Cons. Stato, sez. III, ord., 11 settembre 2024, n. 7518

Il congegno escludente divisato dall’art. 80, co. 4 mercé la eterointegrazione col valore-soglia di 5 mila euro scolpisce un vero e proprio automatismo legale che esclude dal mercato delle commesse pubbliche l’operatore economico, indipendentemente dal valore dell’appalto, con risultati paradossali.

La sproporzione in termini oggettivi si dispiega in re ipsa: tale debitum fiscale, consolidatosi ex ante, determina l’esclusione tout court da una gara milionaria, mentre se fosse emerso ex post, a valle dell’integrale esecuzione delle obbligazioni contrattuali, avrebbe comportato la sola sospensione in parte qua del pagamento con distrazione della somma dovuta a favore dell’agente della riscossione, previo esperimento del rituale pignoramento presso terzi. Un esito che appare, a parere del Collegio, del tutto irrazionale e spropositato.

 Tale esito non pare trovare giustificazione né nella ratio legis intrinseca – ossia, il perseguimento dell’integrità e affidabilità dell’operatore economico con cui la P.A. si ritrova a contrattare – né nella ratio legis estrinseca, di indole fiscale, tesa a perseguire la compliance impo-esattiva (..) dacché, indipendentemente dalla relatio normativa operata dalla disciplina dei contratti pubblici, il meccanismo compensativo di cui all’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 opererebbe autonomamente, a valle dell’integrale esecuzione contrattuale della commessa pubblica, al momento della solutio e assicurerebbe l’integrale soddisfazione della pretesa erariale, inclusiva di aggi e accessori.

L’interrogativo sorge, dunque, naturale in ordine a quale sia la misura altrimenti perseguibile per contemperare gli scopi perseguiti – ossia, la guarentigia di integrità e affidabilità degli operatori economici unitamente all’integrità impo-esattiva – con il concorrente diritto all’iniziativa economica di un grande operatore economico sub specie di partecipazione alle gare per l’assegnazione di commesse pubbliche di rilevante entità.

Il tertium comparationis che viene immediatamente in rilievo e dilata l’ambito della presente indagine anche alla dimensione della proporzionalità ordinale o comparativa è rappresentato dal dissimile meccanismo determinativo della soglia di gravità relativo alle violazioni tributarie non definitivamente accertate di cui al settimo comma della disposizione in esame: come si evince dalla ricostruzione storico-sistematica svolta sub 7, il plesso normativo è stato introdotto dalla legge europea 2019-2020 con decorrenza 1° febbraio 2022 (ancorché il relativo regolamento attuativo è stato adottato il 28 settembre 2022) e si distingue per un approccio bilanciato che stabilisce una indefettibile correlazione tra violazione tributaria non definitivamente accertata e valore dell’appalto (poi esplicitata dal regolamento ministeriale con una funzione di parametrizzazione lineare secondo un coefficiente del 10%: “imposte o tasse per un importo che, con esclusione di sanzioni e interessi, è pari o superiore al 10% del valore dell'appalto”) in combinato con la fissazione di una soglia di irrilevanza de minimis in valore assoluto (35 mila euro, ben più indulgente, essendo sette volte superiore a quella dettata dal secondo comma).

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 1543 del 2024, proposto da Markas S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 8931738F5A, rappresentata e difesa dall'avvocato Pietro Adami, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso d’Italia, 97;

 

contro

Azienda Unità Sanitaria Locale Irccs di Reggio Emilia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Alberto Della Fontana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Azienda Unità Sanitaria Locale di Modena e Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena, non costituite in giudizio;

nei confronti

Dussmann Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Orsola Cortesini, Giuseppe Morbidelli e Matteo Anastasio, con domicilio eletto presso lo studio Orsola Cortesini in Roma, viale Bruno Buozzi, 68;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, sezione staccata di Parma (Sezione Prima) n. 18/2024, resa tra le parti, per l’annullamento

- dell'atto del Direttore del Servizio Approvvigionamenti dell'Azienda USL di Reggio Emilia IRCCS n. 2023/ R.APP. 230 del 07.06.2023 , avente ad oggetto: “Esito della procedura aperta, ai sensi del D.Lgs.50/2016 per l'affidamento dei servizi di accompagnamento e trasporto interno di utenti/pazienti deambulanti ovvero posizionati su sedia a rotelle, barella o letto, trasporto di materiale biologico e sanitario e trasporto salme/cadaveri in tre lotti distinti di durata quinquennale, occorrente all'Unione d'Acquisto delle Aziende Sanitarie associate all'AVEN”, con il quale veniva disposta l’aggiudicazione del Lotto 2 CIG 8931738F5A) del servizio in favore dell'operatore economico Dussmann Service S.r.l.;

- della nota dell'Azienda USL di Reggio Emilia IRCCS prot. n. 2023/0072148 del 08/06/2023 avente ad oggetto: “Procedura aperta per l'affidamento del servizio di accompagnamento e trasporto interno di utenti/pazienti ovvero posizionati su sedia a rotelle, barella o letto, trasporto di materiale biologico e sanitario e trasporto salme e cadaveri n tre lotti distinti occorrenti all'Unione d'acquisto tra le Aziende Sanitarie aderenti all'Area Vasta Emilia Nord di durata quinquennale capofila Azienda USL di Reggio Emilia IRCCS. Comunicazione ai sensi dei commi 5 e 6 dell'art. 76 del D.lgs. n. 50/2016 e s.m.i. del provvedimento di aggiudicazione. Lotto 2”;

- di tutti gli atti presupposti, ivi compresi i verbali di gara inerenti alla valutazione della documentazione amministrativa dei partecipanti, nonché la valutazione del merito tecnico e del dato economico delle offerte presentate, e segnatamente del verbale del 15.12.2021, in cui la commissione ha ritenuto in relazione a Dussmann Service S.r.l.: “la non sussistenza delle cause di esclusione di cui all'art. 80 del D. Lgs. n. 50/2016”;

- di tutti gli atti del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell’offerta di Dussmann Service S.r.l. disposto ai sensi dell’art. 97, comma 3, del D. Lgs. n. 50/2016;

- di qualsivoglia ulteriore provvedimento antecedente e/o successivo, anche non conosciuto;

nonché per la declaratoria della inefficacia del contratto inerente al Lotto 2 della suddetta gara, eventualmente medio tempore sottoscritto;

nonché per la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno in via principale in forma specifica, nonché, in subordine, per equivalente nella misura che ci si riserva di quantificare in corso di causa.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Unità Sanitaria Locale Irccs di Reggio Emilia e di Dussmann Service S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 13 giugno 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

 

FATTO

1. – Con ricorso notificato in data 7 luglio 2023 Markas S.r.l. (di seguito, breviter, Markas) ha impugnato davanti al TAR Emilia Romagna – Sezione distaccata di Parma, con richiesta di sospensione cautelare, il provvedimento del Direttore del Servizio Approvvigionamenti dell’Azienda USL IRCCS di Reggio Emilia n. 230 del 7 giugno 2023 con il quale è stata disposta l’aggiudicazione in favore di Dussmann Service (di seguito, breviter, Dussmann) del Lotto 2 (Policlinico di Modena e Azienda USL di Modena - CIG 8931738F5A) della “procedura aperta, ai sensi del D.Lgs. 50/2016 per l’affidamento dei servizi di accompagnamento e trasporto interno di utenti/pazienti deambulanti ovvero posizionati su sedia a rotelle, barella o letto, trasporto di materiale biologico e sanitario e trasporto salme/cadaveri in tre lotti distinti di durata quinquennale, occorrente all’Unione d’Acquisto delle Aziende Sanitarie associate all’AVEN”.

Il piano delle censure articolate in prime cure da Markas verteva, da un lato, sulla supposta violazione dei principi e delle norme dell’art. 80 d.lgs. n. 50/2016 per la mancata esclusione di Dussmann dalla procedura competitiva in ragione della carenza del requisito di regolarità fiscale e della correlativa omissione informativa, e, dall’altro, per l’asserita violazione dell’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016 sulla scorta della ritenuta incongruità dell’offerta sotto il profilo dei costi della manodopera.

2. – Il giudice di prime cure, con sentenza n. 18 del 5 febbraio 2024, ha ritenuto infondato il primo motivo, proposto nel ricorso introduttivo, e dichiarato irricevibile il secondo veicolato con motivi aggiunti, per tardività della proposizione del relativo gravame. L’iter argomentativo seguito dal TAR Parma prende l’abbrivio da un primo assunto per cui “l’Amministrazione, ai fini della necessaria verifica della regolarità fiscale degli offerenti, deve acquisire la certificazione resa dal competente Ente, ossia l’Agenzia delle Entrate, titolare dell’autorità, appunto, certificativa della presenza o meno nell’Anagrafe tributaria nazionale, a carico dell’impresa, di violazioni definitivamente accertate” per poi constatare che, nel caso di specie, “l’Amministrazione ha correttamente disposto l’acquisizione documentale e verificato l’assenza di carichi fiscali definitivi in ragione della certificazione resa dall’Agenzia delle Entrate”: ne ha pertanto fatto discendere la conclusione che la dichiarazione resa da Dussmann nell’ambito della gara per cui è causa non fosse mendace o fuorviante, “contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, a fronte di un obbligo di legge specifico, cui è condizionata la misura espulsiva, dichiarativo di carichi definitivamente accertati ed in presenza di una certificazione fiscale da cui emerge ripetutamente, prima e dopo la dichiarazione contestata, l’assenza di irregolarità definitivamente accertate, certificazione che fa fede fino a querela di falso nei confronti dell’Amministrazione e del contribuente”.

2.1. – Mette conto di soggiungere che l’opinare del primo giudice ricalca in parte gli approdi tracciati dal Consiglio di Stato in un parallelo giudizio, allibrato al NRG 5564/2023, in cui sono parti sia Markas sia Dussmann e nell’ambito del quale la Sezione ha reputato di rimettere all’Adunanza plenaria una serie di questioni interpretative per l’appunto concernenti la portata probatoria delle certificazioni in materia di regolarità fiscale e i poteri istruttori della Stazione appaltante e dei terzi controinteressati (v. Cons. Stato, sez. III, ord. coll. 4 gennaio 2024, n. 161). L’ordinanza di rimessione ha ribadito in linea generale il consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, “nelle gare pubbliche, le certificazioni relative alla regolarità contributiva e tributaria delle imprese partecipanti, emanate dagli organi preposti, si impongono alle stazioni appaltanti che non possono in alcun modo sindacarne il contenuto, non residuando alle stesse alcun potere valutativo sul contenuto o sui presupposti di tali certificazioni; spetta, infatti, in via esclusiva all’Agenzia delle entrate il compito di dare un giudizio sulla regolarità fiscale dei partecipanti a gara pubblica, non disponendo la stazione appaltante di alcun potere di autonomo apprezzamento del contenuto delle certificazioni di regolarità tributaria, ciò al pari della valutazione circa la gravità o meno della infrazione previdenziale, riservata agli enti previdenziali” (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 4 maggio 2012, n. 8; id., sez. III, 18 dicembre 2020, n. 8148; id., sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682)”; dipoi, ha acclarato, per quanto qui rileva, che “risulta documentato che [il contributo unificato per il giudizio dinanzi al Consiglio di Stato] era stato pagato – asseritamente all’insaputa di Dussmann – da altro operatore economico che in tale giudizio aveva partecipato in r.t.i. con Dussmann, restando però pendente la sanzione pari a € 20.000,00, non pagata dal detto operatore e che Dussmann avrebbe saldato solo in un momento successivo (comunque anteriore all’aggiudicazione)”.

3. – Markas ha, quindi, impugnato la statuizione di prime cure riproponendo in chiave critica entrambi i motivi disattesi dal TAR Parma.

3.1. – Giova soffermarsi in particolare sul primo nucleo censorio alla luce delle questioni che assumono rilevanza ai fini della presente rimessione al giudice delle leggi.

Sunteggia, in fatto, Markas che l’aggiudicataria Dussmann Service - a fronte di un invito al pagamento inviato dalla Segreteria della Terza Sezione del Consiglio di Stato del 16 luglio 2020 (v. all. 2 deposito Markas del 19 dicembre 2023) - avrebbe pagato il 21 dicembre 2020, unicamente € 9.000,00 (v. all. 10.2 deposito Dussmann del 3 gennaio 2024), anziché l’intero debito, a quel momento ammontante a € 27.000,00. L’intero debito sarebbe poi stato saldato unicamente in data 29 giugno 2022 (v. all. 10.4, deposito Dussmann del 3 gennaio 2024), e non sarebbe stato dichiarato nella gara di cui si discute (v. all. 1 dichiarazione Dussmann ex art. 80 deposito Dussmann in primo grado del 3 gennaio 2024), sebbene fosse definitivamente accertato.

Conclude quindi l’appellante che, nella vicenda per cui è causa, il debito tributario era presente al momento del bando (26 ottobre 2021) e dell’offerta (13 dicembre 2021), dunque il requisito non sarebbe stato perduto ‘in corso di gara’, bensì non sarebbe stato posseduto affatto. Difatti, la pendenza tributaria rivestirebbe i caratteri previsti dall’art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016 della gravità - traguardando sine dubio la soglia normativamente prevista di euro 5.000 in forza del richiamo all’art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973 - nonché della definitività, non essendo stato impugnato l’invito al pagamento notificato il 16 luglio 2020 dalla Segreteria della Terza Sezione in sede giurisdizionale del Consiglio di Stato.

3.2. – A detta di Markas, l’operato della Stazione appaltante, avallata dal primo giudice, sarebbe stato fallace nella misura in cui si sarebbe limitata alla verifica puntuale della certificazione di regolarità fiscale ad una certa data senza avvedersi che tale certificazione non copriva l’intero lasso temporale di rilevanza, ossia sin dal momento di presentazione dell’offerta in omaggio al principio di continuità del possesso dei requisiti ribadito dalla costante giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St. Ad. Pl. n. 8/2015). Tale approccio si sarebbe inverato ancor più fragile una volta che la controinteressata Markas ha allegato e comprovato documentalmente la pendenza tributaria appena menzionata, ammessa dalla stessa Dussmann in data 13 aprile 2022 nel contesto di un’altra procedura di gara - indetta dall’IPAV - Istituto pubblico di assistenza veneziana - a seguito della visura delle relative cartelle esattoriali comparse nel cassetto fiscale.

In definitiva, Markas, pur senza mettere in discussione frontalmente il principio di sufficienza delle certificazioni rilasciate dall’Autorità fiscale, rivendica il concorrente principio dell’effettiva conoscenza che deve perseguire la Stazione appaltante una volta in possesso di elementi che confutano l’attendibilità – rectius: la completezza – della certificazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate.

3.3. – Sotto altro versante argomentativo, l’appellante appunta l’attenzione sulla dichiarazione di Dussmann tacciandola di reticenza e mendacio per il fatto che la Società non poteva ignorare le proprie pendenze fiscali sub specie di contributi unificati e relativi sanzioni e interessi per i giudizi introdotti, quale mandataria di un raggruppamento temporaneo di imprese, innanzi al giudice amministrativo: indi poteva e doveva, secondo Markas, notiziare la Stazione appaltante indipendentemente dalle risultanze dell’Anagrafe tributaria, per come certificate dall’Agenzia delle entrate. Tale onere informativo sarebbe stato vieppiù cogente allorquando le cartelle esattoriali relativi ai crediti erariali sono apparse nel cassetto fiscale (asseritamente in data 8 marzo 2022) a rimarcare evidentemente che la realizzazione coattiva degli stessi era stata affidata all’agente della riscossione; nondimeno, nulla avrebbe comunicato alla Stazione appaltante. Né successivamente, il primo giudice avrebbe ravvisato gli estremi dell’illecito sul rilievo che “Dussmann, nell’autodichiarazione ha riprodotto la certificazione dell’Agenzia delle Entrate con la quale si accerta, alla data della domanda, la presenza di soli carichi non definitivi, così come rilevati dall’Ente impositore, nonché Ente controllante anche la fase riscossiva, sul sistema informativo nazionale Anagrafe tributaria”, indi, concludendo per il carattere “non mendace o fuorviante [del]la dichiarazione resa da Dussmann il 9 dicembre 2021, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, a fronte di un obbligo di legge specifico, cui è condizionata la misura espulsiva, dichiarativo di carichi definitivamente accertati ed in presenza di una certificazione fiscale da cui emerge ripetutamente, prima e dopo la dichiarazione contestata, l’assenza di irregolarità definitivamente accertate, certificazione che fa fede fino a querela di falso nei confronti dell’Amministrazione e del contribuente”.

4. – Nel costituirsi ritualmente in giudizio, Dussmann ha riproposto ex art. 101 c.p.a. le domande e le eccezioni svolte in primo grado compendiabili, per quanto qui rileva, nei seguenti asserti difensivi:

a) le certificazioni rilasciate dall’Agenzia delle Entrate sarebbero i documenti sufficienti a dimostrare la regolarità fiscale dell’impresa ai sensi degli artt. 80, comma 4, e 86, comma 1, comma 2 lett. b) e comma 2-bis D.lgs. 50/2016, di tal ché Dussmann avrebbe dimostrato la propria posizione di regolarità fiscale, senza soluzione di continuità, anche avuto riguardo alla loro validità semestrale ex art. 86, comma 2-bis d.lgs. 50/2016 (coprendo un periodo che va dal 12 ottobre 2021 al 30 giugno 2023), e dunque, per quanto attiene alla controversia in esame, sia alla data di presentazione dell’offerta, sia nel corso della gara, sia alla data di aggiudicazione, sia in data successiva ad essa.

b) le eventuali (ma nel caso di specie insussistenti) irregolarità nel pagamento dei contributi unificati giudiziari non sarebbero riconducibili alla previsione di cui all’art. 80, comma 4, d.lgs. 50/2016 in ragione della non ascrivibilità della species contributo unificato nelle categorie tributarie contemplate dall’art. 80, co. 4 – i.e. imposte, tasse e contributi previdenziali – e ciò sia per la sua peculiare natura di spesa del processo, sia per la peculiare modalità di notifica dell’atto impositivo, che avviene al domicilio eletto presso il difensore (domicilio eletto, però, ai fini processuali e non già a fini fiscali), sia, inoltre, per la riallocazione dell’onere tributario in capo alla parte soccombente all’esito del giudizio ex art. 13, co. 6-bis d.P.R. 115/2002 (che, nel caso del giudizio NRG 5062/2020 cui si riferiva la pendenza, sarebbe stata l’ASL Roma 2 e la società controinteressata). Peraltro, nella fattispecie occorsa il debito tributario si riferirebbe alle sole sanzioni (estinte da ultimo in data 29 giugno 2022), essendo stato tempestivamente assolto il debito relativo alla sorte capitale del contributo (quietanzato in data 21 dicembre 2020).

5. – L’Azienda Unità Sanitaria Locale Irccs di Reggio Emilia, costituitasi nel giudizio di appello nella qualità di amministrazione appellata, ha resistito al gravame con cadenze difensive analoghe a quelle svolte da Dussmann in ordine al tema decisorio in esame.

6. – In occasione della camera di consiglio del 26 marzo 2024 le parti hanno assentito all’abbinamento al merito con rinvio della discussione all’udienza pubblica del 13 giugno 2024.

7. – Nel frattempo, l’Adunanza plenaria, investita delle questioni interpretative sollevate nel parallelo giudizio allibrato al NRG 5564/2023, si è pronunciata con la sentenza n. 7 del 24 aprile 2024 decidendo la controversia nel merito e, segnatamente, disponendo l’annullamento dell’aggiudicazione in favore di Dussmann.

8. – Alla luce della sopravvenuta pronuncia dell’organo nomofilattico le parti hanno svolto diffuse difese in vista dell’udienza pubblica del 13 giugno 2024.

8.1. – Dussmann, in particolare, ha premesso che le rationes decidendi che sorreggono il decisum nomofilattico non sarebbero esportabili nel presente giudizio in ragione della mancata impugnazione dei capi di sentenza di prime cure che affermano l’esclusiva competenza dell’Agenzia delle entrate a certificare la regolarità fiscale dell’impresa e la sufficienza delle stesse certificazioni versate agli atti del presente giudizio da cui non emergerebbero gli estremi di una pendenza fiscale definitivamente accertata precedente alla dichiarazione resa da Dussmann. A detta di Dussmann, l’appellante Markas avrebbe impugnato solo la statuizione nella parte in cui la stazione appaltante – e il primo giudice – si sono contentati delle certificazioni puntuali senza accedere a visure storiche della posizione di regolarità fiscale dell’aggiudicataria (tipologia di visura, peraltro, non contemplata dall’ordinamento).

In definitiva, mutuando le parole della difesa Dussmann “il passaggio in giudicato dei capi della sentenza n. 18/2024 riportati al punto 2.2 che precede determina una preclusione processuale a carico di Markas che non consente la sovrapponibilità della controversia in esame con quella decisa dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 7/2024”, né l’ingresso della “tesi che individua nel Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa il soggetto titolato a certificare in ordine al contributo e alla sanzione in caso di ritardato pagamento”.

8.2. – In secondo luogo, Dussmann ribadisce la propria tesi circa l’infondatezza del primo motivo di appello per assenza della notifica della sanzione e di una certificazione attestante la sussistenza a carico di Dussmann Service di una violazione fiscale definitivamente accertata – tali infatti non sarebbero le comunicazioni pervenute dalla Segreteria della Terza Sezione di questo Consiglio, in quanto meramente riepilogative della vicenda. Insiste, dipoi, sulla infondatezza del primo motivo di appello per distonia con la ratio dell’art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016, ispirata alla salvaguardia dell’affidabilità, solvibilità e solidità finanziaria dell’operatore economico. Secondo la tesi di Dussmann, infatti, il contributo unificato non rientrerebbe nel genus “imposte e tasse” cui fa riferimento la disposizione del codice dei contratti pubblici, reiterando le movenze difensive già sunteggiate supra sub 4.b.

8.3. – Prosegue Dussmann lamentando, in via innovativa rispetto al precedente schema difensivo, l’assoluta sproporzione che vizierebbe la misura espulsiva - sussunta nel genus delle sanzioni - per una debenza tributaria di soli 18 mila euro a fronte di un appalto del valore di circa 10 milioni di euro: invoca al riguardo il recente revirement della giurisprudenza più recente della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che avrebbe sancito l’efficacia diretta del principio di proporzionalità della pena di cui all’art. 49, par. 3, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea (v. sentenza CGUE, 8 marzo 2022, causa C-205/20 (NE).

8.4. – In via subordinata alle considerazioni che precedono, la difesa di Dussmann prospetta due profili di illegittimità costituzionale della disciplina dettata in materia di cause di esclusione sub specie di regolarità fiscale in relazione agli artt. 3, 41 e 97 Cost.:

I) sotto un primo angolo prospettico, l’esegesi dell’art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016 offerta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella ridetta pronuncia n. 7 del 24 aprile 2024, consistente nel sussumere il contributo unificato nell’ampio genus di “imposte e tasse”, colliderebbe coi principi di ragionevolezza e uguaglianza sostanziale giacché parificherebbe, quoad effectum, le conseguenze escludenti di inadempienze tributarie concernenti tributi soggetti a regimi dissimili (in special modo per quanto attiene alle modalità di notifica degli atti impositivi e alla potestà certificatoria);

II) sotto un secondo angolo visuale, la difesa di Dussmann censura il meccanismo determinativo della soglia di gravità ex lege delle violazioni tributarie definitivamente accertate di cui al secondo periodo dell’art. 80, co. 4, d.lgs. 50/2016 laddove, nell’operare un rinvio all’articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, fissa tale soglia in misura invariabile nell’importo di euro 5.000. Siffatta determinazione, fissa e invariabile, urterebbe coi principi di ragionevolezza e proporzionalità, nelle due versioni della proporzionalità cardinale e ordinale: segnatamente, la sanzione espulsiva che consegue allorquando la violazione tributaria supera tale soglia costituisce misura estremamente severa e afflittiva che si connota per la palese sproporzione sia in termini assoluti (proporzionalità cardinale) essendo una soglia di modestissimo valore che giunge ad equiparare sul piano sanzionatorio inadempienze di qualsiasi entità, sia in termini relativi (proporzionalità ordinale) se si ragguaglia tale importo al valore, sovente milionario, delle commesse pubbliche per cui si compete. In definitiva, si verrebbe a delineare un automatismo espulsivo che esautora la stazione appaltante da qualsivoglia ponderazione rispetto alla tenuità dell’infrazione fiscale e del disvalore sociale che la caratterizza

Sempre sul versante della proporzionalità ordinale, Dussmann addita quale tertium comparationis il ben diverso meccanismo commisurativo delineato dall’art. 80, c. 4, settimo periodo per le violazioni non definitivamente accertate che, demandando l’integrazione della disciplina alla fonte regolamentare, intervenuta poi col D.M. 28 settembre 2022, àncora la soglia di gravità al valore dell’appalto, secondo una funzione lineare di correlazione (coefficiente di proporzionalità 10%), e fa salva comunque la fissazione di un minimum invariabile al di sotto del quale la violazione non può mai reputarsi grave (individuata nel valore di 35 mila euro).

8.5. – I profili di criticità costituzionale vengono riversati anche in analoghe questioni di compatibilità unionale giacché l’art. 57, paragrafo 3, Dir. 2014/24/UE, nel consentire al singolo Stato membro di introdurre deroghe alle cause di esclusione obbligatorie dalle procedure di appalto, le correla pur sempre al criterio di proporzionalità rispetto al quale si porrebbe in stridente contrasto la fissazione di una soglia unica predeterminata in un importo irrisorio (I questione). Ulteriore profilo di contrasto viene ravvisato nella circostanza che la causa di esclusione automatica dalle procedure d’appalto si estenda anche al mancato o ritardato pagamento della sanzione per l’omesso o ritardato versamento di un contributo unificato (II questione), peraltro a fronte di un’applicazione della sanzione dichiaratamente eventuale e in difetto di una decisione amministrativa avente effetto definitivo e vincolante (III questione).

La causa di esclusione si porrebbe ulteriormente in contrasto coi canoni di ragionevolezza e proporzionalità anche a mente del fatto che la sanzione risulterebbe non dovuta perché relativa ad un contributo unificato afferente a un giudizio conclusosi con sentenza ad esso favorevole, indi il soggetto passivo del contributo unificato sarebbe identificato nella parte “soccombente” nel giudizio cui esso si riferisce (IV questione). Da ultimo, Dussmann denuncia il contrasto dell’art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016 con l’art. 57, paragrafo 2, ultimo capoverso Dir. 2014/24/UE in quanto la causa di esclusione non potrebbe essere applicata all’operatore economico che ha ottemperato all’obbligo di pagamento della sanzione (V questione). Infine, la difesa della controinteressata rileva la contrarietà con i principi di ragionevolezza e proporzionalità della causa di esclusione per assenza assoluta di discrezionalità tanto più alla luce della irrisorietà della somma in questione (VI questione): incomberebbe, difatti, sulla Pubblica Amministrazione il dovere di operare una valutazione, caso per caso, ogniqualvolta la situazione debitoria risulti dipendente da “vicende peculiari” (come sarebbe quella di specie, vista la notoria solvibilità e solidità finanziaria di Dussmann e la produzione in atti di plurime certificazioni di regolarità fiscale) dovendo sempre residuare un margine di discrezionalità in merito alla valutazione se sia coerente con la ratio legis l’esclusione dell’operatore economico dalle procedure d’appalto.

9. – Le parti hanno espletato lo scambio di memorie di replica ex art. 73 c.p.a. prima della discussione della causa all’udienza pubblica del 13 giugno 2024. In sede di discussione orale Markas ha posto l’accento sull’inconfigurabilità dell’esclusione quale sanzione, con conseguente inconferenza della copiosa giurisprudenza formatasi sul principio di proporzionalità in campo sanzionatorio.

Il collegio difensivo di Dussmann ha insistito sulla preclusione processuale all’ingresso delle statuizioni dell’Adunanza Plenaria n. 7/2024 in ossequio al divieto di nova in appello, mentre ha posto l’enfasi sulla plateale sproporzione tra il debito tributario inadempiuto (18 mila euro) e la radicale conseguenza espulsiva dalla gara per l’aggiudicazione di un appalto di valore pari a circa 600 volte il debitum.

All’esito della discussione, la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

DIRITTO

1. – Il Collegio deve dapprima esaminare le questioni preliminari sollevate dalle argomentazioni incrociate delle parti onde avvalorare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale che si delineerà infra.

In primo luogo, deve confutarsi l’asserto propugnato da Dussmann secondo cui si sarebbe formata una preclusione processuale all’ingresso delle pertinenti statuizioni dell’Adunanza Plenaria n. 7 del 24 aprile 2024 per via del passaggio in giudicato dei capi non impugnati della sentenza gravata in questa sede da Markas. Come sunteggiato in narrativa sub 8.1 si tratterebbe dei capi decisori che affermano l’esclusiva competenza dell’Agenzia delle entrate a certificare la regolarità fiscale dell’impresa e la sufficienza delle stesse certificazioni versate agli atti del presente giudizio da cui non emergerebbero gli estremi di una pendenza fiscale definitivamente accertata precedente alla dichiarazione resa da Dussmann (v. punti 1 e 2 memoria Dussmann 28 maggio 2024).

– Siffatto opinare non può essere condiviso.

L’equivoco che inficia il ragionamento della difesa di Dussmann va ricondotto alla nozione di “capo di sentenza” che non deve essere frainteso con i singoli passaggi argomentativi in cui si snoda la disamina di un motivo di ricorso, bensì nell’insieme di asserti che definiscono, nella loro unitarietà decisionale, una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente e determinante ai fini dell'accertamento della situazione soggettiva oggetto del processo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 gennaio 2023, n. 421). Del resto, la corretta individuazione del capo di sentenza concorre a delimitare il cono dell’effetto devolutivo dell’appello quale mezzo di impugnazione della sentenza tale da circoscrivere il potere cognitorio e decisorio del giudice di secondo grado: il giudicato su un capo autonomo si forma solo in caso di omessa impugnazione di tale capo con conseguente mancata devoluzione della questione al Giudice d’appello e conseguente preclusione di estendere la cognitio causae a questioni che non siano comprese nel perimetro definito dai motivi di impugnazione (cfr., tra le molte, Cons. giust. amm. reg. sic., Sez. I, 26 febbraio 2021, n. 157 nonché Cons. Stato, Sez. V, 10 settembre 2012, n. 4773).

Milita in senso concorde anche la giurisprudenza civile di legittimità, secondo cui “in tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione” (Cass. Civ., sez. I, 15 dicembre 2021, n. 40276).

Più operativamente, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che il perimetro definito dall'impugnazione non si misura avendo riguardo alla espressa menzione o meno di una o più previsioni normative nell’atto di appello, ma alla sussistenza di censure relative al capo decisorio che affronta le questioni giuridiche che ruotano intorno a tali previsioni (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 gennaio 2023, n. 421).

1.2. – Trasponendo tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, Markas ha impugnato la sentenza n. 18/2024 del TAR Parma per error in iudicando in relazione al primo motivo di ricorso, del quale ha integralmente riproposto le cadenze censorie sia con riguardo alla violazione tributaria grave e definitivamente accertata concernente il mancato versamento del contributo unificato e delle relative sanzioni dovute per l’introduzione del giudizio N.R.G. 5062/2020 innanzi al Consiglio di Stato (censura ben esplicitata ai punti 4, 13, 15 del ricorso in appello); sia con riguardo alla conseguente falsità dichiarativa in cui sarebbe incorsa Dussmann allorquando ha dichiarato la propria regolarità fiscale sulla scorta dei certificati rilasciati dall’Agenzia delle entrate (v. paragrafo rubricato “Secondo ordine di critiche: la dichiarazione di Dussmann”).

Indi, deve ritenersi che l’appello proposto da Markas ha devoluto l’intero ambito cognitorio e decisorio affrontato e deciso dal primo giudice senza possibilità di estrapolare artatamente i passaggi decisori che concernono la potestà certificatoria dell’Agenzia delle entrate e la sufficienza dei relativi certificati fiscali. Invero, tali temi costituiscono presupposti decisori per la corretta delibazione del primo motivo di appello, e non se ne può prescindere sulla scia degli argomenti di marca parcellizzante patrocinati dalla difesa di Dussmann.

1.3. – Tale imprescindibilità si apprezza in modo vieppiù stringente a mente del fallace passaggio motivazionale del primo giudice allorquando soggiunge che “la ricorrente nella memoria di replica precisa che il primo motivo di ricorso può essere deciso anche in pendenza della rimessione all’Adunanza Plenaria in considerazione del fatto che nella presente controversia non si verte in ordine alla continuità del possesso dei requisiti bensì in relazione alla omissione o falsità dichiarativa al momento della presentazione della domanda di partecipazione da parte della Dussmann”.

Così non è.

Nella memora di replica del 10 gennaio 2024 Markas ha ben diversamente affermato che “il giudizio presente può ben essere deciso senza attendere l’esito della Plenaria. Essa si limiterà a chiarire se “il principio della necessaria continuità del possesso in capo ai concorrenti dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure selettive comporti sempre il dovere di ciascun concorrente di informare tempestivamente la stazione appaltante di qualsiasi irregolarità che dovesse sopravvenire in corso di gara” (ordinanza 161/2024, primo quesito) e se sia dovere della S.A. l’ “acquisizione di certificazioni estese all’intero periodo dalla presentazione dell’offerta fino all’aggiudicazione”(secondo quesito). Infine se “il concorrente che impugni l’aggiudicazione possa dimostrare, e con quali mezzi, che in un qualsiasi momento della procedura di gara l’aggiudicataria ha perso il requisito dell’assenza di irregolarità” (terzo quesito). Questioni che non riguardano direttamente il presente giudizio, posto che è chiaro che il debito era preesistente al bando, e precludeva la partecipazione di Dussmann alla procedura, nonché imponeva alla stessa una dichiarazione esaustiva (a fronte della quale l’esclusione automatica sarebbe stata atto vincolato)”.

2. – Diradati questi primi dubbi applicativi, il Collegio reputa pienamente esportabili le rationes decidendi enunciate nell’arresto dell’organo nomofilattico e concernenti la medesima quaestio iuris, ossia la rilevanza escludente della pendenza tributaria di Dussmann per la mancata corresponsione della somma di euro 18 mila a titolo di contributo unificato e relative sanzioni per il deposito del ricorso in appello allibrato al N.R.G. 5062/2020 innanzi a questo Consiglio. Conviene dunque passarle in rassegna con una rapida carrellata che conduca la presente trattazione ai nodi ancora controversi.

2.1. – In primo luogo, il Supremo consesso in sede nomofilattica ha ribadito il principio della necessaria continuità del possesso dei requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis secondo cui il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica deve possedere, continuativamente - ossia a partire dal momento della presentazione dell'offerta e sino alla stipula del contratto e poi ancora fino all'adempimento dell'obbligazione contrattuale - i necessari requisiti di ammissione e ha l'onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza di uno qualunque dei requisiti e di informare, tempestivamente, la stazione appaltante di qualsivoglia sopravvenienza tale da privarlo degli stessi (ex plurimis, Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; Sez. V, 2 maggio 2022, n. 3439; 12 febbraio 2018, n. 856; Sez. IV, 1° aprile 2019, n. 2113).

Tale principio di rilevanza sostanziale si irradia sull’intera latitudine dei poteri accertativi della stazione appaltante, pungolati se del caso anche da motivate e documentate istanze dei controinteressati, e, correlativamente, sugli oneri dichiarativi degli operatori economici anche in ossequio ai canoni di collaborazione e buona fede ex art. 1, co. 2-bis legge n. 241/1990 (oggi recepiti settorialmente anche nel nuovo codice dei contratti all’art. 5 d.lgs. 36/2023), di tal ché la Plenaria afferma:

a. poiché i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della gara e sino alla stipula del contratto (e poi ancora fino all'adempimento delle obbligazioni contrattuali), discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all'intero periodo (Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; id. 25 febbraio 2014, n. 10; Sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2231; Sez. III, 10 novembre 2021, n. 7482);

b. il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica ha l'onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell'offerta, l'eventuale carenza di uno qualunque dei requisiti e di informare, tempestivamente, la stazione appaltante di qualsivoglia sopravvenienza tale da privarlo degli stessi (cfr. ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; Sez. V, 2 maggio 2022, n. 3439; 12 febbraio 2018, n. 856; Sez. IV, 1° aprile 2019, n. 2113);

c. indipendentemente dalle verifiche compiute dalla stazione appaltante, il concorrente che impugna l'aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l'aggiudicatario fosse privo, ab origine, della regolarità fiscale, sia che egli abbia perso quest'ultima in corso di gara.

Parallelamente, sul versante più strettamente probatorio della sussistenza del requisito di regolarità fiscale la Plenaria ha fornito due delucidazioni cruciali ribadendo, da un lato, che “i certificati rilasciati dalle autorità competenti, in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente, hanno natura di dichiarazioni di scienza e si collocano fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, per cui si impongono alla stazione appaltante, esonerandola da ulteriori accertamenti”; dall’altro, che resta salvo il potere di accertamento incidentale del giudice amministrativo (ossia senza efficacia di giudicato nel distinto rapporto tributario o previdenziale) volto a sindacare “la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente”.

2.2. – Tanto chiarito in linea generale, giova ora stringere il fuoco dell’esame sulla posizione tributaria di Dussmann giacché l’Adunanza Plenaria ha deciso nel merito il giudizio parallelo che verteva sulla medesima fattispecie escludente (v. punti 3 e 4 memoria Dussmann 28 maggio 2024).

Segnatamente l’organo nomofilattico ha concluso che, nella procedura bandita da ARIA, Dussmann risultava priva del requisito di regolarità fiscale giacché “al momento della presentazione dell'offerta, l'aggiudicataria risultava, infatti, in debito, col Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, della somma di 18.000 euro, quale sanzione per il mancato tempestivo versamento del contributo unificato dovuto per l'iscrizione a ruolo del ricorso in appello r.g. 202005062”. Siffatta conclusione pare trapiantabile de plano anche nella fattispecie de qua giacché si evince per tabulas (v. sub doc. C) deposito Dussmann 23 maggio 2024) che:

i. come da nota a firma del dirigente della Segreteria della Terza Sezione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, datata 19 luglio 2020, Dussmnan è risultata inadempiente rispetto al versamento del contributo unificato in relazione al contenzioso allibrato al N.R.G. 5062/2020;

ii. tale invito costituisce a tutti gli effetti atto di accertamento della pretesa tributaria e, come enunciato expressis verbis dal provvedimento stesso, anche atto di applicazione della sanzione nella misura indicata a seconda della scansione temporale della regolarizzazione;

iii. l’atto è rimasto pacificamente inoppugnato e il relativo accertamento deve ritenersi definitivo;

iv. Dussmann ammette altrettanto pacificamente di aver pagato in data 21 dicembre 2020 e per il tramite della mandante Formula Servizi, unicamente euro 9.000, anziché l’intero debito, a quel momento ammontante a euro 27 mila a causa dell’applicazione delle sanzioni, e che il saldo finale della pendenza è avvenuto solo il 29 giugno 2022;

v. indi è residuato un debitum pari a euro 18 mila, somma ictu oculi superiore alla soglia normativamente prevista dall’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 in virtù del rinvio fisso operato dall’art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016;

vi. la domanda di partecipazione nella gara di cui si discute risale al 9 dicembre 2021, sicché non può revocarsi in dubbio che a quella data Dussmann fosse carente del requisito di regolarità fiscale.

A tal riguardo, la Plenaria ha ben chiarito come non possono rivestire valenza esimente le certificazioni di regolarità fiscale rilasciate dall’Agenzia delle entrate giacché esse dispiegano effetti esclusivamente in relazione ai tributi erariali amministrati dall’Agenzia, tra i quali non rientra il contributo unificato, che è invece gestito per espressa previsione regolamentare (v. art. 247 d.P.R. 115/2002), dall’Ufficio giudiziario “presso il magistrato dove è depositato l'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del contributo unificato”. L’Organo nomofilattico ha, infatti, puntualizzato che “non rileva il fatto che al momento della presentazione dell'offerta nel cassetto fiscale della Dussmann non risultassero pendenze tributarie o che la regolarità fiscale fosse stata accertata dall'Agenzia delle Entrate e dall'ANAC tramite l'AVCPASS. Infatti, il contributo unificato non rientra tra le imposte amministrate dall'Agenzia delle Entrate, per cui i debiti a esso relativi non vengono iscritti nel ‘cassetto fiscale'. Solo a seguito dell'emissione del ruolo e della sua consegna all'Agenzia delle Entrate - Riscossione per la procedura esattoriale, l'esistenza del debito è comparsa, attraverso l'indicazione della relativa cartella, nel ‘cassetto fiscale', ma senza alcuna influenza sulla regolarità fiscale della Dussmann, ormai già insussistente. Analoghe considerazioni vanno svolte quanto al certificato rilasciato dall'Agenzia delle Entrate, il quale attesta la situazione fiscale del contribuente unicamente con riguardo alle imposte gestite dal detto ufficio, mentre non rileva per i tributi gestiti da altre amministrazioni, come per l'appunto il contributo unificato”.

2.3. – Non si profilano conferenti neanche le eccezioni svolte da Dussmann attinenti alla peculiare natura del contributo unificato e delle sue modalità di accertamento e relativa notifica (v. punto 5 memoria Dussmann 28 maggio 2024).

Osserva, difatti, in via dirimente e conclusiva la Plenaria che “il contributo unificato va ascritto alla categoria delle entrate tributarie, delle quali condivide tutte le caratteristiche essenziali, "quali la doverosità della prestazione e il collegamento della stessa ad una pubblica spesa, cioè quella per il servizio giudiziario, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante" (cfr. Corte Cost., 7 febbraio 2005, n. 73; Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2020, n. 2785; Cass. Civ., Sez. Un., 5 maggio 2011, n. 9840). Identica natura fiscale va riconosciuta alle sanzioni pecuniarie conseguenti al mancato o al ritardato pagamento del contributo unificato, trattandosi di obbligazioni accessorie che hanno fondamento in un rapporto di tipo tributario (si veda l'art. 2, comma 1, del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, infatti, attribuisce la giurisdizione sulle sanzioni in parola al Giudice Tributario). Il mancato pagamento delle sanzioni irrogate a seguito del mancato versamento del contributo unificato nei tempi previsti integra la causa di esclusione prevista dall'art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50 del 2016, laddove la violazione sia grave e definitivamente accertata”.

Quanto alla modalità di accertamento e relativa notifica dell’atto impositivo, sono del tutto prive di pregio le argomentazioni difensive di Dussmann che mirano a ripudiare l’omologazione del contributo unificato al genus di “imposte” e “tasse” menzionato dall’art. 80, co. 4 cit.: è infatti incontestato che, a norma di testo unico sulle spese di giustizia, l’invito al pagamento del contributo unificato avvenga “nel domicilio eletto o, nel caso di mancata elezione di domicilio, è depositato presso l'ufficio”. Rientra, infatti, nell’ordinaria diligenza, vieppiù qualificata come nel caso dell’operatore economico professionale, l’onere di prendere cognizione di quanto perviene presso il domiciliatario, apprestando se del caso apposite misure organizzative o previsioni negoziali che assicurino effettività a tale onere informativo, tenuto conto che l’eventuale noncuranza del domiciliatario non può valere a scriminare la posizione dell’obbligato domiciliante, su cui viene comunque a gravare una presunzione di conoscenza quale logico corollario dell’elezione di domicilio (a comprova di tale argomentare, la Plenaria richiama le argomentazioni della Corte costituzionale che ha respinto la questione di costituzionalità proprio dell’art. 248, co. 2 d.P.R. 115/2002 con la sentenza n. 67/2019). Tanto vale a confutare con tutta evidenza anche l’asserto difensivo che vorrebbe ascrivere natura sopravvenuta al debito tributario (v. punto 7 memoria Dussmann 28 maggio 2024): la rituale notifica al domiciliatario perfezionatasi il 16 luglio 2020 vale ex se a relegare tali asserzioni nel campo delle mere speculazioni difensive.

Parimenti inconferente è l’argomento con cui Dussmann valorizza il disposto dell’art. 13, co. 6-bis d.P.R. 115/2002 laddove pone l’onere del pagamento del contributo unificato in capo alla parte soccombente una volta formatosi il giudicato sulla pronuncia, disposizione che troverebbe applicazione nel caso del giudizio davanti al Consiglio di Stato (R.G. 5062/2020) che si è concluso con la sentenza n. 5564 del 24 settembre 2020 in senso favorevole a Formula Servizi e a Dussmann Service (v. punto 6 memoria Dussmann 28 maggio 2024). Come chiarito dalla Plenaria, la disposizione assolve ad un’esclusiva funzione ri-allocativa dell’onere economico senza mutare la soggettività passiva del rapporto tributario, come si evince dal nitido art. 14, co. 1 d.P.R. 115/2002 (la parte “che deposita il ricorso introduttivo ... è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato”: nel caso di specie, l’obbligazione tributaria gravava in solido su Dussmann e Formula servizi, in quanto mandataria e mandante del r.t.i.).

3. – Dipanati tutti i nodi interpretativi preliminarmente posti da Dussmann, il Collegio giunge, infine, al nucleo tematico che rende necessaria la rimessione di una specifica questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, co. 4, primo e secondo periodo, d.lgs. 50/2016.

Invero, la difesa di Dussmann prospetta due distinte questioni di costituzionalità, la prima delle quali per violazione degli artt. 3, 41 e 97 Cost. e contrarietà ai principi di proporzionalità, ragionevolezza e uguaglianza ove la disposizione in parola sia interpretata nel senso che la causa di esclusione automatica debba essere applicata indistintamente e senza differenziazioni a fattispecie di “tributi” e/o “contributi” e/o “sanzioni pecuniarie” (non espressamente qualificati in termini di “imposte”, “tasse” e “contributi previdenziali”) che non presentano caratteristiche simili e che sono sottoposte ad una normativa peculiare e specifica.

3.1. – La tesi di Dussmann, in sostanza, lamenta la “disparità di trattamento tra gli operatori economici che siano incorsi in violazioni rispetto agli obblighi relativi al pagamento di “imposte” e “tasse” contestate mediante atti (avvisi di accertamento) ad essi notificati personalmente e di cui hanno pertanto evidenza diretta e la cui sussistenza, ai fini della partecipazione alle gare di appalto, può essere verificata mediante l’acquisizione dei certificati dell’Agenzia delle Entrate, e gli operatori economici che siano incorsi in violazioni rispetto al pagamento di “contributi unificati” o connesse “sanzioni pecuniarie” contestate mediante un atto (“invito al pagamento del contributo unificato ed eventuale applicazione di sanzione”) ad essi non notificato personalmente e la cui sussistenza non può essere verificata mediante i certificati rilasciati dalla Agenzia delle Entrate”.

Il Collegio è, tuttavia, dell’avviso che tale disparità non sussista: ad un’attenta disamina sistematica, il meccanismo divisato dal legislatore per assicurare la conoscenza legale degli atti impositivi dei tributi erariali amministrati dall’Agenzia dell’entrate e del contributo unificato presenta una matrice comune. Più nello specifico, basta prendere in considerazione la disciplina dettata in materia di accertamento di imposte sui redditi – d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – per constatare, all’art. 60, che “la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita secondo le norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile, con le seguenti modifiche […] d) è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano”. Tale disciplina si estende anche all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto in virtù del rinvio mobile operato dall’art. 56 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (“Le rettifiche e gli accertamenti sono notificati ai contribuenti, mediante avvisi motivati, nei modi stabiliti per le notificazioni in materia d'imposte sui redditi”).

Ebbene, la disciplina dettata per la notificazione degli atti impositivi relativi al versamento del contributo unificato non si discosta da quella generale prevista per le imposte sui redditi salvo per la peculiarità di elevare a modalità di default proprio la notifica presso il domiciliatario e ciò in considerazione della peculiarità del rapporto processuale che esige, fatti salvi i casi tipizzati di difesa in proprio (v. ad es. art. 23 c.p.a.), l’obbligatorietà del patrocinio di un avvocato abilitato.

Indi, deve concludersi che l’opzione regolatoria qui in esame, asseritamente foriera di disparità, risponde invero ad un intento di razionalizzazione e semplificazione dei rapporti tra fisco e contribuente, che fa leva sulla necessaria intermediazione del difensore domiciliatario, e deve ritenersi esente dai vizi che le vorrebbe imputare il collegio difensivo di Dussmann.

4. – Di tutt’altro spessore è la seconda questione profilata da Dussmann che punta i riflettori sulla qualificazione di gravità della violazione tributaria al mero superamento della soglia fissa e predeterminata di cinquemila euro, in forza della relatio all’art. 48-bis d.P.R. 602 del 1973, per tacciarla di contrasto con l’art. 3 Cost., sub specie di contrasto coi principi di ragionevolezza e proporzionalità, cardinale e ordinale in rapporto al tertium comparationis rappresentato dal più temperato meccanismo di commisurazione della soglia di gravità per le violazioni non definitivamente accertate di cui al settimo periodo del medesimo comma 4 dell’art. 80.

5. – Alla luce dell’ampia disamina sin qui svolta il Collegio ritiene innanzitutto la questione rilevante ai fini della decisione della presente controversia.

L’esclusione dell’operatore economico dovrebbe conseguire quale effetto vincolato e automatico al riscontro del superamento della soglia normativamente scandita in caso di violazione definitivamente accertata della normativa tributaria, sicché il gravame proposto da Markas dovrebbe trovare accoglimento con la conseguente esclusione di Dussmann dalla procedura alla luce dell’acclarata violazione della normativa fiscale in materia di contributo unificato, definitivamente accertata stante l’intervenuta inoppugnabilità dell’atto di accertamento del 16 luglio 2020 e l’incontrovertibile gravità della stessa in quanto il debitum tributario residuo ammontava a 18 mila euro sino al momento regolarizzazione definitiva avvenuta il 29 giugno 2022, quindi traguardava la soglia di euro 5 mila stabilita dall’art. 80, co. 4, secondo periodo, d.lgs. 50/2016 per rinvio fisso all’art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973. Né rileverebbero in alcun modo le sorti del secondo motivo di appello, incentrato sui denunciati profili di anomalia dell’offerta di Dussmann, il cui scrutinio sarebbe logicamente e necessariamente successivo al tema decisorio dell’ammissibilità della sua partecipazione.

Si profila, dunque, all’orizzonte applicativo della vertenza una fattispecie di vero e proprio automatismo escludente che non consente graduazioni rispetto all’intrinseco disvalore della violazione, né parametrizzazioni con il valore della commessa pubblica per cui si compete, con il risultato che, come stigmatizza la controinteressata, “la sanzione espulsiva da un appalto di circa 10 milioni di Euro, secondo l’appello di Markas, troverebbe fondamento nel mancato, o meglio ritardato, pagamento di Euro 18.000”.

Il limpido dato testuale non lascia spazio per esegesi difformi, né operazioni ermeneutiche correttive: non si può, infatti, far luogo alla disapplicazione della norma nazionale, pur invocata dalla difesa di Dussmann (v. punto 8 memoria Dussmann 28 maggio 2024), in forza dell’efficacia diretta del principio di proporzionalità eurounitario secondo le coordinate applicative tracciate dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea 8 marzo 2022, C-205/20 (NE). La pronuncia del giudice unionale fa espresso riferimento alla branca del diritto sanzionatorio laddove il diritto dell’Unione prescrive di assicurare l’osservanza delle proprie norme (nella specie, le disposizioni della direttiva 96/71/CE) con sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive” – secondo la felice formula originariamente coniata dagli stessi giudici comunitari nella pronuncia 21 settembre 1989, causa C-68/88, Commissione c. Grecia - e statuisce che, facendo leva sull’effetto diretto della direttiva in parte qua, “il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone alle autorità nazionali l’obbligo di disapplicare una normativa nazionale, parte della quale è contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni previsto all’articolo 20 della direttiva 2014/67, nei soli limiti necessari per consentire l’irrogazione di sanzioni proporzionate”.

La direttiva 24/2014/UE non qualifica, infatti, l’esclusione dalla procedura in termini sanzionatori, né riproduce la formula ormai tralatizia coniata nella ricordata pronuncia Commissione c. Grecia del 1989, sicché il Collegio non ravvisa margini per un’esegesi eurounitariamente conforme che faccia ricorso alla disapplicazione normativa “per consentire l’irrogazione di sanzioni proporzionate”. Del resto, a ben vedere non pare possa discorrersi di sanzione in senso tecnico essendo l’esclusione dalla procedura una conseguenza necessitata dalla carenza di un requisito di ordine generale per l’ammissione alla gara.

Parimenti, non appare percorribile una linea ermeneutica adeguatrice che, recuperando un nesso di correlazione tra l’entità della violazione e il valore della commessa pubblica in palio, assicuri un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in conformità coi canoni di ragionevolezza e proporzionalità ex art. 3 Cost.: qualsivoglia intervento disapplicativo/manipolativo comporterebbe di fatto un’eterointegrazione normativa, emulativa della soluzione regolatoria più graduata recata dalla previsione di cui al settimo periodo del medesimo comma 4. Operazione sostanzialmente creativa preclusa, con tutta evidenza, a questo giudice a quo.

Tanto considerato, il Collegio rimettente deve concludere che l’unica soluzione applicativa prospettabile de jure condito nella controversia in esame sarebbe rappresentata dall’accoglimento del gravame - come del resto concluso dall’Adunanza plenaria n. 7/2024 nella vertenza speculare - in piana applicazione della disposizione della cui tenuta costituzionale si viene invece a dubitare, in adesione alle notazioni critiche svolte dal collegio difensivo di Dussmann.

Indi, la rilevanza della questione si impone con tutta evidenza senza possibilità alcuna di soluzioni costituzionalmente conformi che possano scongiurare il presente incidente di costituzionalità.

6. – Con riguardo al presupposto della non manifesta infondatezza della questione si impongono alcune considerazioni di carattere preliminare di indole storico-sistematica.

6.1. – Il requisito della regolarità fiscale ai fini della partecipazione di un operatore economico alle procedure evidenziali per l’assegnazione di commesse pubbliche non è mai mancato nella trama positiva adottata dallo Stato italiano in attuazione delle direttive comunitarie via via susseguitesi.

L’art. 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nel disciplinare i requisiti di ordine generale per la partecipazione alle gare già stabiliva l’esclusione dalle procedure di affidamento a carico degli soggetti “che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti” (formulazione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 70/2011, che ha interpolato l’attributo “gravi” dopo “violazioni”). La norma costituisce attuazione facoltativa della previsione di cui all’art. 45 Dir. 2004/18/CE, par. 2, lett. f) (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) secondo cui “Può essere escluso dalla partecipazione all'appalto ogni operatore economico: […] f) che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e delle tasse secondo la legislazione del paese dove è stabilito o del paese dell'amministrazione aggiudicatrice”.

6.2. – La trama positiva si è sviluppata e arricchita con l’avvento della nuova direttiva unionale 2014/24/UE sugli appalti pubblici che ha abrogato la direttiva 2004/18/CE; la disciplina unionale ha, infatti, tracciato un discrimen tra violazioni tributarie definitivamente accertate o meno stabilendo, all’art. 57, par. 2, una dicotomia tra esclusione obbligatoria e facoltativa: da un lato, “un operatore è escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se l’amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza del fatto che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali e se ciò è stato stabilito da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo e vincolante secondo la legislazione del paese dove è stabilito o dello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice”, e, dall’altro, “le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere o possono essere obbligate dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione a una procedura d’appalto un operatore economico se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con qualunque mezzo adeguato che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali”.

Il legislatore nazionale non ha immediatamente recepito l’impianto dicotomico limitandosi a perpetuare la fattispecie di esclusione obbligatoria per le sole violazioni definitivamente accertate fintantoché questo recepimento parziale non è stato oggetto, insieme ad altri profili, dell’attenzione della Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273 promossa con lettera di costituzione in mora del 24 gennaio 2019: la Commissione ha, infatti, ritenuto che “l’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo 50/2016 non è conforme alle disposizioni della direttiva 2014/23/UE e della direttiva 2014/24/UE in quanto non consente di escludere un operatore economico che ha violato gli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali qualora tale violazione – pur non essendo stata stabilita da una decisione giudiziaria o amministrativa avente effetto definitivo – possa essere comunque adeguatamente dimostrata dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore”. Sicché, il governo italiano ha emendato tale profilo di censura con due interventi correttivi: dapprima, l’art. 8, co. 5, lett. b) D.L. n. 76 del 2020 ha coniato ex novo la fattispecie di esclusione non automatica per gravi violazioni non definitivamente accertate, mantenendo l’uniformità della nozione di gravità mercé la relatio all’art. 48-bis d.P.R. 602/1973 (“Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo”); dipoi, con l’intervento novellistico della legge europea 2019-2020 (legge 23 dicembre 2021, n. 238) il legislatore nazionale ha ritenuto di differenziare il congegno determinativo della soglia di gravità per le due fattispecie introducendo, per quelle non definitivamente accertate, il rimando alla fonte regolamentare vincolata dalla parametrizzazione al valore dell’appalto e dalla soglia non inferiore a 35 mila euro (rimando che ha trovato, infine, inveramento con l’emanazione del D.M. 22 settembre 2022, v. infra).

Sicché, il nuovo ordito normativo recato dal contestato art. 80, co. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016 ora recepisce rispettivamente nel primo e nel quinto periodo le fattispecie di esclusione obbligatoria e facoltativa per irregolarità fiscale stabilendo come noto che:

i. un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti;

ii. Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali.

6.3. – La summa divisio tra le due fattispecie è stata sostanzialmente perpetuata anche nella nuova compilazione codicistica emanata in attuazione della legge delega 21 giugno 2022, n. 78 e recata dal decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (non applicabile ratione temporis alla procedura di gara per cui è causa): i compilatori del nuovo codice dei contratti pubblici, ponendosi in un solco di continuità con la disciplina previgente, hanno ritenuto di dare evidenza tassonomica alla disciplina dicotomica introducendo due articoli distinti per le cause di esclusione automatica e non. Sicché, l’art. 94, co. 6 riproduce la disposizione previgente in punto di esclusione obbligatoria, mentre l’art. 95, co. 2 riformula la fattispecie di esclusione non automatica prevedendo che “la stazione appaltante esclude altresì un operatore economico qualora ritenga che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali”: entrambe le disposizioni rinviano all’allegato II.10 per la nozione di grave violazione definitivamente e non definitivamente accertata. Tuttavia, per la fattispecie non automatica si è precisato che la gravità vada in ogni caso valutata anche tenendo conto del valore dell'appalto.

7. – Orbene, la nozione di gravità della violazione tributaria assume valenza decisiva ai fini della presente trattazione: del tutto assente nella prima compilazione sistematica del 2006, essa vi ha fatto il suo ingresso mediante l’innesto operato dal D.L. 70/2011 e, successivamente, è stata perpetuata nel codice dei contratti pubblici del 2016 nell’ottica di dare attuazione alla previsione facoltativa dell’art. 57, par. 3 Dir. 24/2014/UE secondo cui “gli Stati membri possono inoltre prevedere una deroga alle esclusioni obbligatorie di cui al paragrafo 2 nei casi in cui un’esclusione sarebbe chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte o contributi previdenziali”.

Dipoi, l’impianto della disciplina nazionale è rimasto sostanzialmente immutato nella transizione dal codice del 2016 a quello del 2023: per le violazioni definitivamente accertate la soglia di gravità è stata sempre individuata per relationem con l’importo di cui all’art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973 – come noto pari a 5 mila euro (10 mila sino al 31 dicembre 2017). Invero, tale relatio ha operato anche con riguardo alle violazioni non definitivamente accertate almeno sino al 31 gennaio 2022 atteso che l’indomani sono entrate in vigore le modifiche apportate dalla legge europea 2019-2020 (legge 23 dicembre 2021, n. 238) volte a porre rimedio alla procedura di infrazione CE 2018/2273 alla stregua delle quali le gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale sono stabilite mediante un apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e previo parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, recante limiti e condizioni per l'operatività di tale causa di esclusione precisando che tali violazioni devono essere correlate al valore dell'appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro.

7.1. – In attuazione di tale rinvio alla fonte regolamentare è stato adottato il D.M. 28 settembre 2022 giusta il quale la violazione fiscale “si considera grave quando comporta l'inottemperanza ad un obbligo di pagamento di imposte o tasse per un importo che, con esclusione di sanzioni e interessi, è pari o superiore al 10% del valore dell'appalto. [..] In ogni caso, l'importo della violazione non deve essere inferiore a 35.000 euro”. Tale disciplina è stata poi trasfusa nell’allegato II.10 dai compilatori del nuovo codice del 2023 in modo da assicurare organicità e completezza al corpus normativo di nuovo conio.

A ben vedere, la traiettoria evolutiva della disciplina si è caratterizzata per la progressiva emancipazione della figura della “grave violazione non definitivamente accertata”, dapprima del tutto obliterata dal legislatore nazionale, dipoi recuperata sotto il pungolo della Commissione europea e man mano maturata sino ad assumere una fisionomia autonoma sullo specifico versante del predicato di gravità in confronto alla statica monoliticità della fattispecie automatica, individuata invariabilmente dal superamento della soglia di 5 mila euro (10 mila sino al 31 dicembre 2017).

8. – Venendo, dunque, al cuore dei dubbi di legittimità costituzionale che impongono a questo Consiglio di Stato di interpellare il giudice delle leggi per una pronuncia chiarificatrice, ad avviso del Collegio il meccanismo determinativo della soglia di gravità per le irregolarità fiscali a valenza automaticamente escludente di cui al primo e secondo periodo dell’art. 80, co. 4 d.lgs. 50/2016 si pone in tensione insanabile con l’art. 3 Cost. quale crogiuolo in cui si fondono secondo un sapiente dosaggio assiologico i principi cardinali di proporzionalità e ragionevolezza.

8.1. – In termini di inquadramento generale, il principio di proporzionalità è stato enunciato agli inizi del secolo XX dalla dottrina e dalla giurisprudenza germanica, nel contesto specifico del «Polizeirecht» tedesco (le leggi di polizia), e in quel contesto esso implicava che «la polizia non deve sparare ai passeri con i cannoni». Attualmente la proporzionalità è uno degli architravi della giurisprudenza europea delle Corti di Lussemburgo e di Strasburgo. Attraverso il diritto comunitario, la proporzionalità è divenuta uno dei principi generali anche del diritto amministrativo, come argine al potere discrezionale quando questo si imbatte in un diritto fondamentale. Sin dagli anni ’70, poi, la proporzionalità è impiegata nella procedura penale in funzione di minimizzazione delle limitazioni della libertà personale. Il principio di proporzionalità nella elaborazione esegetica ormai consolidatasi viene declinato secondo due modelli – uno trifasico e uno bifasico. Secondo il primo, la proporzionalità si compone di tre elementi: idoneità, necessarietà e proporzionalità in senso stretto. È idonea la misura che permette il raggiungimento del fine, il conseguimento del risultato prefissato, mentre essa è necessaria se è l’unica possibile per il raggiungimento del risultato prefissato o è quella che arreca il minor sacrificio di interessi confliggenti laddove vi sia una pluralità di misure perseguibili. La proporzionalità in senso stretto richiede, invece, che la scelta amministrativa ovvero legislativa non rappresenti un sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato. Mutatis mutandis, nel modello bifasico, prevalentemente adottato dalla Corte di Giustizia UE, il requisito della proporzionalità in senso stretto è insito nei parametri di idoneità e di necessità come fine ultimo del principio nonché canone strutturale cui si conformano le scelte di intervento, siano esse legislative ovvero amministrative.

8.2. – Per converso, il principio di ragionevolezza non pare potersi ridurre a mero complemento di un’endiadi col principio di proporzionalità: pur essendo ancora ampiamente dibattute, le coordinate del confronto dottrinal-giurisprudenziale propendono per una tendenziale ricostruzione autonoma dei due principi. Per essere ragionevole, la norma deve essere coerente con il fine perseguito, ne deve essere deduzione logica, rappresentazione pratica. Oltre che soluzione proporzionata nel senso di idonea e necessaria – deve rispondere ad una precisa esigenza di tutela. Il principio di ragionevolezza comprende a monte la valutazione dei fatti che hanno determinano la decisione legislativa e che perimetrano il bene della vita che si intende proteggere. La ragionevolezza e la proporzionalità, quindi, non possono definirsi sinonimi, ma sono in un rapporto di interdipendenza. Il legislatore – o l’amministrazione nell’esercizio del proprio potere – preliminarmente opera una indagine e una valutazione degli interessi. In secondo luogo deve predisporre una misura che risponda all’interesse da perseguire e che abbia il corretto punto di bilanciamento tra interessi inevitabilmente confliggenti. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, in alcune pronunce, ha distinto i due concetti statuendo che “what is necessary is more than what is desirable or reasonable” (Dudgeon v. the United Kingdom, paragrafi 51-53).

Nelle varie applicazioni che punteggiano la giurisprudenza costituzionale sul tema, si rammenta quanto affermato dalla Corte in punto di bilanciamento di confliggenti interessi e diritti fondamentali per cui “il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del cosiddetto test di proporzionalità, che «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (C. Cost. sentenza n. 1 del 2014, richiamata, da ultimo, dalle sentenze n. 137 del 2018, n. 10 del 2016, n. 272 e n. 23 del 2015 e n. 162 del 2014)” (v. Corte Cost. sent. 21 febbraio 2019, n. 20).

9. – A rigore, l‘odierna materia del contendere si sottrae al dominio dei diritti fondamentali, ma registra nondimeno la contrapposizione tra il diritto alla libera iniziativa economica dei privati, che si estrinseca, nella specie, nella libertà di partecipare al mercato delle commesse pubbliche in condizione di parità con gli altri operatori economici, e l’interesse dell’Amministrazione nella veste di appaltatrice, quale precipitato del canone costituzionale di buon andamento, di contrattare solo con soggetti integri e affidabili, escludendo, per converso quelli immeritevoli di essere destinatari di risorse pubbliche per la realizzazione di opere o servizi nell’interesse generale: a tal riguardo, il requisito di regolarità fiscale rientra a pieno titolo nel novero dei requisiti di ordine generale, i quali attengono alla sfera soggettiva degli operatori economici, delineando in sostanza la loro moralità imprenditoriale. Come chiarito dal preambolo della stessa direttiva 24/2014/UE “una grave violazione dei doveri professionali può mettere in discussione l’integrità di un operatore economico e dunque rendere quest’ultimo inidoneo ad ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico indipendentemente dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l’esecuzione dell’appalto”.

9.1. – L’orizzonte teleologico della disciplina delle cause escludenti non si esaurisce, tuttavia, a tale ratio legis, strettamente inerente alle logiche del sistema dei contratti pubblici: invero, la fattispecie escludente per irregolarità fiscale si è nel tempo prestata agevolmente a fungere da sponda per politiche legislative orientate alla massimizzazione della cd. tax compliance degli operatori economici. Ne costituisce, in definitiva, una spia rivelatrice la circostanza che la relatio normativa operata dal secondo periodo dell’art. 80, co. 4 rimandi ad una disposizione del testo unico sulla riscossione delle imposte sul reddito - l’art. 48-bis - introdotta nel 2006 e successivamente novellata negli anni sino all’intervento dell’art. 1, comma 986, L. 27 dicembre 2017, n. 205 che ha ridotto l’importo soglia da 10 mila euro a 5 mila euro.

Orbene, la previsione recata dall’art. 48-bis incide, in omaggio ad una ratio squisitamente esattiva, specificamente sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni prescrivendo la sospensione del pagamento superiore a tale soglia dovuto a qualsiasi titolo da amministrazioni pubbliche o società a prevalente partecipazione pubblica “se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo”. La segnalazione, per prassi costante dell’agente della riscossione, dà la stura alla procedura esecutiva presso il terzo debitore mediante atto di pignoramento del credito sino a concorrenza della somma dovuta in base alle cartelle insolute, oltre aggi e accessori: il meccanismo emula una sorta di compensazione allargata all’intero settore pubblico, sulla falsariga della cd. compensatio lucri cum damno obliqua prevista in materia di danno erariale (v. art. 1, co. 1-bis, legge n. 20 del 1994) e persegue chiaramente l’obiettivo di assicurare effettività alla pretesa impositiva e preservare gli interessi erariali in fase esattiva.

In tale orbita assiologica, la fissazione di una soglia estremamente bassa, come quella individuata dapprima a 10 mila euro (sino al 31 dicembre 2017) e, successivamente, ribassata all’importo pressoché bagatellare di 5 mila euro rappresenta una opzione regolatoria estremamente razionale, dal momento che realizza, al pari della compensazione civilistica, una semplificazione istantanea dei rapporti di dare e avere e riduce l’attività solutoria a quanto strettamente dovuto alla luce dell’apprezzamento omnicomprensivo delle partite creditorie e debitorie tra settore pubblico e creditore privato.

9.2. – Non pare potersi opinare parimenti una volta “esportato” sic et simpliciter questo valore-soglia nel settore delle cause automaticamente escludenti per irregolarità fiscali: mentre il meccanismo compensativo-esattivo dell’art. 48-bis ha un funzionamento sostanzialmente lineare in quanto inibisce il pagamento dell’amministrazione solo sino a concorrenza del debitum risultante dalle cartelle esattoriali insolute, dunque senza pregiudizio delle ulteriori ragioni creditorie dell’operatore economico, il congegno escludente divisato dall’art. 80, co. 4 mercé la eterointegrazione col valore-soglia di 5 mila euro scolpisce un vero e proprio automatismo legale che esclude dal mercato delle commesse pubbliche l’operatore economico, indipendentemente dal valore dell’appalto, con risultati paradossali come avvenuto nel caso di specie in cui, a fronte di un appalto di importo complessivo quinquennale a base d’asta pari ad euro 9.543.000,00, un operatore economico del calibro di Dussmann service dovrebbe essere escluso per un debitum fiscale definitivamente accertato pari a soli 18 mila euro, dunque 530 volte inferiore a quello dell’appalto in causa.

La sproporzione in termini oggettivi si dispiega in re ipsa: tale debitum fiscale, consolidatosi ex ante, determina l’esclusione tout court da una gara milionaria, mentre se fosse emerso ex post, a valle dell’integrale esecuzione delle obbligazioni contrattuali, avrebbe comportato la sola sospensione in parte qua del pagamento con distrazione della somma dovuta a favore dell’agente della riscossione, previo esperimento del rituale pignoramento presso terzi. Un esito che appare, a parere del Collegio, del tutto irrazionale e spropositato.

9.3. – Tale esito non pare trovare giustificazione né nella ratio legis intrinseca – ossia, il perseguimento dell’integrità e affidabilità dell’operatore economico con cui la P.A. si ritrova a contrattare – né nella ratio legis estrinseca, di indole fiscale, tesa a perseguire la compliance impo-esattiva.

9.3.1. – Quanto al primo profilo, è lo stesso diritto unionale a rivolgere un preciso monito ai legislatori nazionali onde scongiurare ciechi rigorismi forieri di risultati applicativi sbilanciati, come pare essere il caso in esame: nel considerando 101 della Direttiva 24/2014/UE si osserva che “nell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità. Lievi irregolarità dovrebbero comportare l’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali. Tuttavia, casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione”. Dipoi, l’art. 57, par. 3, delinea nitidamente una ipotesi derogatoria alle esclusioni, anche automatiche, “nei casi in cui un’esclusione sarebbe chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte o contributi previdenziali”. Secondo la più prudente ermeneusi, la figura di “piccolo importo di imposte” non può non essere semantizzata sia in termini assoluti sia in termini relativi, onde assicurare la massima latitudine espansiva al principio di proporzionalità.

Ritornando, pertanto, sui binari del diritto nazionale, l’automatismo legale insito nel plesso normativo di cui ai primi due periodi dell’art. 80, co. 4 pare eccedere lo scopo intrinseco per cui fu concepito atteso che un debitum fiscale di 18 mila euro non può ragionevolmente alimentare una presunzione iuris et de iure di inaffidabilità di un grande contribuente come Dussmann nella cornice di un appalto di valore milionario. Rievocando le dimensioni costitutive del principio di proporzionalità, si può giungere ad affermare che tale congegno legislativo, pur ammettendo che sia idoneo allo scopo (selezionare all’esito dello scrutinio solo operatori puntualmente in regola con gli obblighi fiscali, al netto degli importi bagatellari), non appare necessario perché non è l’unica misura possibile per il raggiungimento del risultato prefissato o non è quella che arreca il minor sacrificio di interessi confliggenti laddove vi sia una pluralità di misure perseguibili (l’automatismo giunge infatti ad escludere anche grandi operatori economici da gare milionarie per irregolarità fiscali, comparativamente parlando, di effimera entità, di per sé inidonee ad imprimer loro uno stigma assoluto di inaffidabilità).

Appare evocabile sul tema, seppur con i dovuti distinguo, la giurisprudenza costituzionale via via consolidatasi sulle sanzioni amministrative, punitive e non, rispetto alle quali la Corte ha manifestato una sensibilità accresciuta quanto alla congruità della sanzione nell’ipotesi di previsioni sanzionatorie rigide che colpiscono in egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura differenti: l’indirizzo seguito dalla Corte si è costantemente orientato verso la stella polare del principio di ragionevolezza, spianando la strada ad interventi correttivi laddove il trattamento sanzionatorio medesimo poteva essere sostituito sulla base di “precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo”, intesi quali “soluzioni già esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza lamentata” (C. Cost, sentenze n. 222 del 2018, n. 236 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 40 del 2019). Alternativamente, laddove la lacuna di punibilità non è stata giudicata foriera di vuoti di tutela insostenibili per gli interessi protetti, la Corte ha optato per interventi meramente ablativi, come accaduto con la sentenza n. 185 del 2021 che ha dichiarato l’illegittimità di una sanzione pecuniaria molto rilevante in materia di gioco e scommessa in quanto puniva indistintamente l’inosservanza di plurimi obblighi di condotta con una sanzione amministrativa pecuniaria non solo di considerevole severità, ma anche fissa, risultando per tali caratteristiche manifestamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma.

Orbene, pur non potendosi sottacere che l’esclusione dalla procedura evidenziale in parola costituisce una reazione ordinamentale necessitata e consequenziale alla riscontrata carenza di un requisito di ordine generale e difficilmente può essere assimilata ontologicamente ad una sanzione amministrativa stricto sensu intesa, campeggia comunque sullo sfondo della causa di esclusione un meccanismo improntato a forte rigidità che parifica situazioni diversissime tra loro (violazioni tributarie milionarie poste su un piede di parità con quelle bagatellari, con l’invariabile reazione espulsiva dalle gare pubbliche, a prescindere dal rispettivo valore): la rigidità dell’automatismo, unitamente agli effetti indirettamente afflittivi quanto meno sul piano degli interessi economico-commerciali degli operatori, sollecita il Collegio a svolgere considerazioni di analogo tenore a quelle maturate sul terreno della congruità delle sanzioni nella cornice più generale dell’agere amministrativo che deve conformarsi complessivamente ai canoni di proporzionalità e ragionevolezza.

9.3.2. – L’automatismo non appare necessario neanche per il raggiungimento dello scopo fiscale di integrità esattiva, dacché, indipendentemente dalla relatio normativa operata dalla disciplina dei contratti pubblici, il meccanismo compensativo di cui all’art. 48-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 opererebbe autonomamente, a valle dell’integrale esecuzione contrattuale della commessa pubblica, al momento della solutio e assicurerebbe l’integrale soddisfazione della pretesa erariale, inclusiva di aggi e accessori.

10. – L’interrogativo sorge, dunque, naturale in ordine a quale sia la misura altrimenti perseguibile per contemperare gli scopi perseguiti – ossia, la guarentigia di integrità e affidabilità degli operatori economici unitamente all’integrità impo-esattiva – con il concorrente diritto all’iniziativa economica di un grande operatore economico sub specie di partecipazione alle gare per l’assegnazione di commesse pubbliche di rilevante entità.

Il tertium comparationis che viene immediatamente in rilievo e dilata l’ambito della presente indagine anche alla dimensione della proporzionalità ordinale o comparativa è rappresentato dal dissimile meccanismo determinativo della soglia di gravità relativo alle violazioni tributarie non definitivamente accertate di cui al settimo comma della disposizione in esame: come si evince dalla ricostruzione storico-sistematica svolta sub 7, il plesso normativo è stato introdotto dalla legge europea 2019-2020 con decorrenza 1° febbraio 2022 (ancorché il relativo regolamento attuativo è stato adottato il 28 settembre 2022) e si distingue per un approccio bilanciato che stabilisce una indefettibile correlazione tra violazione tributaria non definitivamente accertata e valore dell’appalto (poi esplicitata dal regolamento ministeriale con una funzione di parametrizzazione lineare secondo un coefficiente del 10%: “imposte o tasse per un importo che, con esclusione di sanzioni e interessi, è pari o superiore al 10% del valore dell'appalto”) in combinato con la fissazione di una soglia di irrilevanza de minimis in valore assoluto (35 mila euro, ben più indulgente, essendo sette volte superiore a quella dettata dal secondo comma).

10.1. – Non sfugge al Collegio il discrimen ontologico che potrebbe giustificare la disparità regolatoria tra i due plessi normativi: la soglia fissa e di importo effimero, mutuata dalla disciplina sulla riscossione, si attaglierebbe con piglio rigoristico alle violazioni munite del crisma di definitività (in quanto inoppugnate o suggellate dal giudicato) automaticamente escludenti, mentre il congegno parametrico con soglia de minimis verrebbe in evidenza per le violazioni sub iudice, non automaticamente escludenti. Insomma, l’ordinamento differenzierebbe i meccanismi escludenti in ragione del grado di accertamento della violazione e del correlativo potere, vincolato o discrezionale, demandato all’amministrazione

Questo del resto è stato l’argomento impiegato da altre Sezioni di questo Consiglio in sede di vaglio di speculari questioni di legittimità costituzionale: secondo la Quinta Sezione si tratterebbe, all’evidenza, di due situazioni incomparabili, per presupposti e modalità di esercizio del potere da parte della stazione appaltante di tal ché la predeterminazione dell’importo rilevante per via normativa non contrasterebbe “con i principi di uguaglianza e di buon andamento della pubblica amministrazione, considerato che la causa di esclusione in oggetto è prevista dalla direttiva 2014/24/UE come obbligatoria e che l’art. 57 conferisce agli Stati membri la sola possibilità della deroga nel caso in cui l’esclusione sarebbe “chiaramente sproporzionata”, in primo luogo con riguardo al mancato pagamento di “piccoli importi di imposte”. Orbene, prefissando la soglia dell’insoluto rilevante, il legislatore nazionale, che si è avvalso di tale facoltà, ha favorito la parità di trattamento dei soggetti partecipanti alle pubbliche gare, senza compromettere, anzi agevolando, il buon andamento della pubblica amministrazione, nella verifica di affidabilità del futuro contraente” (v. Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2023, n. 1890).

La pronuncia si inscrive nel solco di precedenti arresti della Quinta Sezione che hanno disatteso omologhi profili di tensione costituzionale o di compatibilità eurounitaria, sul rilievo che la previsione dell'art. 80, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016 ricadrebbe proprio nell'alveo della deroga di cui all’art. 57, par. 3 Dir. 24/2014/UE, ponendosi in coerenza - non già in contrasto - con la disciplina europea, che peraltro ne espliciterebbe il carattere facoltativo; né peraltro la suddetta deroga imporrebbe che la nozione di "piccolo importo" debba essere necessariamente stabilita in termini diversi dalla predeterminazione legale di una soglia, o prescriverebbe l'applicazione di parametri di natura relativa (commisurati ad esempio, secondo quanto proposto dalle appellanti, alla situazione fiscale complessiva dell'operatore o al valore economico dell'affidamento) o di un apprezzamento demandato caso per caso all'amministrazione, considerato che ciò non risulterebbe né sarebbe in alcun modo desumibile dalla previsione europea (cfr. Cons. Stato, sez, V, 27 luglio 2021, n. 5563; id., 28 ottobre 2019, n. 7836).

10.2. – Ad avviso del Collegio, tali argomenti si prestano a meditata confutazione.

10.2.1. – Innanzitutto, la pacifica facoltatività della deroga all’esclusione laddove “sarebbe chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte” (v. art. 57, par. 3 Dir. 24/2014/UE) non esime il legislatore nazionale, una volta deciso di avvalersene, dall’apprestare un meccanismo coerente con il principio di proporzionalità e ragionevolezza, conformemente con il quadro del diritto unionale e con i canoni costituzionali dell’ordinamento nazionale, che esigono soluzioni regolatorie armoniose ed equilibrate sia in via intrinseca (proporzionalità cardinale), sia in via estrinseca in raffronto con opzioni legislative congegnate per fattispecie affini o analoghe.

Peraltro, lo stesso dettato letterale della direttiva europea, nel correlare in un ideale binomio concettuale la “chiara sproporzione” con il “piccolo importo di imposte” offre una chiave di esegesi sistematica che conduce l’interprete a decodificare siffatta nozione di “piccolo importo” alla luce del canone di proporzionalità e, dunque, non solo in termini di quantificazioni in valore assoluto, ma anche relativo.

10.2.2. – In secondo luogo, la fissazione della soglia dell’insoluto rilevante in valore assoluto – e, si aggiunga, di importo effimero – non favorisce necessariamente la parità di trattamento agevolando asseritamente il buon andamento della pubblica amministrazione nella verifica di affidabilità del futuro contraente: come già evidenziato, l’invariabilità della soglia, appiattita fortemente verso il basso, omologa situazioni tra loro molto differenti mettendo su un piede di dubbia parità piccoli e grandi contribuenti, nella cornice di gare di respiro locale per valori modesti e di maxi procedure di potenziale rilievo transfrontaliero di entità plurimilionaria.

In definitiva, il cesareo gladio taglia il nodo gordiano in modo eccessivamente grezzo e drastico in spregio ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità su base oggettiva. Né può affermarsi senza remore che l’esclusione sbrigativa di un grande operatore economico per irregolarità fiscali di modestissimo importo rispetto alla situazione fiscale complessiva e all’entità dell’appalto sia consentanea al buon andamento dell’Amministrazione, giacché il committente pubblico giunge a tagliar fuori irrimediabilmente un partner privato che potrebbe essere potenzialmente affidabile secondo un apprezzamento sostanzialistico (come emergerebbe nel caso di specie, atteso che il modesto insoluto tributario, ascrivibile a negligenze interne nei flussi comunicativi tra difensore, mandante e mandataria del r.t.i. è stato prontamente sanato una volta acclarate la natura e la genesi della pendenza).

10.2.3. – Peraltro, vero è che la disciplina unionale non detta indirizzi dirimenti tali per cui la nozione di "piccolo importo" debba essere necessariamente stabilita in termini diversi dalla predeterminazione legale di una soglia, né prescriva esplicitamente l’applicazione di parametri di natura relativa, senonché, l’esegesi teleologica della nozione di “piccolo importo di imposte” non può sottrarsi alle implicazioni sistematiche del principio di proporzionalità, vuoi perché lo stesso legislatore unionale instaura una sorta di binomio concettuale tra “chiara sproporzione” e “piccolo importo di imposte”, vuoi perché la disciplina nazionale si è dotata di uno strumentario più raffinato ed equilibrato come quello dettato dal settimo periodo dell’art. 80, co. 4 per le violazioni non definitivamente accertate tale da assurgere ad ineludibile tertium comparationis.

10.2.4. – Al riguardo, le notazioni critiche della Quinta Sezione circa l’incomparabilità delle due fattispecie “per presupposti e modalità di esercizio del potere da parte della stazione appaltante” (v. Cons. Stato, 1890/2023) vanno inquadrate nella giusta prospettiva: non può revocarsi in dubbio, infatti, che si tratti di due poteri della Stazione appaltante dai connotati distinti, l’uno vincolato (fattispecie automaticamente escludente), l’altro discrezionale (fattispecie non automaticamente escludente), tuttavia siffatta diversità rimonta ad un discrimen ontologico che trova il suo fondamento nel diverso grado di accertamento della violazione, la prima definitiva e ormai inoppugnabile, la seconda sub iudice.

Per converso, si nutrono forti perplessità sulla ragionevolezza di uno statuto dicotomico della gravità della violazione tributaria, demandato a meccanismi determinativi evolutisi in senso vieppiù difforme: del resto, che tale circostanza non fosse pacifica neanche per il legislatore lo si può desumere dal fatto che sino al 31 gennaio 2022 la relatio all’importo di cui all’art. 48-bis d.P.R. 602/1973 operava indistintamente con riguardo alle violazioni definitive e non definitive e solo all’indomani dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla legge europea 2019-2020 (legge 23 dicembre 2021, n. 238) è comparso il nuovo congegno determinativo della soglia di gravità su base parametrica per le violazioni non definitive.

Per incidens, giova aggiungere che, nel contesto di una controversia concernente una fattispecie affine relativa all’inadempimento degli obblighi previdenziali e assicurativi nel vigore delle precedenti direttive, la Corte di Giustizia ha avuto modo di scrutinare il previgente meccanismo nazionale che correlava l’esclusione obbligatoria dell’operatore economico nel caso che lo “scostamento tra le somme dovute a titolo di prestazioni sociali e quelle versate è di un importo superiore, al contempo, a EUR 100 e al 5% delle somme dovute”, quindi secondo un congegno regolatorio che combinava soglia de minimis e coefficiente parametrico (sia pur dosati in modo diverso) e ha concluso affermando che, in punto di necessità della misura, essa “garantisce non solo la parità di trattamento degli offerenti ma anche la certezza del diritto, principio il cui rispetto costituisce una condizione della proporzionalità di una misura restrittiva” (CGUE, 10 luglio 2014, causa C-358/12, Consorzio Stabile Libor Lavori Pubblici, che richiama altresì sentenza Itelcar, C-282/12, EU:C:2013:629, punto 44).

11. – Allargando ad abundantiam la lente dell’indagine ad altri settori dell’ordinamento, soccorrono alla tesi che qui si sta perorando anche le disposizioni sulla disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche - d.lgs. n. 231 del 2001 - che annovera i reati tributari tra i reati presupposto (v. art. 25-quinquiesdecies) stabilendo, oltre alla comminazione della sanzione amministrativa pecuniaria per quote, anche la sanzione interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 9, co. 2, lett. c) in forza del remand di cui all’art. 25-quinquiesdecies, co. 3): orbene, è noto che la disciplina penale tributaria di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 tipizza una serie di fattispecie incriminatrici che, nel fungere anche da reato presupposto per l’insorgenza della responsabilità amministrativa ex d.lgs. 231/2001, contemplano soglie quantitative agli effetti della rilevanza penale di indubbia consistenza – si pensi alle figure della dichiarazione fraudolenta o infedele che richiedono, rispettivamente, un’evasione di imposta superiore ai 30 mila euro o ai 100 mila euro o alla figura della sottrazione fraudolenta che si perfeziona se l’ammontare complessivo di imposta è superiore a 50 mila euro.

A ben vedere, le soglie di rilevanza penal-tributaria, cui si correla in sede di responsabilità amministrativa dipendente da reato l’incapacità di contrarre con la P.A., sono marcatamente superiori a quella prevista per le irregolarità fiscali automaticamente escludenti dalla disciplina sui contratti pubblici.

Pur nella consapevolezza dei dovuti distinguo che demarcano i due corpora normativi, non pare trascurabile osservare il forte divario tra tali soglie a parità di effetto (l’esclusione dalla contrattualistica pubblica), che si atteggia ad ulteriore spia rivelatrice dell’irragionevolezza dell’effimera soglia escludente dettata dalla disciplina sui contratti pubblici.

12. – Tornando, dunque, al fulcro della questione di legittimità costituzionale che qui occupa il Collegio, ciò di cui fondamentalmente si dubita è la proporzionalità sub specie di necessità della misura adottata dal legislatore per “tarare” l’automatismo escludente previsto per le fattispecie di irregolarità fiscali definitive: necessità che desta perplessità a mente delle indicazioni più ampie e comprensive del diritto unionale in sede di esercizio della deroga facoltativa (“chiara sproporzione…piccoli importi di imposte”) e vieppiù stride con misure alternative già divisate dal legislatore nazionale per fattispecie contigue, in senso meno drastico e sbilanciato in modo da non rappresentare un sacrificio eccessivo nella sfera giuridica del privato, in questo caso conculcato nella libera esplicazione del proprio diritto all’iniziativa economica a cagione dell’esclusione irrimediabile da una gara di rilevante entità.

13. – L’intervento correttivo che si profila necessario per ricondurre l’automatismo legale a effetto escludente di cui all’art. 80, co. 4 primo e secondo periodo nei binari dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza consiste, a parere del Collegio, nell’inserzione di una chiara previsione di principio che àncori la determinazione della soglia escludente al valore dell’appalto, sulla falsariga del congegno divisato dal settimo periodo e inverato, infine, dal D.M. 28 settembre 2022.

In altre parole, il Collegio rimettente reputerebbe bastevole ad elidere i rilevati profili di contrasto un intervento additivo di principio del giudice delle leggi secondo cui costituiscono gravi violazioni definitivamente accertate quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e che, in ogni caso, sono correlate al valore dell'appalto. Si tratterebbe di una pronuncia additiva di principio dal momento che lascerebbe impregiudicato il margine di intervento discrezionale del legislatore nel dare contenuto al meccanismo di correlazione proporzionale secondo il parametro ritenuto più congruo (il D.M. 28 settembre 2022 ha stabilito un coefficiente di proporzionalità del 10% quale indice di gravità delle violazioni non definitive, che ben potrebbe essere inasprito nell’ipotesi in esame anche mediante meccanismi di correlazione regressiva o comunque non lineare). Nelle more dell’intervento legislativo e ai fini della certezza del diritto e dell’azione amministrativa, vieppiù avvertita in campo di automatismi legali, l’Amministrazione e il giudice amministrativo ben potranno applicare in via analogica il parametro fissato dal prefato decreto ministeriale, in considerazione della dichiarata lacuna normativa in senso tecnico e della acclarata comunanza di ratio legis.

Siffatto intervento additivo avrebbe come immediata ricaduta, nella fattispecie in esame, che il debitum fiscale definitivamente accertato di Dussmann non avrebbe il carattere di gravità ad effetto escludente, individuabile nella specie nell’importo di euro 954 mila euro (pari al 10% della base d’asta di euro 9.543.000), indi il primo motivo di gravame andrebbe incontro a sicuro rigetto con passaggio allo scrutinio del secondo motivo di appello il quale, afferendo ai profili di anomalia dell’offerta di Dussmann, è logicamente e necessariamente successivo.

14. – Conclusivamente, si ritiene, per le su esposte ragioni, di sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 80, comma 4, secondo periodo del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che costituiscono gravi violazioni rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e, in ogni caso, correlato al valore dell’appalto.

Si sospende conseguentemente la decisione nel presente giudizio in attesa della pronunzia della Corte costituzionale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalità dell’art. 80, comma 4, secondo periodo del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 in relazione all’art. 3 della Costituzione, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.

Ordina che la presente ordinanza a cura della Segreteria della Sezione sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Pescatore, Presidente FF

Nicola D'Angelo, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere

Luca Di Raimondo, Consigliere

Angelo Roberto Cerroni, Consigliere, Estensore

 

Guida alla lettura

Il punctum pruriens dell’ordinanza in commento è la legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 4, D. Lgs. 50/2016 nella parte in cui stabilisce l’esclusione automatica dell’operatore economico per violazioni definitivamente accertate superiori alla soglia fissa di cui all’art. 48-bis d.P.R. n. 602 del 1973, ossia € 5.000,00; tema che si pone mutatis mutandis anche nel nuovo Codice dei contratti pubblici, alla luce di quanto statuito dall’art. 94, comma 6, D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36. Il Collegio, in particolare, ha ritenuto che la norma collida con i principi di ragionevolezza e proporzionalità e, pertanto, stante l’impossibilità di ricorrere a una costituzionalmente orientata della norma, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale.

Nella fattispecie concreta sottesa all’ordinanza, il controinteressato era risultato aggiudicatario di un appalto di oltre 9.000.000,00 di euro benché l’omesso pagamento di un contributo unificato di € 18.000,00 euro, quindi una esposizione debitoria con l’erario di 530 volte inferiore all’importo posto a base d’asta.

Prima di indugiare sui passaggi argomentativi cruciali della pronuncia in esame, occorre rammentare che la normativa nazionale detta per le violazioni gravi definitivamente accertate una disciplina differente da quella prevista per le non definitive. La violazione si reputa definitiva se contenuta in una sentenza o in un atto amministrativo inoppugnabili e, come sopra accennato, se superiore ad € 5.000,00, comporta l’esclusione dell’impresa che l’ha commessa. Viene in rilievo, dunque, un potere vincolato della Stazione appaltante. Laddove, invece, non sussiste il requisito della definitività, spetta alla Amministrazione, nell’esercizio di un potere discrezionale, stabilire se escludere o meno l’operatore economico; potere che, però, postula che il partecipante non abbia pagato imposte per un importo superiore al 10% del valore dell’appalto e comunque superiore ad € 35.000,00.

Quanto illustrato chiarisce, dunque, che se, da un lato, il legislatore prevede una soglia fissa di gravità della violazione, da cui scaturisce l’obbligo della committente pubblica di escludere l’impresa, dall’altro, in assenza di definitività, ricorre a un coefficiente percentuale, con il limite minimo di € 35.000,00. Tale discrasia viene valorizzata dalla III Sezione del Consiglio di Stato nella pronuncia in commento.

Come accennato in premessa, infatti, il Supremo Consesso della giurisdizione amministrativa evidenzia la (possibile) violazione dell’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della ragionevolezza sia della proporzionalità; principi quest’ultimi che, secondo quanto rammentato dal Giudice, non rappresentano delle endiadi.

Mentre la ragionevolezza, infatti, impone che la norma sia coerente con il fine che persegue, dovendo rispondere a una precisa esigenza di tutela; la proporzionalità, invece, implica l’idoneità, la necessarietà e la proporzionalità in senso stretto: la prima allude alla capacità del mezzo (legislativo o provvedimentale) prescelto di soddisfare lo scopo perseguito, la seconda all’assenza di alternative e la terza all’esigenza di imporre il minor sacrifico possibile al privato.

Ebbene, secondo l’ordinanza n. 7518/2024, i criteri suddetti non sarebbero rispettati dall’art. 80, comma 4, D. Lgs. 50/2016.

Si osserva, innanzitutto, sul piano della ragionevolezza, che la norma prevede un automatismo espulsivo che conduce a risultati paradossali ogniqualvolta la violazione tributaria sia del tutto irrisoria rispetto al valore dell’appalto. In particolare, un operatore economico che non ha pagato imposte di valore di poco superiore ad € 5.000,00 non può dirsi per ciò solo un interlocutore contrattuale inaffidabile, in specie se nel caso concreto la gara è finalizzata all’affidamento di un appalto di notevole portata economica.

Va, peraltro, osservato che, qualora la violazione divenisse definitiva dopo la stipula del contratto, si assisterebbe solo alla momentanea sospensione del pagamento con distrazione della somma dovuta a favore dell’agente della riscossione. Risulta irragionevole, pertanto, che la medesima violazione di importo del tutto marginale, se divenuta definitiva, ad esempio, il giorno antecedente alla firma del contratto, determini l’esclusione da una gara milionaria e, se, invece, sia divenuta definitiva il giorno seguente, comporti soltanto la devoluzione della somma corrispondente all’erario.

Il Collegio soggiunge che, pur ritenendo sussistente l’idoneità, il congegno normativo in esame difetta della necessarietà e della proporzionalità in senso stretto: la rigidità dell’automatismo porta ad escludere da gare milionarie soggetti che hanno commesso violazioni del tutto bagatellari, imponendo dunque al privato un sacrificio eccessivo rispetto all’entità dell’omesso pagamento.

Il Consiglio di Stato, inoltre, consapevole che la dichiarazione di illegittimità costituzionale creerebbe un vuoto normativo, individua quale tertium comparationis, ossia come norma applicabile in caso di declaratoria di incostituzionalità, il Regolamento 28 settembre 2022, che, in materia di violazioni non definitive, statuisce, come testé esposto, un criterio elastico: il 10% del valore dell’appalto, con la soglia di irrilevanza fissata ad € 35.000,00. Si sottolinea che il ricondurre il concetto di gravità a un criterio siffatto appare maggiormente coerente non soltanto con l’art. 3 Cost. ma anche con la disciplina unionale (art. 57, par. 3, Dir. 24/2014/UE), laddove, nel sancire la deroga dell’esclusione, recita: “Chiaramente sproporzionata, in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte”.

Nell’ordinanza in oggetto si dà atto, altresì, della giurisprudenza difforme, in particolare della V Sezione, che, in precedenti sentenze, ha ritenuto non applicabile alle violazioni definitivamente accertate il criterio di gravità adottato per quelle non definitive. Sul punto, la III Sezione opina che se è vero che le due fattispecie differiscono ontologicamente, è parimenti incontestabile che la normativa europea non impone una soglia fissa di gravità, il che, pertanto, consente di ricorrere a un coefficiente percentuale a prescindere dalla definitività dell’accertamento.

Con maggior intento esplicativo, le due ipotesi possono ritenersi distinte in ordine alla definitività, ma non anche con riferimento alla gravità, essendo irragionevole prevedere solo per una di esse, peraltro quella che comporta l’esito più sfavorevole per il privato, una soglia fissa e di valore del tutto modesto.

Non resta, dunque, che attendere la decisione della Corte Costituzionale, in primo luogo, in ordine alla tenuta costituzionale della norma e, altresì, eventualmente sul regime applicabile.