Consiglio di Stato, Sez. III, 27 maggio 2024, n.4701
I criteri ambientali minimi (CAM) sono contraddistinti dal loro carattere c.d. mandatory.
La natura obbligatoria dei suddetti criteri consente di far sì che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’intento di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari”, verificandosi, in tal modo, la massima diffusione dell’occupazione “verde”.
Di conseguenza il contrato di appalto subisce una positiva trasformazione in quanto lo stesso, da mero strumento di acquisizione di beni e servizi, evolve in un mezzo di attuazione di politica economica.
Il contratto in argomento, di conseguenza, non solo procura beni o eroga servizi alla collettività, ma si trasforma in un vero “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato.
In questo modo si ingrandisce l’area dell’interesse pubblico primario, consistente sempre nella scelta del migliore offerente. Infatti tale preferenza non avviene più sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, ma anche sul terreno della capacità di concorrere a tutelare concretamente gli ulteriori interessi pubblici nel frattempo normativamente assegnati alla cura dell’amministrazione.
Quanto detto si collega direttamente alla nozione di risultato disciplinata dall’articolo 1 del decreto legislativo n.36 del 31 marzo 2023, con riferimento non solo alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione.
L’importanza del risultato, strettamente correlato a quello della fiducia, di cui all’articolo 2 del d.lgs. 36/2023, si differenza dalla logica del risultato “statico” di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 nella disciplina dell’attività dell’amministrazione. In tal modo la norma contemplata nell’art.1 del d.lgs. 36/2023 non opera in chiave antagonista rispetto al principio di legalità. Al contrario tale disposizione concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e, dunque, ad ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo, facendo transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili.
Ambiente e appalti pubblici rappresentano tematiche direttamente interconnesse.
L’interesse è rivolto alla specifica funzione svolta dai criteri ambientali minimi (CAM). Quest’ultimi sono di natura cogente in quanto non costituiscono semplici canoni che l’amministrazione deve rispettare nel corso di tutta la procedura pubblica, ma proprio il loro carattere obbligatorio li rende elementi essenziali della stessa offerta. Di conseguenza gli stessi non costituiscono norme programmatiche ma rappresentano obblighi immediatamente coattivo per le stazioni appaltanti, al fine del conseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale.
Il Consiglio di Stato (SENT. 4701, Sez. III, 27/5/2024) ha analizzato i rapporti che intercorrono tra i predetti CAM e la legge di gara.
In particolare i giudici hanno evidenziato il fatto che, nell’attuale quadro normativo, il contratto di appalto non sarebbe soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, quanto piuttosto uno “strumento a plurimo impiego” in grado di attuare ulteriori politiche pubbliche oltre all’oggetto negoziale immediato. Peraltro, come affermato dalla giurisprudenza più recente, la nozione di risultato fatta propria dal nuovo Codice (articolo 1 del decreto legislativo n.36 del 31 marzo 2023) svolge una duplice funzione. Tale principio, infatti, contempla la rapidità e l’economicità, ma, anche, la qualità della prestazione, a salvaguardia, nel caso in esame, dell’integrità ambientale.
Nello stesso tempo il supremo Consesso di giustizia amministrativa esalta un passaggio fondamentale: nella lex specialis non è sufficiente compiere un mero riferimento normativo all’istituto in esame, in modo generico ed astratto.
In sintesi i magistrati affermano che l’eterointegrazione del dato normativo all’interno del bando, così come il riferimento al suddetto principio del risultato, non possono rappresentare delle esimenti per non richiamare i CAM richiesti per l’affidamento.
Tutto questo in quanto quest’ultimi sono connessi strettamente ad un profilo di natura concreta e sostanziale, riferendosi, in primis, all’oggetto dello stesso contratto di appalto.
In definitiva la Sezione esalta l’importanza dei requisiti richiesti dato che i medesimi devono essere sempre tenuti presenti dalla p.a. competente a redigere il bando.
Del resto la Sezione (sentenza n. 11322, Sez. III, del 29 dicembre 2023,) ha evidenziato il fatto che la sopra indicata nozione di risultato non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche, come ricordato, alla qualità della prestazione. Di conseguenza è palese il ruolo, come detto, prettamente sostanziale degli indicati CAM in considerazione delle attuali problematiche connesse direttamente alla tutela ambientale.
Si precisa, altresì, che l’importanza del tema della tutela dell’ambiente e della citata funzione eminentemente sostanziale svolta dai CAM si evince direttamente dal comma 2 dell’art.57[1] (Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi e criteri di sostenibilità energetica e ambientale) del sopra indicato d.lgs. 36/2023.
Bene, quindi, la dichiarazione riassuntiva compiuta dal Collegio a detta del quale è indubbiamente palese che il contratto di appalto sia da considerarsi in modo assoluto, come sopra ricordato, “strumento a plurimo impiego”. Infatti quest’ultimo, si ribadisce, proprio per la sua natura polifunzionale, non solo tende a far sì che l’oggetto negoziale immediato sia ottenuto, ma è contestualmente finalizzato alla realizzazione di ulteriori politiche pubbliche.
Ma non solo.
Il medesimo contratto rappresenta un mezzo di politiche economiche e sociali dato che determina inevitabili conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente.
Tutto questo induce l’interprete a verificare come il rispetto degli argomenti sopra descritti sia essenziale e determinante nella realizzazione, in primis, di complesse e rilevanti opere infrastrutturali. In tale situazione l’autorità pubblica dovrà compiere, indubbiamente, un particolare approfondimento proprio in relazione al conseguimento dei descritti obiettivi nel rispetto, come rammentato, delle norme ambientali.
LEGGI LA SENTENZA
Pubblicato il 27/05/2024
N. 04701/2024REG.PROV.COLL.
N. 01215/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1215 del 2024, proposto da Coopservice Soc. Coop. p. a., in proprio e nella qualità, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9399686246, 9399687319, 93996894BF, 9399690592, 9399691665, 9399692738, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico Greco e Pierpaolo Salvatore Pugliano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pierpaolo Salvatore Pugliano in Roma, via Giuseppe Gioachino Belli n. 60;
contro
Società Regionale per la Sanità - So.Re.Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vincenzo Barrasso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Asl Napoli 1 Centro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenica Coppola e Monica Laiso, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Asl Napoli 3 Sud, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni Rajola Pescarini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Asl Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mariagiusy Guarente, Marcello Abbondandolo e Marco Mariano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
I.R.C.C.S. di diritto pubblico per lo studio e la cura dei tumori Fondazione G. Pascale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Cosmai, Carlo Di Marsilio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Santobono Pausilipon, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Arturo Testa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Azienda dei Colli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Raffaele Cuccurullo, Rita Castaldo e Anna Rega, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta (Aorn di Caserta), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Sorrentino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Azienda Sanitaria Locale Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Valerio Casilli, Rosa Russo, Gennaro Galietta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Getec Italia S.p.A. a socio unico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mauro Pisapia, Giulio Enrico Sironi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Romeo Gestioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Fimmanò e Federico Dinelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Alfredo Cecchini s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Enzo Perrettini, Antonietta Favale e Matteo Valente, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
SIRAM s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Mrone e Paolo Clarizia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Edison Next Government S.r.l., Graded S.p.A., in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati Andreina Degli Esposti, Alfonso Erra, Riccardo Villata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Campania, Ao Ruggi Azienda Ospedaliero Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi D'Aragona, Asl Napoli 2 Nord, Ao Moscati, Ao San Pio, Ao Sant'Anna e San Sebastiano, Aou Vanvitelli, Rti C6m Consulting & Management S.r.l., Rti Consorzio Servizi Integrati, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli (Sezione Prima), n. 377/2024, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di: Società Regionale per la Sanità - So.Re.Sa. S.p.A , Asl Napoli 1 Centro, Asl Napoli 3 Sud, Asl Avellino, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, I.R.C.C.S. di diritto pubblico per lo studio e la cura dei tumori Fondazione G. Pascale, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Santobono Pausilipon, Azienda dei Colli, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta, Azienda Sanitaria Locale Salerno, Getec Italia S.p.A. a socio unico, Romeo Gestioni s.p.a., Alfredo Cecchini s.r.l., SIRAM s.p.a.,
Visti i ricorsi incidentali proposti da Romeo Gestioni s.p.a., Alfredo Cecchini s.r.l., SIRAM s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti i procuratori delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. L’odierna appellante ha partecipato alla gara relativa all’affidamento del multiservizio tecnologico presso gli immobili di proprietà o in uso alle aziende e istituti sanitari del s.s.r. della Regione Campania, per la durata di 18 mesi (con opzione di rinnovo per ulteriori 6 mesi e previsione di proroga di 12 mesi sino all’individuazione di un nuovo contraente).
Si sono aggiudicati i sei lotti della gara le imprese Romeo Gestioni s.p.a., Alfredo Cecchini s.r.l., SIRAM s.p.a., e Getec Italia s.p.a.
Coopservice ha impugnato l’aggiudicazione e gli atti della gara davanti al T.A.R. della Campania, deducendo l’illegittimità della legge di gara per violazione della disciplina dei criteri ambientali minimi.
2. Con sentenza n. 377/2024 il T.A.R. della Campania, sede di Napoli, prima sezione interna, ha respinto il ricorso.
L’indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalla ricorrente in primo grado.
Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, la stazione appaltante (Società Regionale per la Sanità - So.Re.Sa. S.p.A.) e la controinteressata Getec Italia s.p.a.
Si sono altresì costituite in giudizio, proponendo appello incidentale, le controinteressate Romeo Gestioni s.p.a., Alfredo Cecchini s.r.l. e SIRAM s.p.a.,
Si sono costituiti in giudizio, per chiedere l’estromissione per difetto di legittimazione passiva (trattandosi di gara indetta da centrale unica di committenza: SORESA), le seguenti Aziende sanitarie: Asl Napoli 1 Centro, Asl Napoli 3 Sud, Asl Avellino, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, I.R.C.C.S. di diritto pubblico per lo studio e la cura dei tumori Fondazione G. Pascale, Azienda dei Colli, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta, Azienda Sanitaria Locale Salerno, e l’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Santobono Pausilipon.
Qeust’ultima, peraltro, ha altresì resistito, nel merito, all’appello principale, ed ha sollevato alcune eccezioni in rito.
Si sono infine costituite, per aderire all’appello, Edison Next Government S.r.l. e Graded S.p.A.
3. Il 4 marzo 2024 l’appellante principale ha depositato una dichiarazione di rinuncia all’istanza cautelare, chiedendo l’abbinamento al merito.
Alla camera di consiglio del 7 marzo 2024, fissata per l’esame di tale istanza cautelare, le parti hanno congiuntamente chiesto il rinvio al merito.
Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 9 maggio 2024.
DIRITTO
1. Devono essere esaminate con priorità alcune questione pregiudiziali di rito relative alla presenza di alcune parti nel giudizio.
1.2. Vanno anzitutto respinte le richieste di estromissione formulate da Asl Napoli 1 Centro, Asl Napoli 3 Sud, Asl Avellino, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, I.R.C.C.S. di diritto pubblico per lo studio e la cura dei tumori Fondazione G. Pascale, Azienda dei Colli, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Sant'Anna e San Sebastiano di Caserta, Azienda Sanitaria Locale Salerno, e Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Santobono Pausilipon.
È vero che si tratta di Aziende formalmente estranee al rapporto relativo al procedimento di gara, e coinvolte nei suoi esiti solo in via successiva e consequenziale: l’oggetto del giudizio, tuttavia, ha riguardo alla gestione della commessa – che sarà eseguita presso le sedi delle aziende medesime - ispirata a criteri di sostenibilità ambientale, il che comporta che tali Aziende siano destinatarie della prestazione negoziale controversa, e come tali titolari di un interesse alla determinazione del suo (legittimo) contenuto (tanto che, come ricordato, una di tali aziende ha ritenuto di entrare nel merito della questione dedotta), secondo lo schema logico proprio del rapporto di mandato (Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 20 ottobre 2005 in causa C-246/03 Commissione delle Comunità europee c. Repubblica francese).
1.2. Deve essere esaminata a questo punto la questione pregiudiziale di rito relativa alla legittimazione di Edison Next Government, in qualità di concorrente alla gara non utilmente collocato, a proporre intervento adesivo nel giudizio di primo grado, sollevata nel presente giudizio da SIRAM e dall’A.O.R.N. Santobono Pausillipon (che hanno riproposto - ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm. – le eccezioni in tal senso sollevate nel giudizio di primo grado, sulle quali il T.A.R. non si è pronunciato).
In argomento la parte interveniente in primo grado, costituitasi nel presente giudizio per aderire alle tesi dell’appellante, ha osservato che “l’intervento esperito in primo grado era di natura strettamente adesiva, vale a dire rigorosamente limitato ad illustrare la fondatezza delle censure sollevate dalla ricorrente (quindi adesiva dipendente e non autonomo; ovvero, se si preferisce la formula tradizionale, non litisconsortile), sicché l’oggetto del giudizio è rimasto immutato all’interno dei confini tracciati dalla ricorrente medesima, circostanza che consente (secondo un autorevole e condivisibile insegnamento a cui aderisce un cospicuo indirizzo giurisprudenziale) l’intervento pure di un cointeressato - al quale è invece precluso in forza del comma 2 dell’art. 28 cit. l’intervento adesivo autonomo”.
1.3. Va anzitutto osservato che nel caso di specie, diversamente dalla fattispecie oggetto della recente sentenza delle SS.UU. civili della Corte di Cassazione, n. 32559 del 2023, è pacifico fra le parti che l’interventore in questione sia titolare di un interesse legittimo: qui si controverte piuttosto della diversa questione relativa alla “legittimazione ad intervenire nel giudizio, sulla base (…) di specifici e concreti impedimenti processuali (ad esempio, per ragioni relative alla fase processuale in cui gli interventi sono stati proposti); e non già di “valutazioni che negano, in astratto, la titolarità in capo agli stessi enti di posizioni soggettive differenziate qualificabili come interessi legittimi” (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza 32559/2023 cit., punto 10. della motivazione: ove si distingue l’error in procedendo dal diniego o rifiuto di giurisdizione).
Ritiene in argomento il Collegio che – conformemente a quanto affermato dalla VI Sezione di questo Consiglio di Stato nella sentenza n. 882 del 2016 (invocata in memoria da Edison Next Government) - “anche alla luce della formulazione dell’art. 28 Cod. proc. amm., non via siano ostacoli ad ammettere, anche dopo la scadenza del termine di decadenza, un intervento adesivo dipendente del cointeressato, almeno laddove (come accade nella vicenda interessata dal presente giudizio) egli sia destinatario di atti ad effetti non frazionabili, il che si verifica appunto quanto l’annullamento del provvedimento non può che operare nei confronti di tutti i destinatari” (nello stesso senso la sentenza della V Sezione n. 4973 del 2017, e la sentenza n. 666 del 2021 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana).
Nel caso di specie ricorrono entrambe le condizioni indicate dalla richiamata giurisprudenza: l’interventore non ha modificato il thema decidendum come introdotto dalla ricorrente in primo grado, essendosi limitato ad aderire alla prospettazione di tale parte; la natura dei provvedimenti impugnati e gli effetti dell’eventuale accoglimento del ricorso sono tali da ripercuotersi nella sfera dello stesso interventore.
1.4. Merita sottolineare, in particolare, il passaggio motivazionale in cui la citata sentenza n. 882/2016 ha chiarito che una simile interpretazione è funzionale ad una piena tutela del diritto di difesa, senza peraltro con ciò pregiudicare il valore antagonista della certezza e della stabilità dei rapporti giuridici: “deve ritenersi che la ratio della previsione del termine di decadenza per proporre il ricorso (e la ratio dell’art. 28 Cod. proc. amm. che ammette l’intervento solo da parte di chi non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni) non sia quella di sanzionare i comportamenti inerti dei soggetti interessati, ma quella si assicurare la stabilità e la certezza dei rapporti giuridici e delle situazioni soggettive, evitando che l’azione amministrativa che si esprime attraverso un determinato provvedimento rimanga per troppo tempo controvertibile per via giurisdizionale. Di conseguenza,a una volta che sia validamente instaurato, da uno dei suoi destinatari, un giudizio intorno alla legittimità del provvedimento amministrativo, non vi è più alcuna ragione di invocare il termine di decadenza e farlo operare non più sul piano oggettivo, ma su quello soggettivo, nel senso di precludere l’azione del legittimato che, pur senza ampliare il thema decidendum, voglia solo profittare del processo pendente per sostenere la tesi del ricorrente principale ed ottenere così, indirettamente, data la natura inscindibile degli effetti del provvedimento, la tutela della propria posizione”.
Sarebbe quindi irragionevolmente contraria agli artt. 24, 103 e 113 Cost., nel caso di specie, un’esegesi dell’art. 28 cod. proc. amm. che precludesse ad Edison Next Government la partecipazione – nelle forme e con i limiti segnalati - al presente giudizio, limitandone l’esercizio del diritto di difesa in assenza di una ragionevole giustificazione.
In questo senso, pertanto, come efficacemente chiarito dal richiamato precedente, va criticamente applicata alle singole fattispecie l’affermazione, tralaticiamente ripetuta nella giurisprudenza, secondo la quale “in base a un orientamento del tutto consolidato, nel processo amministrativo l'intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 13 del 2018).
1.5. Proprio l’assenza di un’esigenza antagonista pone peraltro seri dubbi circa la meritevolezza dell’interesse a coltivare l’eccezione in esame, che mira all’esclusione dal giudizio dell’interventore (il quale certat – ancorché in forma meramente adesiva - de damno vitando).
Un simile interesse – escluso già, come chiarito, quello volto a contrastare l’ampliamento del thema decidendum - non può essere evidentemente quello volto a contenere gli effetti del giudicato, posto che questi, come già indicato, comunque si esplicherebbero fra tutti i cointeressati (concorrenti non utilmente collocati) in caso di accoglimento del ricorso già proposto contro il bando, anche in assenza di intervento (sul collegamento su interesse all’impugnazione e attitudine al giudicato, Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza n. 27842 del 2019).
Nel caso di specie, inoltre, la sentenza gravata ha interamente compensato fra le parti le spese del giudizio di primo grado: sicché neppure può sostenersi che la funzione dell’eccezione in parola sia quella di restringere – con riferimento al giudizio di primo grado - il novero delle controparti allo scopo di evitare una possibile condanna alle spese di lite che possa essere ipoteticamente estesa anche in favore della parte interveniente.
L’opposizione all’intervento, in una fattispecie quale quella dedotta nel presente giudizio, non può dunque trovare giustificazione se non nell’interesse, di mero fatto, a restringere in concreto l’ambito dei soggetti processuali (e degli argomenti) che si contrappongono alle tesi della difesa della legittimità del provvedimento gravato: ma esso non può avere consistenza tale da limitare il diritto di difesa della controparte attraverso un’interpretazione del citato art. 28 cod. proc. amm. che non tenga conto del criterio funzionale posto a fondamento della richiamata sentenza n. 882 del 2016.
1.6. L’eccezione in parola deve essere pertanto respinta perché infondata.
2. Devono essere esaminati a questo punto gli appelli incidentali, involgenti anch’essi questioni pregiudiziali di rito relative all’ammissibilità e ricevibilità del ricorso di primo grado.
2.1. L’appello incidentale di SIRAM con il primo motivo censura il capo della sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso incidentale con cui si deduceva l’irricevibilità per tardività delle censure proposte contro il bando; con il secondo motivo censura il capo della sentenza di primo grado che non ha accolto il motivo di ricorso incidentale con cui si deduceva l’inammissibilità per genericità delle censure di violazione dell’art. 34 del d. lgs. 50/2016 (il TAR, pur ritenendo generiche tali censure, le ha respinte nel merito).
2.2. Per quanto riguarda l’appello incidentale di Romeo Gestioni s.p.a. il primo motivo censura il capo della sentenza di primo grado che non ha accolto il motivo di ricorso incidentale con cui si deduceva l’inammissibilità per genericità delle censure di violazione dell’art. 34 del d. lgs. 50/2016, rigettandolo nel merito; il secondo motivo censura: a) il capo della sentenza gravata che ha implicitamente respinto l’eccezione, sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse (essendosi la ricorrente classificata in posizione non utile in tutti i lotti), sul presupposto della non sufficienza, in questo caso, dell’interesse strumentale alla rinnovazione della gara; b) il capo della sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso incidentale con cui si deduceva l’irricevibilità per tardività delle censure proposte contro il bando.
2.3. Per quanto riguarda l’appello incidentale di Cecchini s.r.l., il primo motivo censura il capo della sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso incidentale con cui si deduceva l’irricevibilità per tardività delle censure proposte contro il bando, anche con riferimento alla citata sentenza della Plenaria n. 4/2018; il secondo motivo censura il capo della sentenza di primo grado che non ha accolto il motivo di ricorso incidentale con cui si deduceva l’inammissibilità per genericità delle censure di violazione dell’art. 34 del d. lgs. 50/2016.
3. Trattando i richiamati appelli incidentali alcune questioni comuni, le stesse possono essere esaminate congiuntamente.
3.1. Tutti e tre i ricorsi incidentali censurano il capo della sentenza gravata che ha respinto il mezzo, proposto in via incidentale, con cui si deduceva l’irricevibilità per tardività delle censure proposte dalla ricorrente contro il bando di gara.
La questione, con specifico riferimento ai c.a.m., è stata già affrontata da questa Sezione nella sentenza n. 2795/2023, che ha applicato alla specifica materia dedotta i princìpi sanciti dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4/2018, nel senso dell’insussistenza di un onere di immediata impugnazione delle clausole che si assumo lesive per violazione della disciplina in materia di criteri ambientali minimi.
La decisione gravata con gli appelli incidentali si basa sul richiamo a tale giurisprudenza.
In argomento va osservato: che il ricorso incidentale SIRAM contesta la conclusione cui è pervenuto il TAR ma non contiene elementi od argomenti di critica rivolti al nucleo centrale di tale decisione, id est all’orientamento giurisprudenziale cui la stessa aderisce; che il ricorso incidentale Cecchini neppure menziona tale orientamento, richiamandosi direttamente alla citata sentenza della Plenaria n. 4/2018 (che però, come detto, ha trovato specifica applicazione nella materia in questione ad opera del precedente espressamente richiamato dal T.A.R., ma non contestato); e che il ricorso incidentale Romeo Gestioni si cura invece di prendere atto di tale orientamento (costituente, come accennato, il nucleo della motivazione del capo di sentenza impugnato), sollecitandone una rimeditazione.
Il Collegio ritiene di confermare in proposito la conclusione già espressa nella citata sentenza n. 2795/2023, condividendo gli argomenti posti a fondamento della stessa.
Non si ravvisano, in particolare, ragioni per addivenire – come sollecitato – ad una rimeditazione di tale orientamento, posto che proprio i criteri sanciti dalla ricordata sentenza n. 4/2018 dell’Adunanza Plenaria, correttamente applicati dalla richiamata sentenza alla specifica fattispecie oggetto di giudizio, impediscono di addivenire ad un diverso esito interpretativo.
In alcun modo, infatti, l’illegittimità dei criteri ambientali minimi influisce sulla formulazione dell’offerta: non solo in termini di impossibilità assoluta, ma neppure in termini di condizionamento relativo (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 1300 del 2024).
Sono pertanto infondati il primo motivo dell’appello incidentale SIRAM, la seconda parte del secondo motivo dell’appello incidentale Romeo Gestioni, ed il primo motivo dell’appello incidentale Cecchini.
3.2. Ulteriore questione comune ai tre ricorsi incidentali è quella con cui censura il capo della sentenza di primo grado che non ha accolto il motivo di ricorso incidentale con cui si deduceva l’inammissibilità per genericità delle censure di violazione dell’art. 34 del d. lgs. 50/2016: il T.A.R. invero ha respinto nel merito tali censure perché esse non esplicitavano le specifiche carenze della legge di gara, ma ciò avrebbe dovuto condurre, secondo le appellanti incidentali, alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso principale di primo grado.
Anche questa censura è infondata.
Va anzitutto osservato che la ricorrente in primo grado deduceva che la legge di gara con avesse effettivamente declinato, nella sua struttura e funzione, la disciplina dei criteri ambientali minimi: al di là del mero rinvio di carattere generico.
Trattandosi di una censura formulata “per omissione”, o “in negativo”, non può imputarsi alla parte ricorrente il mancato assolvimento di un onere di specificazione analitico.
La genericità rilevata dal T.A.R., e posta a fondamento della decisione d’infondatezza del ricorso di primo grado, non era effettivamente tale, per la richiamata ragione, da rendere inammissibile per genericità il ricorso, ma piuttosto per escludere – nella ricostruzione del primo giudice - la sua fondatezza nella parte in cui deduceva il contrasto con il citato art. 34.
Il T.A.R. ha quindi correttamente distinto il superamento della soglia di genericità condizionante l’ammissibilità del gravame, rispetto a quella incidente sulla fondatezza dello stesso.
Ciò posto, al di là delle superiori considerazioni risulta dirimente nel senso dell’infondatezza della censura in esame il rilievo che l’accoglimento dell’appello principale, comportando la riforma della sentenza di primo grado nella parte relativa al rigetto del ricorso nel merito, esclude in radice che possa comunque predicarsi – ad ogni fine - un difetto di sufficiente specificità del ricorso stesso.
Sono pertanto infondati il secondo motivo dell’appello incidentale SIRAM, il primo motivo dell’appello incidentale Romeo Gestioni, ed il secondo motivo dell’appello incidentale Cecchini.
3.3. La prima parte del secondo motivo dell’appello incidentale Romeo Gestioni contesta il capo della sentenza gravata che ha implicitamente respinto l’eccezione, sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse (essendosi la ricorrente classificata in posizione non utile in tutti i lotti), sul presupposto della non sufficienza, in questo caso, dell’interesse strumentale alla rinnovazione della gara.
Deduce, in particolare, l’appellante incidentale che “l’odierno appellante non ha dato alcuna contezza della circostanza per cui, qualora la documentazione di gara avesse riportato i CAM asseritamente omessi, lo svolgimento e gli esiti della stessa sarebbero stati diversi”.
Identica questione è stata posta, in forma di eccezione, dalla A.O.R.N. “Santobono”
Sul punto è sufficiente richiamare, nel senso dell’infondatezza del mezzo, la sentenza di questa Sezione n. 8773/2022, dal momento che in simile fattispecie l’interesse strumentale alla riedizione della gara per illegittimità della lex specialis prescinde da una sorta di prova di resistenza parametrato all’esito della riedizione stessa: “Una volta chiarita l’ammissibilità del gravame rivolto contro un’aggiudicazione viziata dal mancato inserimento dei criteri ambientali minimi nella legge di gara, la conseguenza dell’accoglimento di tale censura è la caducazione dell’intera gara e l’integrale riedizione della stessa, emendata dal vizio in questione.(….). In realtà, come già chiarito, è pacifico che in un caso del genere rilevi (e sia sufficiente) l’interesse “strumentale” alla riedizione della procedura di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 972/2021, cit., con richiami di giurisprudenza). Dal che la fondatezza anche del motivo di appello che deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per mancata dimostrazione della prova di resistenza”.
IL Collegio condivide tale conclusione, dalla quale non ravvisa alcuna ragione per discostarsi, con la conseguenza che il mezzo in esame deve ritenersi infondato.
4. Venendo all’esame dell’appello principale, va anzitutto osservato che, come ricordato dal primo giudice, le prestazioni dell’appalto in questione “concernono la manutenzione degli impianti di climatizzazione, elettrici, idrici e gas medicali, degli impianti e apparecchiature antincendio, degli impianti elevatori e la manutenzione edile”.
In estrema sintesi il ricorso di primo grado censurava in particolare il fatto che i criteri ambientali minimi richiamati nell’art. 14 del Disciplinare tecnico non fossero poi coerentemente declinati nella legge di gara; e altresì il fatto che l’allegato A5, relativo ai criteri di valutazione delle offerte, destinasse soltanto 4 punti su 70 alla sostenibilità ambientale, peraltro sotto il profilo delle misure migliorative.
Il TAR ha respinto tali censure sostanzialmente osservando:
- che la fattispecie dedotta sarebbe difforme rispetto a quelle oggetto dei richiamati precedenti;
- che il principio di eterointegrazione farebbe sì che i criteri ambientali minimi genericamente richiamati entrino a far parte della legge di gara (richiamando in tal senso la sentenza del T.A.R. Veneto n. 329/2019);
- che la ricorrente avrebbe genericamente lamentato la mancata trasposizione specifica nella legge di gara, ma “non esplicita di quali carenze sia concretamente affetta la legge di gara”.
5. Con un unico, articolato motivo di gravame l’appellante principale censura la sentenza gravata nella parte in cui ha respinto il ricorso di primo grado, con cui si deduceva l’insufficienza – ai fini del rispetto dell’art. 34 del d. lgs. 50/2016 - del mero richiamo ai decreti relativi ai criteri ambientali minimi applicabili nel caso in esame.
Si chiede anche di rimettere all’Adunanza Plenaria la questione della sufficienza del mero richiamo eterointegrativo, ove si riscontrasse un contrasto di giurisprudenza sul punto.
L’appellante principale critica poi la parte della sentenza impugnata in cui il principio del risultato viene invocato a supporto della decisione di rigetto, di fatto quale antagonista della effettiva applicazione della disciplina dei criteri ambientali minimi.
Deduce, inoltre, il gravame che “è proprio la specificazione tecnica sul verde pubblico a dimostrare la carenza della legge di gara su tutti gli altri settori e quindi a rendere evidente come i CAM per le diverse parti del servizio e inerenti gli altri enunciati Decreti Ministeriali siano rimasti chiaramente inapplicati”.
6. Le parti appellate hanno dedotto l’infondatezza dell’appello principale.
Il nucleo centrale degli argomenti in tal senso sviluppati consiste nel ritenere che nella fattispecie in esame, a differenza di quella che aveva costituito oggetto della sentenza n. 8773/2022, la legge di gara avrebbe rispettato il disposto del citato art. 34 del d. lgs. n. 50 del 2016.
Tali argomenti attengono ad una duplice prospettiva: quella della ritenuta genericità delle censure della ricorrente; e quella della conformità al richiamato parametro normativo della censurata disciplina negoziale, in quanto – a differenza del precedente evocato – rispettosa dello stesso.
6.1. Quanto al primo profilo, valgono le considerazioni già svolte a proposito dell’esame degli appelli incidentali: tale rilievo, rivolgendosi contro una censura che lamenta un’omissione, è strutturalmente contraddittorio.
In ogni caso, come si dirà più avanti, la censura avanzata in primo grado dalla ricorrente, e riproposta in appello, ancorché formulata “in negativo”, individua con sufficiente precisione il contenuto mancante che rende illegittima la legge di gara.
6.2. Sul secondo dei segnalati profili di ritenuta infondatezza del gravame si è, in particolare, diffusa la difesa della stazione appaltante, che nella memoria conclusionale (pag. 24) ha affermato che “nella fattispecie sopra illustrata, oggetto di pronuncia da parte del Consiglio di Stato, la legge di gara non aveva previsto, disciplinato e articolato in nessun modo i C.A.M. riferiti alle categorie merceologiche e ai servizi compresi nell’appalto, limitandosi a richiamare genericamente l’applicabilità di tutte le disposizioni di legge e regolamentari vigenti in materia, senza alcuna ulteriore specificazione. È di tutta evidenza che la vicenda sottesa alla pronuncia del Consiglio di Stato si fonda su presupposti fattuali e giuridici non sovrapponibili alla fattispecie de qua. Dunque, non pare sussistere la violazione di legge dedotta dalla appellante. Pare il caso di rammentare, ancora una volta, che So.Re.Sa., sul presupposto di non essere in possesso dei dati e delle informazioni relativi ai livelli e certificazioni di prestazione energetica per gli immobili oggetto di gara, ha rinviato all’applicazione dei CAM per i servizi energetici secondo quanto previsto dal CASO A dell’Allegato 1 al Decreto Ministeriale del 7 marzo 2012 i quali delineano, esaustivamente, le specifiche tecniche premianti – in quanto non sono previste quelle di base per la detta fattispecie – le clausole contrattuali, la selezione dei candidati, la documentazione da inserire nella legge di gara, i mezzi di prova e i procedimenti di verifica del rispetto dei principi di sostenibilità ambientale” (argomenti analoghi sono stati comunque svolti da parte di tutte le difese delle parti appellate).
6.3. I superiori argomenti non risultano condivisibili.
A ben vedere, l’unica differenza fra le due fattispecie (quella oggetto della sentenza n. 8773/2022, e quella oggetto del presente giudizio), risiede nel fatto che mentre nel primo caso la disciplina di gara conteneva un generico rinvio alla normativa applicabile, nel caso di specie essa rinviava alla disciplina dei criteri ambientali minimi relativi ai settori considerati (ma comunque con esclusione di quello dei rifiuti), senza tuttavia declinare coerentemente tale richiamo all’interno della “documentazione di gara”.
Tale connotato strutturale, che pure ha costituito oggetto di dialettica processuale, è in realtà pacificamente ammesso dalla stessa stazione appaltante a pag. 25 della propria memoria conclusionale, laddove ha affermato che “La mancata previsione della normativa in materia di criteri ambientali minimi nella documentazione di gara non inficia la procedura ad evidenza pubblica in quanto la scelta dei criteri di valutazione delle offerte, operata dalla Stazione Appaltante, rientra nell’esercizio della discrezionalità che la legge attribuisce alla Pubblica Amministrazione nella fase di valutazione delle offerte per perseguire l’interesse pubblico” (affermazione che, peraltro, evidenzia una non adeguata individuazione dell’interesse pubblico sotteso alla gara, alla stregua di quanto sarà ulteriormente chiarito ai successivi punti 8. e seguenti).
6.4. La questione in merito alla quale le parti appellate hanno sollecitato un intervento chiarificatore di questo giudice concerne l’individuazione della soglia (minima) normativa di esigibilità della previsione dei criteri ambientali minimi all’interno della legge di gara.
Il Collegio, nel farsi carico dello scrutinio di tali difese, ritiene anzitutto che tale questione abbia carattere alquanto serio, determinando un antagonismo fra l’esigenza di semplificazione della lex specialis (e della gara stessa) per un verso, e la non meno rilevante esigenza di effettività dell’operatività dei criteri ambientali minimi nella fase di esecuzione del contratto.
La soluzione di tale dialettica va individuata tenendo conto anzitutto del dato testuale: l’art. 34, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 prescrive espressamente “l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (….) ”.
Si tratta di un dato non formale, ma piuttosto sostanziale, dal momento che le prescrizioni in questione mirano a conformare l’esecuzione della prestazione contrattuale (come meglio si preciserà in seguito).
È appena il caso di osservare come identica disciplina sia contenuta, nonostante solo apparenti difformità testuali, nell’art. 57, secondo comma, del d. lgs. n. 36 del 2023, che si pone in relazione di continuità con il carattere c.d. mandatory dei criteri ambientali minimi: anche in considerazione del rilievo (non solo meramente esegetico) che tale processo di successione di norme è stato segnato, medio tempore, dalla riforma del parametro costituzionale rappresentato dagli artt. 9 e 41 della Costituzione (e fermo restando, comunque, che la parte della previsione del citato art. 57 avente ad oggetto la graduazione, ove possibile, dei criteri sulla base del valore del contratto non è rivolta alle stazioni appaltanti, ma all’attività di predisposizione dei decreti ministeriali).
Date le superiori premesse, nel caso di specie tre dirimenti elementi, in particolare, impediscono di accedere alla tesi delle parti appellate che hanno allegato, anche graficamente, la conformità all’indicato parametro normativo dell’indicata legge di gara.
6.4.1. Il primo è che il T.A.R. in tanto ha ritenuto legittima la legge di gara così strutturata, in quanto ha fatto ricorso al principio della eterointegrazione del bando ad opera di norme imperative (così confermando la lacuna contenutistica della disciplina di gara): tesi che, però, non è condivisa dalla giurisprudenza maggioritaria di questo Consiglio di Stato, come peraltro riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata (che tuttavia ritiene il richiamo ai decreti ministeriali sufficiente allo scopo, in quanto “l’onere di diligenza impone al concorrente di adeguare la propria offerta ai criteri ambientali minimi che la stazione appaltante non ha trascurato, e che l’operatore economico è così messo in grado di conoscere e valutare, per formulare un’offerta consapevole”).
Il Collegio ritiene di non poter condividere tale conclusione, perché essa limita gli effetti del richiamo ai decreti ministeriali alla “formulazione di un’offerta consapevole” (fermo restando che la genericità del richiamo a criteri semplicemente “non trascurati” attenua fortemente il relativo onere del partecipante), e non anche alla coerente disciplina della valutazione delle stesse.
Una simile conclusione risolve semmai il - diverso - problema di conformità del bando di gara all’art. 71 dell’abrogato d. lgs. n. 50 del 2016: ma non anche di rispetto dell’art. 34 dello stesso codice, come subito si dirà.
6.4.2. Le superiori conclusioni sono ulteriormente rafforzate da un secondo elemento: quello – dedotto a pag. 8 dell’appello principale - per cui “SO.RE.SA. abbia (illegittimamente) destinato solo 4 punti sui 70 disponibili alla sostenibilità ambientale e per di più con riferimento alle eventuali misure migliorative”.
Tale dato è confermato dal primo giudice, che lo ha ritenuto legittimo in relazione all’ampia discrezionalità di cui gode la stazione appaltante in sede di distribuzione dei punteggi.
Orbene, in disparte la condivisibilità o meno di tale assunto (in relazione alla funzionalizzazione comunque della discrezionalità agli interessi pubblici primari fissati dalle norme, come meglio si specificherà in seguito), sul piano strutturale ciò che si ricava oggettivamente da tale dato è che i criteri ambientali minimi hanno inciso in sede di valutazione dell’offerta solo per 4 punti su 70, e segnatamente – ciò che qui rileva - solo sul piano delle misure migliorative.
Tale elemento – unitamente a quello della necessità di una eterointegrazione della legge di gara - conferma quanto già osservato: vale a dire che nella gara in questione i criteri ambientali minimi hanno avuto un ruolo, in sede di selezione dell’offerta migliore, solo in chiave accessoria.
Non è qui direttamente in rilievo l’esercizio della discrezionalità amministrativa nella distribuzione dei punteggi (anche se il citato art. 34 individua i criteri premianti come una species del più ampio genus: e, dunque, presuppone un loro impiego non alternativo ma piuttosto integrativo, contrapponendo al contenuto necessario oggetto del primo comma quello eventuale indicato nel secondo).
Né si tratta di individuare in capo alla stazione appaltante un “obbligo meramente formale di riproduzione del suo contenuto”, come ritenuto dal primo giudice: la formulazione del primo comma dell’art. 34 non è casuale, ma impone una conformazione degli obblighi negoziali funzionale, sul piano sostanziale, all’effettiva esecuzione della prestazione dell’appaltatore in conformità alle specifiche tecniche portate dai criteri ambientali.
Rimane dunque confermato, anche nel caso in esame, che “La conseguenza della richiamata disciplina di gara è infatti quella di relegare un contenuto necessario all'alea delle offerte migliorative” (sentenza n. 8773/2022, cit.; nello stesso senso sentenza 972/2021).
6.4.3. Tanto ciò è vero, che – come dedotto dall’appellante alle pagg. 28 e 29 del ricorso in appello – dei criteri ambientali minimi genericamente richiamati dalla legge di gara uno soltanto, quello relativo alla cura e alla manutenzione del verde, è stato tradotto in specifiche tecniche.
Il che contraddice la tesi della mera sufficienza del richiamo generico, o quanto meno esprime una contraddittorietà nella tecnica di formulazione della legge di gara che, di per sé, non garantisce l’adeguato rispetto della norma primaria.
Né può accedersi alla tesi della sentenza gravata, secondo la quale “La circostanza che la stazione appaltante abbia inteso operare alcune specificazioni per una delle prestazioni richieste non denota il lamentato vizio degli atti di gara. Tali specificazioni si mostrano corrispondenti alla scelta di chiarire taluni aspetti delle parziali attività affidate, rimanendo il contenuto delle prestazioni richieste, per le restanti attività, ancorato ai criteri ambientali minimi, dettati dai decreti ministeriali a cui è fatto riferimento”.
La richiamata norma primaria detta infatti un modello disciplinare che non consente applicazioni differenziate all’interno della stessa lex specialis: e ciò, giova ripeterlo, non già in ossequio ad un canone formale, ma piuttosto per assicurare l’effettiva conformità delle modalità di esecuzione della prestazione al modello individuato come rispettoso delle esigenze ambientali.
6.5. Tanto chiarito, emerge che effettivamente una apparente differenza strutturale sussiste fra la fattispecie in esame e quella che ha costituito oggetto della più volte richiamata sentenza n. 8773/2022: in un caso il rinvio è stato genericamente operato alla “disciplina applicabile”, mentre in questo caso esso ha riguardato i decreti ministeriali relativi ai (soli) criteri ambientali minimi ritenuti applicabili.
Tuttavia, ai fini dello scrutinio della conformità della legge di gara al parametro normativo evocato, non è dato riscontrare significative diversità fra le due ipotesi; in entrambi i casi, infatti, il rinvio – se pure assolve ad uno scopo formale - non è idoneo a conformare la funzione del contratto, in punto di scelta della migliore offerta, agli obiettivi avuti di mira dalla norma.
La memoria conclusionale SIRAM ha in proposito invocato la sentenza della V Sezione di questo Consiglio di Stato n. 9879 del 2022: ma anche tale sentenza, conferma che “L’obbligatorietà di detti criteri e le gravi conseguenze che se ne devono trarre nella sede giudiziale di valutazione di legittimità delle procedure pubbliche di affidamento che non ne tengano debito conto depongono nel senso, seguito dalla sentenza impugnata, di valutare la questione del loro recepimento nella legge di gara sotto il profilo sostanziale, piuttosto che sotto il profilo formale del loro richiamo”.
6.6. La stazione appaltante, a pag. 25 della propria memoria conclusionale, ha dedotto che “La mancata previsione della normativa in materia di criteri ambientali minimi nella documentazione di gara non inficia la procedura ad evidenza pubblica in quanto la scelta dei criteri di valutazione delle offerte, operata dalla Stazione Appaltante, rientra nell’esercizio della discrezionalità che la legge attribuisce alla Pubblica Amministrazione nella fase di valutazione delle offerte per perseguire l’interesse pubblico. Il potere discrezionalmente esercitato dalla Stazione Appaltante è sindacabile solo in sede di giurisdizione di legittimità e, unicamente, qualora sia macroscopicamente illogico, irragionevole e irrazionale”.
La tesi non è condivisibile.
In primo luogo va considerato che la discrezionalità in sede di valutazione delle offerte incontra un (auto)limite nella legge di gara: e nel caso di specie si discute proprio della legittimità della lex specialis.
In secondo luogo, tale conclusione è sintomatica di una incompleta percezione della nozione di “perseguimento dell’interesse pubblico”, che come detto si connota di una componente non rimessa alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, ma obbligatoriamente richiesta dalla legge come condizionante il contenuto delle offerte e delle prestazioni.
In terzo luogo, e in conseguenza delle superiori considerazioni, dall’insieme delle prescrizioni normative relative ai criteri ambientali minimi risulta che la sostenibilità ambientale delle scelte negoziali dell’amministrazione pone un problema di rispetto di canoni normativamente stabiliti, più che di esercizio di discrezionalità propriamente intesa.
6.7. Alla luce delle osservazioni che precede va conclusivamente esaminato il profilo – cui si è già in parte accennato - relativo alla possibilità di eterointegrazione della legge di gara, anche per effetto del rinvio in essa contenuto ai decreti ministeriali.
La citata sentenza n. 8773/2022 ha precisato che “La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è pacifica nel rinvenire la ratio dell'obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nell'esigenza di garantire "che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell'obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell'obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, "circolari" e nel diffondere l'occupazione "verde" (così, da ultimo, la sentenza n. 6934/2022). La previsione in parola, e l'istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l'evoluzione del contratto d'appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un "segmento dell'economia circolare"”.
L’applicazione di tali princìpi alla fattispecie dedotta importa l’accoglimento del relativo profilo di censura.
Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il ricorso alla eterointegrazione della legge di gara ad opera dei decreti che disciplinano gli specifici criteri ambientali non è sufficiente a far ritenere rispettato l’art. 34 del d. lgs. n. 50 del 2016.
Sempre la sentenza 8773/2022 ha chiarito che “non possono ritenersi rispettate tali previsioni allegando il generico rinvio della legge di gara alle disposizioni vigenti, ovvero opponendo in memoria - in un'ottica di risultato - che l'aggiudicataria avesse comunque "offerto in gara prodotti biologici e possiede certificazioni idonee a minimizzare l'impatto ambientale nella fase esecutiva della commessa"”.
Il Collegio anche sul punto – essendo, peraltro, la richiamata ricostruzione coerente ad una complessiva logica normativa non frazionabile per segmenti – aderisce al richiamato orientamento, dal momento che la fattispecie oggetto del presente giudizio non presenta – come già rilevato – differenze sostanziali rispetto a quella oggetto della sentenza da ultimo indicata, posto che in un caso i criteri ambientali minimi sono stati indicati in maniera generica, mentre nel caso in esame sono stati indicati con specifico riferimento ai relativi decreti ministeriali, ma senza che a tali riferimenti abbia fatto seguito un’effettiva declinazione nella documentazione di gara, come prescritto dal citato art. 34, primo comma.
Ne consegue che non sussistono i presupposti per la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, posto che l’opposta opzione esegetica fatta propria dal primo giudice si richiama ad una giurisprudenza del giudice di primo grado isolata e comunque superata dal più recente orientamento di questo Consiglio di Stato, non sussistendo peraltro le condizioni di cui all’art. 99, comma 3, cod. proc. amm.
Va conclusivamente osservato sul punto che la tesi della eterointegrazione, che ha consentito al primo giudice di ritenere legittima la legge di gara, per un verso contraddice – come accennato – la tesi delle parti appellate circa la completezza della relativa documentazione; per altro verso – stante la genericità sul punto di disciplinare e capitolato, e la conseguente necessità di integrarne ab extrinseco la disciplina - ha l’effetto di spostare nella fase di esecuzione del contratto ogni questione relativa alla conformità della prestazione ai criteri ambientali: così contraddicendo la logica del risultato (della quale ci si occuperà ulteriormente ai successivi punti 8. e seguenti) , che mira piuttosto ad una sollecita definizione, in termini di certezza e stabilità del rapporto negoziale, dei reciproci diritti ed obblighi (posto che lo stesso art. 1, comma 1, del d. lgs. n. 36 del 2023 – ponendosi in linea di coerenza e continuità con risalenti ed autorevoli indicazioni teoriche - costruisce la nozione di risultato in un’ottica di unitarietà strutturale e funzionale fra aggiudicazione ed esecuzione).
7. Un ulteriore argomento di censura concerne il mancato, radicale richiamo (e, non dunque, il richiamo non seguito da adeguata declinazione nelle specifiche tecniche) da parte della legge di gara ai criteri ambientali minimi relativi alla gestione dei rifiuti.
7.1. Sul primo profilo la sentenza gravata ha ritenuto che “non vale il riferimento operato alla previsione del punto 12.8 del capitolato tecnico, poiché esso non include nell’oggetto dell’appalto le specifiche prestazioni in materia di rifiuti, enunciando l’obbligo dell’aggiudicatario di far corrispondere la propria attività alla qualità di produttore e detentore di rifiuti, non abbandonando i rifiuti e favorendo il trattamento da parte di altri soggetti (significativamente, il disciplinare specifica che l’aggiudicatario dovrà rivolgersi “ai soggetti autorizzati allo svolgimento delle relative operazioni di gestione ai sensi dell’art. 212 del D.Lgs. 152/2006 e compilando la documentazione ambientale”)”.
7.2. Sul punto l’appellante in memoria di replica ha dedotto che “avendo Soresa disciplinato e declinato anche l’affidamento del servizio di gestione del verde pubblico e fornitura prodotti per la cura del verde di cui al DM n. 63 del 10 marzo 2020, la stessa sarebbe stata obbligata anche ad applicare, declinare e contestualizzare il DM 13 febbraio 2014 sui rifiuti urbani, che è collegato appunto al verde pubblico”.
Va anzitutto osservato che l’allegato 1 del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 13 febbraio 2014, relativo ai “Criteri ambientali minimi per l'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti urbani”, risulta essere stato abrogato dall’art. 3, comma 3, del Decreto del Ministero della transizione ecologica 23 giugno 2022, a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso (3 dicembre 2022).
Alla data in cui è stata bandita la gara in esame – indetta con determina n. 184 del 16 settembre 2022 – era dunque in vigore il citato d.m. 13 febbraio 2014.
7.3. Tale decreto stabilisce, come detto, i “Criteri ambientali minimi per l'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti urbani”: dunque, di un servizio distinto, e collocato “a valle”, rispetto a quello costituente oggetto del contratto per cui è causa, il quale contempla la produzione e la detenzione di rifiuti, ma non anche il loro smaltimento.
Va peraltro considerato che, come ricordato dal primo giudice, il contratto in questione disciplina altresì le attività relative ai rifiuti prodotti nel senso di favorirne “il trattamento da parte di altri soggetti”; e che il citato d.m. 13 febbraio 2014 non disciplina esclusivamente lo “smaltimento”, ma piuttosto la “gestione” dei rifiuti, e in particolare (allegato 1, punto 2) “la parte del servizio di gestione dei rifiuti relativa alla raccolta dei rifiuti”.
Si tratta dell’attività di raccolta operata dalle amministrazioni istituzionalmente competenti, ma nell’ottica della “prevenzione della produzione dei rifiuti” (punto 3.3.1.), anche attraverso il “compostaggio domestico”, “in particolare nelle situazioni ove siano presenti case sparse e giardini” (punto 3.3.2.), e della raccolta differenziata (punto 3.3.3.).
Orbene, se nel caso di specie oggetto del contratto sono anche le attività dirette a favorire il trattamento dei rifiuti prodotti (prodromiche alla diversa attività concernente la successiva gestione degli stessi), non può negarsi che in tale oggetto rientri una pur minima (ma non marginale, se considerata in relazione al ciclo dei rifiuti) attività di gestione vera e propria.
7.4. Ciò è del resto testualmente confermato dal punto 12.8 del Capitolato: dove alla genericità della previsione di cui al primo periodo (“L’Assuntore si impegna, nel corso dello svolgimento del contratto, a salvaguardare l’integrità dell’ambiente, rispettando le norme attualmente vigenti in materia e adottando tutte le precauzioni possibili per evitare danni di ogni genere”), fa invece seguito, nel secondo periodo, la più precisa e significativa previsione secondo la quale “Le attività oggetto del presente appalto implicano la produzione di differenti tipologie di rifiuto che l’Assuntore dovrà gestire nel pieno rispetto della normativa vigente, con particolare riferimento al D.Lgs 152/2006”.
Il Capitolato, opportunamente (considerato il potenziale rilievo inquinante dei rifiuti relativi alle plurime attività oggetto del contratto), fa carico al contraente non già del mero conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati, ma anche della loro produzione in forma differenziata: il che, come detto è oggetto del punto 3.3.3. del citato allegato 1 al d.m. 13 febbraio 2014.
Né può ritenersi esaustivo, in argomento, il rinvio alle disposizioni di cui al d. lgs. n. 152 del 2006, in quanto richiamato dal Capitolato solo in via esemplificativa.
La stazione appaltante ha pertanto – correttamente ed opportunamente - incluso nell’oggetto dell’appalto una fase di gestione “interna” dei rifiuti, funzionale all’effettivo smaltimento degli stessi secondo criteri di protezione ambientale, che come tale implica l’esecuzione della prestazione negoziale secondo le specifiche recate dai criteri sopra richiamati.
La censura è pertanto, questi termini, fondata.
8. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte in merito ai contrapposti argomenti delle parti sulla legge di gara e sul contenuto del relativo parametro normativo, devono essere esaminate le critiche rivolte dall’appellante alla parte della sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso facendo riferimento al principio del risultato (oltre a quanto già osservato in argomento al precedente punto 6.7.).
Il T.A.R. ha utilizzato tale argomento, declinato come “esigenza di garantire il conseguimento dell’obiettivo dell’azione pubblica (con il riconoscimento del prioritario interesse al pronto raggiungimento delle finalità dell’appalto), essendo destinati a recedere quei formalismi ai quali non corrisponda una concreta ed effettiva esigenza di tutela del privato”, ritenendo che, poiché “in ragione della formulazione specifica degli atti di gara, l’operatore economico non potesse dirsi inconsapevole delle modalità attraverso cui formulare la propria offerta”, nel caso di specie andrebbe privilegiata l’esigenza di un sollecito affidamento e svolgimento del servizio.
8.1. Tale impostazione, che considera l’interesse della stazione appaltante e del singolo operatore alla presentazione dell’offerta e all’effettuazione della gara, trascura in realtà di considerare che il risultato avuto di mira dalla legge in questo caso non è “l’effettivo e tempestivo” svolgimento del servizio (a qualsiasi condizione), ma lo svolgimento del servizio finalizzato all’attuazione delle politiche ambientali alle quali risultano funzionali i criteri ambientali minimi.
La nozione, nel caso di specie, deve appuntarsi sul soddisfacimento dell’interesse pubblico primario portato dalle norme che si assumono violate.
Diversamente, si legittimerebbe una divaricazione fra la politica ambientale predicata dalla norma primaria regolante l’esercizio del potere in questione, e quella effettivamente praticata mediante la disciplina dei concreti obblighi negoziali.
8.2. È nota del resto, in tal senso, la qualificazione funzionale dei contratti pubblici operata in relazione all’evoluzione normativa della causa degli stessi: dalla concezione c.d. unipolare (limitata elle esigenze contabilistiche); a quella bipolare (che alla prima ha affiancato il perseguimento dell’interesse proconcorrenziale e alla libera circolazione); a quella, infine, multipolare, mediante la quale l’arricchimento funzionale della disciplina assegna al contratto anche il ruolo di strumento di politiche sociali ed ambientali (soprattutto per effetto del considerando 2 della Direttiva 2014/24/UE).
Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare in proposito che “Nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche - uno “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente” (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 11322/2023; in argomento, da ultimo, e con ampia motivazione, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 807 del 2024, in materia di clausole sociali).
Il che, a ben vedere, si pone in chiave di coerenza evolutiva rispetto all’originaria funzione, posto che si amplia l’area dell’interesse pubblico primario: che è sempre quello alla scelta del migliore offerente, ma non più tale solo sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, bensì anche sul terreno della capacità di concorrere a concretamente tutelare gli ulteriori interessi pubblici nel frattempo normativamente assegnati alla cura dell’amministrazione (con la conseguenza di trasformare il contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica, sociale ed ambientale: in tal senso già la citata sentenza n. 8773/2022).
Come chiarito dalla Sezione nella citata sentenza n. 11322/2023, la nozione di risultato “anche alla luce del significato ad essa attribuito dal sopravvenuto d. lgs. n. 36 del 2023, (…) non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione”; (…) Se si considera tale, fondamentale quadro, la “migliore offerta” è dunque quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti”.
Non trova dunque giuridico fondamento la tesi per cui la positivizzazione in materia contrattuale del principio del risultato avrebbe sancito il primato logico dell’approvvigionamento: non foss’altro perché tale principio è strettamente correlato a (e condizionato da) quello della fiducia, e dunque si differenza dalla logica del risultato “statico” di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 per rivolgersi invece alla effettività della tutela degli interessi di natura superindividuale la cui cura è affidata all’amministrazione, fra i quali quello della tutela ambientale assume un ruolo decisamente primario alla luce sia della richiamata Direttiva 2014/24/UE, che del riformato art. 9 della Costituzione.
8.3. Così individuato il “risultato” normativamente rilevante (anche, dunque, quale parametro di legittimità dell’azione amministrativa), l’argomento di censura in esame risulta fondato in relazione a quanto già affermato dalla sentenza di questa Sezione n. 2866/2024, che ha chiarito sul punto – anch’essa in una prospettiva indotta dalla portata esegetica del principio del risultato in quanto già immanente al sistema, e dunque correttamente valutabile, come ha fatto il primo giudice, anche in fattispecie non ancora soggette alla specifica previsione di cui all’art. 1, comma 4, del d. lgs. n. 36 del 2023 - che “L’importanza del risultato nella disciplina dell’attività dell’amministrazione non va riguardata ponendo tale valore in chiave antagonista rispetto al principio di legalità, rispetto al quale potrebbe realizzare una potenziale frizione: al contrario, come pure è stato efficacemente sostenuto successivamente all’entrata in vigore del richiamato d. lgs. n. 36 del 2023, il risultato concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e dunque ad “ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo”, facendo “transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili” (in senso analogo, successivamente, anche la sentenza della IV Sezione di questo Consiglio di Stato, n. 3985/2024).
Nella specifica materia dei criteri ambientali minimi già la più volte richiamata sentenza n. 8773/2022 aveva affermato che il mero richiamo ai criteri ambientali da parte della legge di gara “non equivale a prospettare la conformità del risultato della gara allo scopo voluto dai parametri normativi”.
8.4. La memoria conclusionale SIRAM ha in proposito affermato che “La codificazione del principio è precipuamente volta a privilegiare l’aspetto sostanziale su quello meramente formale, come spiega la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 36/2023, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea”.
Orbene, alla luce di quanto si è già osservato, è proprio la valorizzazione del profilo sostanziale a deporre nel senso della fondatezza del gravame: nella duplice prospettiva della necessità – per potersi predicare la legittimità della legge di gara - di un riscontro di effettività della cura degli interessi ambientali in sede di disciplina degli obblighi negoziali (in ciò consistendo il risultato avuto di mira dalla norma in questione); e della insufficienza del dato disciplinare meramente formale consistente nel generico richiamo ai criteri in questioni.
A ciò si aggiunga quanto si è già osservato rispetto alla contrarietà al principio del risultato di una legge di gara che genericamente richiami una disciplina non declinata nelle specifiche tecniche, in vista di una successiva integrazione tale da incrementare il tasso di complicazione e di incertezza del contenuto degli obblighi negoziali.
9. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti difensivi non accolti e ciononostante non espressamente richiamati – in ossequio al principio di sinteticità di cui all’art. 3, comma 2, cod. proc. amm. - sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione, in ragione dell’economia della stessa, e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Dalle considerazioni che precedono discende:
- che gli appelli incidentali sono infondati e come tali devono essere respinti;
- che l’appello principale è fondato e che va pertanto accolto, con riforma della sentenza del T.A.R. qui gravata e conseguente accoglimento del ricorso di primo grado, nel senso dell’annullamento degli atti con esso impugnati.
Sussistono, nondimeno, giusti motivi legati alla complessità ed alla peculiarità della vicenda sottesa al presente contenzioso per disporre, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a, l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta gli appelli incidentali e, in accoglimento dell’appello principale e in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti con esso impugnati.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Michele Corradino, Presidente
Ezio Fedullo, Consigliere
Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore
Antonio Massimo Marra, Consigliere
Angelo Roberto Cerroni, Consigliere
[1] Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione attraverso l'inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi, definiti per specifiche categorie di appalti e concessioni, differenziati, ove tecnicamente opportuno, anche in base al valore dell’appalto o della concessione, con decreto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e conformemente, in riferimento all'acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, anche a quanto specificamente previsto dall'articolo 130. Tali criteri, in particolare quelli premianti, sono tenuti in considerazione anche ai fini della stesura dei documenti di gara per l'applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 108, commi 4 e 5. Le stazioni appaltanti valorizzano economicamente le procedure di affidamento di appalti e concessioni conformi ai criteri ambientali minimi. Nel caso di contratti relativi alle categorie di appalto riferite agli interventi di ristrutturazione, inclusi quelli comportanti demolizione e ricostruzione, i criteri ambientali minimi sono tenuti in considerazione, per quanto possibile, in funzione della tipologia di intervento e della localizzazione delle opere da realizzare, sulla base di adeguati criteri definiti dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica”.