Corte costituzionale, 3 luglio 2024, n. 137

Con riferimento al settore del NCC, di recente questa Corte ha affermato che: “I divieti e gli obblighi posti in capo alle imprese autorizzate al servizio di NCC, per essere legittimi, devono essere […] adeguati e proporzionati rispetto allo scopo da perseguire” (sentenza n. 36 del 2024) e ha parimenti rimarcato l’esigenza di una “connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore […] e il fine che questi intende perseguire” (sentenza n. 8 del 2024).

Tale connessione manca, con chiara evidenza, nella norma censurata, che consente in concreto all’autorità amministrativa di bloccare a tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’esercizio del servizio di NCC, con effetti protezionistici consistenti nell’elevare un’indebita barriera alla libertà di accesso al mercato, che non solo si è tradotta in un’ulteriore posizione di privilegio degli operatori in questo già presenti – che agiscono in una situazione in cui la domanda è ampiamente superiore all’offerta – ma che, soprattutto, ha causato, in modo sproporzionato, un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività.

I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a dare “effettività” alla libertà di circolazione, “che è la condizioni per l’esercizio di altri diritti” (sentenza n. 36 del 2024), per cui la forte carenza dell’offerta – che colloca l’Italia fra i Paesi europei meno attrezzati al riguardo, come risulta dai dati segnalati nell’opinio presentata dall’ANITRAV tanto nel presente giudizio quanto nel giudizio a quo – generata dal potere conformativo pubblico si è risolta in un grave disagio arrecato a intere fasce della popolazione e alle possibilità di sviluppo economico.

Essa ha infatti innanzitutto danneggiato la popolazione anziana e fragile, che, soprattutto nelle metropoli, non è in grado di utilizzare (o anche semplicemente raggiungere) gli altri servizi di trasporto di linea, ma che ha stringenti necessità di mobilità che, in particolare, si manifestano in riferimento alle esigenze di cura. Ha compromesso le esigenze di accesso a una mobilità veloce, spesso indispensabile a chi viaggia per ragioni di lavoro. Ha recato danno al turismo e all’immagine internazionale dell’Italia, dal momento che l’insufficiente offerta di mobilità ha pregiudicato la possibilità di raggiungere agevolmente i luoghi di villeggiatura, come documentato dalla Regione Calabria nel giudizio a quo.

Insomma, tali esempi dimostrano che, nella pur circoscritta distorsione della concorrenza che si è verificata per effetto della normativa censurata, sono stati indebitamente compromessi, non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese.

La Corte costituzionale, mediante il pronunciamento del decisum “contenuto” nella sentenza n. 137 del 3 luglio u.s., è tornata ad affrontare il “periglioso” e “scottante” tema del rilascio delle autorizzazioni in ambito NCC (inserito nella più ampia “querelle” tra insorta tra taxisti e altri operatori della mobilità), dismettendo alcuni interessanti, e alquanto importanti ed innovativi, principi e spunti di riflessione (anche sulla scorta di quanto affermato dai principali formanti giurisprudenziali europei sedimentatisi in merito, tra cui spicca, certamente, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza dell’8 giugno 2023, causa C-50/21 “Prestige and Limousine”) riguardanti il delicato, ma nevralgico e quanto mai strategico – per il “sistema Paese” –, tema dell’accesso – e della correlata e sottostante “concorrenzialità” – al settore del trasporto pubblico locale non di linea (melius: noleggio con conducente effettuato con autovettura, motocarrozzetta o natante, più comunemente conosciuto come NCC).

In nuce, l’oggetto del giudizio afferisce al disposto dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge n. 135 del 14 dicembre 2018 (rubricato “Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione”), convertito, con modificazioni, in legge n. 12 del 11 febbraio 2019, che, in buona sostanza, “paralizza” (da oltre cinque anni) la possibilità di rilasciare nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente con autovettura, motocarrozzetta e natante, subordinandolo, e, dunque, pienamente condizionandolo, alla (futura) piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3 del suddetto d.l. n. 135/2018.

Più precisamente, la genesi del giudizio de quo è da rinvenirsi nel ricorso notificato il 23 giugno 2023 dal Presidente del Consiglio dei Ministri, promosso con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 118, primo e secondo comma, della carta costituzionale, avverso l’art. 1 della legge della Regione Calabria 20 aprile 2023, n. 16, recante “Autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente (NCC)”, al cui interno venivano, evidentemente, ravvisati plurimi fumus di asserita incompatibilità con quanto enunciato dal dettato costituzionale – inter alia – in relazione alla competenza (di rango statale) in materia di tutela della concorrenza.

Ad ogni buon conto, e a fini di maggior chiarezza, la disposizione regionale “sospettata” di cui sopra prevedeva il rilascio di oltre duecento autorizzazioni NCC sul suolo calabrese, di guisa da garantire lo svolgimento del servizio (per soddisfare la crescente domanda di mobilità), con diretta e precisa individuazione – ab origine – del loro titolare.

Da mihi factum, dabo tibi ius: la Corte costituzionale è pervenuta a sancire – per anticipare, brevemente, il nucleo della sentenza di cui in commento – l’illegittimità del meccanismo di blocco del rilascio delle autorizzazioni NCC posto in essere dalle Amministrazioni, ravvisando svariati profili di contrasto con importanti diritti e libertà che trovano cittadinanza a livello costituzionale.

Ma, andando con ordine, anzitutto, il Giudice delle leggi, per pronunciarsi sulla quaestio iuris devolutagli, ha ritenuto necessario sollevare (con l’ordinanza n. 35/2024), in quanto necessariamente e strettamente prodromiche, alcune questioni di legittimità costituzionale relative al succitato art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135/2018 “in forza dell’evidente rapporto di necessaria pregiudizialità rispetto alla decisione del ricorso sull’art. 1 della legge reg. Calabria n. 16 del 2023”.

Sulla base di quanto poco testé detto, la Corte costituzionale ha evidenziato ciò che, stante il suo meccanismo di funzionamento (sospensione “ad libitum” e indeterminata del rilascio di nuove autorizzazioni NCC), appare autoevidente, e cioè lo spirito anticoncorrenziale e i vulnus protezionistici che informano la disposizione di cui in oggetto, la quale permette “all’autorità amministrativa di alzare una barriera all’ingresso di nuovi operatori nel mercato del NCC semplicemente bloccando [pretestuosamente], con il succedersi dei decreti, la piena operatività del registro informatico”.

Da ciò ne discende, conseguentemente, “un divieto, vincolante per regioni ed enti locali, che ha gra12vemente compromesso la possibilità di incrementare la già carente offerta dei servizi pubblici non di linea”.

Peraltro, le innumerevoli, inveterate e gravi criticità relative al “mercato” del trasporto pubblico locale, su gomma e su ferro, di linea e non, sono state oggetto di molteplici e puntuali segnalazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM, meglio conosciuta, “impropriamente”, con il termine Antitrust), sin dalla seconda metà degli anni novanta dello scorso secolo.

L’Autorità, a tutta prima, ha sempre posto in chiaro e netto risalto un fatto ad oggi notorio, e cioè che i titoli autorizzativi rilasciati risultano “insufficienti anche a fronte di una domanda di mobilità non di linea in forte crescita” e di un’offerta “di servizi NCC” che, parimenti, “non è stata sufficiente a soddisfare la domanda di mobilità” (cfr. Segnalazione AGCM n. 1354 del 10 marzo 2017).

 Queste preoccupazioni, che dipingono un quadro reale oggettivo alquanto lugubre e sconcertante, sono sempre state condivise finanche dalla competente autorità settoriale (id est: l’Autorità di regolazione dei trasporti, ART) e dalla Commissione europea, le quali hanno più volte esortato l’Italia a porre rimedio a questa situazione, garantendo, al contempo, la giusta e dovuta concorrenzialità nel sottostante mercato, unitamente alla tutela delle esigenze dei consumatori e alle loro libertà e diritti costituzionalmente enunciati.

Sulla qui “bersagliata” disposizione normativa, il Giudice delle leggi si era già espresso in precedenza (nel 2020) affermando che lo spirito e l’obiettivo perseguito (il blocco del rilascio delle autorizzazioni NCC) sarebbe stato legittimo, e interpretabile in maniera costituzionalmente orientata, solo, ed esclusivamente, allorquando, questa finestra temporale “di restringimento” della concorrenzialità nell’ambito del trasporto pubblico non di linea fosse stata a carattere meramente temporaneo, e con la finalità ultima – come previsto dal tenore letterale dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135/2018 – di adottare, concretamente, il nuovo registro telematico nazionale degli operatori di settore.

Parimenti, gli obblighi “afflittivi” quivi dibattuti, posti in capo alle imprese operanti in qualità di NCC, per potersi considerare conformi all’ordinamento – così come ogni altra restrizione settoriale e generale – sarebbero dovuti risultare “adeguati e proporzionati rispetto allo scopo da perseguire (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 36 del 2024).

Nel caso di specie risulta “ictu oculi” lampante che, nessuno di questi criteri e parametri sia stato congegnato in tal modo, così come appare, al tempo stesso, del tutto lapalissiano il fatto che, il risultato prodotto dalla disposizione di cui qui è causa si sia concretizzato nel potere delle Amministrazioni di non concedere ulteriori autorizzazioni – oltre a quelle già in essere – per lo svolgimento del servizio di NCC, con evidenti ricadute negative sulla concorrenzialità, che altro non hanno fatto se non creare e concedere una rendita di posizione (melius: una posizione di privilegio) agli attori già operanti.

Di talché, quanto appena posto in luce si riverbera direttamente, in maniera del tutto evidentemente negativa, sull’esercizio dei diritti e delle libertà costituzionalmente sanciti, poiché “i servizi di autotrasporto non di linea concorrono a dare “effettività” alla libertà di circolazione, che è la condizione per l’esercizio di altri diritti (sentenza n. 36 del 2024), per cui la forte carenza dell’offerta – che colloca l’Italia fra i Paesi europei meno attrezzati al riguardo, come risulta dai dati segnalati nell’opinio presentata dall’ANITRAV tanto nel presente giudizio quanto nel giudizio a quo generata dal potere conformativo pubblico si è risolta in un grave disagio arrecato a intere fasce della popolazione e alle possibilità di sviluppo economico”.

Da ciò se ne inferisce, conseguentemente, che – e qui la Corte “delibera” un principio cardine che, sicuramente, potrebbe influenzare e illuminare altra pronunce (dei Giudici ordinari)– le indebite e non proporzionate restrizioni e barriere introdotte (esecrabilmente, come fin troppo spesso accade) in sede di decretazione d’urgenza (senza alcuna reale impellenza) non solo danneggiano il diritto allo spostamento dei consociati, e la concorrenzialità del mercato, bensì affliggono qualcosa di più ampio, ossia “l’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che l’interesse allo sviluppo economico del Paese”.

Uno degli atavici problemi dell’Italia è sicuramente rappresentato dal gap in termini di produttività, che, ultimamente, si sta acuendo ancor maggiormente, distanziando il Paese dagli altri Stati membri (e dagli altri Paesi del resto del mondo) maggiormente sviluppati; certamente, la scarsa offerta, e di conseguenza, qualità e trasparenza dei servizi offerti nell’ambito del trasporto pubblico, costituiscono uno dei molteplici fattori endogeni che ha contribuito alla creazione di tale situazione.

Il sillogismo tra non concorrenzialità, scarsa qualità e trasparenza, oltre a determinare inaccettabili ripercussioni negative sulla popolazione e sul mercato del trasporto, si traduce in un forte “vulnus” incidente sul “sistema Paese”, sulla sua forza e sulla sua generale attrattività.

Ciò deriva, in particolare, dal fatto che, ovviamente, le barriere imposte all’ingresso siano conseguenti  alla mancata indizione di procedure ad evidenza pubblica per selezionare i migliori operatori (che, dunque, potrebbero fornire servizi qualitativamente superiori alla cittadinanza), in quanto, le Amministrazioni procedono, adducendo speciose ragioni correlate ad un’asserita e indimostrata “urgenza” (seppure l’immobilismo, in questo ambito, la faccia da padrone da svariati decenni), pertanto, ad affidare direttamente (e spesso “in house”) i servizi di trasporto pubblico.

In conclusione si auspica che la pronuncia de qua inauguri un nuovo corso del trasporto pubblico, finalmente moderno, virtuoso, competitivo e connotato, infine, dalla prestazione di servizi sostenibili e di qualità.

 

LEGGI LA SENTENZA

 

SENTENZA N. 137

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, promosso dalla Corte costituzionale con ordinanza del 7 marzo 2024, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti gli atti di costituzione della Regione Calabria e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 luglio 2024 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato Domenico Gullo per la Regione Calabria e l’avvocato dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 3 luglio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 23 giugno 2023 e depositato il 27 giugno 2023 (reg. ric. n. 20 del 2023), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 20 aprile 2023, n. 16, recante «Autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente (NCC)».

2.– Nel corso del giudizio, questa Corte, con ordinanza n. 35 del 2024 (iscritta al n. 49 reg. ord. 2024), ha sollevato, disponendone la trattazione innanzi a sé, questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 41, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12.

La suddetta disposizione prevede che: «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3, non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente con autovettura, motocarrozzetta e natante».

2.1.– Questa Corte ha premesso che nel giudizio principale la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione alla materia «tutela della concorrenza», è stata prospettata dal ricorrente in quanto la disposizione regionale impugnata – prevedendo il rilascio di duecento autorizzazioni ai fini dello svolgimento del servizio di noleggio con conducente (da ora, anche: NCC) e individuando direttamente il loro destinatario – confliggerebbe, da un lato, con gli artt. 5, comma 1, e 8, comma 1, della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea).

Dall’altro, con l’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, che preclude la concessione di nuove autorizzazioni allo svolgimento dell’attività di NCC fino alla «piena operatività» del menzionato registro informatico.

Questa Corte ha quindi invertito l’ordine dei profili di censura, dal momento che i citati artt. 5, comma 1, e 8, comma 1, disciplinando le modalità di affidamento delle autorizzazioni, si pongono a valle del divieto di rilascio delle medesime posto dall’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, per cui l’esame della doglianza inerente al contrasto con quest’ultima disposizione risulta logicamente preliminare.

Di qui la rilevanza delle questioni rimesse dinanzi a sé, atteso l’«evidente rapporto di necessaria pregiudizialità […] tra la questione promossa dal ricorrente in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e quelle derivanti dai dubbi di legittimità costituzionale che suscita la disciplina recata dall’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito».

2.2.– In punto di non manifesta infondatezza, l’ordinanza di rimessione ha rilevato che il comma 3 del medesimo art. 10-bis prevede l’istituzione di «un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi [...] e di quelle di autorizzazione per il servizio» di NCC, demandando poi a un decreto «del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti» l’individuazione delle «specifiche tecniche di attuazione e [del]le modalità con le quali le predette imprese dovranno registrarsi».

Tuttavia, l’efficacia di tale decreto ministeriale, che è stato adottato il 19 febbraio 2020 e ha stabilito anche la piena operatività del registro informatico a decorrere dal 2 marzo 2020 (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, decreto del Capo dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, del 19 febbraio 2020, n. 4), è stata, il giorno seguente, sospesa e differita (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, decreto del Capo dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, del 20 febbraio 2020, n. 86) sino all’adozione dell’ulteriore decreto previsto dal comma 2 dello stesso art. 10-bis, diretto alla determinazione delle specifiche tecniche del foglio di servizio in formato elettronico, che non è stato più emanato.

L’ordinanza di rimessione ha quindi ricordato che questa Corte ha escluso, con la sentenza n. 56 del 2020, che il divieto stabilito dalla disposizione censurata comportasse «un’irragionevole restrizione della concorrenza a vantaggio dei titolari di licenze per taxi, per le quali il divieto temporaneo di rilascio non opera», ma ciò «solo nella misura in cui “il numero delle imprese operanti nel settore” veniva bloccato “per il tempo tecnico strettamente necessario ad adottare in concreto il nuovo registro”».

Questo «tempo tecnico» – ha poi precisato l’ordinanza – si sarebbe, tuttavia, potuto «protrarre in modo del tutto ingiustificato» in conseguenza «della modalità con cui il suddetto art. 10-bis, comma 6, ha stabilito il divieto di cui si discute».

Sarebbero, infatti, la «“stessa struttura” (sentenza n. 132 del 2018) del “meccanismo normativo” previsto dalla disposizione in oggetto e [la] “sua combinazione” (sentenza n. 166 del 2022) con le previste modalità dirette a dare “piena operatività [a]ll’archivio informatico pubblico nazionale”» a consentire «la possibilità di bloccare per un tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di NCC».

Ciò che, ha rilevato questa Corte, si è difatti verificato in virtù della perdurante inoperatività, dopo più di cinque anni dall’entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, del registro informatico nazionale.

Tanto chiarito, questa Corte, in primo luogo, ha dubitato della conformità dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, all’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, sia con riguardo alla sua intrinseca razionalità, alla luce di «un “apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la ‘causa’ normativa che la deve assistere”», sia in relazione alla «esistenza di una connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che questi intende perseguire».

In secondo luogo, ha dubitato della sua conformità all’art. 41, primo e secondo comma, Cost.

La disposizione sospettata, infatti, «per come strutturata», potrebbe dar luogo a «blocchi o sospensioni delle autorizzazioni funzionali all’esercizio di attività economiche» suscettibili di «tradursi in “una indebita barriera all’ingresso nel mercato”, ponendosi “in contrasto, altresì, con la libertà formale di accesso al mercato garantita dal primo comma dell’art. 41 Cost.” (sentenza n. 7 del 2021)».

Inoltre, il divieto da essa recato non sarebbe nemmeno «riconducibile a un motivo di utilità sociale o a un interesse della collettività, apparendo piuttosto rispondere a un’istanza protezionistica», peraltro riferita al mercato del trasporto pubblico non di linea, già caratterizzato da una inadeguata apertura all’ingresso di nuovi soggetti.

Ha, infine, dubitato della conformità della disposizione censurata all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 TFUE, poiché, proprio in riferimento allo specifico settore del trasporto di persone mediante il servizio di NCC, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione prima, 8 giugno 2023, in causa C-50/21, Prestige and Limousine SL, ha precisato che restrizioni alla libertà di stabilimento possono essere ammesse solo a condizione, «in primo luogo, di essere giustificate da un motivo imperativo di interesse generale e, in secondo luogo, di rispettare il principio di proporzionalità, il che implica che esse siano idonee a garantire, in modo coerente e sistematico, la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non eccedano quanto necessario per conseguirlo».

2.3.– Di conseguenza, questa Corte ha disposto la sospensione del giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al n. 20 reg. ric. 2023.

3.– Nel giudizio introdotto dall’ordinanza iscritta al n. 49 reg. ord. 2024, si è costituita la Regione Calabria, nella persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, che, dopo aver riepilogato le questioni di legittimità costituzionale sollevate da questa Corte, ne ha chiesto l’accoglimento.

4.– Si è costituito in giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale.

4.1.– In ordine alle censure di violazione degli artt. 3 e 41, primo e secondo comma, Cost., la difesa statale osserva che l’istituzione del registro informatico sarebbe funzionale ad avere «un quadro chiaro degli assetti» del mercato del NCC, in modo da consentirne una «efficiente regolazione». Si tratterebbe, in altre parole, di uno strumento preordinato a una corretta «programmazione delle autorizzazioni» rilasciabili.

In questa prospettiva, la disposizione sospettata non sarebbe «stata ispirata da istanze protezionistiche», né avrebbe «inteso […] introdurre un “blocco a regime”» del mercato, mirando «semplicemente [ad] assicurare al sistema un adeguato mezzo di ricognizione generale»: obiettivo, questo, che costituirebbe un motivo di utilità sociale idoneo a giustificare una temporanea sospensione del rilascio di nuove autorizzazioni.

D’altra parte, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe dato impulso, nel mese di febbraio 2024, al confronto con le categorie di settore onde procedere «tempestivamente alla pubblicazione», tra l’altro, di un nuovo «decreto sul registro informatico».

In definitiva, dunque, conclude la difesa statale, il vincolo derivante dalla inoperatività del registro de quo sarebbe il frutto di un ragionevole e proporzionato bilanciamento fra lo svolgimento dell’iniziativa economica privata, e quindi l’apertura al mercato, da un lato, e l’utilità sociale, dall’altro.

4.2.– Secondo l’Avvocatura generale, non sarebbe ravvisabile neanche il dedotto contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 TFUE.

In considerazione della finalità sopra evidenziata, infatti, la preclusione all’ingresso nel mercato di nuovi operatori soddisferebbe l’interesse a una «corretta gestione del trasporto» e tale interesse potrebbe «certamente costituire motivo imperativo di interesse generale» idoneo, secondo la Corte di giustizia UE, a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento garantita dell’evocato parametro interposto.

5.– In qualità di amicus curiae, ha depositato un’opinione scritta – ammessa con decreto del Presidente di questa Corte del 21 maggio 2024 – l’Associazione nazionale imprese trasporto viaggiatori (ANITRAV), argomentando a sostegno dell’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale e rimarcando la situazione italiana di carenza dell’offerta di autoservizi pubblici di trasporto non di linea.

L’opinione precisa, fra l’altro, che non avrebbero «effetti sul presente giudizio» né la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, 27 marzo 2024, n. 6068, che ha annullato il già citato decreto di sospensione n. 86 del 2020, né l’eventuale pubblicazione medio tempore del “nuovo” decreto ministeriale richiamato dalla difesa statale.

Non la prima, perché l’annullamento del decreto di sospensione non comporterebbe la «reviviscenza» di quello (istitutivo del registro informatico) sospeso e, pertanto, comunque non consentirebbe ai comuni di rilasciare nuove autorizzazioni.

Non la seconda, perché dalla mera istituzione del “nuovo” registro informatico non discenderebbe di per sé anche la sua «piena operatività», cui la disposizione indubbiata subordina il rilascio di nuove autorizzazioni.

6.– Hanno depositato opinio – ammessa con decreto presidenziale del 21 maggio 2024 – anche la Sistema trasporti confederazione di imprese, la MuoverSì federazione noleggio con conducente e l’Associazione NCC Italia.

Esse rimarcano, per un verso, il difetto di ragionevolezza e di proporzionalità della previsione normativa censurata, che ha prodotto «conseguenze paralizzanti sulla concessione di nuove autorizzazioni».

Per altro verso, che la sentenza del TAR Lazio n. 6068 del 2024 non inciderebbe sulla rilevanza delle questioni sollevate da questa Corte, considerato che la disposizione sospettata sarebbe in ogni caso «idonea a consentire eventuali successive sospensioni o deroghe dei decreti MIT in materia di registro elettronico con conseguente paralisi del potere di rilasciare nuove autorizzazioni all’esercizio dell’attività di NCC».

7.– In prossimità dell’udienza, ha depositato memoria illustrativa la Regione Calabria, che ha insistito nelle conclusioni già rassegnate, sostenendo, in particolare, che le esigenze ricognitive, dedotte dall’Avvocatura generale, non potrebbero giustificare il protrarsi del blocco al rilascio di nuove autorizzazioni, derivante invece dalla «struttura normativa» della disposizione in esame.

8.– Il giorno antecedente l’udienza del 3 luglio 2024, l’Avvocatura generale ha depositato copia del decreto 2 luglio 2024, n. 203, poi pubblicato il successivo 4 luglio, del Capo dipartimento per i trasporti e la navigazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha definito «le modalità di attivazione» del più volte menzionato registro informatico.

Considerato in diritto

1.– Nel corso del giudizio iscritto al n. 20 del reg. ric. 2023, questa Corte, con ordinanza n. 35 del 2024 (reg. ord. n. 49 del 2024), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 41, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 TFUE, disponendone la trattazione innanzi a sé, in forza dell’«evidente rapporto di necessaria pregiudizialità» rispetto alla decisione del ricorso sull’art. 1 della legge reg. Calabria n. 16 del 2023, impugnato dal Governo, fra l’altro, per violazione della competenza statale in materia di tutela della concorrenza.

2.– La disposizione censurata prevede che: «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3, non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente con autovettura, motocarrozzetta e natante».

Segnatamente, sarebbe la stessa struttura di tale disposizione, nella combinazione tra la durata del divieto di rilascio e le modalità dirette a dare piena operatività all’archivio informatico pubblico nazionale, a consentire «la possibilità di bloccare per un tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di NCC», come del resto si è verificato in virtù della perdurante inoperatività, dopo più di cinque anni dall’entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, del suddetto archivio informatico.

L’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, si porrebbe quindi in contrasto: a) con l’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, potendosi dubitare sia della sua intrinseca razionalità sia dell’esistenza di una connessione razionale tra il mezzo apprestato e l’obiettivo perseguito; b) con l’art. 41, primo e secondo comma, Cost., potendo tradursi in un’istanza protezionistica che determina un’indebita barriera all’ingresso nel mercato, senza peraltro essere riconducibile a un motivo di utilità sociale o a un interesse della collettività; c) con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 TFUE, in quanto si risolverebbe in una restrizione della libertà di stabilimento garantita da quest’ultimo, né proporzionata, né giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

3.– Dopo l’instaurazione di questo giudizio di costituzionalità è stato adottato il decreto n. 203 del 2024 del Capo dipartimento per i trasporti e la navigazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il quale, da un lato, «definisce le modalità di attivazione» dell’anzidetto registro informatico e ne stabilisce la “piena operatività” a decorrere da centottanta giorni dalla pubblicazione del decreto medesimo; dall’altro dispone che i decreti ministeriali n. 4 del 2020, istitutivo del registro stesso, e n. 86 del 2020, che ne ha sospeso l’efficacia (quest’ultimo peraltro già annullato dalla sentenza del TAR Lazio n. 6068 del 2024), «sono abrogati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto».

4.– In via preliminare, occorre chiarire che l’adozione del suddetto decreto n. 203 del 2024 non ha alcuna incidenza sul presente giudizio, dal momento che le censure sono state prospettate sulla disposizione legislativa in ragione della sua «struttura», a prescindere dalle evenienze «di fatto» e dalle «circostanze contingenti» attinenti alla sua concreta applicazione.

E ciò in quanto è proprio la configurazione della disposizione censurata a consentire all’autorità amministrativa di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi operatori nel mercato del NCC semplicemente bloccando, con il succedersi dei decreti (ovvero con la loro emanazione e la loro successiva sospensione), la piena operatività del registro informatico.

La vicenda storica lo ha concretamente dimostrato, perché la disposizione in esame ha consentito per oltre cinque anni dalla sua entrata in vigore (e potrebbe consentirlo in futuro) di mantenere in vita un divieto, vincolante per regioni ed enti locali, che ha gravemente compromesso la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea.

5.– Tale carenza, tuttavia, è stata oggetto, sin dal 1995 (Segnalazione 1° agosto 1995, n. 053), di ripetute segnalazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), in quanto «dovuta principalmente a un numero insufficiente di licenze per il servizio [di taxi] emesse dai comuni interessati». Anche quando poi alcuni comuni hanno provveduto a rilasciare nuove licenze per l’esercizio del servizio di taxi, questi interventi «sono risultati insufficienti anche a fronte di una domanda di mobilità non di linea in forte crescita» e di un’offerta «di servizi di NCC» che, parimenti, «non è stata sufficiente a soddisfare la domanda di mobilità» (Segnalazione 10 marzo 2017, n. 1354).

Eppure, nonostante «la diversa configurazione dei servizi pubblici non di linea», la «domanda di mobilità non di linea considera ormai in larga parte fungibili i servizi di taxi e di NCC, come hanno segnalato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Segnalazione del 15 ottobre 2019), l’Autorità di regolazione dei trasporti pubblici (Segnalazioni al Parlamento e al Governo del 21 maggio 2015 e del 10 marzo 2017), la Commissione europea (Comunicazione della Commissione europea concernente un trasporto locale di passeggeri su richiesta, taxi e veicoli a noleggio con conducente, ben funzionante e sostenibile, 2022/C 62/01)» (sentenza n. 36 del 2024).

È quindi rimasta del tutto inascoltata da parte del legislatore la preoccupazione dell’AGCM volta a evidenziare che «l’ampliamento dell’offerta dei servizi pubblici non di linea risponde all’esigenza di far fronte ad una domanda elevata e ampiamente insoddisfatta, soprattutto nelle aree metropolitane, di regola caratterizzate da maggiore densità di traffico e dall’incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione» (ancora, Segnalazione n. 1354 del 2017).

A breve distanza da tale segnalazione, infatti, è intervenuta la disposizione censurata, che, introducendo il descritto meccanismo normativo, ha consentito all’autorità amministrativa di bloccare sino ad ora la possibilità di rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento dell’attività di NCC.

6.– La questione sollevata con riguardo all’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, è fondata.

6.1.– Come è stato affermato da questa Corte nella sentenza n. 56 del 2020, l’art. 10-bis, comma 6, dovrebbe avere «il fine di bloccare il numero delle imprese operanti nel settore [soltanto] per il tempo tecnico strettamente necessario ad adottare in concreto il nuovo registro».

Nella suddetta pronuncia tale previsione è stata quindi ritenuta non irragionevole in quanto valutata secondo una logica “statica”.

Dal punto di vista “dinamico” in cui, dopo diversi anni, la considera nuovamente l’ordinanza di questa Corte iscritta al n. 49 reg. ord. 2024, si evidenzia, invece, una netta «contraddittorietà intrinseca» tra la regola introdotta, che permette di precludere a tempo indeterminato il rilascio di nuove autorizzazioni, e «la ‘causa’ normativa che la deve assistere» (ex plurimis, sentenza n. 195 del 2022), che dovrebbe essere quella, invece, di realizzare in breve tempo una mappatura delle imprese titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi e di quelle titolari (a mercato fermo) di autorizzazione per l’esercizio del servizio di NCC.

6.2.– Altresì evidente è il difetto di proporzionalità.

Con riferimento al settore del NCC, di recente questa Corte ha affermato che «i divieti e gli obblighi posti in capo alle imprese autorizzate al servizio di NCC, per essere legittimi, devono essere […] adeguati e proporzionati rispetto allo scopo da perseguire» (sentenza n. 36 del 2024) e ha parimenti rimarcato l’esigenza di una «connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore […] e il fine che questi intende perseguire» (sentenza n. 8 del 2024).

Tale connessione manca, con chiara evidenza, nella norma censurata, che consente in concreto all’autorità amministrativa di bloccare a tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’esercizio del servizio di NCC, con effetti protezionistici consistenti nell’elevare un’indebita barriera alla libertà di accesso al mercato, che non solo si è tradotta un’ulteriore posizione di privilegio degli operatori in questo già presenti – che agiscono in una situazione in cui la domanda è ampiamente superiore all’offerta – ma che, soprattutto, ha causato, in modo sproporzionato, un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività.

6.2.1.– I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a dare «effettività» alla libertà di circolazione, «che è la condizione per l’esercizio di altri diritti» (sentenza n. 36 del 2024), per cui la forte carenza dell’offerta – che colloca l’Italia fra i Paesi europei meno attrezzati al riguardo, come risulta dai dati segnalati nell’opinio presentata dall’ANITRAV tanto nel presente giudizio quanto nel giudizio a quo – generata dal potere conformativo pubblico si è risolta in un grave disagio arrecato a intere fasce della popolazione e alle possibilità di sviluppo economico.

Essa ha infatti innanzitutto danneggiato la popolazione anziana e fragile, che, soprattutto nelle metropoli, non è in grado di utilizzare (o anche semplicemente raggiungere) gli altri servizi di trasporto di linea, ma che ha stringenti necessità di mobilità che, in particolare, si manifestano in riferimento alle esigenze di cura. Ha compromesso le esigenze di accesso a una mobilità veloce, spesso indispensabile a chi viaggia per ragioni di lavoro. Ha recato danno al turismo e all’immagine internazionale dell’Italia, dal momento che l’insufficiente offerta di mobilità ha pregiudicato la possibilità di raggiungere agevolmente i luoghi di villeggiatura, come documentato dalla Regione Calabria nel giudizio a quo.

Insomma, tali esempi dimostrano che, nella pur circoscritta distorsione della concorrenza che si è verificata per effetto della normativa censurata, sono stati indebitamente compromessi, non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese.

7.– Parimente fondata è la questione riferita all’art. 41, primo e secondo comma, Cost.

La norma censurata, come si è detto, ha consentito e consente all’autorità amministrativa di erigere una indebita barriera all’entrata: il che preclude la concorrenza per il mercato, in contrasto con la libertà garantita dal primo comma dell’art. 41 Cost. (sentenze n. 8 del 2024, n. 171 e n. 117 del 2022 e n. 7 del 2021), in un settore già da tempo «caratterizzato, come più volte ha rimarcato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (da ultimo, mediante segnalazione del 3 novembre 2023, rif. n. S4778), da una inadeguata apertura all’ingresso di nuovi soggetti» (sentenza n. 8 del 2024).

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, inoltre, è possibile una compressione della libertà d’iniziativa economica privata solo «allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda, oltre che alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, come sancito dall’art. 41, comma secondo, Cost., all’utilità sociale» (sentenza n. 150 del 2022; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 151 e n. 47 del 2018, n. 16 del 2017 e n. 56 del 2015).

Quanto in precedenza evidenziato (punti 6.2. e 6.2.1.) porta invece palesemente a escludere che la disposizione censurata, rinviando a una piena operatività del registro suscettibile di essere procrastinata sine die, sia riconducibile a un qualche motivo di utilità sociale o a un interesse della collettività, rispondendo, al contrario, a un’istanza protezionistica che ha, non marginalmente, inciso sul benessere sociale e sugli interessi della collettività.

8.– Fondata, infine, è anche la censura relativa all’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 49 del TFUE.

La Corte di giustizia UE, in riferimento all’applicazione del suddetto art. 49, ha chiarito che questo garantisce la libertà di stabilimento anche nei rapporti tra imprese che forniscono il servizio di taxi e imprese autorizzate per il servizio di NCC.

Pronunciandosi con riguardo al più esiguo numero di licenze che una normativa spagnola attribuiva a chi esercita il servizio di NCC (un trentesimo di quelle riservate ai taxi), la Corte di giustizia UE ha ritenuto di esaminare in modo rigoroso le preminenti finalità d’interesse generale che sono poste a presidio della disciplina limitativa – come gli obiettivi di corretta gestione del trasporto, del traffico e dello spazio pubblico dell’agglomerato urbano, nonché di protezione dell’ambiente –, precisando anche che le misure adottate devono risultare adeguate e non in grado di travalicare quanto si dimostri indispensabile per conseguire gli obiettivi fissati dalla legge (Corte di giustizia UE, sentenza 8 giugno 2023, Prestige and Limousine SL).

Come già rammentato nella sentenza n. 36 del 2024, la pronuncia, peraltro, «ha posto in risalto il ruolo cruciale che i servizi di NCC sono deputati a svolgere, proprio in virtù dell’impiego dell’innovazione tecnologica, per “contribuire a conseguire l’obiettivo di una mobilità efficiente e inclusiva, grazie al loro livello di digitalizzazione e alla flessibilità nella fornitura di servizi, come una piattaforma tecnologica accessibile ai non vedenti” (paragrafo 96)».

Alla luce di tale giurisprudenza, la disposizione censurata incide sulla libertà di stabilimento senza che sia ravvisabile, per quanto già esposto, un proporzionato motivo di interesse generale a sua giustificazione.

9.– Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale – per violazione degli artt. 3, 41, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 TFUE – dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2024

Il Cancelliere

F.to: Valeria EMMA