tra le parti contrattuali, dalla disposizione dell’art. 120, comma 8, che non ha alcuna norma corrispondente nell’immediato precedente normativo dell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016.

6.3. Contrariamente a quanto sostenuto con la seconda censura del secondo motivo di appello, l’obbligo di rinegoziazione dell’Amministrazione committente (per pervenire, in contraddittorio, non tanto ad una revisione dei prezzi, quanto alle modifiche degli articoli alimentari da distribuire ovvero delle modalità e dei tempi di consegna dei prodotti alimentari) non si potrebbe fare discendere dall’applicazione dell’art. 106, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016.

Sulla portata della disposizione è sufficiente richiamare quanto già detto sopra a proposito della norma analoga contenuta nel secondo comma dello stesso art. 106, entrambe applicabili su iniziativa dell’amministrazione e previo accordo tra le parti.

Lungo tale logica interpretativa si pone la delibera ANAC n. 1022 del 25 novembre 2020 (Problematiche inerenti ai contratti aventi ad oggetto i servizi di ristorazione in conseguenza della situazione di emergenza sanitaria) con la quale si è affermato che la richiesta di prestazioni ulteriori da parte delle stazioni appaltanti per fare fronte all’emergenza sanitaria “costituisce presupposto idoneo a giustificare il ricorso a una variante in corso d’opera per circostanze impreviste e imprevedibili ai sensi dell’art. 106, comma 1, lett. c), del Codice dei contratti pubblici”: si tratta di prestazioni ulteriori richieste alla stazione appaltante per factum principis (quindi rientranti nella previsione del n. 1 della lettera c), che rendono possibile per l’amministrazione modificare il contratto senza ricorrere ad una nuova procedura di gara.

In tale eventualità le modifiche contrattuali attengono a prestazioni “aggiuntive”, praticabili nei limiti in cui non alterano la natura generale del contratto (arg. ex n. 2 della lettera c dell’art. 1006, comma 1), laddove la rinegoziazione delle condizioni contrattuali, così come pretesa dalla parte ricorrente, riguarda le prestazioni già contenute nel contratto, cioè l’equilibrio contrattuale originario, che si assume alterato dalle circostanze sopravvenute.

D’altronde, condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già escluso il possibile riferimento alla lettera c) del comma 1 dell’art. 106, laddove la sopravvenienza attenga alle variazioni dei costi e dei prezzi (Cons. Stato, IV, 31 ottobre 2022, n. 9426; cfr., in tema, anche Cons. Stato, V, 7 gennaio 2022, n. 48; id. III, 7 dicembre 2021, n. 8180; id., V, 15 novembre 2021, n. 7602 e 2 agosto 2019, n. 5505).

La pretesa di riequilibrio contrattuale mediante l’applicazione dell’art. 106, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 non può trovare accoglimento.

6.4. Il secondo motivo di appello va quindi complessivamente respinto.

7. Col terzo motivo viene riproposta la censura, con la quale già in primo grado era stata sottolineata una “disparità di trattamento” nei confronti degli operatori divenuti aggiudicatari prima dell’entrata in vigore dell’art. 29 del d.l. 27 ottobre 2022 n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2022 n. 25. Con quest’ultima disposizione è stato previsto l’inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi nei documenti di gara almeno fino al 31 dicembre 2023, poi disposto in via definitiva dall’art. 60 del d.lgs. n.36 del 2023.

Secondo l’appellante:

- le dette previsioni normative renderebbero palese come la particolare congiuntura economica abbia imposto l’adozione di una serie di misure volte a dare una risposta efficace all’esorbitante aumento dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia;

- a fronte di una tale situazione, oggettivamente identica, non potrebbe essere legittimata la negazione di un’istanza di adeguamento prezzi/riconduzione ad equità solo alla luce del dato formale inerente la data di sottoscrizione del contratto;

- si sarebbe in presenza di eccesso di potere e di irragionevolezza delle valutazioni della stazione appaltante.

8. Il motivo non merita accoglimento.

8.1. Riguardo all’inapplicabilità al caso di specie delle norme emergenziali sopravvenute alla stipulazione del contratto ed all’impraticabilità di un’interpretazione estensiva o analogica delle stesse, in quanto norme eccezionali, si è già detto trattando del primo motivo.

8.2. I dedotti vizi di eccesso di potere, sotto i profili della disparità di trattamento e di irragionevolezza delle valutazioni della stazione appaltante, non sussistono poiché il Ministero della Difesa si è limitato ad applicare la disciplina del d.lgs. n. 50 del 2016, senza esercitare alcuna discrezionalità amministrativa nell’opporre il diniego della revisione dei prezzi contrattuali, non solo in assenza di un’apposita previsione contrattuale, ma addirittura in presenza della contraria previsione dell’invariabilità dei prezzi contrattuali dell’art. 4 del contratto di fornitura.

9. Il rigetto dei primi tre motivi comporta che debba essere respinta la domanda di cui al punto sub 4 del ricorso in appello, con cui viene richiesto l’accertamento del diritto del r.t.i. rappresentato dalla Campania Alimentare alla revisione dei prezzi da parte della stazione appaltante.

10. Col quinto motivo si ripropone la domanda di nullità della clausola dell’art. 4 del contratto di fornitura, il quale prevede che “i prezzi contrattuali s’intendono accettati dall’esecutore a suo rischio e sono invariabili e indipendenti da qualsiasi eventualità o circostanza che l’esecutore non abbia tenuto presente. A tal fine, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1469 del Codice Civile, il contratto è da considerarsi aleatorio per volontà delle parti, le quali rinunciano esplicitamente all’applicazione dell’art. 1467 e 1664 del Codice Civile”. Si tratterebbe inoltre di clausola vessatoria, che non sarebbe stata oggetto di una specifica sottoscrizione come richiesto dall’art. 1341, comma 2, cod. civ.

10.1. L’appellante formula le seguenti censure avverso la dichiarazione di inammissibilità per carenza di interesse, di cui alla sentenza gravata.

In primo luogo, in assenza di un divieto contrattuale espresso la stazione appaltante ben poteva (doveva) valutare nel merito la domanda dell’appellante.

In secondo luogo, la declaratoria di vessatorietà della clausola sarebbe stata utile per consentire al contraente di svincolarsi dal contratto senza subire ulteriori perdite, proprio come concesso dal Ministero della Difesa ad un competitor del r.t.i. con decreto n. 307 del 22 giugno 2022. A tale ultimo riguardo l’appellante fa presente che già nel mese di marzo 2023 il r.t.i. si era detto disposto a risolvere il contratto per eccessiva onerosità ex art. 1467 cod. civ. e tale strada era stata ritenuta non percorribile proprio a causa della clausola de qua.

Infine, ex post la dichiarazione di nullità della clausola potrebbe sorreggere un’azione risarcitoria, dato che la disposizione illegittima ha obbligato il contraente ad eseguire la prestazione in perdita per svariate migliaia di euro.

10.2. Viene censurata anche l’ulteriore affermazione del giudice di primo grado, secondo cui la clausola sarebbe legittima perché riproduttiva dell’art. 103 del d.P.R. 15 novembre 2012, n. 236.

L’appellante svolge quindi una serie di argomentazioni volte a sostenere la nullità della clausola contrattuale e l’applicabilità degli artt. 1467 e 1468 cod. civ. anche ai contratti aleatori, a determinate condizioni, nonché al contratto di appalto, che è da annoverarsi tra i contratti commutativi.

11. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

11.1. Esso è infondato nella parte in cui critica la dichiarazione di inammissibilità per carenza di interesse.

L’ostacolo giuridico all’accoglimento della domanda di revisione dei prezzi contrattuali non è consistito tanto nella presenza di detta clausola contrattuale, quanto nella mancanza di una clausola (di segno contrario) che obbligasse l’Amministrazione ad attivare un apposito procedimento amministrativo volto ad aggiornare i prezzi contrattuali ovvero a ricondurre il contratto entro limiti di equità o di sostenibilità economica.

Come ben argomentato dal giudice di primo grado, anche se si ipotizzasse, in linea teorica, la nullità parziale del contratto, con espunzione della clausola dell’art. 4, “ciò non vizierebbe tuttavia in alcun modo e lascerebbe, anzi, inalterato il restante impianto del contratto che non ha nel suo contenuto alcuna clausola revisionale”.

Inoltre, anche se fosse ricondotto al tipo contrattuale commutativo, quale è il contratto di appalto, il suo contenuto non potrebbe essere integrato mediante inserzione automatica di una clausola revisionale, stante l’assenza di una norma imperativa che la imponga.

Di qui la correttezza della conclusione raggiunta in sentenza, secondo cui: “parte ricorrente, anche in caso di accertata nullità della clausola controversa (art. 4 cit.), in realtà non potrebbe né sollecitare né ottenere dall’Amministrazione l’esercizio di un potere istruttorio di verifica (relativo in primo luogo all’ “an”, quindi, se del caso, al “quantum” dell’aumento richiesto) dei presupposti fattuali e giuridici per la revisione dei prezzi convenuti della fornitura, atteso che tale potere presuppone una clausola negoziale che lo legittimi ed è, tradizionalmente, ricostruito in termini di potere amministrativo il cui esercizio è sindacabile, se viziato, dal G.A.

L’assenza della clausola di revisione preclude, viceversa quest’ultima prospettiva.”.

11.2. Ogni altra doglianza che la ricorrente collega alla natura vessatoria o alla nullità della clausola dell’art. 4 del contratto - la cui dichiarazione avrebbe potuto consentire, rispettivamente, di svincolarsi dal contratto mediante la risoluzione ex art. 1467 cod. civ. ovvero di agire per il risarcimento dei danni provocati dall’obbligo di eseguire la prestazione in perdita - esula dall’ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva, dal momento che questa è limitata alle controversie in tema di revisione dei prezzi (art. 133, comma 1, lett. e, c.p.a.).

11.3. Parimenti inammissibili per carenza di interesse o per difetto di giurisdizione sono poi le censure in merito alla possibilità di esperire il rimedio della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, dato che, come ben detto in sentenza, si tratta di “azione non esperita né esperibile nella presente sede e proponibile dinanzi al G.O.”.

Pertanto, soltanto il giudice civile ordinario - ove adito ai sensi dell’art. 1467 cod. civ. - potrebbe essere destinatario dei rilievi volti ad escludere la natura aleatoria del contratto per volontà delle parti, finalizzati a rimuovere il limite all’esercizio dell’azione di risoluzione posto dall’art. 1469 cod. civ.

11.4. Il quinto motivo di appello va complessivamente respinto.

12. Viene infine riproposta, nell’apposito, sesto motivo di appello, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 50 del 2016 per contrasto con l’art. 3 e con l’art. 41 della Costituzione, poiché, lasciando alla discrezionalità delle stazioni appaltanti di consentire o meno la revisione dei prezzi in corso di esecuzione, si sarebbe generata una situazione di svantaggio ingiustificata per gli aggiudicatari nel periodo compreso tra il 2016 (data di entrata in vigore del previgente Codice dei contratti pubblici) e il 2022 (data di entrata in vigore dell’art. 29 del d.l. n. 4 del 2022, seguito dall’art. 60 del d.lgs. n. 36 del 2023).

Tale situazione di incertezza e di diseguaglianza tra operatori economici sarebbe contraria anche all’art. 41 della Costituzione in tema di libertà dell’iniziativa economica poiché pone l’imprenditore in una posizione di netto svantaggio rispetto all’amministrazione ed ai competitors, con un rischio anche per la collettività consistente nell’esecuzione di prestazioni di scarso livello per evitare di sopportare perdite ingenti.

13. La questione di legittimità costituzionale così come posta dall’appellante, in riferimento all’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016, non merita di essere sottoposta all’esame della Corte Costituzionale, dato che attiene allo spazio di discrezionalità del legislatore, riguardo alla disciplina delle modifiche contrattuali che il Codice previgente conteneva, in termini di piena compatibilità, come detto, col diritto euro-unitario di tutela della concorrenza, nonché di coerenza con la finalità di contenimento della spesa pubblica.

D’altronde, anche nel caso della mancata previsione di clausole di revisione dei prezzi, e con specifico riguardo alle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, che comportino aumenti esorbitanti dei costi, l’operatore economico non è sprovvisto di tutela giurisdizionale, potendo esperire il rimedio civilistico dell’art. 1467 cod. civ. Quanto alla possibile contrarietà all’interesse pubblico dell’interruzione delle forniture in corso di rapporto che ne seguirebbe, la relativa valutazione non potrebbe che essere rimessa all’amministrazione appaltante, cui lo stesso art. 1467 cod. civ. consente di evitarla “offrendo di modificare equamente le condizioni del rapporto” (comma 3).

14. L’appello va quindi respinto.

14.1. Sussistono giusti motivi di compensazione delle spese del grado attesa la novità delle questioni poste dall’appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere, Estensore

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

 

Guida alla lettura

Con la sentenza in commento, la V Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata in materia di revisione prezzi, con particolare riferimento alla disciplina del D.Lgs. n. 50/2016.

Il Collegio si è soffermato sulla possibilità – escludendola – da una parte, di ravvisare nell’art. 106, comma 1, lett. a) e comma 2 la possibilità di un obbligo di revisione prezzi; dall’altra parte, di integrare la disciplina codicistica del 2016 con la successiva normativa, che ha introdotto l’obbligatorietà della revisione prezzi, ovvero, in subordine, con la possibilità di eterointegrare il regolamento contrattuale per il tramite degli istituti civilistici sul tema, tra cui anche la buona fede.

In particolare, il Collegio ha negato tale possibilità e ha invece confermato la regola generale per cui la revisione prezzi è ammessa soltanto laddove sia stata espressamente pattuita, ovvero nei casi in cui era prevista nei documenti di gara in clausole chiare, precise e inequivocabili.

Non può, infatti, ravvisarsi un obbligo gravante sulle Amministrazioni da fonti normative successive al bando di gara ovvero da principi civilistici. Si tratta di una precisa scelta del legislatore di introdurre un simile istituto, che non può operare retroattivamente.

Nello specifico: il Collegio, in primo luogo, ha escluso che possano trovare applicazione retroattiva quanto previsto all’art.  29 del D.L. n. 4/2022 e nel nuovo codice (D. Lgs. n. 36/2023): le disposizioni sulla revisione prezzi ivi previste trovano applicazione soltanto per i bandi che sono stati pubblicati successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti normativi. Inoltre, la stessa normativa, in quanto eccezionale, non può essere suscettibile di interpretazione analogica.

In tale quadro, dunque, non sussiste un obbligo legale dell’Amministrazione di prevedere una clausola di revisione prezzi; sicché, non potrebbe operare neanche l’art. 1339 c.c., in tema di inserzione automatica di clausole, in quanto presuppone una norma imperativa che consenta-imponga l’integrazione del contratto o la sostituzione delle clausole difformi.

Al pari, non verrebbero in soccorso neanche i principi di buona fede e di leale collaborazione tra le parti, in quanto questi principi non possono essere interpretati sino a ritenere che alle parti possano essere imposte nuove obbligazioni che vanno anche al di là delle previsioni contrattuali o addirittura contro quest’ultime. Infatti, nell’ipotesi devoluta al Collegio, le parti avevano disposto espressamente l’invariabilità dei prezzi.

In questo senso, il Collegio, richiamando la giurisprudenza in materia, ha ritenuto che per i contratti stipulati sotto la vigenza del D.Lgs n. 50/2016 e prima del D.L. n. 4/2022, la revisione prezzi non costituisca né un dovere dell’Amministrazione né un diritto del fornitore, ma soltanto un’eventualità lasciata all’autonomia delle parti.

Un’ipotesi di modifica contrattuale in corso di esecuzione è ravvisabile all’art. 106, comma 2, del D.Lgs n. 50/2016, nei limiti delle soglie fissate dall’art. 35 del codice e nei limiti del 10% o 15% del valore iniziale del contratto.

Tuttavia, il Collegio – coerentemente con la natura della previsione, volta a tutelare la concorrenza e gli operatori del mercato – nega la sussistenza di un interesse legittimo dell’aggiudicatario a una rinegoziazione delle condizioni contrattuali. La richiesta ex comma 2 dell’art. 106 D.Lgs. n. 50/2016 dell’aggiudicatario può costituire al più una sollecitazione all’esercizio di poteri il cui utilizzo è rimesso all’esclusiva discrezionalità dell’Amministrazione.

Infatti, la V Sezione ribadisce che la norma è volta a ottemperare a quanto disposto in sede Europea; in particolare all’art. 72 della Direttiva 2014/24/UE, in virtù della quale l’Amministrazione può modificare, in sede di esecuzione, il contratto senza dover indire una nuova gara, purché vengano rispettati alcuni precisi limiti. La ratio della disposizione è quella quindi di tutelare la concorrenza e la parità di trattamento degli operatori del mercato, e non quella di attribuire all’appaltatore una pretesa di rinegoziazione delle condizioni contrattuali.

Quindi, l’eventuale modifica costituisce un potere esclusivo dell’Amministrazione, che non consente all’Appaltatore di tutelarsi in giudizio invocando l’applicazione del comma 2 dell’art. 106 del D.Lgs. n. 50/2016.

Sul piano civilistico, invece, il Collegio ravvisa l’applicabilità dell’art. 1467 c.c., cioè risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, nei limiti in cui l’eccessiva onerosità derivi da avvenimenti straordinari e imprevedibili e che non rientri nell’alea normale del contratto, ovvero ancora il contratto non sia aleatorio per volontà delle parti.

L’art. 1467 c.c. – quindi - nel prevedere un rimedio di tipo risolutorio, fa salva la possibilità della parte non incisa - nel caso di specie l’Amministrazione - di evitare la risoluzione offrendo di modificare il contratto.  Dunque, qualora vi sia un interesse pubblico al completamento dei lavori o dei servizi, l’Amministrazione potrebbe offrire di modificare equamente le condizioni del rapporto.

Tuttavia, al di là di tale previsione, il Collegio ritiene che non esista una norma – e che non sia tale neanche l’art. 1467 c.c. - dalla quale si possa evincere un obbligo di rinegoziazione in capo alla Stazione appaltante.

Infatti, le disposizioni del codice civile che, ai sensi dell’art. 30, comma 8, del D.Lgs. n. 50 del 2016, sono applicabili in materia, sono soltanto quelle per le quali non vi sia una disciplina speciale espressa nel codice dei contratti pubblici e negli atti attuativi. Pertanto, alla luce della puntuale disciplina del caso di specie, tale rinvio non potrebbe operare.

Inoltre, un principio che imponga la rinegoziazione non sarebbe ravvisabile neppure negli artt. 1375 e 1374 c.c., in quanto trattandosi di un‘obbligazione puntuale gravante sulle parti, è necessaria una pattuizione specifica.

Tale ricostruzione, peraltro, ad avviso del Collegio sarebbe confermata dalla circostanza per cui il principio di rinegoziazione è entrato nell’ambito degli appalti soltanto a seguito del D.Lgs. n. 36/2023, in quanto previsione che introduce un rimedio generale di manutenzione dei contratti ex novo e non ricognitiva di un principio generale presente nell’ordinamento, per tali motivi anche irretroattiva.

Alla luce di questo quadro normativo, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima l’azione dell’Amministrazione che, essendo sprovvista di alcun potere discrezionale, non ha posto in essere una “disparità di trattamento” tra gli operatori divenuti aggiudicatari prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 4/2022 e i successivi, in quanto soltanto a far data dall’entrata in vigore di quest’ultima è stato previsto l’inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi.

Il Collegio, altresì, ha ritenuto di non sottoporre questione di legittimità costituzionale dell’art. 106, comma 1, lett. a) per contrasto con l’art. 3 e 41 della Costituzione, alla Corte costituzionale, in quanto la riforma rientra nello spazio di discrezionalità del legislatore.

Dunque, per gli appalti aggiudicati sotto la vigenza del D.Lgs. n. 50/2016 e prima del D.L. n. 4/2022 non vige l’obbligo di previsione della clausola di revisione prezzi.

D’altronde, anche nel caso della mancata previsione di clausole di revisione dei prezzi, e con specifico riguardo alle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, che comportino aumenti esorbitanti dei costi, l’operatore economico non è sprovvisto di tutela giurisdizionale, potendo esperire il rimedio civilistico dell’art. 1467 cod. civ. Quanto alla possibile contrarietà all’interesse pubblico dell’interruzione delle forniture in corso di rapporto che ne seguirebbe, la relativa valutazione non potrebbe che essere rimessa all’amministrazione appaltante, cui lo stesso art. 1467 cod. civ. consente di evitarla “offrendo di modificare equamente le condizioni del rapporto” (comma 3).

La pronuncia quindi pone una netta linea di demarcazione tra la disciplina del D.Lgs. n. 50/2016, per la quale non vi è un obbligo di previsione della clausola di revisione prezzi, e il nuovo codice dei contratti pubblici. Infatti, come anticipato, a seguito del D.Lgs. n. 36/2023, come riformato dal D.Lgs. n. 209/2024, il legislatore ha introdotto un sistema revisionale automatico e permanente, sussistente per tutta la durata del contratto di appalto. In particolare, il cd. “correttivo” al codice dei contratti pubblici ha inteso chiarire la portata, l’ambito applicativo e la misura secondo cui si applicano le clausole revisionali, al fine anche di superare eventuali dubbi interpretativi che possano essere sorti dopo una prima applicazione dell’art. 60 del D.Lgs. n. 36/2023.