TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater, 29 luglio 2024 n. 15416
Nel Codice dei contratti pubblici non vi è alcuna specifica previsione che imponga espressamente, sic et simpliciter, l’esclusione dell’operatore economico, affittuario di azienda e/o ramo d’azienda, allorché l’impresa concedente/affittante sia stata medio tempore assoggettata ad una procedura concorsuale: se è vero che l’art. 94, co. 5, lett. d) del d. lgs. n. 36/2023 prevede, quale ipotesi di esclusione automatica dalla gara, la sottoposizione (tra l’altro) alla procedura di liquidazione giudiziale, è parimenti incontestabile che tale disposizione si riferisce al solo “operatore economico”, così circoscrivendo in capo al soggetto che prende parte alla procedura di appalto l’ambito di operatività della causa di esclusione di cui trattasi.
Tale interpretazione “restrittiva” trova conforto anche nel principio di tassatività delle clausole di esclusione, ora dettato dall’art. 10 del vigente Codice dei contratti pubblici, da leggersi in combinato disposto con i più generali principi - di derivazione comunitaria - di concorrenza e massima partecipazione (anch’essi codificati ed espressamente richiamati nel Libro I del Codice).
Sicché, nessun dato normativo induce a ritenere che, di per sé, il fallimento (ora liquidazione giudiziaria) dell’impresa concedente l’azienda/ramo d’azienda si rifletta, per così dire “per contagio”, in capo all’affittuario.
La censura finisce per confondere il “costo medio orario” del lavoro con il distinto concetto di “minimo retributivo”, obliterando la decisiva circostanza che solo quest’ultimo, quale prefissato dalla contrattazione collettiva di categoria, è assunto dal legislatore come valore-soglia non superabile: in altri termini, il ricorrente fa coincidere il costo determinato nelle tabelle ministeriali, segnatamente quelle contenute nel decreto n. 52/2023 (che rilevano appunto unicamente il “costo medio” per la sola Provincia di Roma in relazione al settore dei servizi di pulizia), con i “trattamenti salariali minimi”, di cui invece quelle tabelle non danno evidenza, estendendo indebitamente ai primi una portata assoluta e inderogabile (prevista a pena di automatica esclusione dalla gara) che spetta esclusivamente ai secondi, giusta la disciplina attualmente contemplata dall’art. 110, co. 5, lett. d) d. lgs. n. 36/2023 (che si pone, peraltro, in linea con la previgente normativa).
Al riguardo, infatti, va precisato che le tabelle ministeriali hanno un valore puramente statistico e ricognitivo del costo del lavoro formatosi in un certo settore merceologico, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva, pervenendo alla determinazione di un dato “medio” che non rappresenta il costo minimo inderogabile del lavoro, costituendo semplicemente un parametro significativo per la valutazione della congruità dell’offerta.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4778 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Consorzio Istant Service S.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG A024B910DC, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Clarizia e Enzo Perrettini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Consorzio Stabile Eternity S.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Simone Abrate, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
- della Determina di aggiudicazione n. 48 del 19.3.2024, con la quale la Stazione appaltante Ministero della cultura – Istituto Villa Adriana e Villa D'Este ha aggiudicato al Consorzio Stabile Eternity Scarl la procedura avente ad oggetto l'affidamento del “Servizio di pulizia disinfestazione e derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti dell'Istituto Villa Adriana e Villa D'Este”, (CIG A024B910DC), nonché di tutti gli atti ivi citati;
- della comunicazione ex art. 90, comma 1, lett. b), D.lgs. n. 36/2023 del 19.3.2024, trasmessa a mezzo PEC, a firma del RUP, con la quale la Stazione Appaltante Ministero della Cultura – Istituto Villa Adriana e Villa D'Este ha comunicato ai concorrenti l'aggiudicazione disposta in favore del concorrente Consorzio Stabile Eternity Scarl, della gara avente ad oggetto l'affidamento del “Servizio di pulizia disinfestazione e derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti dell'Istituto Villa Adriana e Villa D'Este”, avente n. CIG A024B910DC;
- dei verbali di gara n. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, nella parte nella quale ammettono e/o non escludono il Consorzio Stabile Eternity Scarl e/o assoggettano la sua offerta a valutazione e attribuzione di punteggio;
- del Verbale n. 5 del 23.1.2024, recante la graduatoria provvisoria;
- di ogni altro atto presupposto, antecedente, consequenziale o, comunque, connesso alla procedura ivi impugnata, compresi il Verbale n. 6 del 25.1.2024, recante “Verifica spiegazioni all'offerta della società Consorzio Stabile Eternity Scarl e adempimenti connessi e conseguenti”, e la Relazione finale del RUP, con la quale questo ha comunicato l'esito positivo della verifica di congruità effettuata sull'offerta anomala presentata dal concorrente Consorzio Stabile Eternity Scarl;
- della nota 697-P del 27.3.2024 e della nota prot. n. 780-P del 10.4.2024, con le quali la Stazione appaltante ha negato l'accesso all'offerta tecnica, ai giustificativi resi dall'aggiudicatario nel subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta e ai documenti a comprova del possesso, da parte di quest'ultimo, dei requisiti di ordine generale;
- all'occorrenza, del Bando, del Disciplinare e di tutti gli atti e documenti facenti parte della lex specialis, nelle parti di interesse;
NONCHÉ
per la declaratoria di inefficacia o, comunque, per la caducazione del contratto di appalto, ove stipulato, e per il risarcimento in forma specifica consistente nell'aggiudicazione in favore della ricorrente con subentro
NONCHÉ ALTRESÌ PER LA CONDANNA
della Stazione Appaltante all'esibizione ai sensi dell'art. 116 c.p.a. della documentazione richiesta con istanze del 20.3.2024 e 5.4.2024, allo stato resa disponibile solo parzialmente, e per l'accoglimento dell'istanza istruttoria ai sensi dell'art. 65 c.p.a., affinchè sia ordinata alla Stazione appaltante la produzione in giudizio di tutta la documentazione di gara, ivi compresa l'offerta tecnica prodotta in gara e i giustificativi in versione non oscurata, indispensabili per la tutela giurisdizionale richiesta.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Consorzio Istant Service Scarl il 13/5/2024:
Annullamento:
- della Determina di aggiudicazione n. 48 del 19.3.2024, con la quale la Stazione appaltante Ministero della Cultura – Istituto Villa Adriana e Villa D'Este ha aggiudicato al Consorzio Stabile Eternity Scarl la procedura avente ad oggetto l'affidamento del “Servizio di pulizia disinfestazione e derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti dell'Istituto Villa Adriana e Villa D'Este”, (CIG A024B910DC), nonché di tutti gli atti ivi citati;
- della comunicazione ex art. 90, comma 1, lett. b), D.lgs. n. 36/2023 del 19.3.2024, trasmessa a mezzo PEC, a firma del RUP, con la quale la Stazione Appaltante Ministero della Cultura – Istituto Villa Adriana e Villa D'Este ha comunicato ai concorrenti l'aggiudicazione disposta in favore del concorrente Consorzio Stabile Eternity Scarl, della gara avente ad oggetto l'affidamento del “Servizio di pulizia disinfestazione e derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti dell'Istituto Villa Adriana e Villa D'Este”, avente n. CIG A024B910DC;
- dei verbali di gara n. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, nella parte nella quale ammettono e/o non escludono il Consorzio Stabile Eternity Scarl e/o assoggettano la sua offerta a valutazione e attribuzione di punteggio;
- del Verbale n. 5 del 23.1.2024, recante la graduatoria provvisoria;
- di ogni altro atto presupposto, antecedente, consequenziale o, comunque, connesso alla procedura ivi impugnata, compresi il Verbale n. 6 del 25.1.2024, recante “Verifica spiegazioni all'offerta della società Consorzio Stabile Eternity Scarl e adempimenti connessi e conseguenti”, e la Relazione finale del RUP, con la quale questo ha comunicato l'esito positivo della verifica di congruità effettuata sull'offerta anomala presentata dal concorrente Consorzio Stabile Eternity Scarl;
- della nota 697-P del 27.3.2024 e della nota prot. n. 780-P del 10.4.2024, con le quali la Stazione appaltante ha negato l'accesso all'offerta tecnica, ai giustificativi resi dall'aggiudicatario nel subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta e ai documenti a comprova del possesso, da parte di quest'ultimo, dei requisiti di ordine generale;
- all'occorrenza, del Bando, del Disciplinare e di tutti gli atti e documenti facenti parte della lex specialis, nelle parti di interesse;
documentazione a comprova circa il possesso da parte di quest'ultimo dei requisiti di ordine generale;
NONCHÉ
per la declaratoria di inefficacia o, comunque, per la caducazione del contratto di appalto, ove stipulato, e per il risarcimento in forma specifica consistente nell'aggiudicazione in favore della ricorrente con subentro
NONCHÉ ALTRESÌ PER LA CONDANNA
della Stazione Appaltante all'esibizione ai sensi dell'art. 116 c.p.a. della documentazione richiesta con istanze del 20.3.2024 e 5.4.2024, allo stato resa disponibile solo parzialmente, e per l'accoglimento dell'istanza istruttoria ai sensi dell'art. 65 c.p.a., affinchè sia ordinata alla Stazione appaltante la produzione in giudizio di tutta la documentazione di gara, ivi compresa l'offerta tecnica prodotta in gara e i giustificativi in versione non oscurata, indispensabili per la tutela giurisdizionale richiesta.
NONCHÉ PER L'ANNULLAMENTO, CON I PRESENTI MOTIVI AGGIUNTI
- della nota del Ministero della Cultura – Istituto Villa Adriana e Villa D'Este prot. n. 870-P del 23.4.2024, con la quale la Stazione appaltante ha osteso “le spiegazioni rese dall'aggiudicatario, in relazione al sub-procedimento di anomalia dell'offerta ex art. 110 D.Lgs. 36/23, instaurato dallo scrivente RUP nei confronti del Consorzio Stabile Eternity” e ha negato l'accesso all'offerta tecnica dell'operatore economico aggiudicatario e alla documentazione a comprova circa il possesso da parte di quest'ultimo dei requisiti di ordine generale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della cultura e del Consorzio Stabile Eternity Scarl;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2024 la dott.ssa Francesca Santoro Cayro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con determina n. 203 del 27 ottobre 2023, l’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este ha avviato una procedura aperta per l’affidamento del servizio di “pulizia disinfestazione e derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti dell’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este”, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo ai sensi dell’art. 71 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (di seguito, anche “Codice dei contratti pubblici”), per una base d’asta di euro 643.715,60 (oltre IVA), per la durata di un anno e con la previsione della “possibilità di rinnovo, a discrezione dell’Ente, per ulteriori due anni”.
Con determina n. 48 del 19 marzo 2023, comunicata in pari data agli operatori economici ex art. 90, co. 1, lett. b) e c) d. lgs. n. 36/2023, è stata disposta l’aggiudicazione dell’appalto in favore del Consorzio Stabile Eternity S.c.a.r.l., risultato primo classificato con un punteggio complessivo di 90,56 punti.
2. Con il ricorso introduttivo del presente gravame, notificato in data 18 aprile 2024 e depositato il 29 aprile 2024, il Consorzio Istant Service S.c.a.r.l., classificatosi al secondo posto della graduatoria con il punteggio di 88,98 punti, dopo aver presentato due istanze di accesso agli atti (rispettivamente nelle date 20 marzo 2024 e 9 aprile 2024), parzialmente riscontrate dalla stazione appaltante, ha impugnato la suddetta determina di aggiudicazione, unitamente ai verbali della procedura di affidamento (tra cui, segnatamente, il verbale n. 6 del 25 gennaio 2024, recante la verbalizzazione degli esiti della verifica di anomalia dell’offerta del primo classificato, espletata dal RUP ai sensi dell’art. 110 d. lgs. n. 36/2023), chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, e proponendo contestualmente domande di risarcimento in forma specifica a mezzo di aggiudicazione dell’appalto in suo favore e di declaratoria di inefficacia del contratto ove stipulato, con istanza di subentro.
In sintesi, il ricorrente deduce tre motivi di diritto con cui lamenta plurimi profili di violazione di legge ed eccesso di potere, relativi rispettivamente: i) alla mancanza, in capo all’aggiudicataria, dei requisiti di partecipazione di carattere speciale, avendo comprovato i requisiti di capacità economico-finanziaria previsti dal Disciplinare di gara mediante contratto di affitto di azienda stipulato con la Società CR Appalti s.r.l., avente durata inferiore a quella (di tre anni) prevista dall’art. 16, co. 9, dell’Allegato II.12 al d. lgs. n. 36/2023, e in precedenza dall’art. 76, co. 9, del d.P.R. n. 207/2010 (v. censura dedotta sub romanino I.1.), nonché mancanza, in capo alla citata CR Appalti, dei requisiti di carattere generale, in ragione della sua sottoposizione a procedura di liquidazione giudiziale, con la conseguenza che il concorrente locatario avrebbe dovuto essere escluso in applicazione del principio generale ubi commoda ibi incommoda (v. romanino I.2.), oltre che difetto di istruttoria per omessa verifica dei requisiti di partecipazione in capo ad entrambe le società (v. romanino I.3.); ii) anomalia dell’offerta in ragione della indicazione di un costo della manodopera (pari ad euro 347.031,02) inferiore a quello previsto dalle tabelle ministeriali vigenti (approvate con Decreto direttoriale n. 52 del 27 settembre 2023, in relazione al periodo decorrente da luglio 2023), con riserva di proporre motivi aggiunti all’esito dell’ostensione della documentazione di cui ha richiesto l’accesso; iii) erronea applicazione del sub-criterio D.3 previsto dall’art. 16 del Disciplinare di gara (“Modalità organizzative di controllo sulla qualità delle prestazioni erogate”), per il quale sarebbe stato illegittimamente assegnato all’operatore aggiudicatario il punteggio di 6 in luogo di quello corretto, pari a 5,40 punti.
Il ricorrente ha formulato, altresì, istanza ex art. 116, co. 2 cod. proc. amm. per ottenere l’ebizione dell’offerta tecnica e dei giustificativi resi dall’aggiudicatario nel sub-procedimento di verifica dell’anomalia, nonché della documentazione a comprova del possesso dei requisiti di ordine generale.
4. Il Ministero della cultura, costituitosi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura dello Stato con atto del 7 maggio 2024, in data 9 maggio 2024 ha depositato memoria illustrativa, corredata da corposa produzione documentale, rappresentando che il RUP, in sede di verifica di anomalia dell’offerta, aveva ritenuto conferenti le spiegazioni fornite dal primo graduato (con nota acquisita al prot. n. 209 del 25 gennaio 2024) e che erano state regolarmente espletate le verifiche circa il possesso dei requisiti di partecipazione richiesti dal disciplinare di gara (come comprovato dalla documentazione prodotta).
5. In data 10 maggio 2024 si è costituito in giudizio l’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este a mezzo dell’avv. Francesco A. Caputo del Foro di Roma.
6. Il controinteressato Consorzio Stabile Eternity, già costituitosi con atto del 6 maggio 2024, in data 11 maggio 2024 ha depositato memoria illustrativa con la quale insta per il rigetto del gravame e della domanda cautelare, alla luce delle seguenti eccezioni e controdeduzioni: i) inammissibilità della censura dedotta con il primo mezzo per difetto di interesse, atteso che il contratto di affitto di azienda stipulato con CR Appalti non era scaduto al momento dell’aggiudicazione, e comunque sua infondatezza nel merito, in ragione dell’inapplicabilità al caso di specie delle norme invocate dalla parte (relative alla sola fattispecie di appalto di lavori) e tenuto conto, in ogni caso, che il suddetto contratto di affitto (mai oggetto di disdetta) contiene una clausola di tacito rinnovo, oltre che infondatezza dell’ulteriore doglianza vertente sull’intervenuto assoggettamento della Società affittante a liquidazione giudiziale, alla luce del vigente quadro normativo; ii) inammissibilità e/o infondatezza del secondo mezzo, avendo la ricorrente calcolato pro domo sua i costi della manodopera sulla scorta di un calcolo astratto e arbitrario; iii) inammissibilità del terzo motivo perché sfornito di prova di resistenza.
7. Con ricorso notificato e depositato nella medesima data del 13 maggio 2024, il Consorzio Istant Service ha presentato motivi aggiunti all’esito dell’ostensione, avvenuta in data 23 aprile 2024, dei giustificativi prodotti dall’aggiudicataria nel sub-procedimento di verifica di anomalia dell’offerta, deducendo che quest’ultima avrebbe dovuto essere esclusa per violazione dell’art. 110, co. 5, lett. d) d. lgs. n. 36/2023, in ragione dello scostamento del costo della manodopera indicato dall’aggiudicatario rispetto ai minimi tabellari. Deduce, inoltre, che detto scostamento sarebbe comunque tale da rendere l’offerta inattendibile nel suo complesso e che gli ulteriori costi indicati (per spese generali, attrezzature, ecc.) risultano non giustificati né documentati. Insiste, poi, per l’accoglimento dell’istanza ex art. 116 cod. proc. amm., avendo la stazione appaltante negato l’ostensione dell’offerta tecnica dell’aggiudicatario e della documentazione a comprova del possesso dei requisiti di ordine generale.
8. In vista della camera di consiglio del 28 maggio 2024, fissata per la trattazione sia della domanda cautelare che dell’istanza di accesso in corso di causa, tutte le parti hanno depositato memorie (cfr. per il controinteressato, il ricorrente e l’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este – quest’ultimo rappresentato dall’Avv. Caputo – le memorie prodotte in data 24 maggio 2024, e per l’Avvocatura dello Stato la memoria del 27 maggio 2024). Il Consorzio Stabile Eternity ha altresì prodotto “giustificativi aggiunti” relativi alle voci di costo già indicate nella nota prot. n. 209/2024.
9. Nel corso della suddetta camera di consiglio la domanda cautelare, su richiesta di parte, è stata cancellata dal ruolo delle sospensive e, con ordinanza n. 11346/2024 del 3 giugno 2024, la Sezione ha accolto parzialmente l’istanza ex art. 116, co. 2 cod. proc. amm., condannando il Ministero della cultura - Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa D'Este ad ostendere l’offerta economica presentata dall’aggiudicatario Consorzio Stabile Eternity.
10. Con atto depositato in data 29 maggio 2024 l’avv. Francesco A. Caputo ha rinunciato al mandato alle liti, prendendo atto delle obiezioni formulate dall’Avvocatura dello Stato nella memoria del 27 maggio 2024 “in punto della ritenuta carenza di ius postulandi in capo allo scrivente, nel senso che l’Istituto stesso non potesse dotarsi di un Avvocato del libero foro”.
11. In data 18 giugno 2024 il Ministero della cultura, in ottemperanza all’ordine di esibizione impartito dalla Sezione, ha prodotto in atti la relazione tecnica presentata dall’operatore controinteressato nell’ambito della procedura di gara per cui è causa e, con successivo deposito del 24 giugno 2024, il Consorzio Stabile Eternity ha prodotto sia il DURC (regolare) di CR Appalti per il periodo 17.3.2022 – 15.7.2022, sia il verbale di accordo sindacale sottoscritto in data 28 marzo 2024, con cui è stato formalizzato l’impegno al “riassorbimento” di tutto il personale della ditta uscente attualmente impiegato nell’esecuzione del servizio oggetto della procedura di cui trattasi.
12. In vista dell’udienza di discussione del ricorso sia il ricorrente che il controinteressato hanno presentato memorie illustrative (entrambe depositate in data 28 giugno 2024) e repliche (cfr. depositi del 4 luglio 2024), con cui: il ricorrente ha ribadito le doglianze dedotte con il primo mezzo di ricorso, anche alla luce dell’intervenuta messa in vendita del ramo d’azienda di CR Appalti nell’ambito della procedura concorsuale instaurata a suo carico, ed eccepito, altresì, l’inammissibilità degli ulteriori giustificativi prodotti dalla controparte in corso di causa, oltre che dedotto, nel merito, l’inattendibilità di alcune voci (relative al costo del personale) ivi dettagliate alla luce dei valori tabellari di riferimento, in quanto frutto di artificiosa riduzione; il controinteressato ha reiterato, in via pregiudiziale, l’eccezione di tardività del ricorso per motivi aggiunti - già sollevata con la memoria del 24 giugno 2024 - e insistito, nel merito, per la congruità del costo della manodopera, anche laddove eventualmente calcolato sulla scorta degli stessi valori tabellari indicati dal ricorrente (come comprovato dai suddetti giustificativi aggiunti), oltre che delle restanti voci dell’offerta.
In data 12 luglio 2024 il medesimo controinteressato ha prodotto comunicazione – tratta dal portale “FALLCO” – di intervenuta aggiudicazione in suo favore della vendita del ramo d’azienda “CR Appalti”.
13. All’udienza pubblica del 15 luglio 2024 il ricorso è stato discusso e introitato per la decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, il Collegio avverte la necessità di esaminare l’istanza di “oscuramento dei dati personali” avanzata dal controinteressato nella memoria illustrativa del 28 giugno 2024 e reiterata con la memoria di replica del 4 luglio 2024.
L’istanza de qua non può essere accolta.
Si reputa opportuno richiamare l’orientamento già fatto proprio da questo Tribunale (cfr. T.A.R. Lazio, II bis, 12 gennaio 2018, n. 353), che sul punto ha condivisibilmente argomentato quanto segue:
- come noto, in ragione di esigenze di tutela della privacy è stata introdotta nel nostro ordinamento, già con la legge n. 675 del 31 dicembre 1996, di recepimento, tra l’altro, della direttiva comunitaria n. 94/46/CE, una specifica disciplina di regolamentazione del “trattamento dei dati personali” (da intendere in termini di “qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”), ora trasfusa nel decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, comunemente definito “codice della privacy”;
- seppure le sentenze e gli ulteriori provvedimenti giurisdizionali costituiscono atti soggetti all’onere della pubblicazione, mediante il deposito nelle cancellerie e nelle segreterie giudiziarie, e, dunque, costituiscono, in termini generali atti “pubblici” (come, tra l’altro, im24plicitamente riconosciuto anche dal disposto dell’art. 51 del d.lgs. di cui sopra e, ancora, ribadito nelle linee guida del Garante della Privacy del 2 dicembre 2010, pubblicate nella G.U. n. 2 del 4 gennaio 2011), il legislatore si è mostrato – comunque – sensibile nei confronti di qualsiasi soggetto risulti interessato all’oscuramento dei propri dati personali mediante la previsione di cui all’art. 52 del decreto in argomento, la quale prevede la facoltà di richiedere “un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione” della sentenza o del provvedimento, “l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento”, subordinatamente, però, all’espressa condizione che la richiesta risulti formulata “per motivi legittimi”;
- come osservato di recente anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11959 del 2017, devono, dunque, essere addotti motivi che, nel giusto ed equilibrato bilanciamento tra le esigenze di riservatezza e la pubblicità della sentenza, si palesino idonei a giustificare l’anonimato di soggetti coinvolti nella vicenda oggetto del giudizio.
L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche porta al rigetto delle istanze di oscuramento che risultino immotivate (in tal senso vedasi altresì T.A.R. Lazio, III ter, 21 aprile 2022, n. 4843, confermata, anche su questo specifico profilo, da Cons. Stato, sez. VII, 27 ottobre 2022, n. 9244).
Ciò premesso, il Collegio deve prendere atto che l’istanza formulata da controparte risulta sfornita di motivazione, essendosi limitata a paventare un “concreto pregiudizio per gli interessi di onorabilità, riservatezza dei dati personali o riguardanti il Consorzio Stabile Eternity e le parti e persone coinvolte” che deriverebbe dalla pubblicazione in forma non oscurata del presente provvedimento, senza tuttavia esplicitare meglio in cosa esso consisterebbe, e tenuto peraltro conto sia della specifica natura del provvedimento oggetto dell’odierno gravame (aggiudicazione di un appalto pubblico, soggetta alle note forme di pubblicità previste dalla vigente normativa), sia della non ravvisabilità di dati meritevoli di particolare protezione, quali i cc.dd. dati sensibili (specie in ragione della circostanza che, negli atti di causa, non si fa mai un esplicito riferimento a singole persone fisiche la cui riservatezza potrebbe risultare compromessa).
Pertanto, l’istanza in trattazione è immeritevole di positivo riscontro.
2. In via pregiudiziale va dato, poi, atto che la procedura di affidamento per cui oggi è causa è stata bandita dall’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este, che in essa riveste il ruolo di stazione appaltante.
Detto Istituto è un Ufficio dirigenziale non generale del Ministero della cultura dotato di autonomia speciale, giusta il disposto dell’art. 24, co. 3, lett. b), n. 26 del D.P.C.M. 15 marzo 2024, n. 57 (recante “Regolamento di organizzazione del Ministero della cultura, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance”), ma privo di personalità giuridica autonoma rispetto allo stesso Ministero, di cui costituisce mera articolazione organizzativa, con la conseguenza che esso è tenuto ad avvalersi del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato (come esaustivamente rappresentato dalla stessa Avvocatura nella memoria del 27 maggio 2024).
Va, pertanto, rilevata la nullità della procura ad litem rilasciata direttamente dall’Istituto all’avv. Francesco A. Caputo del libero foro e il conseguente difetto di ius postulandi in capo al medesimo (come del resto si dà atto nella dichiarazione di rinuncia al mandato prodotta in data 29 maggio 2024), disponendosi conseguentemente lo stralcio degli atti da lui sottoscritti (segnatamente, memoria di costituzione in giudizio depositata il 10 maggio 2024 e ulteriore memoria del 24 maggio 2024 presentata in vista della camera di consiglio), sicché non se ne terrà conto ai fini del decidere.
3. Nel merito, il gravame è privo di fondamento per le ragioni che si passa di seguito a rassegnare.
4. Principiando dall’esame del ricorso introduttivo, con il primo motivo il ricorrente sviluppa tre diversi ordini di censure.
In estrema sintesi, con le prime due (romanini I.1. e I.2.) il ricorrente lamenta che il Consorzio Stabile Eternity avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura di gara per mancanza dei requisiti di partecipazione contemplati dalla lex specialis, e ciò per due concomitanti ordini di ragioni, mentre con la terza (romanino I.3.) denuncia difetto di istruttoria per omessa verifica, da parte della stazione appaltante, del possesso dei requisiti di ordine generale.
Tali doglianze muovono dal presupposto fattuale che il Consorzio Stabile Eternity ha comprovato il possesso dei requisiti speciali di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale previsti dal Disciplinare di gara, segnatamente ai paragrafi 5.2. (“Fatturato globale maturato nel triennio 2020 – 2021 – 2022 almeno pari € 1.500.000,00 IVA esclusa”) e 5.3. (“Esecuzione nel precedente triennio (21.11.2020 – 21.11.2023) di almeno 1 servizio analogo a quello di cui al presente appalto in almeno una Stazione Appaltante/Ente contraente, per una durata minima di almeno un anno con l’indicazione dell’importo, oggetto, periodo e destinatario, pubblico o privato dei servizi stessi”), a mezzo di contratto di affitto di ramo d’azienda sottoscritto in data 7 giugno 2022 con la Società CR Appalti s.r.l. e relativo all’attività “pulizie” (segnatamente, trattasi del ramo d’azienda dedicato ai “servizi di pulimento, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione”, come descritto nelle premesse del contratto, versato in atti al doc. 24 allegato al ricorso). Ciò ha consentito all’affittuario Consorzio Stabile Eternity di avvalersi (per il secondo dei menzionati requisiti) del contratto stipulato dalla concedente C.R. Appalti con il Parco archeologico del Colosseo in data 2 agosto 2021, avente ad oggetto il “Servizio di pulizia nolo e manutenzione degli apparecchi igienizzanti”.
4.1. Ciò posto, l’art. 4 del suddetto contratto d’affitto di ramo d’azienda prevede una “scadenza al 31 dicembre 2024”, e su tale termine la parte ricorrente incentra la doglianza dedotta al romanino I.1., argomentando che la sua durata sarebbe inferiore a quella minima di tre anni prevista ex lege, giusta il disposto dell’art. 16, co. 9 dell’allegato II.12 al d. lgs. n. 36/2023, che ricalca il previgente art. 76, co. 9, del d.P.R. n. 207/2010, secondo cui “Nel caso di affitto di azienda l'affittuario può avvalersi dei requisiti posseduti dall'impresa locatrice se il contratto di affitto abbia durata non inferiore a tre anni”.
É possibile sorvolare sull’eccezione di inammissibilità della doglianza per difetto di interesse, sollevata dalla difesa del controinteressato, in ragione della sua manifesta infondatezza nel merito.
Va premesso che non è oggetto di contesa – bensì sembra essere data per pacifica – la possibilità, per l’operatore economico che intenda partecipare ad una procedura di appalto (nello specifico, affidamento di un servizio), di avvalersi del contratto di affitto di azienda/ramo d’azienda stipulato con un soggetto terzo al fine comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione previsti dalla lex specialis.
Nel caso di specie, la doglianza sollevata dal ricorrente attiene unicamente all’inidoneità del contratto di affitto in essere tra il Consorzio Stabile Eternity e la società C.R. Appalti a garantire, già a monte, il possesso di quei requisiti, in ragione della sua “insufficiente” durata.
Ciò opportunamente precisato, è dirimente la considerazione che lo stesso art. 4 invocato dalla parte dispone che, alla scadenza, “il contratto dovrà considerarsi tacitamente rinnovato per ulteriori periodi di due anni se non previamente disdetto da una delle Parti […]”.
Il contratto d’affitto di cui trattasi, dunque, contiene un’espressa clausola di rinnovo tacito (di biennio in biennio), destinata ad operare automaticamente alla sua naturale scadenza (che cadrà il 31 dicembre 2024), salvo preventiva disdetta.
Ne consegue che, anche a voler seguire la tesi del ricorrente e ammettere, in via ipotetica, che le disposizioni invocate in ricorso, dettate specificamente per gli appalti di lavori (l’all. II.12 al d. lgs. n. 36/2023, infatti, disciplina il “Sistema di qualificazione e requisiti per gli esecutori di lavori”), trovino un’applicazione “estensiva” anche agli appalti di servizi (il che comunque è stato contestato dalla difesa del controinteressato), la sopra citata clausola espressamente prevede una proroga automatica della durata del rapporto contrattuale sufficiente a garantire, in capo all’affittuario (odierno aggiudicatario), la disponibilità del compendio aziendale per un arco temporale di almeno tre anni (cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. III, 6 novembre 2019, n. 7581).
Va poi precisato, come condivisibilmente eccepito dal controinteressato nella propria memoria di replica del 4 luglio 2024, che la “inattualità” del suddetto contratto di affitto, asseritamente scaturente dall’intervenuto avvio della gara per la vendita coattiva dello stesso ramo d’azienda della CR Appalti (nell’ambito della procedura concorsuale – pendente dinanzi al Tribunale di Roma – alla quale la medesima concedente/affittante è stata assoggettata, come meglio si dirà), quale rappresentata dalla parte ricorrente con la memoria ex art. 73 cod. proc. amm. del 28 giugno 2024, configura una inammissibile e dunque non consentita mutatio della doglianza originariamente dedotta.
Invero, come già chiarito, la ratio della censura veicolata con il primo mezzo del ricorso introduttivo verte esclusivamente sul mancato possesso ab origine (ossia già in sede di presentazione dell’offerta) dei requisiti di partecipazione (di ordine speciale) che l’operatore aggiudicatario ha mutuato dall’affittante, in ragione della “insufficiente” durata del contratto di affitto (quale pattiziamente prevista), con la conseguenza che il thema decidendum delineato con il ricorso introduttivo attiene a tale specifico aspetto. Con la successiva memoria illustrativa, invece, la parte deduce una circostanza fattuale sopravvenuta, rappresentata dall’avvio della vendita forzosa del ramo d’azienda, la quale attiene ad un profilo affatto diverso dalla scadenza originaria del contratto, e che (secondo quanto sembrerebbe adombrare il ricorrente) inciderebbe sulla perdurante disponibilità del compendio aziendale in capo all’operatore affittuario.
4.2. Con l’ulteriore censura dedotta sub romanino I.2. il ricorrente, muovendo dal presupposto che CR Appalti è stata posta in liquidazione giudiziale ai sensi dell’art. 50 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (cd “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”), con pronuncia emessa dal Tribunale di Roma in data 9 marzo 2023 (come da visura versata in atti), e dunque antecedente al termine di scadenza per la presentazione delle offerte fissato dal bando (27 dicembre 2023), argomenta nel senso che la medesima società concedente/affittante sarebbe priva “per definizione” dei requisiti di partecipazione di ordine generale di cui agli artt. 94 e ss. d. lgs. n. 36/2023, ragione per cui “il Consorzio non poteva avvalersi dei requisiti della C.R. Appalti”: tale carenza si rifletterebbe, infatti, sull’affittuario in applicazione del principio generale ubi commoda ibi incommoda, per il quale il cessionario dell’azienda, come si avvale dei requisiti del cedente sul piano della partecipazione a gare pubbliche, così risente anche delle conseguenze dell’eventuale carenza dei requisiti in capo al medesimo cedente (principio che, per prevalente indirizzo giurisprudenziale, si applicherebbe anche al contratto di affitto di azienda).
In sostanza, la doglianza è diretta a far valere la mancata esclusione dalla gara del controinteressato Consorzio Stabile Eternity, sul presupposto che il medesimo era privo, ab origine, dei requisiti di partecipazione, risentendo (in via di automatismo) della liquidazione giudiziale cui è stata sottoposta la società concedente/affittante, da cui il primo aveva mutuato i requisiti di carattere speciale, in uno alla disponibilità del compendio aziendale da utilizzarsi per l’espletamento del servizio in affidamento (trattandosi, come più volte sottolineato dal ricorrente nei propri scritti difensivi, di soggetto di recente costituzione).
La questione dedotta con il ricorso si colloca al crocevia di due distinti e articolati corpi normativi, quali sono, da un lato, il “nuovo” Codice dei contratti pubblici di cui al d. lgs. n. 36/2023 e, dall’altro, la disciplina delle procedure concorsuali dettata dal vigente d. lgs. n. 14/2019.
Ciò premesso, l’interpretazione proposta dal ricorrente non ha pregio, non trovando essa un esplicito addentellato normativo in nessuno dei citati “sistemi”, né un convincente ancoraggio nel principio generale “ubi commoda ibi incommoda” evocato dalla parte.
Da un lato, come condivisibilmente rappresentato dalla difesa della controinteressata, nel Codice dei contratti pubblici non vi è alcuna specifica previsione che imponga espressamente, sic et simpliciter, l’esclusione dell’operatore economico, affittuario di azienda e/o ramo d’azienda, allorché l’impresa concedente/affittante sia stata medio tempore assoggettata ad una procedura concorsuale: se è vero che l’art. 94, co. 5, lett. d) del d. lgs. n. 36/2023 prevede, quale ipotesi di esclusione automatica dalla gara, la sottoposizione (tra l’altro) alla procedura di liquidazione giudiziale, è parimenti incontestabile che tale disposizione si riferisce al solo “operatore economico”, così circoscrivendo in capo al soggetto che prende parte alla procedura di appalto l’ambito di operatività della causa di esclusione di cui trattasi.
Tale interpretazione “restrittiva” trova conforto anche nel principio di tassatività delle clausole di esclusione, ora dettato dall’art. 10 del vigente Codice dei contratti pubblici, da leggersi in combinato disposto con i più generali principi - di derivazione comunitaria - di concorrenza e massima partecipazione (anch’essi codificati ed espressamente richiamati nel Libro I del Codice).
Sicché nessun dato normativo induce a ritenere che, di per sé, il fallimento (ora liquidazione giudiziaria) dell’impresa concedente l’azienda/ramo d’azienda si rifletta, per così dire “per contagio”, in capo all’affittuario.
A contrario, tale interpretazione risulta sconfessata dalla disciplina in materia di procedure concorsuali attualmente contenuta nel d. lgs. n. 14/2019, e in particolare dall’art. 184, co. 1, secondo cui “L'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente non scioglie il contratto di affitto d'azienda, ma il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può recedere entro sessanta giorni […]”. Detta norma accorda un termine massimo entro il quale l’organo della procedura può esercitare la facoltà di recesso (trattasi di una sorta di “ius poenitendi”), decorso il quale il contratto conserva (si potrebbe dire “consolida”) i propri effetti: la ratio di fondo è garantire la conservazione dei valori imprenditoriali laddove essi siano inseriti in altro contesto e gestiti da altro soggetto ai fini di un loro proficuo impiego produttivo, e ciò anche nell’interesse della massa dei creditori del soggetto insolvente.
In un’ottica sistematica, e “calando” tale previsione nel contesto di una procedura di evidenza pubblica che veda la partecipazione dell’affittuario dell’azienda, è da privilegiarsi un’interpretazione che neghi il verificarsi, in capo al medesimo, di effetti “escludenti” di tipo automatico, sub specie di mancanza ab origine o intervenuta perdita dei requisiti di partecipazione alla gara, altrimenti risultando vanificato l’obiettivo di fondo che la disposizione persegue.
Peraltro, la censura veicolata con l’odierno ricorso risulta incentrata genericamente sulla mera circostanza rappresentata dalla sottoposizione dell’affittante CR Appalti a liquidazione giudiziale, che appunto – secondo quanto paventa il ricorrente – opererebbe di per sé, in via di automatismo, e non già su un (già avvenuto o potenziale) scioglimento del rapporto contrattuale in essere con tale società, nell’esercizio della facoltà di recesso riconosciuta alla curatela, e sugli effetti che tale evento produrrebbe, a cascata, in capo all’operatore economico partecipante ad una procedura di evidenza pubblica: avuto riguardo a questo distinto profilo, peraltro, è incontestato che, nel caso di specie, il curatore non ha optato per il recesso, sicché non si è mai verificata (né peraltro è stata mai dedotta) alcuna cesura nella disponibilità giuridica e materiale, in capo al controinteressato Consorzio Stabile Eternity, del ramo di azienda in affitto (di contro, con il deposito documentale effettuato a ridosso dell’udienza di discussione del ricorso, quest’ultimo ha comprovato il suo definito subentro all’affittante nella titolarità del ramo d’azienda, quale aggiudicatario della procedura di vendita coattiva).
Né la mancanza di una disposizione ad hoc che contempli espressamente tale effetto escludente potrebbe essere colmata dando applicazione al principio di ordine generale compendiato nel brocardo “ubi commoda ibi incommoda”, come articolato e sviluppato dal nutrito indirizzo giurisprudenziale, evocato dal ricorrente nei propri scritti difensivi, che si è occupato della fattispecie della cessione di azienda, con argomentazioni considerate valide anche per l’ipotesi (sostanzialmente affine) di affitto di essa o di un suo ramo (cfr. segnatamente Ad. Plen. n. 10/2012 e giurisprudenza successiva menzionata dalla parte, tra cui in particolare il precedente del Consiglio di Stato, Sez. V, 7 ottobre 2021, n. 6706).
Va rilevato che tale indirizzo pretorio non è pertinente ai fini che oggi occupano.
La sentenza n. 10/2012 dell’Adunanza Plenaria afferisce ad una fattispecie in cui erano ravvisabili, dagli atti di causa, concreti e specifici profili di “continuità sostanziale” tra l’impresa cedente del ramo d’azienda e la cessionaria (la quale ultima aveva preso parte alla gara d’appalto), essendo emersi “sufficienti elementi per affermare che il concorrente […] è la mera continuazione della stessa «azienda» ceduta” (cfr. in particolare punti 4 e ss. della pronuncia), attribuendo così rilievo dirimente al “profilo della sostanziale continuità del soggetto imprenditoriale a cui si riferiscono (le cause di esclusione, n.d.r.), sicché il soggetto cessato dalla carica sia identificabile come interno al concorrente”, e ciò al fine di evitare elusioni della norma e “impedire anche solo la possibilità di inquinamento dei pubblici appalti di lavori, servizi e forniture derivante dalla partecipazione alle relative procedure di affidamento di soggetti di cui sia accertata la mancanza di rigore comportamentale con riguardo a circostanze gravemente incidenti sull’affidabilità morale e professionale”, ciò costituendo “lo scopo stesso della preclusione di legge”.
A tali coordinate ermeneutiche si è conformato anche il precedente più volte invocato dal ricorrente nei propri scritti difensivi, ossia la sentenza n. 6706/2021 del Consiglio di Stato: la medesima, resa proprio con riferimento ad una fattispecie in cui constava il fallimento della società affittante il ramo d’azienda, ha accertato la “presenza di elementi sintomatici di una continuità aziendale tra le parti dell’operazione negoziale”, quali risultanti dalla documentazione in atti (cfr. soprattutto punto 7.8 della sentenza), e da ciò ha per l’appunto tratto l’abbrivio per argomentare che “qualora l’affittuaria non fornisca la prova (sulla stessa incombente) di una completa «cesura» tra le due successive gestioni, la Stazione appaltante è tenuta a verificare il possesso dei requisiti di partecipazione alla gara anche in capo all’affittante, poiché «chi si avvale dei requisiti dei terzi sul piano della partecipazione alle gare pubbliche, risente delle conseguenze sullo stesso piano, delle eventuali responsabilità» (in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 5 novembre 2014, n. 5470; Sez. III, 12.12.2018, n. 7022). In linea generale, deve infatti rilevarsi che laddove i rapporti sussistenti tra l’affittante l’azienda e l’affittuaria, quali risultanti dalla documentazione di gara, evidenzino una situazione di sostanziale continuità imprenditoriale tra le parti dell’operazione, tale da ingenerare il «sospetto» della finalità elusiva del negozio di affitto di azienda, è necessaria la verifica ad opera della Stazione appaltante dei requisiti generali di partecipazione alla gara in capo all’affittante (cfr. Cons. Stato n. 7022/2018 cit.)”.
In particolare, è stato espressamente affermato che “in linea di principio non può essere preclusa la partecipazione alla gara all’operatore economico affittuario dell’azienda del fallito (ove si tratti di soggetto che non si trovi in stato di dissesto economico finanziario)”, precisandosi poi che “non può tuttavia ritenersi ininfluente ai fini della partecipazione della gara dell’affittuario (in relazione all’accertamento della causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. b) del D.lgs. 50/2016) la vicenda relativa al fallimento dell’affittante, dal quale il primo abbia mutuato (mediante il negozio traslativo del compendio aziendale) i requisiti di partecipazione. Sebbene infatti le cause di esclusione, in quanto derogatorie rispetto al generale principio della più ampia partecipazione alle gare di appalto, siano tassative ai sensi dell’art. 83, comma 8, del D.Lgs. n. 50 del 2016 […], tanto non consente di ritenere non dovuta o superflua la su indicata verifica ad opera della Stazione appaltante alla luce delle circostanze puntualmente indicate dall’appellata sentenza”.
In altri termini, da una corretta lettura di tali precedenti discende che, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, il fallimento (ora liquidazione giudiziale) della società affittante/concedente il ramo di azienda non comporta, di per sé e in via di automatismo, l’esclusione dell’affittuaria dalla gara per assenza dei requisiti (del resto, la stessa sentenza n. 6706/2021 esclude una preclusione generalizzata, come espressamente afferma il passaggio motivazionale sopra riportato), imponendo solo un approfondimento istruttorio da parte della stazione appaltante qualora emergano indizi di continuità sostanziale tra le due imprese, al fine di appurare se vi sia o meno una “cesura” tra le due gestioni. Elementi indiziari che, come meglio si dirà, nel caso di specie non sono stati tempestivamente dedotti dal ricorrente.
In conclusione, la censura, per come formulata, essendo appunto incentrata specificamente sul rilievo della mancata esclusione tout court dell’aggiudicatario, va rigettata.
4.3. Quanto sin qui argomentato rende ragione anche della infondatezza della censura ulteriormente dedotta sempre con il primo mezzo di ricorso, sub romanino I.3.
La doglianza, innanzitutto, appare formulata in termini vaghi e astratti, avendo la parte lamentato genericamente un difetto di istruttoria per non avere la stazione appaltante verificato “il possesso dei requisiti generali da parte della C.R. Appalti e – alla stregua della documentazione ostesa – neanche del Consorzio aggiudicatario”. Nella propria memoria illustrativa il ricorrente invoca espressamente la violazione dell’art. 99 d. lgs. n. 36/2023, e nelle repliche del 4 luglio 2024 precisa che l’art. 17, comma 5, del Codice stabilisce che il competente organo “dopo aver verificato il possesso dei requisiti in capo all’offerente, dispone l’aggiudicazione, che è immediatamente efficace”.
Ciò precisato, in primo luogo si osserva che la censura, laddove riferita alla società affittante CR Appalti, non può trovare accoglimento proprio alla luce di quanto appena sopra argomentato: un difetto di istruttoria per omessa verifica del possesso dei requisiti in capo alla medesima affittante potrebbe essere configurabile laddove eventualmente emergano, e siano portati in giudizio, elementi o indizi idonei a far presumere l’esistenza di una continuità sostanziale tra le due gestioni imprenditoriali.
Nel caso di specie, in linea peraltro con l’impostazione di tipo “automatistico” che sorregge la precedente censura, il ricorrente si è limitato a lamentare, sic et simpliciter, la mancata verifica dei requisiti di ordine generale in capo a CR Appalti, quale omissione che sortirebbe, di per sé, un effetto invalidante (peraltro, come condivisibilmente dedotto dalla difesa della controinteressata, l’eventuale accoglimento di tale motivo porterebbe esclusivamente ad un supplemento di istruttoria), senza addurre alcun elemento indiziario nel senso sopra precisato e tale da imporre alla stazione appaltante tale doverosa verifica.
Solo in sede di memoria illustrativa è stata menzionata, per la prima volta, la coincidenza della persona fisica che riveste il ruolo di “preposto alla gestione tecnica”, addotta quale “indizio” di continuità aziendale tra i due soggetti, ma trattasi di una precisazione che, come eccepito dal controinteressato nella propria memoria di replica, comporta un’inammissibile mutatio del tenore della censura originariamente articolata con il gravame introduttivo, snaturandone il senso e la portata.
Per le medesime ragioni nemmeno ha pregio il riferimento, contenuto in ricorso e ribadito nei successivi scritti di parte, alla “grave situazione di dissesto finanziario” in cui in tesi versava CR Appalti anche prima della intervenuta dichiarazione di liquidazione giudiziale, comprovato da informazioni desunte da un articolo di stampa edito su un portale telematico e formulato al fine di comprovare possibili carenze dei requisiti generali in capo alla società affittante: in disparte il rilievo che le informazioni di stampa sono sguarnite di valore probatorio, è dirimente la considerazione che, nella specifica fattispecie per cui oggi è causa e alla luce di quanto sopra argomentato, non è dato ravvisare, in capo alla stazione appaltante, un obbligo generalizzato di verifica dei requisiti di partecipazione anche in capo all’affittante, per come dedotto dal ricorrente. Ne consegue che non ha pregio interrogarsi sulla questione, su cui si sono concentrate le incrociate difese del ricorrente e del controinteressato contenute negli scritti difensivi depositati a ridosso dell’udienza di discussione del ricorso, della rilevanza o meno ai presenti fini del DURC (regolare) depositato dal controinteressato in data 24 giugno 2024.
In secondo luogo, sempre alla luce del materiale di causa non è fondatamente contestabile che la stazione appaltante non abbia espletato la verifica dei requisiti generali in capo all’affittuario Consorzio Stabile Eternity: vedasi quanto dedotto sul punto nella memoria difensiva dell’Avvocatura e comprovato dalla copiosa documentazione versata in atti in data 9 aprile 2024, tra cui figura sia la nota prot. n. 251 del 30 gennaio 2024 (cfr. doc. 15), con cui il RUP ha richiesto all’aggiudicatario di “produrre idonea documentazione a comprova del possesso dei requisiti di partecipazione previsti dalla lex specialis” (ivi minuziosamente elencata), sia la documentazione richiesta (certificazioni, attestazioni, bilanci, ecc.), trasmessa con pec del 2 febbraio 2024 (cfr. doc. 16, nonché ancora allegati prodotti nel fascicolo telematico dalla difesa erariale con deposito documentale effettuato alle h. “18:10:33”).
5. Venendo ora all’esame del secondo motivo di ricorso, va precisato che le censure con esso dedotte vanno esaminate congiuntamente a quelle articolate con i motivi aggiunti, i quali adducono ulteriori profili a supporto della tesi dell’incongruenza del costo della manodopera e dell’insostenibilità, nel suo complesso, dell’offerta del Consorzio Stabile Eternity, una volta che, in corso di causa, sono stati ostesi i giustificativi prodotti dal controinteressato nel corso del sub-procedimento di verifica dell’anomalia ex art. 110 d. lgs. n. 36/2023.
6. In via pregiudiziale va esaminata l’eccezione di irricevibilità del ricorso per motivi aggiunti (per tardività della relativa notifica) sollevata dal controinteressato.
Essa trae alimento dall’orientamento giurisprudenziale in tema di c.d. “sottrazione dei giorni” (peraltro sviluppatosi nella vigenza del precedente Codice dei contratti pubblici di cui al d. lgs. n. 50/2016), secondo il quale, ai fini del computo del termine (30 giorni) previsto per la tempestiva proposizione del ricorso, sarebbe “a carico” del ricorrente il lasso temporale intercorso tra la presentazione dell’istanza di accesso e l’effettiva ostensione dei documenti richiesti. La tesi propugnata si fonda su un articolato ragionamento che prende le mosse dal presupposto che il ricorrente aveva presentato due istanze di accesso, la prima del 20 marzo 2024, che si afferma essere “del tutto generica” e quindi inidonea a consentire l’integrale ostensione dei documenti richiesti (come peraltro evidenziato dalla stazione appaltante con la nota prot. n. 697-P del 27 marzo 2024), e la seconda (più specifica) dell’8 aprile 2024, e che può essere così sintetizzato: andrebbero computati i giorni complessivamente trascorsi tra a) l’aggiudicazione (18 marzo 2024) e la seconda istanza, pari a 21, nonché b) tra quest’ultima e la data dell’ostensione (23 aprile 2024), pari a 15, e c) tra l’ostensione e la data di notifica del gravame (13 maggio 2024), pari a 20, per un totale complessivo di 56 giorni, da cui vanno sottratti i 15 giorni impiegati dalla stazione appaltante per fornire riscontro all’accesso, con il risultato che i motivi aggiunti risultano tardivamente notificati, essendo stati presentati a distanza di 41 giorni dall’aggiudicazione. Il controinteressato sostiene che “analogo ragionamento, poi, può essere seguito se si aderisce all’interpretazione del «termine secco» di 45 giorni dall’aggiudicazione”.
L’eccezione in esame non può essere accolta.
Essa, infatti, non tiene conto che, con la prima istanza di accesso (presentata il giorno immediatamente successivo alla comunicazione dell’aggiudicazione, e dunque con assoluta tempestività), il Consorzio Istant Service, “nella sua qualità di partecipante alla procedura in oggetto e classificatasi al 2° posto in graduatoria”, aveva rappresentato l’esistenza di “un rilevante interesse diretto, concreto ed attuale ad accedere tempestivamente alla documentazione dell’operatore economico odierno aggiudicatario, ai fini della difesa, ove occorra, anche in via giudiziale dinanzi al TAR competente, dei propri interessi in relazione alla procedura in oggetto”, in considerazione del fatto che l’aggiudicatario “ha presentato un’offerta anormalmente bassa ex art.110 del codice, praticando il ribasso, rispetto al prezzo posto a base di gara, più alto rispetto a tutti gli altri concorrenti”. In altri termini, già la prima istanza conteneva un chiaro riferimento all’esistenza di profili di anomalia dell’offerta, con la conseguenza che detta richiesta non può considerarsi “generica” e dunque in certo qual modo “elusiva”.
Tanto è comprovato, del resto, dal tenore della seconda istanza di accesso: la medesima, infatti, non fa che ribadire quanto precedentemente rappresentato (“La Scrivente società, nell’istanza del 20 marzo u.s., ha già evidenziato che la stessa è titolare, in qualità di partecipante alla procedura in oggetto e classificatasi al 2° posto in graduatoria, di un rilevante interesse diretto, concreto ed attuale ad accedere tempestivamente alla documentazione richiesta, anche ai fini della difesa in giudizio dei propri diritti e interessi. La stessa ha, altresì, manifestato specifico interesse all’ostensione della documentazione inerente al subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, evidenziando come l’aggiudicatario avesse «presentato un’offerta anormalmente bassa ex art.110 del codice, praticando il ribasso, rispetto al prezzo posto a base di gara, più alto rispetto a tutti gli altri concorrenti»”), limitandosi a richiamare il quadro normativo e giurisprudenziale sviluppatosi in tema di accesso agli atti di gara con la precisazione, peraltro ovvia, che “Appare, ad ogni modo, evidente la «stretta indispensabilità» della documentazione richiesta ai fini della tutela in giudizio dei diritti e interessi dell’odierna istante, così come è evidente il nesso di strumentalità esistente tra la documentazione oggetto dell’istanza di accesso e le censure in questa sede formulate, riguardanti la formulazione da parte dell’aggiudicatario di «un’offerta anormalmente bassa ex art. 110 del codice»”, avallata dal riferimento al “verbale di gara n. 6 del 25/01/2024, relativo alla verifica della congruità dell’offerta presentata dall’aggiudicatario”, da cui risulterebbero “gravi indizi di anomalia e incongruità tali da richiedere in sede giudiziale la caducazione del provvedimento di aggiudicazione”. Precisazione che, tuttavia, nulla aggiunge, in termini sostanziali, alle ragioni (già evidenziate nella precedente richiesta) che supportano l’esigenza conoscitiva avanzata dall’istante.
Ne consegue che la condotta della stazione appaltante appare ingiustificatamente dilatoria.
Va dato dunque seguito al nutrito orientamento giurisprudenziale, richiamato anche di recente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2024, n. 2882), secondo cui “trova applicazione un diverso (nuovo) termine «qualora l’Amministrazione aggiudicatrice rifiuti l’accesso o impedisca con comportamenti dilatori l’immediata conoscenza degli atti di gara (e dei relativi allegati)» (e cioè «in presenza di eventuali […] comportamenti dilatori» della stessa amministrazione, «che non possono comportare suoi vantaggi processuali, per il principio della parità delle parti», tenuto conto d’altra parte che «L’Amministrazione aggiudicatrice deve consentire all’impresa interessata di accedere agli atti»): in tal caso, infatti, «il termine per l’impugnazione degli atti comincia a decorrere solo da quando l’interessato li abbia conosciti» (Cons. Stato, Ad. plen., n. 12 del 2020, cit., par. 25.2). Siffatto nuovo termine si applica, in particolare, laddove l’amministrazione non dia «immediata conoscenza» degli atti di gara, in specie mediante tempestiva risposta alla (anch’essa tempestiva) richiesta d’accesso, da evadere entro il termine di 15 giorni (cfr. Cons. Stato, V, 20 marzo 2023, n. 2796; 7 febbraio 2024, n. 1263; III, 15 marzo 2022, n. 1792; V, 4 ottobre 2022, n. 8496), e coincide con l’ordinario termine d’impugnazione di trenta giorni, decorrente dalla effettiva ostensione dei documenti richiesti dall’interessata (cfr. Cons. Stato, IV, 11 novembre 2020, n. 6392; V, n. 8496 del 2022, cit.; cfr. anche, per il decorso del termine dall’evasione dell’istanza d’accesso, Id., n. 575 del 2021, cit.; 26 aprile 2022, n. 3197, cit.; 29 aprile 2022, n. 3392)”.
Occorre, peraltro, considerare che la censura di “VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 110 D.LGS. N. 36/2023. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELLA LEX SPECIALIS. ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITÀ E IRRAGIONEVOLEZZA MANIFESTE, ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI. DIFETTO DI ISTRUTTORIA, MOTIVAZIONE ERRONEA, CARENTE E PERPLESSA, SVIAMENTO. VIOLAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI DI BUON ANDAMENTO, REGOLARITÀ, TRASPARENZA, CONCORRENZA E PARITÀ DI TRATTAMENTO” per incongruità del costo della manodopera indicato nell’offerta, nonché difetto di congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell’offerta complessivamente considerata, è stata comunque già proposta con il ricorso introduttivo, incontestabilmente presentato nel termine di 30 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, salvo essere poi integrata da motivi aggiunti, anch’essi indubbiamente notificati nei 30 giorni dalla ostensione dei giustificativi: ne deriva che, a fortiori, nessuna tardività è fondatamente ravvisabile.
Del resto, la tesi del controinteressato porterebbe ad un esito (di irricevibilità dei motivi aggiunti) che arrecherebbe un evidente pregiudizio al diritto di difesa del ricorrente, precludendogli l’accesso ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva.
Concludendo sul punto, il ricorso per motivi aggiunti è senz’altro tempestivo.
7. Venendo all’esame del merito delle ulteriori doglianze dedotte, in punto di fatto giova precisare che la stazione appaltante, avendo rilevato che la prima classificata aveva presentato un’offerta anomala (per complessive euro 423.482,90), ha attivato il sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta ai sensi dell’art. 110 d. lgs. n. 36/2023.
L’operatore aggiudicatario ha fornito riscontro alla richiesta dell’amministrazione con la presentazione di giustificativi, che sono stati ostesi in corso di causa.
La stazione appaltante, analizzate le singole voci di costo ivi dettagliate e richiamato l’indirizzo giurisprudenziale sviluppatosi in materia di verifica di anomalia dell’offerta, ha ritenuto che “le spiegazioni all’offerta della prima graduata risultano essere esaustive e sufficienti e consentono di effettuare una valutazione in termini di congruità, nonché di escludere le ipotesi dettagliate di cui all’art. 110, comma 5 D.Lgs. 36/23, comportando che l’offerta della prima graduata possa essere ritenuta assolutamente attendibile nella relativa complessiva valutazione, anche alla luce del rappresentato utile pari ad € 15.653,81, meritevole quindi di apprezzamento in bonis” (cfr. verbale n. 6 del 25 gennaio 2024).
8. Ciò precisato, un primo ordine di censure (cfr. segnatamente il secondo motivo del ricorso introduttivo e le doglianze di cui ai romanini IX.1, IX.2, IX.3 e IX.4 del ricorso per motivi aggiunti) si appunta sulla valutazione operata dal RUP con specifico riferimento al costo del lavoro, per il quale il suddetto verbale n. 6/2024 ha dato atto che “l’operatore economico dichiara per il costo orario di aver preso come riferimento la tabella ministeriale del Costo medio orario del personale Multiservizi di luglio 2022 relativa alla Provincia di Roma”.
Il ricorrente, premesso che la lex specialis aveva determinato i costi della manodopera per l’importo complessivo di euro 510.527,92 (pari al 80% dell’importo complessivo a base d’asta) e che il costo della manodopera dichiarato dalla controinteressata in sede di giustificativi è pari ad euro 347.031,02, lamenta che la verifica di congruità dell’offerta operata dalla Stazione appaltante risulterebbe viziata da profili di manifesta arbitrarietà, illogicità e irragionevolezza. In particolare l’offerta del Consorzio Stabile Eternity avrebbe dovuto essere esclusa in quanto: i) il costo del lavoro dichiarato sarebbe inferiore ai “minimi salariali retributivi” previsti nelle apposite tabelle ministeriali di cui all’art. 41, co. 13 d. lgs. n. 36/2023, dovendosi assumere a riferimento la “nuova Determinazione del costo medio orario del lavoro per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia, disinfestazione e servizi integrati/multiservizi, approvato con Decreto direttoriale n. 52 del 27.9.2023 e riferito al periodo decorrente da luglio 2023” (decreto versato in atti al doc. 33 allegato al ricorso), la quale prevede “minimi tabellari” che risulterebbero “molto più alti” rispetto a quelli applicati da controparte, con conseguente violazione del disposto di cui all’art. 110, co. 5, lett. d) d. lgs. n. 36/2023 (come esplicitamente chiarito in sede di ricorso per motivi aggiunti); ii) in ogni caso, lo stesso scostamento dai minimi tabellari (appunto quelli asseritamente applicabili al caso di specie) sarebbe così consistente da disvelare l’inattendibilità e l’antieconomicità dell’offerta nel suo complesso, ravvisando una differenza tra il costo del lavoro indicato dal Consorzio aggiudicatario e quello risultante dall’applicazione delle tabelle ministeriali non suscettibile di “essere colmata dalle altre voci di costo indicate nei giustificativi – quali utile di impresa (€ 15.653,81), imprevisti adeguamenti contrattuali e incrementi (€ 3.000,00), spese generali (€ 7.996,74) – che ammontano a un totale di € 26.650,55” (cfr. pag. 8 del ricorso per motivi aggiunti); iii) il Consorzio avrebbe “applicato costi medi orari che si discostano oltremodo ed ingiustificatamente (rispettivamente per € 4,25 per il costo feriale ed € 3,03 per il costo festivo) rispetto ai parametri tabellari” ed erroneamente determinato (al ribasso) l’incremento della indennità dovuta per il lavoro domenicale.
In altri termini, la censura, per come complessivamente formulata, muove dal presupposto che il costo della manodopera indicato e dettagliato dall’aggiudicatario nei giustificativi prodotti in sede procedimentale sarebbe di gran lunga inferiore all’importo quantificato dal ricorrente nei propri scritti difensivi, ricavato dall’applicazione dei valori tabellari vigenti a decorrere dal mese di luglio 2023, da cui si desumerebbe uno scostamento “notevole” e “ingiustificato”.
Con maggior grado di dettaglio, la parte, sia con il ricorso introduttivo che con l’atto di motivi aggiunti, propone una quantificazione di tale scostamento: in particolare, sulla scorta dei calcoli sviluppati alle pag. 11 e 12 del ricorso, che assumono a riferimento, tra l’altro, il “costo medio orario di euro 18,05” previsto “per il secondo livello” di inquadramento dalla nuova tabella ministeriale, oltre che le “ore annue di lavoro complessivo” stimate come necessarie dal capitolato speciale (di cui sono richiamati specificamente gli artt. 7 e 9), si perverrebbe ad un “costo complessivo della manodopera di Euro 440.181,74, che è superiore di Euro 93.150,72 rispetto al costo indicato nell’offerta del Consorzio”. Nel ricorso per motivi aggiunti, esperito a seguito dell’esame dei giustificativi prodotti nel corso del sub-procedimento di cui all’art. 110 d. lgs. n. 36/2023 e ostesi in corso di causa, il ricorrente, nel precisare che lo scostamento rispetto ai nuovi valori tabellari vigenti al 2023 non risulta giustificato né da “eventuali benefici (contributivi, fiscali o di altra natura)” né da “aliquote INPS e INAIL inferiori a quelle previste dalle tabelle, ad es. per minor tasso di assenteismo e di infortuni etc.”, prospetta una determinazione del medesimo costo della manodopera pari ad “Euro 447.707,45” (sempre prendendo a riferimento sia i nuovi “elementi tabellari” – e segnatamente l’importo del “salario orario minimo”, di 18,05 euro, nonché il “salario orario minimo per il lavoro festivo pari ad € 21,31” - sia il “monte ore complessivo annuo” da Capitolato, dovendosi assumere tale dato in difetto di conoscenza del “monte ore desumibile dall’offerta tecnica” - il riferimento è alle ore stimate come necessarie per “lo svolgimento a perfetta regola d’arte delle attività ordinarie e di presidio” ex artt. 7 e 9 del medesimo Capitolato): ne deriverebbe che “il costo della manodopera calcolato dal Consorzio aggiudicatario, pari a Euro 347.031,02, è sottostimato di ben Euro 100.676,43”.
8.1. Ciò precisato, procedendo con ordine, non merita pregio la doglianza con cui la parte lamenta che l’offerta sarebbe inferiore ai “minimi salariali retributivi”.
Ad assumere valore decisivo e dirimente è l’erroneità dell’assunto “di base” addotto a supporto dell’intera censura, per come appunto meglio articolata nei motivi aggiunti: la parte, infatti, fonda il proprio impianto difensivo lamentando lo scostamento dai valori tabellari di cui al vigente Decreto direttoriale n. 52/2023, di cui invoca l’inderogabilità ai sensi del disposto dell’art. 110 d. lgs. n. 36/2023, e segnatamente della previsione di cui al co. 5, lett. d), secondo cui “La stazione appaltante esclude l'offerta se le spiegazioni fornite non giustificano adeguatamente il livello di prezzi o di costi proposti […], oppure se l'offerta è anormalmente bassa in quanto: […] d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all'articolo 41, comma 13”. Tale ultima disposizione, a sua volta, prevede che “Per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, il costo del lavoro è determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali […]”.
Giova precisare che l’invocato decreto n. 52/2023 (versato in atti al doc. 33) reca la quantificazione del “Costo medio orario del personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia, disinfestazione, servizi integrati/multiservizi” per la Provincia di Roma, quantificandolo in euro 18,05 per gli operai inquadrati al II livello (ossia il livello di inquadramento preso a riferimento dal ricorrente per lo sviluppo dei propri calcoli).
Senonché, la censura finisce per confondere il “costo medio orario” del lavoro con il distinto concetto di “minimo retributivo”, obliterando la decisiva circostanza che solo quest’ultimo, quale prefissato dalla contrattazione collettiva di categoria, è assunto dal legislatore come valore-soglia non superabile: in altri termini, il ricorrente fa coincidere il costo determinato nelle tabelle ministeriali, segnatamente quelle contenute nel decreto n. 52/2023 (che rilevano appunto unicamente il “costo medio” per la sola Provincia di Roma in relazione al settore dei servizi di pulizia), con i “trattamenti salariali minimi”, di cui invece quelle tabelle non danno evidenza, estendendo indebitamente ai primi una portata assoluta e inderogabile (prevista a pena di automatica esclusione dalla gara) che spetta esclusivamente ai secondi, giusta la disciplina attualmente contemplata dall’art. 110, co. 5, lett. d) d. lgs. n. 36/2023 (che si pone, peraltro, in linea con la previgente normativa).
Al riguardo, infatti, va precisato che le tabelle ministeriali hanno un valore puramente statistico e ricognitivo del costo del lavoro formatosi in un certo settore merceologico, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva, pervenendo alla determinazione di un dato “medio” che non rappresenta il costo minimo inderogabile del lavoro, costituendo semplicemente un parametro significativo per la valutazione della congruità dell’offerta.
Trattasi di principi affermati da un nutrito indirizzo giurisprudenziale, ribadito anche di recente, ai sensi del quale “Sulla differenza tra costo medio orario del lavoro indicato nelle tabelle ministeriali e i trattamenti salariali minimi inderogabili, […] occorre infatti distinguere il concetto di «minimi salariali», indicati nelle apposite tabelle ministeriali (cd. trattamento retributivo minimo), da quello di «costo orario medio del lavoro» risultante dalle tabelle ministeriali. Soltanto per il primo, in caso di sua violazione, vale la sanzione dell'esclusione dell'offerta stabilita dall'art. 97, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, in quanto l’offerta che non rispetti i suddetti minimi salariali è considerata ex lege anormalmente bassa. E la diversità dei due concetti si coglie nel fatto che quello di trattamento retributivo minimo ha carattere «originario», in quanto viene desunto direttamente dal pertinente contratto collettivo nazionale e non abbisogna, per la sua enucleazione, di alcuna operazione di carattere statistico-elaborativo, mentre il concetto di «costo medio orario del lavoro» è il frutto dell'attività di elaborazione del Ministero, che lo desume dall'analisi e dall'aggregazione di dati molteplici e inerenti a molteplici istituti contrattuali (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 21 settembre 2018, n. 5492; T.A.R. Venezia, (Veneto) sez. I, 04/12/2018, n. 1115)” (T.A.R. Calabria-Catanzaro, sez. I, 12 settembre 2020, n. 1448). Le tabelle ministeriali difatti esprimono un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche, per cui esse non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia (sul punto cfr.: Consiglio di Stato, V, 6 febbraio 2017, n. 501; altresì, sez. III, 13 marzo 2018, n. 1609; III, 21 luglio 2017 n. 3623; 25 novembre 2016, n. 4989). I costi medi della manodopera, indicati nelle tabelle (ministeriali), del resto, svolgono una funzione indicativa, suscettibile di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali, laddove si riesca, in relazione alle peculiarità dell’organizzazione produttiva, a giustificare la sostenibilità di costi inferiori, fungendo gli stessi da esclusivo parametro di riferimento da cui è possibile discostarsi, in sede di giustificazioni dell’anomalia, sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, II bis, 19 giugno 2018, n. 6869)” (così recente T.A.R. Lazio, III quater, 30 aprile 2024, n. 8619).
Del resto, lo stesso ricorrente, in sede di memoria illustrativa, argomenta nel senso che il mancato rispetto dei trattamenti economici minimi previsi “dai contratti collettivi determina l’esclusione automatica del concorrente dalla procedura di gara” (cfr. pag. 5, con argomentazione ribadita anche nelle repliche del 4 luglio 2024), con ciò dando mostra di essere consapevole della differenza che intercorre tra minimi salariali inderogabili, quali appunto prefissati dalla contrattazione collettiva nazionale, e “costo medio”, quale determinato dalle tabelle ministeriali su basi statistiche e in via del tutto orientativa.
In altri termini, la doglianza proposta, come meglio articolata nel ricorso per motivi aggiunti, lamentando sostanzialmente la mancata esclusione ex lege dell’offerta dell’aggiudicatario per incongruità del costo della manodopera in quanto inferiore ai “minimi” tabellari in asserita violazione del disposto dell’art. 110, co. 5, lett. d) del nuovo Codice dei contratti pubblici, non può trovare accoglimento in quanto inficiata da un presupposto erroneo.
8.2. Il ricorrente deduce, altresì, che l’offerta dell’aggiudicatario, in ogni caso, avrebbe dovuto essere esclusa all’esito del procedimento di verifica di anomalia in quanto, nel suo complesso, sarebbe comunque incongrua e antieconomica, essendo stata formulata “in perdita”.
Tale doglianza risulta anch’essa fondata sull’assunto della notevole e ingiustificata sottostima del costo della manodopera rispetto a quello che dovrebbe assumersi a riferimento in base all’applicazione dei valori tabellari attualmente vigenti (quali sono sempre quelli contenuti nell’invocato decreto direttoriale n. 52/2023), ravvisando la parte un differenziale negativo (che nel ricorso per motivi aggiunti è stato misurato in euro 100.676,43) non suscettibile di essere “coperto” dalle altre voci di costo (spese generali, utile ecc.) indicate nei giustificativi presentati in sede procedimentale.
Anche tale censura non merita pregio.
Preme in nuce precisare che (come sopra rilevato) i valori tabellari assumono rilievo in sede di verifica di congruità dell’offerta, dovendo l’operatore economico giustificare lo scostamento rispetto ai costi “medi”, specie se di rilevante entità: sul punto la giurisprudenza è consolidata nel senso che, perché possa dubitarsi della congruità dell’offerta, la discordanza rispetto alle tabelle ministeriali deve essere considerevole e palesemente ingiustificata, alla luce di una valutazione globale effettuata dal RUP nell’esercizio di un potere tecnico-discrezionale, sindacabile in sede giurisdizionale solo laddove affetta da macroscopiche illegittimità.
Inoltre, sempre per giurisprudenza costante, “l'elemento «costo del lavoro» è composito e non deve essere considerato atomisticamente e rigidamente, ma va valutato nel complesso dell'organizzazione imprenditoriale, specie per imprese di notevoli dimensioni e ampia operatività che possono, quindi, compensare gli oneri derivanti da un maggior costo del lavoro con offerte qualitativamente migliori e soluzioni organizzative appropriate; a questo riguardo, si distingue tra «costo reale» - costituito da quanto dovuto dal datore di lavoro per il singolo lavoratore quale sia il numero di ore effettivamente lavorate - e «costo della specifica commessa», il quale, per svariate ragioni, può essere inferiore al «costo totale reale», vale a dire alla somma del costo reale di ogni singolo lavoratore (Cons. Stato, V, 18 dicembre 2017, n. 5939; 4 dicembre 2017, n. 5700), in quanto l'operatore economico mediante l'organizzazione dell'impresa può sempre realizzare economie di scala (Consiglio di Stato, V, 17 maggio 2018, n. 2951) che rendono il costo del lavoro offerto inferiore a quello di altro operatore pur a parità di ore lavorate, essendo vicenda normale che il costo del lavoro non sia uguale per tutte le imprese che partecipano alla stessa procedura di gara” (cfr. ex plurimis T.A.R. Salerno, 3 novembre 2023, n. 2460, nonché in termini analoghi Cons. Stato, sez. III, 15 marzo 2021, n. 2168. Ed ancora, cfr. Cons. Stato, V, 18 dicembre 2017, n. 5939, secondo cui “il costo del personale unitario non può essere sovrapposto al costo complessivo della manodopera dichiarata in gara, la quale ultima è un dato ricavabile dalla somma dei prodotti tra i costi unitari dei singoli lavoratori, per il tempo impiegato da ciascuno di essi. Il primo costo (unitario), pur con tutte le difficoltà legate all'effettiva conoscenza dei CCNL applicati con riferimento alle specifiche lavorazioni e/o servizi, può essere predeterminato in misura più o meno ragionevole; il secondo (complessivo) può essere frutto solo di mere ipotesi che prescindono dalla reale organizzazione dell'impresa che poi si aggiudicherà l'appalto, dalla disponibilità dei suoi mezzi, dalla logistica e dalle modalità costruttive dalla stessa impiegate”).
Ciò premesso, anche a voler ammettere, ipoteticamente, l’applicazione dei valori tabellari vigenti al luglio 2023, le censure dispiegate non sono in grado di disvelare palesi illegittimità nella valutazione di anomalia formulata dalla stazione appaltante, in quanto l’impianto difensivo di parte muove da un presupposto metodologico non condivisibile.
Il ricorrente propone un’articolata ricostruzione da cui trae la conclusione che il costo della manodopera indicato dall’aggiudicatario risulterebbe di molto sottostimato rispetto a quello che – sembrerebbe – dovrebbe considerarsi come il dato “realistico”, da assumersi quale base di riferimento per la verifica di anomalia: in sintesi, il costo del lavoro, secondo quanto si legge negli scritti difensivi di parte, sarebbe quello risultante (secondo un procedimento logico-matematico che muove in via per così dire induttiva) dal costo orario determinato dalle tabelle ministeriali (segnatamente, quello relativo agli operai inquadrati al II livello) moltiplicato per il monte ore “minimo” previsto dal capitolato d’appalto.
In altri termini, la doglianza si sostanzia nel proporre una determinazione del costo della manodopera (dettagliando quale dovrebbe essere il “Costo minimo feriale” e quale il “Costo minimo festivo”, sempre muovendo dai valori tabellari di riferimento) “alternativo” rispetto a quello indicato dall’aggiudicatario e di gran lunga superiore rispetto a quest’ultimo.
Ne deriva che il dato di partenza che viene prospettato quale base di riferimento ai fini della valutazione di anomalia ex art. 110 d. lgs. n. 36/2023 (importo che, dopo una prima determinazione, in seno al ricorso, in misura pari ad “euro 440.181,74”, nel ricorso per motivi aggiunti e nei successivi scritti difensivi si attesta sul più elevato valore di “euro 447.707,45”) viene riformulato dalla parte sulla scorta di un “ricalcolo” meramente soggettivo, e come tale del tutto opinabile.
Oltretutto, il prospettato “ricalcolo” del costo del lavoro non è di agevole intellegibilità, essendo stato effettuato sulla scorta di dati numerici che non sono ictu oculi riscontrabili dall’esame della documentazione di gara, in quanto sprovvisti di appigli oggettivi e chiaramente verificabili: vedasi, ad es., il complessivo “monte ore annuo minimo”, sul quale il ricorrente particolarmente insiste e su cui egli ha applicato l’importo del “costo medio orario” determinato dalle vigenti tabelle ministeriali, che in ricorso è stato stimato in “24.386,80, di cui 2.308,50 da svolgersi nelle giornate di domenica e festivi”, laddove invece (come peraltro recisamente eccepito dal controinteressato) il capitolato speciale d’appalto non prevede alcun “minimo” di ore (gli artt. 7 e 9 richiamati dal ricorrente, infatti, non contengono alcuna previsione espressa in tal senso, limitandosi il primo ad indicare il “monte ore complessivo” stimato, diversificato in base ai vari giorni della settimana e ai siti in cui espletare il servizio di pulizia, e il secondo a menzionare le fasce orarie di presidio presso i servizi igienici dei vari siti).
Il controinteressato, del resto, ha dimostrato in corso di giudizio di aver calcolato il costo del lavoro indicato nei giustificativi su un diverso monte ore (proprio sull’assunto che quello previsto dalla lex specialis era solo un dato “stimato” e quindi meramente indicativo), e ciò anche tenuto conto che, tra i criteri di valutazione, vi erano anche alcuni che premiavano specificamente le modalità organizzative del servizio (cfr. pag. 7 della memoria di replica).
8.3. Ne consegue che è privo di pregio anche l’assunto con cui si lamenta l’applicazione, da parte dell’aggiudicatario, di “costi medi orari che si discostano oltremodo ed ingiustificatamente (rispettivamente per € 4,25 per il costo feriale ed € 3,03 per il costo festivo) rispetto ai parametri tabellari”, in quanto anch’esso risultante da un calcolo matematico che espressamente prende a base un dato (numero di “ore minime stimate dalla Stazione appaltante”) non assodato (appunto perché manca la previsione di un “minimo” da garantire).
Peraltro, dai giustificativi “aggiuntivi” prodotti dal controinteressato in corso di giudizio e riprodotti anche in seno alla propria memoria illustrativa (su cui v. infra), risulta che l’importo del costo del lavoro indicato è stato ottenuto sulla scorta di un “costo ora (CMA/1857) media pesata sui livelli” pari a “€ 15,34/€ 19,64/€ 23,01” (in quanto diversificato a seconda della tipologia di lavoro: feriale, domenicale e festivo), sicché a fortiori l’affermazione secondo cui lo scostamento sarebbe di “€ 4,25 per il costo feriale ed € 3,03 per il costo festivo” risulta non comprovata.
8.4. Oltretutto, a disvelare ulteriormente l’infondatezza della censura di incongruità dell’offerta è la considerazione che la ricostruzione proposta dal ricorrente resta meramente astratta e generica, in quanto unicamente ancorata ai valori tabellari del “costo medio” per personale di II fascia asseritamente applicabili (che si è detto peraltro rivestire valore non cogente e inderogabile, bensì puramente orientativo, statistico e ricognitivo, consentendo la possibilità di scostamenti giustificati), senza minimamente misurarsi con la specifica realtà aziendale dell’aggiudicatario (né considerare comunque il “peso” delle altre voci di costo indicate nei giustificativi, e che sono state considerate dal RUP secondo un apprezzamento complessivo, globale e sintetico, come dà conto l’articolata motivazione contenuta nel verbale n. 6/2024).
Dalla documentazione in atti, infatti, è emerso che il Consorzio Stabile Eternity ha presentato un progetto di “riassorbimento” del personale precedentemente impiegato nell’esecuzione del servizio in affidamento (in totale 18 unità, con svariati livelli di inquadramento e diverse percentuali di impiego part-time), come precisato anche nelle giustificazioni rese in sede procedimentale, garantendo la conservazione dei medesimi livelli retributivi oltre che (peraltro) “l’applicazione del CCNL SERVIZI DI PULIZIA E SERVIZI INTEGRATI/MULTISERVIZI, di cui all’art. 51 del d.lgs. 15 Giugno 2015, n.81”, poi formalizzato con accordo sindacale (versato in atti il 24 giugno 2024).
In altri termini, è stato del tutto obliterato ogni riferimento alla concreta organizzazione dell’appaltante nella prestazione del servizio di cui trattasi, e che invece, come da consolidata giurisprudenza sopra richiamata, assume un valore decisivo ai fini della verifica di congruità in ipotesi di scostamento dai valori tabellari.
8.5. Ne consegue che non può condividersi l’impostazione metodologia da cui trae alimento l’impianto difensivo prospettato dal ricorrente, con l’effetto che le deduzioni articolate non offrono elementi concreti e convincenti da cui desumere macroscopici vizi di illegittimità che inficerebbero la verifica di anomalia dell’offerta operata dalla stazione appaltante.
9. Quanto, poi, alla specifica deduzione (di cui al romanino X.4. del ricorso per motivi aggiunti) relativa alla manifesta illegittimità dell’incremento (pari soltanto al 20%) per il lavoro prestato nei giorni domenicali, avendo dovuto trovare applicazione la più alta percentuale di maggiorazione del 50% prevista dall’art. 38, co. 5, punto 5), del CCNL Multiservizi (il quale “non opera alcuna distinzione fra le giornate di domenica e i c.d. giorni festivi, prevedendo indistintamente che per il «lavoro compiuto nei giorni considerati festivi» debba essere applicata una maggiorazione del 50%”), tale censura va esaminata congiuntamente a quelle (anch’esse “di dettaglio”) contenute nella memoria illustrativa depositata dal ricorrente in data 28 giugno 2024.
Al riguardo va innanzitutto precisato che, in corso di causa, il controinteressato ha prodotto in giudizio un documento, contenente giustificativi “aggiunti” e “dettagliati” (cfr. dep. del 24 maggio 2024), in cui articola con ulteriore livello di specificazione la voce “totale costo del lavoro” indicata nei giustificativi presentati alla stazione appaltante in sede procedimentale.
Su tali “nuovi” giustificativi si soffermano i rilievi sviluppati dal ricorrente nella memoria ex art. 73 cod. proc. amm. del 28 giugno 2024, che ne eccepisce pregiudizialmente l’inammissibilità (cfr. pag. 8), per poi appuntarsi sui seguenti specifici profili: a) ingiustificata applicazione di un divisore orario (1857) maggiore rispetto a quello determinato nel citato decreto n. 52/2023 ai fini del calcolo delle “ore annue mediamente lavorate” (pari a 1581), da sottrarsi al monte “ore annue teoriche” (2.088) e asseritamente applicabile in “procedure simili a quella oggetto del contendere”, essendo quello utilizzato dal controinteressato fondato su un dato di assenteismo (stimato in 231 ore, a fronte del totale di 507 “ore non lavorate” da tabella) “del tutto ingiustificato”, in quanto non sarebbe stato considerato minimamente il numero di “festività” e “festività soppresse” previste dalle tabelle ministeriali (pari rispettivamente a 96 e 32 ore), né correttamente applicato il monte ore relativo agli istituti contrattuali previsti per legge - diritto allo studio, diritto ad assemblee e permessi sindacali, malattia, infortunio o maternità -, per cui è prevista la percentuale del 6,50%, laddove quella stimata dal controinteressato (pari allo 0,35%) sarebbe del tutto irrisoria, anche perché non realistica, in ragione della esiguità del personale mediamente alle dipendenze del Consorzio (n. 3 dipendenti), a fronte dei 18 da utilizzare per lo svolgimento della commessa; b) mancanza di riscontro in ordine al tasso di incidenza percentuale dei costi INPS e INAIL (calcolato in misura pari al 18,88 permille e dunque inferiore a quello indicato nelle relative tabelle ministeriali - 34,683 permille); c) inammissibilità del prospetto contenuto nei “nuovi” giustificativi, in ragione dell’indicazione di un dettaglio delle voci di costo “completamente diverso rispetto al prospetto originario”, per avervi inserito la voce aggiuntiva del “monte ore non operativo” (2.703,67, con specifico costo quantificato in euro 3.087,42, cui corrisponderebbe un “costo medio orario di Euro 1,14”), e comunque netta inferiorità del monte ore ivi indicato (24.438,40) rispetto al “monte ore minimo necessario stimato dalla Stazione appaltante nel Capitolato” (pari a “25.710,80 ore”, se si considerano anche le 824 ore annuali previste da capitolato per le attività una tantum e le 500 ore annuali per le attività a chiamata, ex artt. 8 e 11), con una differenza ingiustificata di “1.272,40” ore, e considerato comunque che anche al monte ore non operativo avrebbe dovuto essere applicato il “costo orario previsto per il monte ore feriale, pari a Euro 15,34”, con conseguente “sottostima di Euro 38.386,87 rispetto agli Euro 3.087,42 indicati da controparte”; d) ancora, inclusione “all’interno del monte ore minimo per attività ordinarie e di presidio” dei costi per le attività “una tantum” e “a chiamata” di cui ai citati artt. 8 e 11 del capitolato speciale di appalto.
Sul punto si chiarisce quanto segue.
9.1. In primis va dato atto che, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, i giustificativi “di dettaglio” depositati dal controinteressato in seno al presente giudizio non possono considerarsi inammissibili, trattandosi non già della non consentita “modifica delle giustificazioni delle singole voci di costo” (come lamenta la parte), bensì unicamente di delucidazioni ed elementi di ragguaglio più approfonditi, che l’interessato ha comunque titolo per produrre in sede giudiziale, laddove sia stata contestata in giudizio l’inattendibilità della sua offerta per aspetti non specificamente presi in considerazione dalla stazione appaltante (come avvenuto nel caso di specie, in cui il ricorrente contesta che “il Consorzio Eternity neppure ha indicato i costi unitari, né il costo medio orario applicato, né le ore di lavoro stimate, né le ore di lavoro aggiuntive, né la suddivisione del costo del personale in base ai vari livelli di inquadramento”: cfr. pag. 8 del ricorso per motivi aggiunti).
Va dato infatti seguito al nutrito indirizzo giurisprudenziale secondo cui “[s]ul piano probatorio, […] qualora in sede giurisdizionale il ricorrente deduce l’inattendibilità dell’offerta per aspetti non specificamente presi in considerazione dalla stazione appaltante, legittimamente l’aggiudicatario può difendersi in giudizio provvedendo a giustificare tali voci in sede processuale (…)” [cfr. recente Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2024, n. 5639, che ribadisce come “Non si tratta, in altri termini, di integrare in sede giurisdizionale la motivazione del giudizio di congruità (operazione che non sarebbe consentita all’amministrazione), ma si tratta, piuttosto, di replicare alle contrarie allegazioni della controparte, necessariamente impingenti nel merito della valutazione di congruità”].
9.2. Ciò premesso, le deduzioni contenute nella memoria illustrativa prodotta dal ricorrente in data 28 giugno 2024 sono in parte inammissibili laddove adducono circostanze fattuali diverse rispetto a quanto indicato nel ricorso e nei motivi aggiunti: in tal senso, come eccepito dal controinteressato nelle proprie repliche del 4 luglio 2024, vedasi l’affermazione, contenuta a pag. 16 della memoria, secondo cui il monte ore minimo “operativo” previsto dalla lex specialis sarebbe in realtà pari a “25.710,80 ore”, essendo ciò in contrasto con il numero – “24.386,80” – precedentemente quantificato.
9.3. Per il resto, in disparte il rilievo che sembrano ravvisarsi, più in generale, profili di inammissibilità nel fatto che la memoria illustrativa del ricorrente contiene deduzioni “di dettaglio” che configurano censure nuove e diverse rispetto a quelle precedentemente proposte (quali sono, specificamente, quelle relative al “divisore” da applicarsi e alla ingiustificata riduzione rispetto ai valori percentuali tabellari di riferimento per i costi INPS/INAIL, nonché le doglianze concernenti il “monte ore non operativo” indicato dal controinteressato), in quanto atte a disvelare ulteriori e più specifiche ragioni di incongruità dell’offerta, che come tali avrebbero dovuto essere proposte con lo strumento del ricorso per motivi aggiunti, in ogni caso le medesime sono infondate nel merito.
Come condivisibilmente dedotto dal controinteressato, la consolidata giurisprudenza argomenta che il giudizio di anomalia dell’offerta ha carattere sintetico e globale, non potendo risolversi in una parcellizzazione delle singole voci di costo ed in una “caccia all’errore” nella loro indicazione nel corpo dell’offerta, costituendo esercizio di apprezzamento di carattere tecnico-discrezionale, che come tale non è sindacabile dal giudice se non per illogicità, manifesta irragionevolezza, arbitrarietà (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2023, n. 4559, secondo cui “è precluso procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità dell’offerta e delle singole voci, e ciò in quanto il giudizio di anomalia deve tendere ad accertare in concreto che l’offerta economica risulti nel suo complesso attendibile in relazione alla concreta esecuzione dell’appalto”).
Dando seguito a tale indirizzo, le sotto-censure ulteriormente articolate dal ricorrente non possono trovare accoglimento, sostanziandosi in una vera e propria “caccia all’errore” che si appunta su specifici aspetti di dettaglio delle singole voci del costo del lavoro al fine di evidenziarne l’erroneità, e che comunque non sono tali da inficiare l’attendibilità dell’offerta nel suo complesso.
Non emergono, infatti, profili di macroscopica illegittimità, e ciò anche alla luce sia del contenuto di quei giustificativi, sia di quanto dedotto e documentato dal controinteressato nelle proprie memorie (del 28 giugno e 4 luglio 2024), essendo stata ivi fornita una giustificazione dei singoli valori proposti che tiene conto della specifica realtà aziendale e di commessa, sulla quale il ricorrente omette di misurarsi specificamente.
In particolare, dal materiale di causa è emerso che l’offerta è stata articolata assumendo a riferimento il previsto “riassorbimento” (poi formalizzato in accordo sindacale prodotto in giudizio) del personale precedentemente coinvolto nella esecuzione del servizio, il quale risulta prevalentemente impiegato con contratto part time (v. quanto precisato dal controinteressato anche in sede di memoria di replica e suffragato dalla documentazione in atti), nonché le peculiarità del servizio in affidamento (come da previsioni di capitolato speciale), e considerata la combinazione di tali “fattori” il Consorzio Stabile Eternity ha dato conto che:
- non sussiste la dedotta violazione delle previsioni del CCNL multiservizi in tema di maggiorazione retributiva per lavoro domenicale, in quanto la domenica è prevista dal capitolato quale “giornata lavorativa” e non quale giorno “festivo”, con l’effetto che “il personale impiegato ha diritto ad una giornata di riposo compensativo in giorno diverso, con applicazione degli artt. 40 e 41 CCNL”, con la precisazione che “Il Consorzio Eternity ha comunque applicato la maggiorazione del 28% sulla paga oraria prevista nell’art. 33 del CCNL Multiservizi per il lavoro supplementare; tale scelta è stata operata per garantire il servizio alla Amministrazione Committente in caso di assenze improvvise nelle giornate di possibile maggiore afflusso dei visitatori”;
- il dato di assenteismo indicato (n. 231 ore) e la conseguente determinazione di “divisore” (ore effettivamente lavorate) più elevato si fonda su specifici dati aziendali (es. mancata adesione al fondo di previdenza complementare, bilateralità, ecc.), ovvero percentuali statistiche su cui non è ragione di dubitare (v. ad es. tasso di incidenza delle malattie, infortuni e maternità, di cui è stata offerta peraltro documentazione a comprova), nonché ancora sulla circostanza che il dato tabellare per “festività” e “festività soppresse” è stato azzerato “in quanto il servizio, come richiesto dal Capitolato, deve essere garantito tutto l’anno con turni di lavoro che devono ricoprire anche le festività (giorni di apertura ordinaria e straordinaria della struttura museale)” (precisando poi il Consorzio che “in accordo con l’art. 38, comma 5, punto n. 5 del CCNL Multiservizi del 08.06.2021 ha applicato una maggiorazione del 50% sul costo orario medio risultante dalla media pesata dei singoli costi orari per livello rapportato al relativo monte ore di esercizio”), oltre che sull’impiego pressoché totale di personale part time;
- il dato indicato per i costi INPS ed Inail è stato documentato negli scritti difensivi;
- il “monte ore non operativo” indicato non comprende anche le attività “capo B-attività una tantum di 824 ore” e “capo E- attività a chiamata di 500 ore” previste dal capitolato, essendo state esse “prezzate” separatamente rispetto al costo del lavoro in sede di giustificativi (con importo determinato rispettivamente in euro € 6.703,40 e 6.923,28), e il corrispondente costo indicato nei giustificativi aggiuntivi (euro 3.087,42) rappresenta “un margine che il Consorzio si è lasciato per eventuali imprevisti” e non il costo delle ore non lavorate, atteso che “il costo medio orario (quindi per le ore operative) assorbe anche quello delle ore non lavorate proprio in base alle Tabelle ministeriali e comprende quindi tutte le voci di costo, incluse le festività”. Del resto, anche sotto tale profilo ancora una volta il ricorrente muove da un presupposto (dato dalla presenza di un quantitativo di “ore minime necessarie previste dal Capitolato speciale d’appalto”) che non trova rispondenza nella lex specialis.
10. Con riferimento, poi, al secondo ordine di censure dedotte con il ricorso per motivi aggiunti, ossia le doglianze che si appuntano sulla genericità e mancata dimostrazione di ciascuna delle ulteriori voci di costo indicate nei giustificativi (per spese generali, per attrezzature, ecc), valga quanto sopra argomentato in merito al carattere non parcellizzato del giudizio di anomalia dell’offerta, tale per cui la stazione appaltante non è tenuta necessariamente ad analizzare nel dettaglio e chiedere specifico conto di ciascuna delle singole voci di costo indicate, essendo sufficiente a giustificare l’affidabilità dell’offerta una valutazione della medesima nel suo complesso (cfr. Cons Stato, n. 5639/2024, cit.).
Del resto, è ovvia la constatazione che la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile (così espressamente Cons. di Stato, sez. V, 8 giugno 2018, n. 3480).
11. In conclusione, le ulteriori doglianze dedotte dalla parte, come articolate con i motivi aggiunti, non sono tali da far emergere evidenti e macroscopici vizi nella verifica di anomalia dell’offerta operata dalla stazione appaltante.
12. Da ultimo, la censura sollevata con il terzo mezzo del ricorso introduttivo è inammissibile per difetto di interesse in ragione del mancato superamento della prova di resistenza, come eccepito dal controinteressato: l’eventuale accoglimento della doglianza, infatti, comporterebbe una riduzione del punteggio attribuito al primo classificato di 0,60 punti senza arrecare al ricorrente alcuna utilità effettiva, in ragione dello scarto tra le offerte della prima e seconda graduata (separate da una differenza di 1,58 punti).
13. In conclusione, il ricorso e l’atto di motivi aggiunti vanno entrambi rigettati, con conseguente rigetto anche della domanda di risarcimento in forma specifica.
14. La complessità e peculiarità delle questioni esaminate giustifica la compensazione di lite nei confronti di tutte le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto e integrato da motivi aggiunti, li rigetta entrambi. Rigetta la domanda di risarcimento in forma specifica.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Antonella Mangia, Presidente
Francesca Santoro Cayro, Referendario, Estensore
Luigi Edoardo Fiorani, Referendario
Guida alla lettura
La sentenza in commento si sofferma sia sugli effetti per l’affittuario di ramo d’azienda, partecipante alla gara pubblica, delle vicende concorsuali riguardanti l’affittante sia sul tema del costo medio orario.
La controversia era sorta dopo l’aggiudicazione di un appalto di servizi per la pulizia, la disinfestazione e la derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti dell'Istituto Villa Adriana e Villa D'Este, procedura a cui l’aggiudicatario aveva partecipato anche in virtù di un contratto d’affitto di ramo d’azienda; complesso aziendale avente ad oggetto proprio le prestazioni messe a gara dalla stazione appaltante.
Secondo il ricorrente, in particolare, la sottoposizione alla liquidazione giudiziale della società concedente il ramo d’azienda avrebbe dovuto comportare l’esclusione dell’affittuario, che aveva preso parte - con esito vittorioso - alla procedura. Tale esegesi, però, è stata confutata dal giudice amministrativo, anche facendo applicazione del principio di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione ex art. 10 D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36.
Il TAR Lazio, infatti, ha innanzitutto rammentato che è pacifica la possibilità dell’operatore economico di “acquisire” i requisiti speciali per la partecipazione a una gara pubblica mediante il ricorso all’affitto di un ramo d’azienda; è parimenti indubbio che l’art. 94, comma 5, lett. d), d.lgs. n. 36/2023 preveda l’esclusione automatica dell’impresa sottoposta a liquidazione giudiziale. Tale norma, però, disciplina esclusivamente l’ipotesi in cui sia il concorrente a essere sottoposto a una procedura concorsuale, nulla disponendo, invece, con riferimento alla liquidazione giudiziale del concedente il ramo d’azienda.
L’esclusione dell’affittuario, pertanto, non sarebbe in alcun modo legittimata dall’art. 94, comma 5, lett. d) del Codice dei contratti pubblici e, inoltre, risulterebbe collidente con il principio di massima partecipazione e di tassatività delle cause di esclusione. Principio quest’ultimo, di evidente matrice unionale, che preclude alla stazione appaltante di adottare provvedimenti di esclusione privi di una chiara e solida base legislativa.
In altri termini, l’avallare la tesi del “contagio” tra posizione dell’affittante e quella dell’affittuario significherebbe applicare analogicamente l’art. 94 e, dunque, violare apertamente l’art. 10 del Codice.
Giova soggiungere che non conduce ad epiloghi ermeneutici differenti la disciplina fallimentare, giacché l’art. 184, comma 1, d.lgs. n. 14/2019 statuisce che l’apertura della liquidazione giudiziale del concedente non determina la risoluzione automatica dell’affitto ma semplicemente attribuisce al curatore il diritto di recesso, esercitabile, peraltro, solo previa autorizzazione del comitato dei creditori.
Il Tribunale amministrativo, infine, ha chiarito, rectius ribadito, la sottile, ma profonda differenza tra costo medio del lavoro e trattamenti salariali minimi, o meglio tra le tabelle ministeriali che disciplinano il primo e quelle che fissano i secondi.
Le prime, infatti, hanno una mera valenza ricognitiva e statistica della prassi emersa in un dato settore merceologico e costituiscono solo uno dei parametri per la valutazione della congruità dell’offerta. Le seconde, invece, fissano soglie inderogabili, desunte dai contratti collettivi nazionali e pertanto non necessitanti - a differenza di quelle sopra descritte - di una elaborazione aritmetica-statistica, la cui violazione comporta l’esclusione dalla gara.
Soltanto le tabelle afferenti ai limiti salariali minimi, dunque, configurano un riferimento numerico e giuridico idoneo a determinare l’esclusione dell’offerente.