Cons. Stato, Sez. V, 13 agosto 2024, n. 7119

Secondo la giurisprudenza eurounitaria (Corte giustizia UE, Sez. VIII, 7 settembre 2016, n. 549), “il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell'appalto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l'appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l'equilibrio economico contrattuale in favore dell'aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l'aggiudicazione dell'appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un'altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”.

In linea di principio, una modifica sostanziale di un appalto pubblico dopo la sua aggiudicazione non può essere apportata in via di trattativa privata tra l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario, ma deve dare luogo a una nuova procedura di aggiudicazione vertente sull'appalto così modificato (v., per analogia, sentenza del 13 aprile 2010, Wall, C-91/08, EU:C:2010:182, punto 42). Diverso sarebbe soltanto se tale modifica fosse stata prevista dalle clausole dell'appalto iniziale. Infine, in mancanza di siffatte previsioni nei documenti dell'appalto, la necessità di applicare, per un determinato appalto pubblico, le stesse condizioni a tutti gli operatori economici richiede, in caso di modifica sostanziale dello stesso, di avviare una nuova procedura di aggiudicazione.

 

Pubblicato il 13/08/2024

N. 07119/2024REG.PROV.COLL.

N. 08826/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8826 del 2023, proposto da Flaminio Real Società Sportiva Dilettantistica a responsabilità limitata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Simone Ciccotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lucrezio Caro n. 62;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Michele Memeo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 05246/2023, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Memeo e Ciccotti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Si controverte su una concessione affidata mediante gara, dopo un lungo contenzioso, per la gestione di un’area destinata ad impianti sportivi nella zona Tor di Quinto a Roma. Una volta ottenuta la concessione e la disponibilità materiale dell’impianto la società concessionaria, in ossequio agli obblighi assunti in sede di gara, presentava il progetto di ristrutturazione, riqualificazione e rifunzionalizzazione dell’impianto stesso.

Il progetto presentato non è stato tuttavia approvato in quanto presenterebbe rilevanti difformità (in parte per eccedenza di interventi, in parte per carenza di iniziative) rispetto a quello proposto in sede di gara. In particolare: sarebbero stati previsti nuovi impianti non altrimenti contemplati nell’offerta di gara (campi di padel); non sarebbero realizzate strutture per cui la appellante si era invece impegnata sempre in sede di gara (tennis, piscina più ampia e campo da rugby). Infine vi sarebbero stati “cospicui incrementi di superficie utile” (sala ristori ampliata di 220 mq e copertura di tutti i campi di padel e da beach volley).

2. Il diniego di approvazione veniva impugnato dinanzi al TAR Lazio che tuttavia rigettava il ricorso per le ragioni di seguito indicate:

2.1. Si è registrata, nel caso di specie, una “modifica sostanziale dell’oggetto del rapporto concessorio intervenuta dopo l’aggiudicazione”;

2.2. Sono stati riscontrati, sempre nel caso di specie, “aumenti di superficie lorda non previsti in fase di gara (nel dettaglio: modifica della sagoma della palazzina con ampliamento sala ristoro; chiusura di 10 patii; copertura dei campi di beach-volley, paddle e pista pattinaggio)”.

3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per erroneità nella parte in cui:

3.1. Non sarebbe stato rilevato che l’amministrazione comunale, costituendosi in primo grado con memoria di mero stile, non avrebbe fornito adeguata prova di quanto affermato nella motivazione del gravato provvedimento di rigetto;

3.2. Non sarebbe stato considerato il difetto di istruttoria e di motivazione nella parte in cui la stessa amministrazione comunale non avrebbe tenuto conto che le modifiche apportate al progetto originario consistevano in occasioni di miglioramento della “proposta sportiva” nel suo complesso;

3.3. Non sarebbe stato rilevato che non vi sarebbe stato aumento di superficie utile lorda, nel progetto presentato in sede di esecuzione, rispetto a quello formulato in sede di offerta;

3.4. Non sarebbe stata considerato il mancato rispetto dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 in tema di preavviso di rigetto;

3.5. Le spese del giudizio di primo grado, pur in assenza di sostanziali difese da parte della intimata amministrazione comunale, sono comunque state poste a carico della odierna società appellante.

4. Si costituiva in giudizio l’appellata amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione.

5. Alla pubblica udienza del 16 maggio 2024 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione.

6. Tutto ciò premesso, le conclusioni del giudice di primo grado si rivelano condivisibili per le ragioni che di seguito verranno esposte.

7. Quanto al primo motivo di appello, le condizioni ostative alla approvazione del progetto (sia per eccedenze, sia per carenze progettuali) erano state sufficientemente enucleate e dimostrate nella motivazione del provvedimento di rigetto impugnato. Quindi sulla stessa difesa comunale non gravava alcun onere probatorio supplementare, salvo chiarire o specificare quanto già esaustivamente riportato nel provvedimento stesso.

Di qui il rigetto del motivo sub 3.1.

8. Con il motivo di appello sub 3.2. si lamenta il difetto di istruttoria e di motivazione nella parte in cui la stessa amministrazione comunale non avrebbe tenuto conto che le modifiche apportate al progetto originario consistevano, a ben vedere, in fattori di miglioramento della “proposta sportiva” nel suo complesso. Osserva al riguardo il collegio che:

8.1. Secondo la giurisprudenza eurounitaria (Corte giustizia UE sez. VIII, 7 settembre 2016, n. 549): “il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell'appalto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l'appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l'equilibrio economico contrattuale in favore dell'aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l'aggiudicazione dell'appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un'altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”. Ed ancora: “In linea di principio, una modifica sostanziale di un appalto pubblico dopo la sua aggiudicazione non può essere apportata in via di trattativa privata tra l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario, ma deve dare luogo a una nuova procedura di aggiudicazione vertente sull'appalto così modificato (v., per analogia, sentenza del 13 aprile 2010, Wall, C-91/08, EU:C:2010:182, punto 42). Diverso sarebbe soltanto se tale modifica fosse stata prevista dalle clausole dell'appalto iniziale”. Infine: “in mancanza di siffatte previsioni nei documenti dell'appalto, la necessità di applicare, per un determinato appalto pubblico, le stesse condizioni a tutti gli operatori economici richiede, in caso di modifica sostanziale dello stesso, di avviare una nuova procedura di aggiudicazione”;

8.2. Su questa stessa falsariga, l’art. 106 del vecchio codice dei contratti (decreto legislativo n. 50 del 2016, ratione temporis applicabile al caso di specie) prevede proprio che la “Modifica di contratti durante il periodo di efficacia”, per quanto di specifico interesse nel caso di specie, è possibile nelle seguenti ipotesi:

a) modifica, anche se sostanziale, “determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice o per l'ente aggiudicatore”. Tra queste circostanze: “la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti”. In ogni caso la suddetta modifica non potrebbe alterare la “natura generale del contratto”;

b) variazioni minime ossia non sostanziali dell’offerta presentata in sede di gara. A tale riguardo la modifica è considerata sostanziale allorché essa estenda “notevolmente l'ambito di applicazione del contratto”;

8.3. Tanto doverosamente premesso si rileva che:

8.3.1. Trattasi di modifiche sicuramente non previste, a quanto consta, dall’avviso originario di gara per la concessione del suddetto impianto sportivo;

8.3.2. Trattasi di modifiche sicuramente non dovute a circostanze impreviste e dunque neppure a provvedimenti normativi o autoritativi di qualsivoglia soggetto pubblico. Le modifiche apportate risultano infatti dettate da un mero calcolo di convenienza tecnico-economica ad opera della appellante società sportiva;

8.3.3. Le modifiche sono in ogni caso pressoché sostanziali e di una certa importanza, sì da alterare in modo significativo le condizioni contrattualmente assunte in esito alla gara. Ciò si ricava dallo stesso gravato provvedimento comunale in cui si evidenzia che:

a) la c.d. offerta sportiva ha subito in termini funzionali una pesante revisione rispetto al progetto originario (sono stati aggiunti 8 campi da padel mentre non viene più previsto il campo di tennis, il rugby non è stato più contemplato all’interno del campo di calcio, la piscina non ha le stesse dimensioni originariamente concepite);

b) in termini strutturali si registra un deciso aumento della superficie utile (ulteriore ampliamento della sala ristoro per 220mq) e di quella coperta (padel, beach volley e pista di pattinaggio);

8.3.4. Le difformità rilevanti e sostanziali come sopra descritte del progetto presentato in fase di esecuzione, rispetto a quello prospettato in sede di gara, non hanno mai formato oggetto di più specifica contestazione da parte della difesa di parte appellante, la quale ritiene soltanto che si tratti di miglioramenti progettuali sulla base, tuttavia, di una propria valutazione soggettiva (il padel è da preferire al tennis, il beach volley da preferire alla pallavolo);

8.3.5. Una simile valutazione (il progetto presentato in fase di esecuzione determinerebbe notevoli miglioramenti) non tiene tuttavia conto del fatto che:

a) la citata giurisprudenza eurounitaria nonché la normativa interna (art. 106 del vecchio codice contratti) non prevedono anche i “miglioramenti progettuali” tra i presupposti necessari onde poter dare luogo a simili modificazioni del contratto e della sua concreta esecuzione;

b) una simile apertura darebbe anzi luogo, come del resto anticipato in premessa, ad una grave violazione della par condicio atteso che altri concorrenti sono stati superati, in sede di gara, proprio sulla base di una “proposta sportiva” che adesso invece si vuole notevolmente modificare;

c) sul piano dei prevalenti interessi pubblici sottesi allo sviluppo di determinate attività sportive, la tesi di parte appellante non tiene conto del fatto che la proposta originaria, quella ossia formulata in sede di gara, prevedeva lo svolgimento di talune attività (nuoto, rugby, tennis) che con il progetto proposto in sede di esecuzione, per le ragioni sopra indicate, escono invece fortemente ridimensionate. Attività sportive sulla cui espansione, soprattutto tra i giovani ed i bambini, l’amministrazione comunale aveva invece riposto una particolare attenzione poi di fatto “compromessa” dalle successive scelte gestionali della odierna società appellante;

d) con ciò si vuole dire che la concessione non è stata rilasciata tanto per la gestione di un mero “impianto sportivo” (tesi su cui indugia in particolar modo la difesa di parte appellante, cfr. memoria di replica del 23 aprile 2024) quanto piuttosto per la c.d. “offerta sportiva” che viene complessivamente garantita dal concessionario aggiudicatario dell’impianto. Offerta su cui si concentra non una posizione di indifferenza della PA concedente circa le singole discipline sportive che verranno poi concretamente svolte all’interno di quello specifico impianto ma, al contrario, una valutazione sulla bontà e sulla efficacia del mix di attività che risultino strettamente correlate allo sviluppo dei più giovani e, più in generale, al benessere psicofisico di tutti;

e) ed è per tali ragioni che la “proposta sportiva” non è neutra né destinata, come già detto, ad un giudizio di indifferenza della PA ma, al contrario, deve formare oggetto di approfondita valutazione sotto il profilo del dosaggio e dell’articolazione delle diverse discipline che si svolgono all’interno del centro sportivo. E tanto con particolare riguardo alla capacità della proposta stessa di coinvolgere e stimolare le più ampie fasce della popolazione, ovviamente a partire dai più giovani alla cui categoria determinate attività possono senz’altro meglio abbinarsi (è proprio il caso del nuoto, del tennis e non ultimo anche del rugby, discipline che nel progetto presentato e poi bocciato venivano invece fortemente penalizzate rispetto all’offerta che era risultata vittoriosa all’esito della gara);

f) in siffatta direzione, la modulazione delle diverse attività sportive non è libera ma necessariamente “funzionalizzata” al raggiungimento di taluni interessi pubblici (es. sviluppo della cultura sportiva all’interno dei più giovani) cui la PA ritiene di accordare prevalenza;

g) da una simile impostazione discende altresì la necessità che la “proposta sportiva” sia valutata nel suo insieme ossia unitariamente e senza la possibilità di scindere, sul piano ideale ed anche autorizzatorio, singole parti dell’offerta stessa che pure possano risultare coerenti con la proposta iniziale;

8.3.6. Alla luce delle considerazioni sopra partitamente svolte, anche il motivo sub 3.2. deve pertanto essere rigettato.

9. Con il motivo sub 3.3. si lamenta che non vi sarebbe stato aumento di superficie utile lorda, nel progetto presentato in sede di esecuzione, rispetto a quello formulato in sede di offerta. Al riguardo osserva il collegio che:

9.1. Il motivo di appello risulta innanzitutto essere stato formulato in termini alquanto generici. Ciò risulta piuttosto evidente nella parte in cui si afferma, senza dimostrazione alcuna sul punto, che “la parte privata ha puntualmente rappresentato che non sussisteva la “creazione di ulteriore superficie lorda” (pag. 11 atto di appello introduttivo);

9.2. In ogni caso la superficie utile lorda (SUL) della sala ristoro risulta essere stata notevolmente variata in aumento (per oltre 220 mq) senza che sul punto la difesa di parte appellante abbia dedotto alcunché;

9.3. Quanto poi alla copertura dei campi di padel nonché di beach volley, copertura aggiunta in sede di esecuzione rispetto all’offerta di gara, tale questione non viene posta dal Comune di Roma in termini di ammissibilità sul piano edilizio quanto, piuttosto, di modifica sostanziale ossia di una variazione progettuale piuttosto rilevante e come tale inammissibile per le considerazioni partitamente esposte al punto che precede;

9.4. Per tutte le ragioni sopra esposte, anche tale motivo deve pertanto essere rigettato.

10. Con il motivo sub 3.4. si lamenta il mancato rispetto dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 in tema di preavviso di rigetto. Al riguardo si osserva che:

10.1. La violazione delle garanzie partecipative è in ogni caso superata dal fatto che la PA, come si è appena avuto modo di osservare, non poteva adottare un provvedimento di segno diverso. In questa direzione, infatti: le modifiche apportate all'art. 21-octies, l. n. 241 del 1990 dall'art. 12, comma 1, lett. d), d.l. n. 76 del 2020 (cd. ‘decreto semplificazioni'), convertito con modificazioni dalla l. n. 120 del 2020 (laddove statuisce che ‘la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'art. 10-bis'), rilevano soltanto per il periodo successivo alla sua entrata in vigore (cfr. Cons. Stato, sez. II, 23 maggio 2023, n. 5098). Deve dunque trovare conferma, ratione temporis, l'orientamento secondo cui l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 va interpretato in modo non formalistico nel senso che il provvedimento non è annullabile per violazione dell'art. 10-bis nei casi in cui il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cons. Stato, sez. V, 7 dicembre 2023, n. 10624; Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 2023, n. 4779).

10.2. A ciò si aggiunga che, almeno nel caso di specie, la difesa di parte appellante lamenta che la motivazione di cui alla lettera d) del provvedimento di rigetto (concernente carenze documentali relative, in particolare, alla relazione paesaggistica) sarebbe stata introdotta soltanto con il provvedimento definitivo e non altrimenti “anticipata” nel preavviso di rigetto. Ebbene, anche sotto tale più specifico profilo la censura non può trovare ingresso in quanto l’atto impugnato è plurimotivato ed anzi le ragioni fondamentali del diniego si fondano su altre più incisive considerazioni (modifica sostanziale del progetto originario non altrimenti ammissibile per violazione della par condicio e dell’art. 106 del vecchio codice dei contratti).

10.3. Per tutte tali ragioni, anche tale censura deve dunque essere respinta.

11. Con l’ultimo motivo di appello (sub 3.5.) si lamenta che le spese del giudizio di primo grado, pur in assenza di sostanziali difese da parte della intimata amministrazione comunale, sarebbero state illegittimamente poste a carico della odierna società appellante.

Il motivo è infondato. Per costante insegnamento giurisprudenziale "La condanna alle spese di giudizio comminata dal giudice di primo grado, in quanto espressiva della discrezionalità di cui dispone il giudice in ogni fase del processo, può essere modificata in appello solo se è modificata la decisione principale e non è sindacabile, salvo manifesta abnormità" (Cons. Stato, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 1816) e salvi i casi "di condanna della parte totalmente vittoriosa" (Consiglio di Stato sez. V, 22 agosto 2023, n. 7890), ipotesi nella specie non ricorrenti, atteso che il T.a.r. ha fatto una piana applicazione del principio di soccombenza sicché il capo in esame deve essere confermato (cfr., sul punto specifico, anche Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2024, n. 3817).

12. In conclusione il ricorso in appello è infondato e deve dunque essere rigettato. Le spese di lite possono comunque essere integralmente compensate tra tutte le parti costituite stante la peculiarità delle esaminate questioni.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Stefano Fantini, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere, Estensore

 

Guida alla lettura

1. La sentenza in rassegna è il punto di approdo di un lungo contenzioso che ha visto contrapposti un’associazione sportiva e il Comune in relazione ad una concessione, affidata all’esito di una gara pubblica, per la gestione di un’area destinata ad impianti sportivi.

In estrema sintesi, in fatto la concessionaria – una volta ottenuta la suddetta concessione – presentava al Comune un progetto di ristrutturazione, riqualificazione e rifunzionalizzazione dell’area stessa. Peraltro nel fare ciò l’operatore economico modificava l’offerta formulata in gara, inserendo impianti non contemplati in gara ed eliminando strutture che invece erano previste.

Il Comune non ci stava e non approvava il progetto. Di qui il contenzioso davanti al TAR (che respingeva il ricorso del privato) e al Consiglio di Stato (adìto dal privato, ma con esito infausto).

Precisato questo, in diritto le questioni giuridiche trattate nella sentenza d’appello sono molteplici e spaziano dalla contrattualistica, all’edilizia, a profili procedimentali e financo processuali (questi ultimi relativi alla nota questione dell’addebito delle spese di lite a carico della parte soccombente). Peraltro, ad avviso di chi scrive, il tema centrale della pronuncia del Consiglio di Stato riguarda i limiti entro cui è consentito apportare modifiche al contratto senza che sia necessario indire in una nuova procedura ad evidenza pubblica.

A livello sistematico è bene precisare sin da subito che in ossequio al principio di tutela della concorrenza, della par condicio e dell’imparzialità dell’azione amministrativa (intesa quale parità di trattamento e non discriminazione tra operatori economici) nell’ambito della contrattualistica pubblica vige la regola generale secondo cui non è possibile intervenire sul contratto in assenza di una previa procedura competitiva (v. F. CARINGELLA, Nuovo codice dei contratti pubblici, Milano, 2023, sub artt. 120 e 189).

Peraltro a partire dal 2014 la materia ha risentito della particolare attenzione riservata dal diritto europeo anche alla fase dell’esecuzione contrattuale. Invero, la considerazione che durante l’esecuzione dei rapporti di lunga durata (quali solitamente sono le concessioni) spesso si verificano sopravvenienze tali da rendere necessario un adattamento del sinallagma e così impattare sulle dinamiche concorrenziali di gara (e potenzialmente pregiudicarle) ha determinato l’esigenza di dettare regole per la stessa fase esecutiva che potessero contemperare le contrapposte esigenze:

- da un lato, di assicurare un adeguato livello di flessibilità per adeguare i contenuti del contratto a circostanze esterne originariamente non prevedibili;

- e, dall’altro lato, di evitare il rischio di prassi che comportino l’alterazione dei corretti meccanismi concorrenziali, oltre a un aumento incontrollato della spesa pubblica.

Per queste ragioni la giurisprudenza:

- ha stabilito che il richiamato principio dell’“immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto e [che] le variazioni contrattuali non violano sempre e comunque i principi fondamentali in materia di evidenza pubblica” (v. Corte Giust. UE, Sez. VIII, 7 settembre 2016, in causa C-549-14; nonché – ancora di recente – T.A.R. Piemonte, Sez. II, 20.2.2023, n. 180);

- e ha individuato il punto di equilibrio tra le suddette posizioni antitetiche con l’individuazione di una normativa complessa e di dettaglio che prevede limiti stringenti e tassativi all’ammissione delle modifiche contrattuali senza gara, da interpretare e applicare in chiave rigorosa e restrittiva (v. ancora F. CARINGELLA, Nuovo codice dei contratti pubblici, Milano 2023, sub art. 189).

Tanto chiarito, nella vicenda in esame il Consiglio di Stato si è soffermato su (e ha reso un’interpretazione de) l’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016 (ovviamente, nelle sole ipotesi rilevanti nel caso di specie), applicabile ratione temporis. Precisamente la sentenza dà innanzitutto atto che è consentita la modifica, anche sostanziale, del contratto originario senza necessità di ricorrere ad una nuova gara quando tale modifica sia da imputare non già alle parti del rapporto bensì a “circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore” (tra le quali rientrano la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità o enti preposti alla tutela di interessi rilevanti). Ciò a condizione che:

- non vi sia colpa dell’Amministrazione nella definizione delle prestazioni oggetto di affidamento nel momento in cui ha avuto luogo la procedura ad evidenza pubblica;

- e la modifica operata sul contratto originario non alteri la “natura generale del contratto”. A tale ultimo riguardo la giurisprudenza europea ha chiarito che la natura della concessione risulta alterata “qualora le modifiche apportate … presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle che hanno giustificato l’aggiudicazione, e di conseguenza siano idonee a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali del contratto” (v. Corte di Giustizia UE, 13 aprile 2010, in causa C-91/2008). Di recente, inoltre, la giurisprudenza nazionale ha escluso la sussistenza di un’alterazione rilevante della “natura generale della concessione” se la modifica noncomporta un cambiamento sostanziale del tipo di concessione, poiché ne restano immodificate struttura e funzione e non alterati l’equilibrio economico ed il c.d. rischio operativo sottesi” (v. Cons. Stato, Sez. V, 30 novembre 2023, n. 10351).

La seconda eccezione al generale divieto di cui sopra, esaminata dal Consiglio di Stato, ricorre quando si versa in ipotesi di “variazioni minime”, vale a dire non sostanziali, dell’offerta presentata in sede di gara. In proposito – per quanto qui rileva – l’art. 106, comma 4 del d.lgs. n. 50, cit. stabilisce che la modifica è sostanziale quando:

-a) introduce condizioni che, se fossero state previste nella procedura iniziale di gara, avrebbero consentito l’ammissione di altri operatori, e quindi una maggiore partecipazione alla procedura stessa, oppure l’aggiudicazione a un’offerta diversa da quella inizialmente accettata;

-b) altera l’equilibrio economico del contratto a favore dell’aggiudicatario;

-c) estende notevolmente l’ambito di applicazione della concessione.

Come si è accennato in apertura del presente commento, nella vicenda in esame le modifiche apportate al progetto in fase di esecuzione rispetto a quello prospettato in sede di gara consistevano in modifiche progettuali non previste dagli atti di gara e dovute non a circostanze impreviste o imprevedibili, quanto piuttosto a una mera valutazione soggettiva del concessionario che aveva qualificato le modifiche stesse come “miglioramento progettuale”.

Fermo restando, in ogni caso, che gli asseriti miglioramenti progettuali non rientrano tra i presupposti che la disciplina europea e nazionale ritiene necessari per consentire modifiche del contratto e della sua esecuzione.

È inoltre interessante segnalare – a conforto di tale conclusione – il capo di sentenza in cui il Collegio motiva la sua decisione prendendo a riferimento la finalità della concessione in questione, e cioè che la procedura di aggiudicazione aveva ad oggetto “non tanto la gestione di un mero “impianto sportivo”, quanto piuttosto per la “offerta sportiva” che viene complessivamente garantita dal concessionario aggiudicatario dell’impianto”. Tale precisazione rileva perché consente di trarre la regola generale – non codificata – secondo cui ai fini della verifica circa l’ammissibilità della modifica è necessario tenere sempre bene a mente quali sono gli obiettivi che l’Amministrazione intende perseguire tramite l’evidenza pubblica, ossia quali sono gli specifici interessi pubblici rilevanti per l’ente concedente.

2. Esaurita la trattazione dei profili affrontati dalla sentenza in commento, per completezza di esposizione merita ancora precisare che il richiamato art. 106 del d.lgs. n. 50, cit. è stato sostituito dall’art. 120 del d.lgs. n. 36/2023. Si coglie perciò l’occasione per evidenziare quali sono i principali elementi distintivi tra il “vecchio” (art. 106) e il nuovo codice (art. 120), e dove invece si è data continuità all’impostazione previgente.

-a) Il primo cambiamento che si riscontra è terminologico, nel senso che la rubrica della norma è passata da “modifica dei contratti durante il periodo di efficacia” (nell’art. 106, cit., aderente al testo della citata Direttiva 24/2014/UE) a “modifica dei contratti in corso di esecuzione” (nell’art. 120, cit.), per renderla più coerente con le fasi dell’appalto. Infatti, nel citato art. 106 risultava sovrabbondante il riferimento al “periodo di efficacia”, poiché lo ius variandi del committente presuppone che gli effetti del contratto non siano cessati.In altre parole, sembra difficile ipotizzare che un contratto possa essere modificato prima ancora di essere stipulato. Evidentemente, quindi, parlare di “modifica di contratti” presuppone che ci si trovi nella fase successiva alla relativa stipula, in cui il contratto sussiste e ha efficacia, ossia non si è ancora estinto.

-b) Una seconda, significativa, modifica consiste nel rimando espresso all’art. 60 del nuovo codice per la disciplina delle clausole di revisione dei prezzi, in precedenza contenuta nel comma 1, lett. a) dell’art. 106, cit..

-c) Pur mantenendo l’impianto del precedente art. 106 cit., che ricalcava il testo dell’art. 72 della Direttiva 2014/24/UE, l’art. 120, cit. ha positivizzato alcuni approdi a cui era giunta nel tempo la giurisprudenza, cercando di mettere quanto più possibile ordine nella (complessa) materia di cui si tratta. Segnatamente, le principali questioni affrontate dalla novella attengono:

- per un verso, alla definizione di varianti “sostanziali”, come tali vietate dalle direttive;

- e, per altro verso, alla necessità di dare attuazione al criterio di cui alla lett. u), dell’art. 1, comma 1, della legge delega (“ridefinizione della disciplina delle varianti in corso d’opera, nei limiti previsti dall’ordinamento europeo, in relazione alla possibilità di modifica dei contratti durante la fase dell’esecuzione”).

-d) Proseguendo nell’inquadramento della novella, si rileva che il comma 8 introduce una disposizione di coordinamento col principio di necessaria rinegoziazione (o meglio, con il “principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale”) previsto nell’art. 9 del medesimo d.lgs. n. 36/2023. A tal proposito appare opportuno precisare che, ai fini di un inquadramento organico della materia, le previsioni in ordine alle clausole di rinegoziazione e di revisione dei prezzi devono essere oggetto di una lettura coordinata e sinergica, la quale peraltro non presuppone un condizionamento reciproco.

-e) Un’ulteriore novità si rinviene nel comma 9 (sostitutivo del comma 12 dell’art. 106, cit.), secondo cui v’è la necessità di stabilire il c.d. quinto d’obbligo sin dai documenti di gara iniziali. Questa modifica rispetto al regime previgente si è resa necessaria per rendere la previsione compatibile con le modifiche consentite dalla direttiva.

Viene altresì meno la possibilità per la stazione appaltante d’imporre all’appaltatore l’esecuzione delle prestazioni in aumento o in diminuzione a condizioni identiche a quelle previste nel contratto originario, senza possibilità di risoluzione. Il che pare coerente con l’impostazione del nuovo Codice che, nell’ammettere la possibilità di far ricorso all’istituto del quinto d’obbligo, rimette alla discrezionalità della stazione appaltante l’inserimento di tale clausola, tenuto conto delle specificità di ciascun settore o tipologia di contratto.

-f) Nel comma 10 si è mantenuta la disposizione relativa all’opzione di proroga, già prevista nel comma 11 dell’art. 106, cit..Questa fattispecie – che sostanzialmente rientra nella previsione del comma 1, lett. a) – è ora nettamente distinta dalla c.d. proroga tecnica, ossia da quel differimento del termine di conclusione della prestazione che si renda necessario a causa di eccezionali situazioni collegate alla successione degli affidamenti.

-g) Sono state soppresse le disposizioni dell’art. 106 (commi 9 e 10), cit. sul c.d. errore progettuale, ora “spostate” – come previsto dalla legge delega (laddove impone la stulazione di polizze assicurative con oneri a carico della stazione appaltante) – nella parte del Codice destinata a regolamentare la progettazione (cioè negli art. da 41 a 47 del d.lgs. n. 36/2023, al cui commento si rinvia).La ratio di tale riorganizzazione si rinviene nel migliore coordinamento sistematico della materia e nella non opportunità di un’apposita, isolata previsione dell’errore progettuale laddove si parla di modifiche al contratto, poiché tale causa della variante/modifica non è determinante ai fini dell’inserimento nell’una o nell’altra ipotesi di modifica consentite in pendenza di esecuzione, che restano tutte e soltanto quelle del testo come proposto.

-h) La disposizione del Codice sulle modifiche in corso di esecuzione viene snellita dall’intervenuto spostamento nell’allegato II.14 di tutte le previsioni di dettaglio, quali i casi di comunicazione e trasmissione all’ANAC di modifiche e varianti in corso d’opera, così come della disciplina di cessione dei crediti (v., rispettivamente i commi 15, 12 e 13 dell’art. 120, cit.).

-i) Infine, il comma 14 prevede l’obbligo di pubblicazione per le modifiche di rilevanza europea mediante avviso contenente le informazioni di cui all’apposito allegato II.16.