Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 2023, n. 5137
La formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1176 del 2023, proposto da
Wind Tre s.p.a. in proprio e quale mandataria del raggruppamento temporaneo di imprese con Fastweb s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Aristide Police e Filippo Degni, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Telecom Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Cardarelli, Francesco Saverio Marini, Filippo Lattanzi e Francesco Saverio Cantella, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione prima) n. 148/2023, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Telecom Italia s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 18 maggio 2023 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Police, Degni, Cantella, Giunta in dichiarata delega dell’avvocato Marini, e l’avvocato dello Stato Canzoneri;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Il costituendo raggruppamento temporaneo d’imprese composto dalla mandataria Wind Tre s.p.a. e dalla mandante Fastweb s.p.a. partecipava alla procedura aperta, retta dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, bandita dal Ministero dell’interno il 29 dicembre 2020 per la “realizzazione di un servizio LTE Public Safety sul territorio di 11 (undici) Province, articolantesi nella fruizione di un servizio di comunicazione MCPTT e fonia, di un servizio di videosorveglianza in mobilità e di un servizio di accesso a banche dati, con una durata pari a 36 (trentasei) mesi”, venendone escluso e poi riammesso all’esito dell’accoglimento del ricorso proposto avverso il provvedimento espulsivo (sentenza breve Tar Lazio n. 13085/2021, confermata, in parte con diversa motivazione, dalla decisione di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 324/2023).
La procedura era definita con l’aggiudicazione della gara, dopo la verifica di congruità dell’offerta ex art. 97 comma 4 d.lgs. 50/2016, alla prima graduata Telecom Italia s.p.a., che il RTI Wind Tre, classificatosi in seconda posizione, impugnava con ricorso e motivi aggiunti davanti al Tar Lazio, che, nella resistenza del Ministero dell’interno e dell’aggiudicataria, respingeva l’impugnativa con la sentenza semplificata indicata in epigrafe.
Wind Tre, in proprio e quale mandataria del predetto raggruppamento, ha appellato la sentenza.
Ha lamentato che il Tar non si sia avveduto dell’illegittimità dell’operato della stazione appaltante nella valutazione di congruità dell’offerta aggiudicataria, caratterizzata da un ribasso di quasi il 50% dell’importo posto a base di gara (€ 99.650.000,00, oltre € 2.200.000,00 riservate alle attività di sperimentazione), e ha sostenuto l’insostenibilità dell’offerta stessa, come già in primo grado.
L’appello è affidato a un unico motivo, rubricato: error in iudicando et in procedendo per travisamento delle circostanze di fatto, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione in conseguenza del non corretto inquadramento delle pertinenti previsioni di gara e del contenuto delle giustificazioni fornite da Telecom Italia; error in iudicando derivante dall’irragionevole e contraddittoria motivazione rispetto alla sussistenza dei presupposti per ritenere insostenibile l’offerta di Telecom Italia; error in iudicando per irragionevolezza e contraddittorietà della sentenza impugnata rispetto al mancato accertamento dei denunciati vizi di carenza di istruttoria e difetto di motivazione.
L’appellante ha quindi concluso per la riforma della sentenza gravata e per la conseguente statuizione dell’obbligo del Ministero appellato di disporre l’aggiudicazione della gara in suo favore, previa declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente già stipulato con la contro-interessata, nel quale si è dichiarata disponibile a subentrare.
Il Ministero dell’interno e Telecom Italia si sono costituiti in resistenza, entrambe instando nelle memorie depositate per la reiezione del gravame, di cui hanno sostenuto l’infondatezza.
Telecom Italia ha altresì eccepito: a) l’inammissibilità dell’appello, in quanto tendente a sindacare il merito delle valutazioni discrezionali effettuate dell’Amministrazione nel sub-procedimento di cui all’art. 97 comma 4 d.lgs. 50/2016 (questione evocata anche dall’Amministrazione resistente); b) l’inammissibilità dell’originaria impugnativa per carenza di interesse, stante l’insuscettibilità delle censure formulate di dimostrare l’integrale erosione dell’utile stimato nella sua offerta; c) l’inammissibilità della domanda di aggiudicazione della procedura e di subentro nel contratto, potendo l’appellante conseguire dall’eventuale accoglimento del gravame l’unica utilità consistente nella riedizione della valutazione di congruità.
Alla camera di consiglio del 23 febbraio 2023, preso atto della rinunzia dell’appellante alla formulata domanda cautelare, la causa è stata rinviata alla trattazione del merito.
Nel prosieguo, tutte le parti hanno depositato ulteriori memorie difensive e insistito nelle conclusioni già rassegnate.
In tale ambito: Wind Tre ha sostenuto che Telecom Italia abbia esposto nelle proprie difese giustificazioni della sua offerta di cui non vi è traccia nel procedimento di verifica dell’anomalia; Telecom ha replicato che le argomentazioni oggetto di rilievo sono finalizzate unicamente a sostenere l’eccezione sopra riassunta sub b).
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 18 maggio 2023.
DIRITTO
1. Con le censure sollevate il RTI appellante, con mandataria Wind Tre s.p.a. e mandante Fastweb s.p.a., sostiene l’illegittimità della valutazione di congruità dell’offerta all’esito della quale Telecom Italia s.p.a. si è aggiudicata la gara di cui in fatto, indetta dal Ministero dell’interno.
Non appare pertanto superfluo richiamare i principi costantemente affermati in materia dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, siccome riepilogati da ultimo dalla Sezione con sentenza 26 ottobre 2022, n. 9139, dai quali il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi.
1.1. Va indi anche qui rammentato che:
- la valutazione in parola consiste in un procedimento il cui esito è rimesso alla discrezionalità tecnica della stazione appaltante ed è globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato su singole voci dell’offerta, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento della sua affidabilità nel complesso e non già delle singole voci che la compongono (Cons. Stato, Ad. plen. n. 36 del 2012; III, 14 maggio 2021 n. 3917; V, 14 giugno 2013, n. 3314; IV, 22 marzo 2013, n. 1633; III, 14 febbraio 2012, n. 710; V, 1° ottobre 2010, n. 7262; 11 marzo 2010, n. 1414);
- lo svolgimento del giudizio avente a oggetto la valutazione dell’anomalia di un’offerta presentata nell’ambito di una gara pubblica consiste nell’accertamento della sua serietà siccome desumibile dalle giustificazioni fornite dalla concorrente;
- la valutazione sulla congruità dell’offerta resa dalla stazione appaltante, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, è sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o irragionevolezza, erroneità fattuale o difetto di istruttoria, che rendano palese la sua inattendibilità complessiva Cons. Stato, Ad. plen. n. 36 del 2012; V, 17 gennaio 2014, n. 162; 26 settembre 2013, n. 4761; 18 agosto 2010, n. 5848; 22 febbraio 2011, n. 1090; 23 novembre 2010, n. 8148);
- il giudice amministrativo non può operare una verifica autonoma delle singole voci dell’offerta sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio - non erroneo né illogico - formulato dall’organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell’interesse pubblico nell’apprezzamento del caso concreto, pena l’indebita invasione della sfera propria della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 17 gennaio 2014, n. 162; IV, 27 giugno 2011, n. 3862; V, 28 ottobre 2010, n. 7631);
- al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivante dall’impresa dall’essere aggiudicataria di un appalto pubblico e di averlo portato a termine (Cons. Stato, V, 27 settembre 2017, n. 4527; 29 maggio 2017, n. 2556; 13 febbraio 2017, n. 607; III, 3 novembre 2016, n. 4671; V, 25 gennaio 2016, n. 242).
2. Tanto premesso, va dato atto che l’appellante, nella articolata parte in “fatto” del gravame, ha, tra altro, evidenziato le previsioni della lex specialis ritenute rilevanti per la odierna decisione nonché sintetizzato i motivi esposti in primo grado.
Di tanto conviene dare atto ai fini della migliore comprensione delle questioni qui dibattute.
2.1. Quanto alla legge di gara, l’appellante ha rappresentato che:
- il servizio si articola in quattro distinte componenti: 1) comunicazione “Mission Critical Push To Talk” (“MCPTT”) e fonia; 2) videosorveglianza in mobilità; 3) accesso a banche dati; 4) attività di sperimentazione;
- la componente n. 1 prevede la realizzazione di un sistema di comunicazioni su rete 4G e sue evoluzioni, mediante terminali mobili, che deve garantire che le comunicazioni avverranno su rete radiomobile, sia su frequenze civili a disposizione dell’operatore, sia utilizzando frequenze in gestione al Ministero della difesa rese disponibili dall’Amministrazione; la componente n. 2 ha per oggetto un servizio di videosorveglianza in mobilità che dovrà consentire la trasmissione, tramite rete «4G» e sue future evoluzioni, di flussi video in diretta dallo scenario operativo verso la «sala/centrale operativa»”; la componente n. 3 si riferisce a un complesso di banche dati; la componente n. 4 riguarda l’analisi e la progettazione di differenti attività di sperimentazione;
- le predette attività sono riconducibili a due tipologie, a seconda che si tratti di interventi da eseguire una sola volta, in quanto strumentali all’erogazione del servizio (quali la realizzazione delle infrastrutture passive), ovvero di prestazioni ricorrenti nel tempo (quali i canoni per la fruizione della rete);
- vi è poi un servizio a “voucher”, consistente nella possibilità della stazione appaltante di richiedere al fornitore di provvedere alla copertura temporanea su richiesta mediante “Base Transmission Systems trasportabili BTS”;
- il par. 3.1 del disciplinare, con norma ribadita dal capitolato speciale, prevede che “alla scadenza contrattuale, l’Amministrazione avrà facoltà di riscattare a costo zero in tutto o in parte” sia i “terminali e le postazioni di sala operativa”, sia i “nuovi siti realizzati nell’ambito del presente progetto ... necessari per ospitare nuove «BTS» per aumentare o migliorare la copertura”;
- il criterio di attribuzione del punteggio tecnico, di cui al par. 17.1 del disciplinare, premia in misura largamente preponderante il maggior grado di copertura assicurato dai concorrenti;
- nell’offerta economica i concorrenti dovevano formulare il ribasso in relazione a tre categorie di prestazioni: (i) la componente “Servizio”; (ii) le attività attivabili a richiesta, “Voucher”; (iii) le attività di “Sperimentazione”;
- nel quesito n. 4 della prima tranche dei chiarimenti (“Primi Chiarimenti”), partendo dal presupposto che “ogni operatore ha pianificazioni pluriennali dell’estensione della copertura territoriale legata ai propri piani di sviluppo di rete commerciale”, era stato chiesto di confermare che “i siti ricadenti all’interno di tali pianificazioni non rientrino nella definizione di «nuovi siti» come definiti a pag. 9 del Capitolato Tecnico, ma che vadano trattati come tutti gli altri siti già attivi dell’operatore”.
La stazione appaltante ha al riguardo affermato, in relazione “alla definizione di «nuovo sito» riportata nel capitolato”, che “ai fini del riscatto non saranno considerati tutti i siti già attivati dall’operatore alla data del 29/01/2021 in cui è stato pubblicato il presente bando di gara”, precisando, al contempo, come “un sito realizzato in data successiva al 29/01/2021 potrà essere trattato come tutti gli altri siti già attivi dell’operatore (in quanto già rientrante nei propri piani di sviluppo) esclusivamente nel caso in cui l’MNO Aggiudicataria sia in grado di dimostrare che, per quello specifico sito, sia stata presentata istanza di autorizzazione ad una P.A. in data antecedente alla pubblicazione del bando, mediante idonea documentazione di data certa anteriore alla pubblicazione medesima”, dalla quale risulti “evidente la data in cui la P.A. pubblica ha protocollato in ingresso il documento presentato ... ovvero, in subordine, la data di trasmissione ... alla P.A.”;
- nella risposta al quesito n. 2 della seconda tranche di chiarimenti (“Secondi Chiarimenti”), oltre a ribadire quanto esposto nei primi chiarimenti, la stazione appaltante ha precisa che il Ministero “si riserva la facoltà di riscattare a costo zero fino ad un massimo di n. 50 siti nuovi e che tale previsione di spesa è stata considerata nella quantificazione economica della base d’asta”.
2.2. Quanto ai motivi esposti in primo grado, l’appellante li ha così enucleati, distinguendo tra censure proposte nell’atto introduttivo del giudizio e nei motivi aggiunti (rubricate le prime come A e B, le seconde come C e D):
Motivo A: “erronea applicazione delle regole in materia di verifica dell’anomalia: destavano perplessità, ad una prima lettura, i 10 punti di differenza tra l’offerta tecnica del RTI W3 e la proposta di Telecom e l’entità del ribasso proposto. Dal momento che il maggior punteggio per la componente tecnica dipende dalla copertura radiomobile e dal numero di siti proposti, la struttura della proposta economica avrebbe dovuto in qualche misura riflettere i maggiori oneri conseguenti a tale impostazione, non consentendo a TI di formulare un ribasso di quasi il 50% dell’importo posto a base di gara”;
Motivo B: “vizio derivante dalla violazione dei generali principi di completezza dell’istruttoria ed esaustività della motivazione, per avere il Ministero trascurato l’impatto sul versante dei costi dell’obbligo di Telecom di trasferire terminali ed impianti al Ministero alla fine del triennio senza conseguire alcun ulteriore corrispettivo”;
Motivo C, relativo al tema dell’incidenza dei costi da mancato ammortamento dei nuovi siti sull’utile descritto nel giustificativo: “E’ stato evidenziato, anzitutto, come tale aspetto non fosse stato trattato nel GdO, con la conseguenza che l’inclusione nella struttura degli oneri della commessa di tale ulteriore (e necessario) voce di costo, determinata facendo ricorso agli ordinari criteri civilistici per valutare i beni aziendali, produce l’effetto di erodere completamente il margine operativo dichiarato”;
Motivo D: “il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione conseguente all’accettazione di giustificazioni tutte incentrate sugli investimenti necessari per adeguare le strutture (secondo il criterio dei costi incrementali), ossia limitati ad aspetti del tutto diversi dai maggiori oneri derivanti dalla perdita di disponibilità dei Nuovi Siti prima dell’esaurirsi del loro ciclo di vita, il cui ammontare deve essere determinato ricorrendo ai generali principi contabili sull’ammortamento”.
3. A questo punto può passarsi all’illustrazione dei motivi di gravame, iniziando dal principale ordine argomentativo, che presenta l’articolato andamento esposto nelle pagine da 15 a 26 dell’atto di appello, di seguito riassunto.
4. L’appellante afferma che il Tar, dopo avere respinto sulla base dei consolidati principi sui limiti del sindacato esercitabile dal giudice amministrativo in materia di anomalia dell’offerta i motivi A e B dell’atto introduttivo del giudizio, che erano generici in quanto formulati “al buio”, avrebbe esteso ai motivi C e D gli stessi principi, e ciò erroneamente, in quanto questi non si attagliavano alla specificità delle relative censure, avanzate con i motivi aggiunti dopo l’accesso agli atti e incentrate sull’assenza nell’offerta aggiudicataria di un utile effettivo. Nell’esame di detti motivi C e D il Tar avrebbe dovuto invece attenersi al diverso principio giurisprudenziale, coerente con la logica ispiratrice dell’istituto dell’anomalia dell’offerta, secondo cui, in una gara pubblica, se è vero che l’esiguità dell’utile non denota ex se l’inaffidabilità dell’offerta, è parimenti vero che questo non può ridursi a una cifra meramente simbolica, e ritenere così la fondatezza del ricorso, essendo dimostrato che applicando ai costi derivanti dal mancato integrale ammortamento dei nuovi siti il Principio 16 dell’OIC-Organismo italiano di contabilità, relativo alle immobilizzazioni, l’offerta aggiudicataria, in caso di riscatto, sarebbe esposta a una perdita patrimoniale che erode integralmente il già esiguo margine operativo dichiarato (2%).
Per l’appellante, a tale eccezione, già dirimente, si aggiungerebbe il vizio di mancato approfondimento delle questioni giuridiche introdotte con gli stessi motivi C e D, che il Tar avrebbe respinto con scarne considerazioni, che non avrebbero tenuto nel giusto conto le relative questioni, gli atti di gara, le giustificazioni e l’offerta economica di Telecom Italia. In particolare, a fronte della struttura del servizio, e della (quanto meno) alta probabilità dell’evenienza del riscatto dei nuovi siti, e alla luce del citato Principio OIC 16, che si traduce in un maggior onere causato dalla perdita di valore dei beni aziendali (i nuovi siti) a causa del loro mancato integrale ammortamento, le giustificazioni di Telecom, e ancora prima la sua offerta economica, non conterrebbero alcun elemento utile a dimostrare l’avvenuta inclusione di tale voce di costo nella formulazione dell’offerta.
Più in particolare, l’appellante evidenzia che la risposta al quesito n. 2 della seconda tranche di chiarimenti, chiarendo che il prezzo posto a base d’asta è stato individuato considerando l’ipotesi di acquistare i nuovi siti e i terminali senza ulteriori esborsi di denaro pubblico, ha indicato un elemento di assoluto rilievo per la formulazione del ribasso da parte dei concorrenti.
In particolare, l’appellante rileva che l’opzione di riscatto in parola differisce in misura sostanziale dalle più comuni ipotesi di opzioni che la stazione appaltante può riservarsi nell’ambito di una lex specialis (quali la ripetizione di servizi analoghi, anche per effetto dell’estensione temporale del rapporto originario): queste ultime sono in genere irrilevanti nella verifica di anomalia perché la prestazione conseguente all’eventuale esercizio dell’opzione è remunerata con un ulteriore corrispettivo, mentre nel caso di specie l’importo a base di gara è destinato a remunerare l’aggiudicatario anche per il mancato integrale ammortamento dei nuovi siti oggetto dell’opzione, che non è dequotabile a mera eventualità, anche perché “sarebbe assai singolare che un’Amministrazione prevedesse un importo più elevato da corrispondere al fornitore privato, perché comprensivo dell’esercizio del diritto di riscatto dei beni, e poi non esercitasse l’opzione di riscatto (se non per ragioni eccezionali)”.
Per tali ragioni, sempre secondo l’appellante, il tema del mancato integrale ammortamento dei nuovi siti non rivestirebbe rilievo meramente fiscale, e non potrebbe essere rimesso alle autonome scelte di bilancio di Telecom, come erroneamente ritenuto dal Tar, bensì produrrebbe un impatto che il primo giudice non poteva ignorare, nella duplice prospettiva di ritenere dimostrata l’insostenibilità dell’offerta di Telecom (come da motivo C) o, in subordine, la carenza di istruttoria e il difetto di motivazione su tale profilo (coma da motivo D).
A sostegno della tesi, l’appellante evidenzia ulteriormente che nella disciplina generale dei contratti pubblici è pacificamente riconosciuto che l’acquisizione da parte dell’Amministrazione di un bene del privato, ove intervenga prima della naturale fine del suo ciclo di vita, comporta un arricchimento a favore della prima, cui corrisponde una perdita sopportata dal secondo, da riequilibrare per non incorrere nella violazione del generale principio posto dall’art. 2041 c.c., così come, nei rapporti di natura concessoria, quando alla scadenza del contratto il gestore non ha interamente ammortizzato il valore degli investimenti eseguiti, il soggetto concedente deve indennizzare l’operatore uscente, erogando una somma destinata a compensare detta perdita.
Alla luce di tali coordinate, l’appellante sostiene che la posizione in cui verrebbe a trovarsi Telecom dopo il riscatto, considerando il periodo di vita utile e quindi il regime di ammortamento dei beni che compongono i nuovi siti siccome risultanti dalla relazione tecnica da lei prodotta (25/30 anni per le infrastrutture; 10 anni per le basi), sarebbe assimilabile alla situazione nella quale versa il concessionario quando la fase di gestione del servizio cessi prima del periodo di ammortamento degli investimenti eseguiti.
L’appellante evidenzia ancora, sempre contrariamente a quanto sostenuto dal Tar, che in ogni caso la disciplina sull’ammortamento dei beni aziendali non rientra nella piena o arbitraria autonomia dell’operatore economico, dovendo sottostare al rispetto dei generali canoni di ragionevolezza, obiettività e trasparenza che connotano la corretta e ordinata gestione societaria, e ciò tanto più quando ci si riferisce a soggetti quotati in borsa, per i quali detti obblighi sono ancor più stringenti, essendo posti a tutela degli azionisti e del mercato: e un sicuro parametro per individuare i criteri di ammortamento dei costi sostenuti per realizzare i nuovi siti è il ridetto Principio 16 OIC, elaborato da una fondazione di diritto privato che la l. 116/2014 riconosce e individua come istituto nazionale per i principi contabili. Ritiene dunque viziata la sentenza per non avere il Tar considerato detto Principio in tutti gli aspetti qui rilevanti (definizioni e prassi, partitamente illustrati).
In sostanza, per l’appellante, pur considerandosi che il Principio 16 prevede una progressiva riduzione del valore dei cespiti, sarebbe palese l’erroneità della sentenza nel ritenere che l’ammortamento dei beni aziendali sarebbe privo di riflessi sostanziali sul patrimonio sociale e che il regime da imprimere al ciclo di vita dei nuovi siti sia rimesso alla piena discrezione di ciascun operatore economico, in quanto il riscatto produrrebbe una significativa alterazione nella fisiologia di tale processo: l’acquisizione a costo zero dei nuovi siti alla fine del triennio del servizio implicherebbe infatti che i relativi beni aziendali di Telecom cessino di appartenere alla società prima della conclusione del loro naturale ciclo di vita, ciò che, in assenza di un corrispettivo, escluso dal disciplinare, determinerebbe una perdita patrimoniale certa.
L’appellante procede quindi a stimare detta perdita alla luce delle regole dettate in materia di ammortamento dei cespiti aziendali e, tenendo conto dei costi dei 23 nuovi siti previsti da Telecom, come dalla stessa dichiarati (€ 2.300.000,00 complessivi), giunge a indicare che l’importo non giustificato da Telecom né valutato dal RUP è pari a € 1.932.000,00, somma che eccede di gran lunga il margine di utile dichiarato e l’intero accantonamento per i costi generali, e che restituisce infine un valore negativo (- € 195.787,55).
L’appellante prosegue esponendo che, anche a voler considerare un ammortamento decennale sia per le infrastrutture che per le basi, l’onere derivante dal mancato ammortamento sarebbe comunque pari a € 1.610.000,00, e porterebbe quindi a un margine operativo corrispondente allo 0,1% dell’importo posto a base di gara, ovvero a poco più dello 0,2% dell’offerta di Telecom.
Infine, per l’appellante, non troverebbe corrispondenza negli atti di gara l’affermazione di Telecom di avere incluso nell’offerta economica anche il maggior onere derivante dal riscatto, acriticamente recepita dal Tar, che avrebbe erroneamente assimilato la nozione di “investimenti” presente nelle giustificazioni e il concetto di ammortamento degli oneri, invece assente.
Ciò anche perché vi sarebbero almeno due circostanze che farebbero dubitare che Telecom nel redigere l’offerta abbia considerato tale aspetto: il contributo richiesto per l’attivazione delle frequenze civili, che è uguale per tutte le 11 province considerate in gara, ancorchè i nuovi siti sono previsti in sole 4 province, cosa che avrebbe dovuto riflettersi nella richiesta, per queste, di un corrispettivo più elevato; il contributo richiesto per l’attivazione delle frequenze militari, che presenterebbe aporie similari rivelanti che la sua determinazione è avvenuta secondo logiche che prescindono dalla realizzazione dei nuovi siti.
In definitiva, per l’appellante, la formulazione letterale delle giustificazioni non fornirebbe alcuna dimostrazione che Telecom abbia effettivamente considerato il costo da mancato ammortamento dei nuovi siti, non potendo essere considerata, come fatto dal Tar, la voce degli investimenti per adeguamento delle infrastrutture quale categoria utile a comprendere gli oneri conseguenti all’esercizio del riscatto, mentre la struttura dell’offerta economica presenterebbe incongruenze rispetto alla presunta inclusione dei costi connessi alla realizzazione dei nuovi siti non ammortizzati, dalle quali si trarrebbe conferma che, in realtà, tale aspetto non è stato effettivamente considerato né da Telecom nella predisposizione dell’offerta né dalla stazione appltante in sede di verifica di congruità.
5. Esaurita l’illustrazione delle argomentazioni in cui si articola la contestazione principale avanzata nell’atto di appello, il Collegio non ritiene superfluo precisare che le relative doglianze si dirigono, con ogni evidenza, avverso la sola parte della sentenza impugnata che ha respinto i motivi aggiunti, e sono costituite, seguendo l’impostazione dell’appellante, da quelle come sopra enucleate sub C e D, qui riproposte in uno alla critica delle motivazioni con cui il Tar le ha ritenute infondate.
Ne viene che la sentenza impugnata si è consolidata per quanto attiene alla reiezione del ricorso principale e della domanda di accesso integrale all’offerta di Telecom proposta dall’appellante nell’ambito del ricorso di primo grado ex art. 116 comma 2 Cod. proc. amm..
6. A questo punto conviene riportare il capo di sentenza avversato, che, per quanto oggetto delle contestazioni in esame, è del seguente tenore:
“Venendo al ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente ha dedotto come l’applicazione dell’usuale regime di ammortamento dei beni alle componenti della proposta di Telecom eliminerebbe ogni margine di utile per l’aggiudicataria [...].
Anche in questo caso la ricorrente appunta le proprie doglianze su singole voci di costo, ritenute incongrue, inesatte o sottostimate, senza valutare l’offerta nella sua globalità, mentre il giudizio di congruità, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale sopra richiamato, deve essere globale e sintetico, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto.
In ogni caso, pur volendo prescindere da tale preliminare ma assorbente profilo, le deduzioni della ricorrente non sono confermate dalla lettura dei documenti di causa.
La controinteressata ha infatti specificato come gli importi relativi alla costruzione di nuovi siti siano stati conteggiati all’interno dell’offerta e valutati all’interno della voce “investimenti”, per un totale di 30 milioni di euro comprendente, tra l’altro, ‘tutti quei costi che l’Azienda dovrà sostenere sia come investimenti incrementali per effettuare adeguamenti alle proprie infrastrutture al fine di renderle congrue e sufficienti all'erogazione dei servizi oggetto della presente commessa che le dotazioni richieste dall’Amministrazione’ e già calcolati come costi passivi in caso di possibile riscatto da parte dell’amministrazione.
Peraltro, deve pure rilevarsi come il riscatto dei siti da parte dell’amministrazione sia ipotesi meramente eventuale e che, in ogni caso, i meccanismi di ammortamento dei beni strumentali, da parte di ciascun operatore economico, concernono le scelte di bilancio della singola società, concorrendo a determinare il reddito imponibile ed incidendo sul sistema delle deduzioni fiscali (ed infatti le quote di ammortamento sono fiscalmente deducibili, il che non può non esser considerato all’atto della formulazione dell’offerta)”.
7. Entrando nel merito delle questioni proposte, esse si rivelano infondate.
7.1. Va innanzitutto escluso che il capo di sentenza in parola possa essere censurato per la sua stringatezza, come tenta di fare l’appellante.
Non essendosi evidentemente in presenza di una motivazione apparente o tautologica, fattispecie che integrano casi di nullità della sentenza per effetto del combinato disposto degli artt. 88 comma 2 lett. d) e 105 comma 1 Cod. proc. amm. (Cons. Stato, VI, 25 febbraio 2021, n. 1636), ipotesi che per vero neanche l’appellante ha evocato, la sinteticità delle motivazioni come sopra esplicitate nulla dice sulla correttezza e sulla sufficienza delle ragioni poste a base delle conclusioni per l’effetto assunte.
Peraltro, la sentenza in esame è stata dichiaratamente adottata, previo avviso alle parti, ai sensi dell’art. 60 Cod. proc. amm., secondo cui “In sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata [...]”.
Si rammenta che per la giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Cons. Stato, V, 9 maggio 2023, n. 4688), tale tipologia di sentenza contiene una semplice “motivazione abbreviata”, la quale potrà certo essere censurata nel suo contenuto con i normali motivi d’impugnazione e, in ipotesi, ove lacunosa o erronea, integrata o sostituita dal giudice d’appello, se l’esito è corretto, mentre in sé, in ipotesi, l’asserita violazione di tale norma non integra né un difetto di procedura, né incide sul diritto di difesa (C.G.A.R.S., Sez. giur., 16 gennaio 2023, n. 51; Cons. Stato, III, 18 aprile 2017 n. 1814). Del resto, la stessa giurisprudenza ha evidenziato che varie norme dell’ordinamento processuale vigente, oltre al già citato art. 60 Cod. proc. amm., legittimano una esposizione sintetica della motivazione delle sentenze, corollario del principio della ragionevole durata del processo, a sua volta collegato al principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e all’art. 6 CEDU, semprechè, beninteso, “quanto disposto non sia percepito come un responso oracolare” (Cons. Stato, VI, n. 1636/2021, cit.; IV, 9 novembre 2020 n. 6896). Si tratta in particolare: dell’art. 132 comma 2 n. 4 Cod. proc. civ., che dispone che la sentenza deve contenere “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”; dell’art. 118 Disp. att. cod. proc. civ., che stabilisce che “La motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi. Debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio ed indicati le norme di legge e i principi di diritto applicati”; degli artt. 74 e 88 comma 2 lett. d) Cod. proc. amm., che dispongono, rispettivamente, che “Nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme” e che la sentenza deve contenere “la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi”.
Infine, non può non richiamarsi il principio per cui, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, anche l’eventuale omessa pronuncia del giudice di primo grado su uno o più motivi non vizia la sentenza, in quanto in secondo grado il giudice è chiamato a valutare tutte le domande, integrando - ove necessario - le argomentazioni della sentenza impugnata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima (ex plurimis, Cons. Stato, V, 10 marzo 2022, n. 5027; IV, 29 marzo 2021, n. 2611; VI, 22 gennaio 2021, n.666; V, 30 luglio 2020, n. 4856; 27 marzo 2020, n. 2149; 24 febbraio 2020, n. 1373; VI, 6 febbraio 2019, n. 897; 21 marzo 2016, n.1158; 14 aprile 2015, n. 1915; V, 23 marzo 2018, n. 1853; 19 febbraio 2018, n. 1032; 13 febbraio 2009, n. 824; IV, 5 febbraio 2015, n. 562).
7.2. Ancora, le conclusioni rese dal Tar sulle questioni che occupano non sono inficiate, come ritiene l’appellante, dal fatto che il primo giudice si sia attenuto, nel loro esame, ai principi generali elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia di verifica di anomalia, anche qui richiamati: lo specifico oggetto del giudizio era infatti costituito dalla valutazione di congruità dell’offerta aggiudicataria all’esito del procedimento di cui all’art. 97 comma 4 d.lgs. 50/2016, sicchè non si vede la ragione per cui il primo giudice avrebbe dovuto discostarsene.
Del resto, anche l’orientamento di cui alla sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato 23 giugno 2022, n. 8330, cui, secondo l’appellante, il Tar avrebbe dovuto attenersi è espressione di questi principi generali.
Segnatamente, la regola, fatta propria da detta sentenza, che l’utile economico che una impresa può ricavare da una commessa pubblica, pur nella sua esiguità, “non può ridursi a una cifra meramente simbolica”, e ciò coerentemente con la logica della verifica di anomalia, che è quella di “evitare che offerte troppo basse espongano l’amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta e con modalità esecutive in violazione di norme, con la conseguente concreta probabilità di far sorgere contestazioni e ricorsi”, non è che una derivazione del principio consolidato, richiamato dal Tar, secondo cui, poiché anche un utile modesto può comportare un vantaggio significativo per l’operatore economico aggiudicatario (sotto i concorrenti profili della prosecuzione dell’attività, della qualificazione, della pubblicità e del curriculum), al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala: invero, nella fattispecie considerata da quella sentenza, si trattava di un utile pari a € 668,50 che, come ivi precisato, ancorchè ritenuto “simbolico” a fronte di un’offerta pari a € 280.906,06, sarebbe stato “accettabile” laddove gli altri elementi dell’offerta si fossero rivelati equilibrati, condizione non ravvisata per le puntuali ragioni ivi esposte.
In ogni caso, poi, qualsiasi siano i criteri che consentono nell’ambito del giudizio amministrativo di rinvenire o negare la presenza in una offerta presentata nell’ambito di una gara pubblica di un “utile economico”, la declaratoria giudiziale di illegittimità della valutazione di congruità, non potendo il giudice amministrativo effettuare una diretta verifica dell’offerta, è subordinata all’accertamento che l’organo competente, nel rendere il giudizio di sua competenza, sia incorso in un macroscopico errore o in un evidente difetto di istruttoria, condizione che la sentenza non ha riscontrato, sicchè è priva di qualsiasi fondamento la pretesa dell’appellante che il Tar dovesse aderire alla tesi esposta nei motivi aggiunti solo perché le relative censure, in quanto proposte in esito all’accesso agli atti, erano più specifiche di quelle introdotte con il ricorso.
7.3. Del resto, anche in questa sede, la specificità della ricostruzione spesa in appello non si traduce nella sua fondatezza.
L’intera logica su cui basa la tesi dell’inattendibilità dell’offerta dell’aggiudicataria è fondata su una evenienza specifica: il riscatto dei nuovi siti da parte della stazione appaltante.
Ora, non può essere posto in dubbio che il riscatto, come correttamente osservato dal Tar, costituisca una mera eventualità.
Infatti, la legge di gara (par. 3.1 del disciplinare), con norma ribadita dal capitolato speciale, prevede che alla scadenza contrattuale l’Amministrazione “avrà facoltà” di riscattare a costo zero in tutto o in parte i nuovi siti.
Detta eventualità non può essere trasformata in certezza, e neanche in “alta probabilità”, come fa l’appellante, per il solo fatto che nella risposta al quesito n. 2 dei “Secondi Chiarimenti”, la stazione appaltante abbia specificato di aver considerato la possibilità del riscatto nella quantificazione economica della base d’asta: infatti non d’altro si tratta che della mera illustrazione dell’insuscettibilità della facoltà, se in concreto esercitata dalla stazione appaltante, di incidere negativamente sull’equilibrio tra il quadro esigenziale riflesso nella lex specialis e la commisurazione del valore della prestazione nella stessa assunta, essendo stata anche l’opzione in parola considerata nella fase di predisposizione dei parametri della gara, ciò che, del resto, per la stazione appaltante è attività doverosa.
Si rammenta infatti che la giurisprudenza ha sottolineato che la corretta determinazione della base d’asta, da effettuarsi facendo riferimento a criteri verificabili e acquisendo elementi di conoscenza attendibili, verificabili in sede giudiziale nell’ambito dello scrutinio sul rapporto prestazioni/costo dell’appalto, scongiura il rischio dell’alterazione della concorrenza rinveniente da calcoli arbitrari o manifestamente sproporzionati e garantisce, anche precedentemente alla fase di scelta del contraente, la qualità delle utilità che l’amministrazione intende assicurarsi (Cons. Stato, VI, 28 settembre 2020, n. 5634; III, 24 settembre 2019, n. 6355; 10 maggio 2017, n. 2168; V, 28 agosto 2017, n. 4081).
Ne deriva che il predetto chiarimento non può costituire la via per pervenire a una interpretazione del par. 3.1 del disciplinare in evidente contrasto con la reale portata della relativa norma, e ciò tenendo conto sia del suo specifico contenuto che, ulteriormente, dei limiti insiti nei chiarimenti, i quali, come noto, se costituiscono una sorta di interpretazione autentica, con cui l’amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale nell’ipotesi che essa sia in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis, e, in quanto tali, per quanto non vincolanti, sono destinati a orientare i comportamenti degli interessati non potendo essere considerati tamquam non essent, non possono mai tradursi in una modifica delle regole di gara, che sarebbe illegittima (tra tante, Cons. Stato, V, 27 ottobre 2022, n. 9249; 2 marzo 2022, n. 1486; III, 22 gennaio 2014, n. 290; IV, 21 gennaio 2013, n. 341).
In questo caso, poi, i due chiarimenti resi dalla stazione appaltante sul tema dell’opzione di riscatto, come si evince agevolmente dal loro tenore (risposta al quesito n. 4 della prima tranche di chiarimenti e al quesito n. 2 della seconda tranche di chiarimenti, riportati al precedente capo 2.1.) sono rivolti non ad ampliare bensì a delimitare, sotto i ricordati profili, la possibilità di opzione, e anche sotto tale aspetto l’interpretazione dell’appellante, che rende in sostanza l’esercizio della facoltà, nei limiti previsti, una scelta pressochè obbligata per tutti i nuovi siti proposti dall’aggiudicataria, si rivela male impostata.
Nulla muta poi considerando che, per espressa ammissione della stazione appaltante, il prezzo posto a base d’asta è stato individuato considerando anche la possibilità di acquisire i nuovi siti a costo zero, ciò che, trattandosi sempre dell’eventuale esercizio di una facoltà, non significa che l’Amministrazione ne abbia già preventivato in concreto l’acquisto, e non basta quindi a tramutare una scelta da facoltativa a obbligata o a far intravedere quello sviluppo necessitato della vicenda contrattuale sulla quale l’appellante ha costruito la sua tesi, considerando altresì che la previsione dell’opzione è già, da sola, elemento che si riflette sul sinallagma contrattuale e quindi sulla remunerazione della prestazione, stante l’assoluta libertà che l’Amministrazione si è riservata, nei limiti di cui sopra, nella decisione di acquisire o meno i nuovi siti alla scadenza contrattuale e, ulteriormente, tutti o solo alcuni di essi, da cui l’indefettibile obbligo dall’aggiudicatario di sottostare a qualsiasi determinazione sul punto assumibile.
E allora non può dirsi, come fa l’appellante nella memoria depositata in corso di causa, che considerare la facoltatività del riscatto di nuovi siti porti alla generazione di “un extra-profitto per Telecom in quanto il Ministero sosterrebbe oneri privi di controprestazione”.
Tale rilievo innanzitutto capovolge lo scenario delineato dall’impugnativa circa la carenza nell’offerta di Telecom dell’utile dichiarato, e inoltre avrebbe dovuto essere diretto, a monte, avverso la lex specialis, che l’appellante non ha mai contestato, atteso che, nella tesi assunta, è proprio questa ad avere delineato la possibilità, per qualsiasi concorrente risultato aggiudicatario, di acquisire un indebito vantaggio a causa di un vizio intrinseco alla regolazione del riscatto.
7.4. Chiarito, come sopra, e come del resto espressamente previsto dalla lettera del par. 3.1. del disciplinare di gara, che il riscatto dei nuovi siti costituisce una mera facoltà della stazione appaltante e che i chiarimenti resi sul punto non sono idonei a indicare, oltre i limiti da essi emergenti, se e come l’Amministrazione ne possa fare uso alla fine del triennio contrattuale, e che quindi per la lex specialis in esame il ricorso all’opzione acquisitiva per tutti i 23 nuovi siti proposti dall’aggiudicataria preconizzato dall’appellante è senz’altro possibile ma non certo, va affrontata la questione centrale posta dall’appellante.
Si tratta in particolare di stabilire se l’aggiudicataria – che, come rilevato dal Tar, ha conteggiato i costi di costruzione di nuovi siti all’interno della voce “investimenti”, ammontante a 30 milioni di euro complessivi e comprendente tutti i costi degli investimenti incrementali necessari ad adeguare le proprie infrastrutture all’erogazione dei servizi oggetto dell’appalto e a predisporre le dotazioni richieste dall’Amministrazione, imputandoli come costi passivi proprio in considerazione del possibile riscatto – dovesse tenere conto, per gli stessi nuovi siti e per la stessa ragione, anche dei costi di ammortamento.
Sul tema, alla luce di tutte le articolate considerazioni che l’appellante dedica al tema del meccanismo dell’ammortamento, nonché alle sue funzioni e finalità, non sembra superfluo sottolineare che la questione di cui sopra va esaminata al solo scopo di verificare se la stazione appaltante, nel rendere il giudizio di congruità sull’offerta dell’aggiudicataria, sia incorsa in un errore o in una omissione valutativa refluente in un vizio di legittimità nei sensi sopra delineati.
Ciò posto, la risposta deve essere negativa.
L’art. 2426 comma 1 n. 2 Cod. civ. (Capo V, Società per azioni, Sezione IX, Del bilancio) stabilisce che “Il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”.
L’ammortamento costituisce quindi lo strumento per misurare la riduzione di valore che un determinato bene facente parte del patrimonio di un imprenditore, strumentale per l’esercizio dell’attività, subisce con il passare del tempo, ed è calcolata al fine di accertare l’effettiva situazione patrimoniale dell’imprenditore a una determinata data. Si configura perciò come un meccanismo contabile finalizzato a suddividere l’incidenza di un costo in una pluralità di annualità, tendenzialmente coincidenti con il periodo di utilizzazione del bene al quale si riferiscono (Cons. Stato, V, 21 giugno 2013, n. 3403, che cita Cass. civ., Sez. trib., 18 febbraio 2009, n. 3858, e Cass. n. 8347 del 2006).
Il problema del corretto calcolo dell’ammortamento si pone pertanto soprattutto in diritto tributario (come enunciato da Cons. Stato, V, n. 3403/2013, cit.), ancorchè esso possa assumere una qualche rilevanza anche nella materia dei contratti pubblici, come dimostra la stessa decisione appena sopra citata: e in tal senso va letto il passaggio del Tar che sottolinea, “in ogni caso” la valenza fiscale dell’ammortamento, anche perché, nell’economia della sentenza gravata, la possibilità che l’utile dell’offerta aggiudicataria potesse essere completamente eroso dal mancato ammortamento è stata esclusa non negando in radice la prospettabilità della tesi avanzata dall’appellante, bensì in considerazione del fatto che l’aggiudicataria ha considerato gli oneri relativi all’approntamento dei nuovi siti come costi passivi.
E la conclusione va qui confermata.
L’appellante, per sostenere che il Tar abbia recepito acriticamente l’affermazione di Telecom di avere incluso nell’offerta economica anche i maggiori oneri derivanti dal riscatto, afferma che il primo giudice abbia erroneamente assimilato i concetti di “investimenti” e di “ammortamento”, così dimostrando che la reale pretesa avanzata nell’impugnativa è quella che l’aggiudicataria dovesse considerare, e quindi giustificare, ambedue le poste economiche.
Ma si tratta di una pretesa infondata, solo che si consideri che, come limpidamente osservato sia dall’Amministrazione che dall’appellata (che evidenziano anche come l’ammortamento avrebbe anche comportato benefici fiscali ai sensi dell’art. 102 comma 2 Tuir), un tale scenario involverebbe in una parziale duplicazione dei costi dell’aggiudicataria, comportando l’aggiunta ai costi passivi di cui sopra la quota di ammortamento residuo da inserire in bilancio.
D’altra parte, che i costi passivi di cui trattasi comprendano anche gli oneri relativi ai nuovi siti possibili oggetto di riscatto, come pure rilevato dal Tar, non può essere fondatamente messa in dubbio, come fa l’appellante in via meramente assertiva, dal momento che nelle giustificazioni presentate e validate dalla stazione appaltante la contro-interessata ha affermato che nella voce “investimenti” sono stati allocati “tutti quei costi che l’Azienda dovrà sostenere sia come investimenti incrementali per effettuare adeguamenti alle proprie infrastrutture al fine di renderle congrue e sufficienti all’erogazione dei servizi oggetto della presente commessa che le dotazioni richieste dall’Amministrazione”, sicchè in definitiva non vi è alcun principio di prova che i costi dei nuovi siti non abbiano trovato remunerazione nel corrispettivo contrattuale.
L’appellante non può pertanto essere seguita quando afferma che il mancato ammortamento si traduce in una perdita della commessa, né quando passa a individuare la concreta misura di questa.
Infine, quanto al rilievo che nell’offerta di Telecom il contributo richiesto per l’attivazione delle frequenze civili non si differenzia (in aumento) per le provincie in cui è prevista la realizzazione di nuovi siti, e che il contributo richiesto per l’attivazione delle frequenze militari presenta similari aporie, basti osservare che esso, come osservato dalla contro-interessata, non tiene conto, da un lato, dell’insussistenza di un nesso di proporzionalità tra la realizzazione dei siti stessi e il costo della singola provincia, sul quale incidono vari fattori (estensione territoriale della copertura; orografia del territorio; disposizione dell’esistente), e, dall’altro, della possibilità dell’offerente di spalmare i costi derivanti dall’esecuzione della commessa sulle varie componenti del servizio, senza necessità di correlate i corrispettivi ai costi da sostenere per una specifica attività.
8. Il secondo e ultimo ordine argomentativo si dirige avverso il seguente capo di sentenza:
“Venendo alle deduzioni relative alla mancata considerazione dei (maggiori) costi relativi a futuri e probabili rincari dell’energia, è evidente che di tale eventualità non possa certo tenersi conto all’atto della presentazione delle offerte, incidendo la stessa nella fase esecutiva del contratto e potendo essa trovare soluzione adoperando gli strumenti civilistici previsti per fronteggiare le sopravvenienze che incidono sulla convenienza dell’affare (entro i limiti parametrati dal legislatore), ovvero la disciplina speciale in tema di contratti pubblici (in primis l’ art. 106 del D.Lgs. nr. 50/2016).
Sul punto, com’è stato efficacemente rilevato anche dalla controinteressata, la giurisprudenza ha più volte precisato come ‘la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile’ (Cons. Stato, sez. V, n. 8011/2022 e n. 10470/2022; Tar Lazio, sez. II, n. 7712/2022; Tar Campania, Napoli, n. 6615/2022)”.
8.1. L’appellante sostiene che il Tar abbia travisato le considerazioni da lei esposte con riguardo ai costi dell’energia, in quanto la censura come sopra respinta era più articolata, essendo volta a evidenziare che Telecom, alla voce dei giustificativi dedicata ai “Costi generali, amministrativi e altri costi” avesse previsto un accantonamento (asseritamente incapiente) valevole per tutti gli imprevisti, ivi compresi quelli relativi ai maggiori oneri per l’acquisto e la gestione del servizio, come appunto l’energia elettrica.
Il Collegio non rinviene il denunziato travisamento: le giustificazioni si riferiscono all’offerta per come formulata in sede di partecipazione alla gara, sicchè i principi come sopra affermati dal Tar non perdono di rilevanza neanche alla luce della predetta precisazione.
8.2. L’appellante prosegue evidenziando che il rilievo di cui trattasi si aggiungeva alla considerazione che l’importo appostato nella voce in parola (€ 732.512,00) fosse del tutto insufficiente a fronteggiare i maggiori oneri da mancato ammortamento dei nuovi siti, argomentazione che va respinta per le stesse ragioni già indicate nell’ambito del precedente capo 7.
8.3. Va infine respinta anche l’argomentazione fondata sul fatto che la lex specialis della gara in parola non ha previsto la revisione dei prezzi richiamata dal primo giudice, né potrebbe operare al riguardo, retroattivamente, l’art. 29 del d.-l. 4/2022, convertito dalla l. 25/2022: non vi è infatti alcuna evidenza che l’importo accantonato per gli imprevisti, una volta depurato dalla necessità di bilanciare il mancato ammortamento dei nuovi siti, sia insufficiente a fronteggiare i rincari di costo dell’energia elettrica.
9. In definitiva, per tutto quanto precede, nulla aggiungendo alle questioni come sopra trattate le ulteriori considerazioni difensive svolte dall’appellante nella memoria depositata in corso di causa, l’appello deve essere respinto.
Restano assorbite sia le eccezioni preliminari svolte dalle parti resistenti che le questioni sollevate dall’appellante circa l’ampiezza delle difese svolte in questa sede dalla contro-interessata, non avendo queste ultime assunto rilievo nella decisione.
Le spese del grado, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte appellante alla refusione in favore delle parti resistenti delle spese del grado, che liquida nell’importo pari a € 5.000,00 (euro cinquemila/00) per ciascuna di esse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 maggio 2023.
GUIDA ALLA LETTURA
Con la pronuncia in commento la V Sezione del Consiglio di Stato di sofferma sui margini di discrezionalità riconosciuti alle stazioni appaltanti nella valutazione della congruità delle offerte.
Nel ripercorrere lo stato dell’arte dei principi elaborati in sede pretoria, il collegio ha nuovamente ribadito che:
- la valutazione di congruità dell’offerta consiste in un procedimento il cui esito è rimesso alla discrezionalità tecnica della stazione appaltante ed è globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente e in modo parcellizzato su singole voci dell’offerta, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è l’accertamento della sua affidabilità nel complesso e non già delle singole voci che la compongono (Cons. Stato, Ad. plen. n. 36 del 2012; III, 14 maggio 2021 n. 3917; V, 14 giugno 2013, n. 3314; IV, 22 marzo 2013, n. 1633; III, 14 febbraio 2012, n. 710; V, 1° ottobre 2010, n. 7262; 11 marzo 2010, n. 1414);
- lo svolgimento del giudizio avente a oggetto la valutazione dell’anomalia di un’offerta presentata nell’ambito di una gara pubblica consiste nell’accertamento della sua serietà siccome desumibile dalle giustificazioni fornite dalla concorrente;
- la valutazione sulla congruità dell’offerta resa dalla stazione appaltante, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, è sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o irragionevolezza, erroneità fattuale o difetto di istruttoria, che rendano palese la sua inattendibilità complessiva Cons. Stato, Ad. plen. n. 36 del 2012; V, 17 gennaio 2014, n. 162; 26 settembre 2013, n. 4761; 18 agosto 2010, n. 5848; 22 febbraio 2011, n. 1090; 23 novembre 2010, n. 8148);
- il giudice amministrativo non può operare una verifica autonoma delle singole voci dell’offerta sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio - non erroneo né illogico - formulato dall’organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell’interesse pubblico nell’apprezzamento del caso concreto, pena l’indebita invasione della sfera propria della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 17 gennaio 2014, n. 162; IV, 27 giugno 2011, n. 3862; V, 28 ottobre 2010, n. 7631);
- al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivante dall’impresa dall’essere aggiudicataria di un appalto pubblico e di averlo portato a termine (Cons. Stato, V, 27 settembre 2017, n. 4527; 29 maggio 2017, n. 2556; 13 febbraio 2017, n. 607; III, 3 novembre 2016, n. 4671; V, 25 gennaio 2016, n. 242);
- la formulazione di un’offerta economica e la conseguente verifica di anomalia si fondano su stime previsionali e dunque su apprezzamenti e valutazioni implicanti un ineliminabile margine di opinabilità ed elasticità, essendo quindi impossibile pretendere una rigorosa quantificazione preventiva delle grandezze delle voci di costo rivenienti dall’esecuzione futura di un contratto e per contro sufficiente che questa si mostri ex ante ragionevole ed attendibile’ (Cons. Stato, sez. V, n. 8011/2022 e n. 10470/2022; Tar Lazio, sez. II, n. 7712/2022; Tar Campania, Napoli, n. 6615/2022)”.
Tale elencazione, contenuta nella pronuncia in commento, dal carattere meramente esemplificativo e non tassativo, si affianca alle ulteriori ipotesi già delineate nella precedente giurisprudenza resa dal Consiglio di Stato, di seguito elencate:
a) il sindacato del giudice amministrativo sull’esercizio dell’attività valutativa da parte della Commissione giudicatrice di gara non può sostituirsi a quello della pubblica amministrazione, in quanto la valutazione delle offerte rientra nell’ampia discrezionalità tecnica riconosciuta alla Commissione (cfr, ex multis, Cons. Stato, III, 2 settembre 2019, n. 6058)
b) le censure che attingono il merito di tale valutazione (opinabile) sono inammissibili, perché sollecitano il giudice amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutivo, fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica (cfr. Cons. Stato, V, 8-1-2019, n. 173; III, 21-11-2018, n. 6572);
c) per sconfessare il giudizio della Commissione giudicatrice non è sufficiente evidenziarne la mera non condivisibilità, dovendosi piuttosto dimostrare la palese inattendibilità e l’evidente insostenibilità del giudizio tecnico compiuto (Cons. Stato, III, 9-6-2020, n. 3694);
d) nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica il giudizio sull'anomalia dell'offerta presuppone una valutazione globale e sintetica sulla complessiva affidabilità della stessa con la conseguenza che sono consentite compensazioni tra sottostime e sovrastime di talune voci dell'offerta economica, senza che ciò determini una modifica del punctum individuationis dell'offerta (Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2020, n. 6334; Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 84);
e) la valutazione positiva di congruità dell’offerta presentata dall’impresa, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, non richiede un particolare onere motivazionale (Cons. Stato, Sez. III, 30 luglio 2020, n. 4848; Sez. V, 30 aprile 2020, n. 2761; Sez. III, 13 settembre 2018, n. 5378; Sez. V, 27 luglio 2017, n. 3702; Sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4912; Sez. V, 13 settembre 2016, n. 3855).
Alla luce della giurisprudenza costante dell’organo di nomofilachia amministrativa, dunque, alla stazione appaltante è riconosciuto un ampio margine di discrezionalità nella valutazione dell’offerta, con esonero della stessa dal motivare compiutamente la scelta effettuata, essendo sufficiente anche una motivazione succinta, purché coinvolga globalmente, pur in modo sintetico, l’offerta presentata dall’operatore economico.
Di contro, al Giudice Amministrativo è inibito un sindacato diffuso sulla valutazione operata dalla stazione appaltante, dovendosi limitare ad un sindacato di certo non sostitutivo dell’amministrazione, ma di mera logicità o abnormità del provvedimento di valutazione dell’offerta.