Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 26 aprile 2023, n. 14

Affinché l’Adunanza Plenaria possa svolgere la sua funzione nomofilattica ed esaminare i quesiti sottoposti al suo esame, è necessario che l’ordinanza di rimessione:

a) effettui una esaustiva ricostruzione della fattispecie controversa in rapporto a tutti i suoi elementi identificativi di fatto e diritto (disposizioni e provvedimenti censurati, profili di illegittimità dedotti e argomentazioni svolte a sostegno dell’impugnazione);

b) sollevi una questione rilevante rispetto alla res controversa, nel senso che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione, dovendosi trattare di un «punto di diritto sottoposto» all’esame del collegio giudicante (art. 99, comma 1, del c.p.a.).

Afferma l’Adunanza Plenaria che può valutare sotto tutti i suoi profili la rilevanza delle questioni sollevate (“e non nei limiti della ‘non implausibilità’, come accade per la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia, davanti alle quali si innestano giudizi autonomi e incidentali”), in quanto è lo stesso processo, nelle ipotesi legalmente previste, che ‘prosegue’ davanti al medesimo Consiglio di Stato, in diversa composizione.

Pertanto, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, l’Adunanza Plenaria può esaminare i quesiti sottoposti al suo esame, allorché l’ordinanza di rimessione:

- effettui un’esaustiva ricostruzione della fattispecie controversa in rapporto a tutti i suoi elementi identificativi di fatto e diritto (disposizioni e provvedimenti censurati, profili di illegittimità dedotti e argomentazioni svolte a sostegno dell’impugnazione);

- sollevi una questione rilevante rispetto alla res controversa, nel senso che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione, dovendosi trattare di un punto di diritto sottoposto all’esame del collegio giudicante.

Viceversa, non possono essere poste all’esame dell’Adunanza plenaria questioni meramente ipotetiche e ininfluenti sull’esito del giudizio in quanto fuoriescono dal perimetro del thema decidendum.

 

LEGGI L'ORDINANZA

 

Pubblicato il 26/04/2023

N. 00014/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00036/2022 REG.RIC.           

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale n. 36 del 2022 del ruolo dell’Adunanza Plenaria (n. 7477 del 2021 del ruolo della Sezione Terza), proposto dal Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;


 

contro

il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Simone Lazzarini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sede di Catanzaro (Sezione Seconda), n. 1342 del 2021;


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2023 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato Vincenzo Rago e l’Avvocato Simone Lazzarini;


 

RITENUTO IN FATTO

1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, sono così riassumibili:

- l’appellato ‒ affetto da «thalassemia major», avendo contratto l’epatite C a causa di emotrasfusioni ‒ presentava, in data 23 gennaio 1996, domanda di indennizzo, ai sensi della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (la quale prevede una misura di compensazione economica in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati);

- in data 27 luglio 2007, l’appellato proponeva un intervento adesivo nel corso di un processo civile pendente dinanzi al Tribunale di Roma (n. 85134 del 2005), promosso da altri interessati per ottenere la condanna generica del Ministero della Salute al risarcimento del danno subito a causa dell’inadeguata vigilanza dell’Amministrazione sulla qualità del sangue destinato alle trasfusioni;

- con una sentenza del 2014, il Tribunale di Roma ha riconosciuto la responsabilità del Ministero per gli avvenuti contagi, accertando il diritto degli attori e degli intervenienti al risarcimento, da quantificarsi poi in separato giudizio;

- alla luce di quanto dedotto dalle parti, il giudizio di appello avverso tale sentenza è ad oggi ancora pendente (l’udienza di precisazione delle conclusioni era programmata per lo scorso 20 aprile 2022);

- in pendenza del processo proposto al Tribunale di Roma, nel 2009 l’appellato aveva manifestato al Ministero il proprio interesse alla transazione dell’azione giudiziaria, prevista dall’art. 33 della legge 22 novembre 2007, n. 222, e dall’art. 2, commi 361-365, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;

- il TAR per il Lazio, con la sentenza n. 1682 del 2012, in ragione della prolungata inerzia, ordinava al Ministero «di pronunciarsi, con provvedimento espresso, sulle domande di adesione alla transazione presentate dai ricorrenti entro 90 giorni»;

- nel frattempo, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza del 14 gennaio 2016, pronunciandosi sui ricorsi proposti da alcuni cittadini italiani, tutti infettati da vari virus (HIV, epatite B e C) a seguito di trasfusioni di sangue praticate in trattamenti sanitari o operazioni chirurgiche, riconosceva per tutti i casi risalenti agli anni Novanta del secolo scorso la sussistenza della violazione delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo relativamente al diritto ad un equo processo e ad un ricorso effettivo;

- la stessa Corte EDU affermava che la procedura di cui all’art. 27-bis del decreto-legge n. 90 del 2014, che riconosce (nell’ambito di una ulteriore procedura, diversa da quella per cui è causa) ai soggetti danneggiati da trasfusione, a titolo di equa riparazione, una somma di denaro determinata nella misura di € 100.000 (da liquidarsi entro la data del 31 dicembre 2017, poi posticipata al 31 dicembre 2018), costituiva un ‘rimedio interno’, in grado di dare un adeguato ristoro ai soggetti danneggiati;

- sennonché, in data 11 maggio 2020, il Ministero della Salute, previo avviso di rigetto e di ricezione delle controdeduzioni del danneggiato, comunicava all’appellato che la sua domanda di adesione alla transazione non poteva essere accolta per prescrizione del diritto, essendo trascorso il termine di cui all’art. 5, lettera a), del decreto ministeriale n. 61889 del 2012, di cinque anni decorrente dalla data di richiesta dell’indennizzo ai sensi della legge n. 210 del 1992 (23 gennaio 1996), poiché la notifica della domanda giudiziale di risarcimento del danno vi era stata ben dopo il decorso di tale termine (27 luglio 2007).

2.‒ Con il ricorso di primo grado, l’appellato ha quindi impugnato il rigetto, ponendo a fondamento della domanda di annullamento i seguenti motivi:

i) il Ministero della Salute sarebbe decaduto dalla possibilità di far valere la prescrizione, non avendola tempestivamente eccepita nella causa civile (in particolare, per non aver formulato l’eccezione nel primo atto difensivo successivo all’intervento), e quindi non avrebbe potuto porre il decorso del termine alla base del diniego di transazione;

ii) in subordine, l’art. 5, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale n. 61889 del 2012 si sarebbe dovuto disapplicare, in quanto contrastante con la normativa di rango primario che disciplina la prescrizione e, in particolare, con l’art. 2938 c.c. (per il quale la prescrizione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice) e con l’art. 167 c.p.c. (che impone al convenuto la tempestiva formulazione dell’eccezione non rilevabile d’ufficio, sotto pena di decadenza).

3.‒ Il TAR per la Calabria, con la sentenza n. 1342 del 2021, ha accolto il ricorso, ordinando all’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza del ricorrente mediante un’ulteriore istruttoria e una nuova valutazione.

La sentenza di annullamento, che ha richiamato un orientamento della Sezione Terza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 11 maggio 2021, n. 3698), si basa sui seguenti passaggi motivazionali:

- «[…] nonostante la specificità dei due procedimenti, quello diretto al risarcimento del danno e quello relativo all’ammissione alla transazione, rientranti nell’ambito di giurisdizioni diverse, nondimeno sussiste un evidente collegamento tra i due procedimenti, tanto è vero che l’accesso alla transazione è condizionata alla pendenza del giudizio risarcitorio e presuppone che non sia stata emessa una sentenza che ha dichiarato la prescrizione del diritto […]»

- «[…] il legislatore ha chiaramente espresso la volontà di definire in via transattiva questo genere di controversie, anziché portarle avanti per anni dinanzi ai Tribunali, con la conseguenza che l’Amministrazione non può liberamente decidere se avvalersi di tale strumento, essendo tenuta a verificare caso per caso se sussistono i presupposti previsti dalla legge per farvi ricorso, potendo esimersi dal ricorrervi solo quando sussista una preclusione normativa»;

- «[…] poiché il ricorrente aveva, già in sede procedimentale, rappresentato come il Tribunale di Roma, con la sentenza 19054 del 9 settembre 2014, si fosse pronunciato in senso favorevole ai danneggiati e come il Ministero non avesse eccepito nei suoi riguardi l’intervenuta prescrizione del diritto, l’amministrazione non poteva respingere la domanda transattiva trincerandosi dietro al mero richiamo all’art. 5, comma 1, lettera a), d.m. 61889/2012, ma avrebbe dovuto approfondire la problematica prospettata dal danneggiato, indicando compiutamente le ragioni giuridiche per le quali negare l’accesso alla procedura transattiva pur a fronte di una sentenza esecutiva attestante il diritto al risarcimento»;

- «il Ministero ha transatto controversie identiche a quella in esame, circostanza che impone un ulteriore approfondimento istruttorio in capo all’amministrazione, tenuta a rispettare – nell’esercizio di poteri discrezionali – il basilare principio della parità di trattamento».

4.‒ Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Ministero della Salute.

L’appellante, con un unico motivo, deduce che, ai sensi dell’art. 5, comma 1 del decreto ministeriale n. 61889 del 2012 (c.d. ‘decreto moduli’) ‒ attuativo dell’art. 2, comma 2, del regolamento ministeriale n. 132 del 2009, secondo cui «per la stipula delle transazioni si tiene conto dei principi generali in materia di decorrenza dei termini di prescrizione del diritto» ‒ l’Amministrazione non potrebbe stipulare una transazione, in presenza di pretese che risultino prescritte, per essere trascorsi oltre cinque anni tra la data della domanda di indennizzo e la notifica della citazione introduttiva del giudizio di risarcimento e non sussista la prova di atti interruttivi successivi.

A questa soluzione, non osterebbe la circostanza che il Tribunale civile, respingendo l’eccezione di prescrizione, abbia nel frattempo condannato (in via generica) il Ministero al risarcimento dei danni in favore di tutti gli attori e degli intervenuti in giudizio (tra i quali anche l’appellato).

In primo luogo, l’affermazione dell’appellato, fatta propria anche dal TAR ‒ secondo cui nel giudizio civile l’eccezione di prescrizione non sarebbe stata ritualmente sollevata dal Ministero della Salute (che sarebbe pertanto decaduto dalla possibilità di eccepirla poi in sede procedimentale) ‒ sarebbe contraddetta dalla motivazione della sentenza civile, la quale ha espressamente respinto l’eccezione di prescrizione, sul presupposto che la stessa fosse stata ritualmente sollevata.

In secondo luogo, la sentenza civile di primo grado è stata appellata dal Ministero della Salute, invocando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in difetto di altre prove, la prescrizione (in questo caso quinquennale) delle richieste risarcitorie decorre, al più tardi, dalla data di presentazione della domanda di indennizzo (nella specie ampiamente decorso).

Su queste basi, il provvedimento di rigetto della richiesta di transazione sarebbe legittimo, in considerazione del fatto che non sussisterebbe un diritto del soggetto danneggiato, e un correlato obbligo dell’Amministrazione, alla stipulazione della transazione.

4.1.‒ L’appellato si è costituito in giudizio, insistendo per l’infondatezza del gravame.

5.‒ Con l’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria n. 7511 del 2022, la Sezione Terza del Consiglio di Stato deduce che:

- secondo la pregressa giurisprudenza della stessa Sezione Terza, l’articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 4 maggio 2012, andava interpretato «nel senso di incentivare l’ammissione al modulo transattivo di definizione della controversia risarcitoria pendente quante volte quest’ultima sarebbe suscettibile di concludersi con la condanna dell’Amministrazione, essendo dunque l’accesso alla transazione precluso solo in presenza di una sentenza che abbia positivamente accertato l’estinzione per prescrizione del diritto al risarcimento, e dovendo pertanto pervenirsi a opposte conclusioni allorché, come nel caso di specie, la stessa Amministrazione sia decaduta dalla possibilità di eccepire la prescrizione nel giudizio civile» (così Consiglio di Stato, sez. III, 7 luglio 2021, n. 5191; viene richiamata anche la sentenza, Sez. III, 11 maggio 2021, n. 3698);

- tale orientamento dovrebbe però ora misurarsi con la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 16 del 2021, per la quale i termini stabiliti dalle lettere a) e b) del citato articolo 5 non attengono alla prescrizione del diritto al risarcimento, ma piuttosto «si limitano, ferma la condizione del mancato intervento di una sentenza accertativa della prescrizione, a definire un arco temporale entro il quale la domanda di adesione alla procedura transattiva può essere presentata […] sulla base di motivazioni che non attengono al presunto maturarsi della prescrizione alla luce delle previsioni codicistiche, ma a ragioni di carattere gestionale correlate alla limitatezza delle risorse messe a disposizione e, probabilmente, al grado di interesse e bisogno del danneggiato presuntivamente evincibile dai tempi di attivazione del giudizio» (Ad. Plen. n. 16 del 5 novembre 2021);

- sulla base del citato orientamento dell’Adunanza Plenaria, l’appello potrebbe avere un esito diverso da quello di per sé coerente con l’orientamento della Sezione Terza dianzi richiamato, dal momento che l’atto di intervento dell’appellato nel giudizio risarcitorio proposto da altri dinanzi al Tribunale civile di Roma è stato proposto nel 2007, molto dopo il decorso del quinquennio dalla data in cui egli aveva presentato la domanda di indennizzo ai sensi della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (1° aprile 1996);

- sennonché, prosegue la Sezione rimettente, sarebbe irragionevole che un soggetto venga penalizzato (nel senso di subire una preclusione assoluta a poter accedere alla definizione transattiva della propria controversia) per il mancato rispetto di una scadenza prevista da una disposizione che non era in vigore, al momento in cui egli pose in essere l’adempimento in questione (ossia la domanda di indennizzo ai sensi della legge n. 210/1996);

- una tale irragionevolezza si rifletterebbe sul piano sostanziale nel presente giudizio, laddove l’appellato era parte di un giudizio civile collettivo, coinvolgente altri soggetti i quali hanno avuto accesso alla transazione sulla base della precedente giurisprudenza della Sezione Terza;

- inoltre, le conseguenze di una tale interpretazione sembrerebbero contraddire la ratio stessa della disposizione, volta non solo a velocizzare ed a semplificare le procedure di indennizzo, ma anche a risparmiare all’Amministrazione i tempi del contenzioso e il rischio di maggiori esborsi in caso di condanna;

- in presenza di una domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c. ritualmente proposta (e peraltro accolta dal Tribunale civile di primo grado) e di domande di indennizzo reiteratamente proposte dall’interessato già prima dell’azione in giudizio, l’art. 5, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 4 maggio 2012 non sarebbe ostativo alla stipula della transazione;

- peraltro, i tempi e le modalità del diniego hanno determinato una situazione oggettivamente idonea a generare e poi a violare un legittimo affidamento dell’appellato circa il buon esito della propria domanda, che ha certamente ostacolato la sua possibilità di avvalersi della ulteriore possibilità di transazione prevista dal citato decreto n. 90 del 2014.

5.1.‒ Su queste basi, la Sezione Terza ha deferito all’Adunanza Plenaria ‒ «anche ai sensi del comma 3 dell’articolo 99 c.p.a., per una possibile rimeditazione dell’indirizzo circa il carattere decadenziale e non prescrizionale dei termini previsti dall’articolo 5 del decreto ministeriale 4 maggio 2012» ‒ i seguenti quesiti:

«1) se, fermo restando quanto affermato nella sentenza n. 16 del 2021 in ordine alla natura non prescrizionale ma decadenziale dei termini stabiliti dall’articolo 5, lettere a) e b), del d.m. 4 maggio 2012 per l’ammissibilità delle domande di adesione allo speciale modulo transattivo previsto dalle leggi nn. 222 e 244 del 2007 (e salva l’eventuale rimeditazione di tale orientamento), le precitate disposizioni ministeriali siano compatibili con i principi di proporzionalità e ragionevolezza, oltre che con la ratio della stessa istituzione normativa di uno speciale meccanismo transattivo per le controversie risarcitorie instaurate dai cc.dd. emotrasfusi, laddove fanno dipendere l’ammissibilità o meno della domanda di accesso a tale speciale modulo transattivo esclusivamente dalla tempestività di una condotta (la instaurazione del giudizio risarcitorio) rispetto a un adempimento (la presentazione della domanda di indennizzo ex legge n. 210/1992) entrambi posti in essere in epoca ampiamente anteriore all’entrata in vigore delle norme in questione, allorché nessuna decadenza era prevista né era prevedibile potesse essere introdotta»;

«2) se, in ogni caso, sia consentito all’Amministrazione, alla stregua del principio di buon andamento e dell’obbligo di buona fede cui deve informarsi l’azione amministrativa (oltre che dei medesimi canoni richiamati sub 1), motivare il diniego di accesso al modulo transattivo esclusivamente con il mancato rispetto dei termini in questione, anche laddove lo sviluppo della vicenda procedimentale e giudiziale (fino al sopravvenire di una sentenza di condanna dell’Amministrazione al risarcimento, ancorché non definitiva, come nel caso di specie) possa aver ingenerato in capo all’interessato un affidamento per una celere definizione della propria controversia».

6.‒ Alla pubblica udienza del 15 febbraio 2023, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

7.‒ In via preliminare, rileva il Collegio che l’ordinanza di rimessione ‒ pur avendo posto a suo fondamento quanto previsto dall’articolo 99, comma 3, del codice del processo amministrativo, per il quale una Sezione del Consiglio di Stato deve sottoporre la questione all’esame dell’Adunanza Plenaria, se essa non condivide un principio di diritto da questa enunciato – non ha posto in discussione i principi affermati dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 16 del 2021, pur se ha fatto «salva l’eventuale rimeditazione di tale orientamento».

8.– Ciò chiarito, osserva l’Adunanza Plenaria che non sussistono i presupposti per esaminare in questa sede le questioni deferite dalla Sezione Terza.

8.1.‒ Affinché l’Adunanza Plenaria possa svolgere la sua funzione nomofilattica ed esaminare i quesiti sottoposti al suo esame, è necessario che l’ordinanza di rimessione:

a) effettui una esaustiva ricostruzione della fattispecie controversa in rapporto a tutti i suoi elementi identificativi di fatto e diritto (disposizioni e provvedimenti censurati, profili di illegittimità dedotti e argomentazioni svolte a sostegno dell’impugnazione);

b) sollevi una questione rilevante rispetto alla res controversa, nel senso che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione, dovendosi trattare di un «punto di diritto sottoposto» all’esame del collegio giudicante (art. 99, comma 1, del c.p.a.).

Pertanto, non possono essere poste all’esame dell’Adunanza Plenaria questioni meramente ipotetiche e inifluenti sull’esito del giudizio.

L’Adunanza Plenaria ben può valutare sotto tutti i suoi profili la rilevanza delle questioni sollevate (e non nei limiti della ‘non implausibilità’, come accade per la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia, davanti alle quali si innestano giudizi autonomi e incidentali), in quanto è lo stesso processo, nelle ipotesi legalmente previste, che ‘prosegue’ davanti al medesimo Consiglio di Stato, in diversa composizione.

9.– Ciò premesso, osserva l’Adunanza Plenaria che nel caso in esame non sussistono i requisiti della esaustività dell’esposizione e della rilevanza della questione.

9.1.‒ Con il primo quesito, la Sezione Terza ha rimesso all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione se le disposizioni contenute nell’articolo 5, lettere a) e b), del decreto ministeriale 4 maggio 2012 «siano compatibili con i principi di proporzionalità e ragionevolezza, oltre che con la ratio della stessa istituzione normativa di uno speciale meccanismo transattivo per le controversie risarcitorie instaurate dai cc.dd. emotrasfusi».

Sennonché, tale quesito di diritto sarebbe stato rilevante qualora la Sezione remittente avesse dovuto esaminare il secondo motivo del ricorso di primo grado: esso, invece, fuoriesce dal perimetro del thema decidendum, poiché è stato assorbito in primo grado e non è stato riproposto nel corso del secondo grado del giudizio.

Nel processo amministrativo d’appello ‒ in ragione del carattere non automatico dell’effetto devolutivo, per il quale la cognizione del Consiglio di Stato ha lo stesso oggetto del giudizio di primo grado nei soli limiti delle statuizioni della sentenza impugnata che siano state impugnate ‒ i motivi assorbiti dal TAR vanno riproposti incidentalmente dall’appellato vittorioso in primo grado, con una memoria depositata entro il termine di costituzione in giudizio (di sessanta giorni, decorrente dal perfezionamento della notifica del gravame: cfr. artt. 101, comma 2, e 46, del c.p.a.).

Qualora ciò non avvenga, i motivi assorbiti e non esaminati in primo grado devono intendersi rinunciati, sicché è precluso al Consiglio di Stato il loro esame.

Nella specie, va rilevato che ‒ con il primo quesito di diritto ‒ l’ordinanza di rimessione ha dubitato della legittimità delle disposizioni contenute nel decreto ministeriale del 2012, questione che è stata proposta col secondo motivo del ricorso di primo grado, il quale è stato però assorbito dal TAR e non è stato riproposto in grado d’appello.

9.2.‒ Quanto al secondo quesito sollevato dalla Terza Sezione, va rilevato che esso ha sollecitato l’esame della questione se possa ravvisarsi un affidamento giuridicamente tutelabile, quando una disposizione fissi un termine decadenziale, da applicare retroattivamente, cioè tenendo conto del decorso del tempo anteriore alla sua entrata in vigore.

Ritiene l’Adunanza Plenaria che anche tale questione non possa essere esaminata, poiché non risulta rilevante per la definizione della controversia.

Come si è sopra osservato, la sentenza di primo grado ha accolto il ricorso di primo grado, rilevando che il Ministero, in sede di valutazione della domanda di transazione, non avrebbe tenuto conto del fatto che esso era decaduto dalla possibilità di eccepire la prescrizione, non avendo formulato tale eccezione nel giudizio civile pendente in Corte di Appello.

Sennonché, il Ministero ha contestato tale statuizione, deducendo da un lato di non essere decaduto dalla possibilità di eccepire la prescrizione, la quale al contrario sarebbe stata ritualmente formulata nel giudizio civile di primo grado e, dall’altro lato, che sulla fondatezza di tale eccezione (respinta dal Tribunale civile) pende ancora il giudizio di appello.

Come si desume dallo stesso preavviso di rigetto (di cui alla nota n. 2310 del 30 settembre 2019, che ha definito come ‘di prescrizione’ il termine quinquennale di cui all’art. 5, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale del 2012, l’Amministrazione non ha inteso «motivare il diniego di accesso al modulo transattivo esclusivamente con il mancato rispetto dei termini in questione» (come si legge nell’ordinanza di rimessione), ma ha sostenuto che la domanda di adesione alla transazione non si sarebbe potuta accogliere per prescrizione del diritto.

Il Ministero, in sostanza, ha dedotto che non potrebbe concludere un contratto di transazione, con chi non potrebbe conseguire in giudizio la condanna al risarcimento.

Poiché il Ministero non ha posto in discussione la natura prescrizionale del termine, è irrilevante la questione sollevata dalla Sezione Terza, se una disposizione possa fissare un termine di decadenza, dando rilievo al periodo di tempo in precedenza già trascorso.

10.‒ Quanto precede comporta che va disposta la restituzione degli atti alla Sezione ai sensi dell’art. 99, comma 1, ultimo periodo, del c.p.a., affinché essa proceda a un rinnovato esame dei termini della questione, verificando se il giudizio possa essere definito senza esaminare i quesiti di diritto sollevati o se i quesiti possano essere riproposti, sulla base di una adeguata motivazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) rileva che non sussistono i presupposti processuali per l’esame dei quesiti di diritto, sollevati con l’ordinanza di rimessione, e rimette gli atti alla Sezione Terza per la prosecuzione del giudizio.

Ordina alla Segreteria di provvedere alla comunicazione della presente ordinanza alle parti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento esclusivamente delle generalità dell’appellato.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2023 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Carmine Volpe, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Luigi Carbone, Presidente

Rosanna De Nictolis, Presidente

Marco Lipari, Presidente

Michele Corradino, Presidente

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere