TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 20 febbraio 2023, n. 436
In materia di abusi edilizi, deve ritenersi che non sussiste, in capo alla P.A., alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento con il quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione ed il consapevole mantenimento ”in loco” di un’opera abusiva, si concretizza in una volontaria attività del privato “contra legem”.
Guida alla lettura
A fronte di manufatto abusivo, il Comune è tenuto a ordinare la rimozione, poiché l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso: in sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore[1]
Invero, il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Tale principio non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino. D’altronde, l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione e il consapevole mantenimento “in loco” di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del privato “contra legem”[2].
LEGGI LA SENTENZA
Pubblicato il 20/02/2023
N. 00436/2023 REG.PROV.COLL.
N. 02759/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2759 del 2017, proposto da
Olimpia Bormolini, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Santamaria e Tommaso Santamaria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio dell’avv. Bruno Santamaria in Milano, Galleria del Corso, 2;
contro
Comune di Livigno, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Enrico Pedrana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso il suo studio in Milano, Piazza Cinque Giornate 3;
nei confronti
Pedrana Leo, Bormolini Ester, Bormolini Mara, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento:
- dell’ordinanza emessa dal Comune di Livigno, n. 125 del 13/10/2017, notificata in data 20/10/17, avente ad oggetto la demolizione e conseguente ripristino dei luoghi, a proprie cure e spese nel termine di 30 giorni, del manufatto in legno sito sul mappale 41 del Foglio 30 dell’area censita al catasto del Comune di Livigno;
- “per quanto occorra”, della segnalazione di P.G. redatta dalla Polizia locale in data 24/03/17 (“allo stato non nota”) e di ogni atto e/o provvedimento preordinato, consequenziale e comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Livigno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 novembre 2022, svoltasi in modalità da remoto, il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sig.ra Olimpia Bormolini, odierna ricorrente, comproprietaria, insieme alle sigg.re Ester Bormolini e Mara Bormolini, del fabbricato situato nel Comune di Livigno e censito catastalmente al mappale 41 del Foglio 30, ha impugnato l’ordinanza n. 125 del 13.10.2017, con cui il Comune di Livigno ha ordinato a suo carico la demolizione e il conseguente ripristino dei luoghi, nel termine di 30 giorni, in relazione ad un manufatto in legno (una casetta in legno, delle dimensioni di m. 2,50 x 1,80 per un’altezza media di m. 2,20) collocato dall’interessata nell’area in questione.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
1) eccesso di potere per carenza d’istruttoria, violazione e falsa applicazione del d.l. n. 9/1982, conv. In l. n. 94/1982: la ricorrente lamenta che, avendo essa inoltrato al Comune, in data 4.5.1987, una domanda finalizzata ad ottenere il permesso al posizionamento della citata casetta in legno, su tale richiesta si sarebbe formato a suo tempo il silenzio assenso ai sensi dell’art. 7, punto 3, del d.l n. 9/1982, in quanto il Sindaco non si era pronunciato sulla stessa nel termine di 60 giorni dalla presentazione della medesima;
2) eccesso di potere per travisamento dei fatti e conseguente errore di fatto; violazione e falsa applicazione dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 3 della l. n. 241/1990 per difetto assoluto di motivazione: il Comune avrebbe erroneamente applicato alla fattispecie una norma afferente agli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, mentre nel caso in esame, secondo la ricorrente, non ci si troverebbe di fronte ad un intervento edilizio vero e proprio, bensì semplicemente dinanzi alla collocazione sul terreno di un manufatto prefabbricato;
3) violazione del principio del legittimo affidamento secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale; mancanza di motivazione: lamenta la ricorrente che l’Amministrazione è intervenuta nella vicenda a distanza di oltre trent’anni dal posizionamento del manufatto de quo.
1.1. Si è costituito il Comune intimato, chiedendo la reiezione del ricorso.
1.2. In vista dell’udienza di discussione le parti hanno ribadito le proprie difese con memorie e repliche.
1.3. Alla pubblica udienza del giorno 17 novembre 2022 (ruolo smaltimento), tenutasi in modalità da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il ricorso è infondato; di seguito le motivazioni della sentenza, rese nella modalità redazionale semplificata di cui all’art. 74 c.p.a.
2.1. Le censure possono essere esaminate congiuntamente, in ragione della loro intima connessione.
Al riguardo, il Collegio osserva che:
- contrariamente a quanto dedotto dalla difesa di parte ricorrente, il manufatto di cui è causa non è paragonabile a mere pertinenze o accessori da giardino (come altalene, scivoli, dondoli, panche, tavoli da picnic, cuccia del cane, casetta gioco bimbi, barbecue rimovibili, vasi e fioriere mobili, e simili), considerate le dimensioni della casa in legno in questione (m. 2,50 x 1,80 per un’altezza media di m. 2,20), l’ingombro determinato dalla stessa (ben visibile nelle foto depositate in giudizio) e la sua stabile collocazione nell’area (da più di trent’anni, come dichiarato dalla stessa ricorrente);
- l’istanza presentata dalla ricorrente nel 1987, come è agevole desumere dalla sua semplice lettura (v. doc. 3 del Comune), non era finalizzata alla attivazione di una formale pratica autorizzatoria ai sensi del d.l. n. 9/1982, ma si sostanziava invece in una generica richiesta di posizionamento (non è chiaro se a titolo definitivo o meramente provvisorio) della casetta in legno, presentata peraltro senza allegare alcuna documentazione progettuale, comunque necessaria – considerato anche il vincolo paesaggistico gravante sul territorio – ai fini dello svolgimento di una adeguata istruttoria sulla domanda;
- come osservato dalla difesa comunale, la previsione di cui all’art. 7, punto 3, del d.l n. 9/1982, invocata dalla ricorrente, presupponeva, ai fini della formazione del silenzio-assenso come conseguenza del mancato riscontro espresso della P.A., la realizzazione di interventi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e, comunque, relativi a manufatti collocati in aree non sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1 giugno 1939, n. 1089 e 29 giugno 1939, n. 1497 (oggi sostituito dal d.lgs. n. 42/2004);
- nella fattispecie, dunque, il silenzio assenso non si poteva formare sul manufatto in questione (avente dimensioni, come visto, di m. 2,50 x 1,80 per un’altezza media di m. 2,20), considerato che l’intero territorio comunale di Livigno è sottoposto a vincolo paesaggistico sin dagli anni sessanta;
- peraltro, sotto il profilo urbanistico, occorre considerare che il mappale di proprietà della ricorrente, interessato dal posizionamento stabile della casetta de qua, nel 1987 si collocava al di fuori del perimetro del centro edificato (v. doc. 4 del Comune, contenente un estratto della delimitazione del perimetro del centro edificato vigente all’epoca), sicché soggiaceva al combinato disposto dell’art. 49, lettera c), della l.r. n. 51/1975 e dell’art. 18 della l. n. 865/1971, che inibiva sostanzialmente nei comuni - sino all’approvazione dei nuovi strumenti urbanistici – l’edificazione sui mappali ricompresi, per l’intera superficie o per parte di essa, in zona esterna al perimetro del centro edificato;
- inoltre, nella fattispecie veniva in rilievo anche il vincolo di inedificabilità temporanea di cui all’art. 1-ter della l. n. 431/1985;
- nella vicenda in esame, in altri termini, ostavano alla formazione del silenzio assenso invocato dalla ricorrente sia la sussistenza del vincolo ambientale, sia la mancanza di conformità urbanistica dell’intervento in questione rispetto alle prescrizioni degli strumenti pianificatori allora vigenti;
- ciò posto, a fronte della constatazione della persistenza nell’area del manufatto abusivo de quo il Comune altro non poteva fare se non ordinarne la rimozione, così come avvenuto nella fattispecie, poiché l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso: in sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore (C.d.S., Ad. Plen. n. 9/2017);
- d’altra parte, il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso; e tale principio non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (T.A.R. Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, n. 288/2020);
- non sussiste, quindi, alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione e il consapevole mantenimento in loco di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del privato “contra legem” (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4580/2017).
Le censure, pertanto, sono tutte infondate.
2.2. In definitiva, il ricorso deve essere respinto siccome infondato.
2.3. Le spese del giudizio, nondimeno, possono essere integralmente compensate tra le parti costituite, tenuto conto della peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2022, tenutasi in modalità da remoto, con l'intervento dei magistrati:
Ugo Di Benedetto, Presidente
Giovanni Zucchini, Consigliere
Oscar Marongiu, Consigliere, Estensore
[1] Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9/2017.
[2] Cons. Stato, Sez. VI, n. 4580/2017; Tar Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, n. 288/2020).