Cons. Stato, sez. VII, 23 maggio 2022, n. 4076

1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistiche e ricreative, in seguito alle statuizioni rese dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio nelle pronunce 9 novembre 2021, nn. 17 e 18, si pongono in contrasto con il diritto eurounitario e, segnatamente, con gli articoli 49 TFUE e 12 della 2006/123/CE, c.d. Direttiva Bolkestein, così da imporne sia ai giudici nazionali sia all’Amministrazione la disapplicazione e da indurre a ritenere tamquam non esset i provvedimenti amministrativi rilasciati in applicazione delle medesime. Le concessioni già in essere, tuttavia, continuano a essere efficaci sino al 31 dicembre 2023 così da consentire alle Pubbliche Amministrazioni di predisporre le procedure di gara richieste per l’affidamento delle medesime ad altri eventuali nuovi aspiranti (1).

 

(1) In senso conforme, Consiglio di Stato, sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874; Tar Lazio, Roma, sez. II, 15 gennaio 2021, n. 616; Consiglio di Stato, sez. V, 16 febbraio 2021, n. 1416; Id., sez. I, 24 maggio 2021, n. 160; Id., ad. plen., 9 novembre 2021, nn. 17 e 18; Id., sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 229.

 

 

 

Guida alla lettura

Il Consiglio di Stato è nuovamente tornato a soffermarsi sulla delicata tematica della natura e del regime giuridico delle concessioni demaniali marittime, ma anche fluviali e lacuali, con finalità turistico-ricreative, che per brevità saranno atecnicamente indicate quali “concessioni balneari” o “concessioni costiere”.

Preliminarmente, al fine di intendere al meglio il thema decidendum, giova esaminare le circostanze in fatto che hanno portato alla pronuncia in commento.

La vicenda all’origine della sentenza de qua prendeva avvio allorquando una Società, titolare di due distinte concessioni in essere, relative a due distinti stabilimenti balneari e prorogate fino al 31 dicembre 2020 su istanza dell’interessata mediante due distinte licenze, presentava all’Amministrazione comunale due domande di concessione pluriennali, aventi a oggetto i beni demaniali già ricadenti nella propria disponibilità. Peraltro, il progetto concernente uno degli stabilimenti balneari coinvolti contemplava altresì il restauro della palazzina che, al piano terreno, già ospitava il bar/ristorante dello stabilimento. Con l’istanza presentata la concessionaria, dunque, richiedeva l’estensione della concessione al primo piano dell’immobile, già in concessione al Comune.

Avvenuta la pubblicazione della domanda di concessione, mediante affissione nell’albo del Comune ove era situato il bene richiesto, ex art. 18 del Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione marittima, approvato con d.P.R. 15 febbraio 1952 n. 328, si faceva avanti una Società concorrente, presentando, a sua volta, due istanze per l’assegnazione dei compendi avente durata ventennale.

La Regione rendeva il parere richiesto dall’Amministrazione comunale al fine di conoscere “se le attuali licenze demaniali marittime con scadenza 31/12/2020 siano da ritenere valide e se possono essere istruite nuove istanze di concessioni demaniali marittime”, nei termini di seguito riportati: “a. le attuali concessioni, anche quelle ex lege prorogate al 2020, “sono da ritenere valide come confermato dal Legislatore statale con il recente d.l. 113 del 24 giugno 2016, all’art. 24, comma 3 septies; b potevano essere istruite, attraverso procedure ad evidenza pubblica, nuove istanze di concessioni demaniali marittime per licenza con durata massima di anni 4 o istanze di concessione per atto formale per una durata massima di 20 anni; c qualora l’istanza venga formulata dall’attuale concessionario, lo stesso si impegna a rinunciare alla concessione nel caso in cui, in esito alla procedura ad evidenza pubblica, venga prescelto un altro soggetto”.

Ricevuto il predetto parere, l’Ente locale richiedeva all’attuale concessionaria di apprestarsi a confermare l’impegno alla rinuncia alle concessioni in essere, “anche nel caso in cui, in esito alla procedura ad evidenza pubblica, sia prescelto un soggetto differente”.

In seguito, tuttavia, l’odierna appellante comunicava all’Amministrazione comunale la decisione di “proseguire l’esercizio delle attuali concessioni sino al 31/12/2020 ai sensi dell’art. 24, comma 3 septies D.L. 113/2016”, senza alcuna anticipata rinuncia alle medesime.

Rebus sic stantibus, il Comune preannunciava contestualmente – alla concessionaria – il rigetto delle domande per mancanza dei presupposti necessari ai fini dell’assegnazione di nuove concessioni e – alla controinteressata – il rigetto delle domande concorrenti dalla medesima presentate, stante la mancata assunzione dell’impegno, da parte della prima Società, a rinunciare alla(e) concessione(i) in scadenza. E, dunque, portava a conclusione i procedimenti avviati con le istanze della Società titolare delle concessioni in scadenza e con quelle della Società concorrente in coerenza con le pregresse comunicazioni.

Di tal che, la Società controinteressata, mediante ricorso giurisdizionale, impugnava avanti il Tribunale Amministrativo Regionale competente i provvedimenti di rigetto delle domande concorrenti da essa proposte unitamente al parere reso dalla Regione e, con ricorso per motivi aggiunti, estendeva l’impugnativa alle concessioni in scadenza di cui era titolare l’altra Società, adducendo di averne appreso l’esistenza solo in seguito alle produzioni in atti da parte di quest’ultima.

Con sentenza n. 987/2017, il Tar adito rigettava il ricorso alla stregua della ritenuta infondatezza dei motivi dedotti con l’atto introduttivo nonché della tardività delle censure formulate, avverso le concessioni demaniali, in sede di ricorso per motivi aggiunti.

Ritualmente appellata la pronuncia del giudice di prime cure, la Società titolare delle concessioni in scadenza resisteva e interponeva appello incidentale, ivi ripresentando i motivi di ricorso incidentale dichiarati inammissibili per carenza di interesse.

In sede di gravame, l’odierna appellante, per quanto qui di interesse, deduceva – con il quarto motivo – la violazione dei principi e delle regole sulla decorrenza sull’onere di impugnazione degli atti amministrativi e riproponeva – con il quinto – i motivi aggiunti riguardo alla proroga dell’efficacia delle concessioni di cui era titolare.

Sia la Regione sia il Comune non hanno spiegato difesa alcuna.

 

 

Brevemente narrati i fatti oggetto della pronuncia che ci occupa, volgendo ora lo sguardo al thema decidendum emerge chiaramente come la questione giuridica attenzionata alla Quarta Sezione ruoti intorno al tema delle concessioni demaniali marittime con finalità turistiche e ricreative. E, precipuamente, al problema ormai noto e ampiamente dibattuto[1] della compatibilità delle relative proroghe stabilite ope legis con il diritto eurounitario.

Le concessioni de quibus, destinatarie nel nostro ordinamento[2] di esigue e scarne previsioni normative, hanno per oggetto l’utilizzo di beni che, ai sensi dell’art. 822 c.c., appartengono al demanio necessario dello Stato e la cui gestione, a eccezione dei porti, è stata in seguito affidata alle Regioni e da queste delegata ai Comuni.

L’art. 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99 ne delinea espressamente l’oggetto: porzioni del demanio marittimo sfruttate per la gestione di stabilimenti balneari.

Il demanio marittimo è un bene pubblico[3] che, in considerazione delle sue peculiarietà, del significato militare nonché del rilievo nella difesa del territorio nazionale, deve essere tutelato dal punto di vista ambientale e paesaggistico, ma altresì valorizzato nell’uso produttivo[4].

I beni di cui si discute sono suscettibili di molteplici usi: i servizi offerti includono la ristorazione e la somministrazione di bevande e cibi, il noleggio di imbarcazioni, la gestione di strutture ricettive e di attività ricreative e sportive.

La disciplina di dette attività reca con sé, tuttavia, molteplici effetti che si ripercuotono sul quadro normativo delle aree demaniali.

A fa data dalla fine degli Anni Novanta del secolo scorso, invero, è emerso il conflitto tra il regime – libero – dell’attività imprenditoriale e quello – riservato – della concessione del bene.

Le implicazioni più significative emergono, in specie, nella fase genetica e in quella conclusiva del rapporto concessorio.

Il completamento del mercato interno ha lasciato spazio alla riconduzione delle iniziative di sfruttamento del demanio marittimo per finalità balneari nel novero delle attività protette dalla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 49 TFUE.

La scarsità delle risorse de qua ha reso necessaria l’applicazione di regole e procedure competitive nella fase di ingresso nel mercato, che risulta coerente con i principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità di cui all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, c.d. Bolkestein.

Diversamente da altri contesti, tuttavia, il ricorso ai meccanismi selettivi di affidamento dei beni demaniali marittimi, peraltro, contemplati dalla disciplina di settore e da tempo affermati con riguardo all’assegnazione dei beni pubblici a rilevanza economica, è stato di fatto escluso nel mercato nazionale: il che è avvenuto, dapprima, grazie alla preferenza accordata al concessionario insistente e, in seguito, tramite gli strumenti di proroga ope legis e con la previsione normativa di rinnovo automatico delle concessioni.

Il che ha recato con sé l’effetto di una sostanziale “chiusura” del mercato, che ha richiamato l’attenzione dei giudici nazionali e delle Amministrazioni di garanzia.

Tanto che si sono incentrati su detto profilo una procedura di infrazione europea (Commissione europea, procedura di infrazione n. 2008/4098) e una pronuncia della Corte di Giustizia (Corte giust. UE, cause riunite C 458/14 e C 67/15, 14 luglio 2016, caso Promoimpresa).

La questione de qua assume particolare rilevanza, atteso che, anche in considerazione dell’estensione del patrimonio costiero italiano e delle condizioni climatiche favorevoli, le concessioni demaniali marittime ammontano a circa 30.000[5] e, da un lato, nella gran parte dei casi i titolari hanno creato vere e proprie aziende sostenendo rilevanti avviamenti nonché ingenti investimenti in termini economici e personali mentre, dall’altro, lo stato dell’arte ha determinato la sostanziale preclusione di ogni possibilità di subentro per altri eventuali aspiranti.

Essa è, inoltre, strettamente connessa alla riconducibilità di dette concessioni entro il campo di applicazione della testè menzionata Direttiva CE n. 123 del 2006, (c.d. Direttiva Servizi o Direttiva Bolkestein, concernente i “servizi nel mercato interno”, che dopo aver accolto all’art. 4.1. una definizione molto ampia di “servizi”, comprensiva di “qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 57 TFUE, fornita normalmente dietro retribuzione”, ha visto enunciato all’art. 12 che, a fronte di risorse scarse per l’esercizio di un’attività, le relative autorizzazioni debbano avere una durata limitata ed essere esito di apposite procedure di selezione tra i candidati potenziali, con idonee garanzie di imparzialità, trasparenza e pubblicità ai sensi dell’art. 49 TFUE, con conseguente divieto di rinnovo automatico e di altre misure di preferenza per i precedenti titolari.

Nella sentenza in commento, i profili di interesse e di criticità di cui trattasi sono sottesi alle censure mosse con il quarto e il quinto motivo, pertanto dalla Settima Sezione ritenuti suscettibili di trattazione congiunta.

Giova evidenziare, fin da subito, che la pronuncia in analisi interviene a valle delle sentenze nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021, identiche nella motivazione e nella numerazione dei paragrafi, con le quali l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, coraggiosamente, ha dichiarato la radicale inefficacia di tutte le proroghe anche future, delle “concessioni balneari”, disposte con apposite leggi[6] e senza una previa procedura di evidenza pubblica in contrasto con il diritto eurounitario, rinviando tuttavia “l’operatività degli effetti” delle pronunce al 1° gennaio 2024[7].

La portata “creativa” nonché senza dubbio “decisoria” delle risposte formulate dal giudice amministrativo agli interrogativi posti ha avuto un impatto significativo sull’intero sistema giuridico-economico delle coste italiane, dando l’avvio altresì a un vivace dibattito sia in dottrina sia in giurisprudenza[8].

Agevole, dunque, comprendere come la sentenza in commento si inserisca appieno nella problematica situazione di incertezza determinata dalle pronunce medesime, a oggi non ancora risolta.

Invero, il Legislatore, pur avendo più volte promesso e preannunciato un intervento volto al “riordino della materia”, ormai “sepolta” da un clima di grandissima incertezza, “in conformità dei principi di derivazione europea” (art. 24, comma 3-septies, d.l. n. 113/2016, converito in legge n. 160/2016), ha temporeggiato e, ancora, persevera nel farlo. Ne è prova, da ultimo, la recente espulsione del tema delle “concessioni balneari” dal d.d.l. concorrenza.  

Detta situazione di incertezza sarebbe stata ulteriormente alimentata dall’improvvisa cessazione di tutti i rapporti concessori in atto, quale conseguenza dell’immediata disapplicazione della legge nazionale incompatibile con il diritto europeo.

Stante l’assenza di un intervento propulsivo – o, forse sarebbe più corretto dire, il totale disinteresse del Legislatore – il Presidente del Consiglio di Stato si è visto “costretto” a cercare di sopire, quantomeno temporaneamente, le reazioni delle istituzioni eurounitarie e dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. E si è, così, avvalso del potere attribuito dall’articolo 99, comma 2 c.p.a. di investire della questione l’Adunanza Plenaria, adottando il decreto del Presidente 24 maggio 2021, n. 160.

Storicamente è la prima volta che ciò accade.

Ben si comprende, allora, la scelta compiuta dal Consiglio di Stato, nella sentenza che qui si esamina, di prendere le mosse dai principi di diritto enunciati nelle pronunce nn. 17 e 18 del 2021, al fine di addivenire a una possibile soluzione della nuova vicenda sottoposta al suo vaglio.

Principi, che la sentenza la Settima Sezione ha avuto cura di richiamare per esteso nei seguenti termini:

“- Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, s.l. n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77 del 2020 – sono in contrasto con il diritto euro unitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.

- Ancorché siano intervenuti atti di proroga delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari; non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata; la non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto.

- Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere, nonché di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.”.

Al riguardo, è opportuno rammentare – ancorchè volutamente per cenni – i passaggi del ragionamento articolato dalla Plenaria.

Ragionamento, che è stato preceduto dall’esame del regime normativo cui sono sottoposti il rilascio e il rinnovo della concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, ritenuto necessario al fine di vagliare la sussistenza di eventuali profili di contrasto della legge nazionale con norme dell’Unione Europea direttamente applicabili.

L’attenzione si è in particolare concentrata sull’art. 1, commi 682 e 683, l. n. 145/2018, che dispone la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali già rilasciate e sull’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020.

Per vero, infatti, la questione era stata già in gran parte scandagliata dalla Corte di giustizia U.E. con la sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa[9]

Tuttavia, anche in seguito all’intervento della Corte di giustizia, il dibattito sulla compatibilità eurounitaria della disciplina nazionale che prevede la proroga ex lege era affatto sopito, specialmente in dottrina, in disparte il recepimento ad opera di gran parte della giurisprudenza nazionale.

Invero, si tendeva da più parti a negare che il diritto dell’Unione giungesse al punto di imporre l’obbligo di evidenza pubblica per il rilascio delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative. In questa prospettiva, si revocava in dubbio l’applicabilità dei principi generali a tutela della concorrenza desumibili sia dall’art. 49 TFUE sia dall’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

L’applicabilità dell’art. 49 TFUE era stata messa in discussione ritenendo mancante, nel caso di specie, il requisito dell’interesse transfrontaliero certo, il cui accertamento è stato rimesso dalla Corte di giustizia alla valutazione del giudice nazionale.

Quanto all’applicazione dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, era state mosse due obiezioni: la prima, volta a sostenere l’assenza della risorsa naturale scarsa (requisito la cui sussistenza la Corte di giustizia ha demandato al giudice nazionale); la seconda, che entrava in contrasto frontale con la sentenza del giudice europeo, diretto a escludere radicalmente la possibilità di ricondurre le concessioni demaniali marittime di cui trattasi entro la nozione di autorizzazione di servizi e, quindi, nel campo di operatività dell’art. 12 della Direttiva Bolkestein.

Affatto condividendo tali obiezioni, l’Adunanza Plenaria ha ribadito il principio secondo cui il diritto dell’Unione Europea impone che il rilascio ovvero il rinnovo delle concessioni demaniali marittime, lacuali o fluviali avvengano all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale recante la previsione della proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere.

Appurata l’incompatibilità eurounitaria della disciplina nazionale che prevede la proroga ex lege delle concessioni demaniali già rilasciate per contrasto sia con gli artt. 49 e 56 TFUE sia con l’art. 12 della direttiva 2016/123, alla stregua di plurimi argomenti[10], l’Adunanza Plenaria è passata all’esame dei quesiti concernenti le conseguenze di tale contrasto normativo.

Viene sotto tale profilo in rilievo, per quanto di interesse, il primo quesito oggetto del decreto presidenziale di rimessione all’Adunanza Plenaria: “1) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative; in particolare se, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussista, o no, l’obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell'Unione europea e se detto obbligo, qualora sussistente, si estenda a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in genere e i soggetti a essi equiparati, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l’attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all’accertamento dell'efficacia della fonte sia riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spetti anche agli organi di amministrazione attiva”.

L’Adunanza Plenaria ha ritenuto che l’obbligo di disapplicare la legge antieurounitaria gravi in capo all’apparato amministrativo, altresì nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self-executing.

Del resto, la sussistenza di un dovere di non applicazione anche da parte della P.A. rappresenta un approdo ormai consolidato nell’ambito della giurisprudenza sia europea sia nazionale[11].

Opinare diversamente significherebbe, infatti, autorizzare la P.A. all’adozione di atti amministrativi illegittimi per violazione del diritto dell’Unione, destinati a essere annullati in sede giurisdizionale, con grave compromissione del principio di legalità, oltre che delle più elementari esigenze di certezza del diritto.

Inoltre, ancor prima e a prescindere dalla direttiva 2006/123, il giudice amministrativo aveva già affermato che, per le concessioni demaniali, la sottoposizione alle regole della concorrenza e dell’evidenza pubblica rinviene il proprio fondamento logico-giuridico nella circostanza che, con la concessione del bene pubblico, si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai suddetti principi di trasparenza e non discriminazione[12].

Dal canto suo, anche la Corte costituzionale, a far data dal 2010, è più volte intervenuta sulla questione dichiarando costituzionalmente illegittime talune disposizioni regionali – stante il mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo (art. 117, primo comma, Cost.) –, che prevedevano proroghe delle concessioni demaniali marittime in favore dei titolari delle concessioni[13].

Per quanto qui di interesse, con il secondo quesito rimesso all’Adunanza Plenaria si è chiesto di stabilire, “nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l’amministrazione dello Stato membro sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell’Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990, nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento sia intervenuto un giudicato favorevole costituisca ostacolo all’annullamento d’ufficio”.

Preliminarmente, giova rammentare come, ad avviso della stessa giurisprudenza europea, il principio di primazia del diritto europeo di regola non incida sul regime di stabilità degli atti amministrativi e giurisdizionali nazionali che risultino comunitariamente illegittimi.

A fortiori, va, quindi, escluso in linea di principio un obbligo di autotutela ovvero anche di riesame, laddove il provvedimento amministrativo risulti confermato da un giudicato[14].

La risposta al secondo quesito ha imposto, all’Adunanza Plenaria, una previa qualificazione dell’atto di rinnovo di proroga, richiesto ovvero eventualmente già adottato.

Volgendo ora lo sguardo alla pronuncia in commento, il Consiglio di Stato, situandosi sul solco tracciato dai più recenti approdi della giurisprudenza amministrativa che, pur bocciando il regime di proroga automatica delle concessioni demaniali marittime siccome contrario al diritto europeo, hanno rinviato al 31 dicembre 2023 la disapplicazione della normativa nazionale, giunge alla conclusione che sia da reputarsi tamquam non esset il provvedimento amministrativo adottato dall’Amministrazione comunale in applicazione di una norma nazionale contrastante con il diritto eurounitario.

A tanto il giudice amministrativo perviene muovendo dal riconoscimento, effettuato in sede di Plenaria, allorquando si è trovato “costretto”, come poc’anzi detto, a dover qualificare l’atto di rinnovo di proroga, richiesto ovvero eventualmente già adottato, al fine di poter rispondere al secondo quesito attenzionato. E, altresì, muovendo dalla considerazione secondo cui la proroga del termine avviene automaticamente, in via generalizzata ed ex lege, senza l’intermediazione del potere amministrativo.

Ad avviso dell’Adunanza Plenaria, l’atto di proroga avrebbe natura di atto meramente ricognitivo di un effetto prodotto automaticamente dalla legge e, quindi, alla stessa direttamente riconducibile[15].

Si tratterebbe, dunque, di una legge-provvedimento che non dispone in via generale e astratta, ma, intervenendo su delimitate situazioni concrete, recepisce e “legifica”, prorogandone il termine, le concessioni demaniali rilasciate in passato.

Invero, se una legge proroga la durata di un provvedimento amministrativo, quel contenuto continua a essere vigente in forza e per effetto della legge. Di tal che, assurge necessariamente a fonte regolatrice del rapporto rispetto al quale l’atto amministrativo, che eventualmente intervenga, finisce per rivestire natura meramente ricognitiva dell’effetto prodotto dalla norma legislativa di rango primario.

Si sarebbe verificata, quindi, una novazione sostanziale della fonte di regolazione del rapporto, il cui fondamento giuridico risiederebbe appunto, nella legge e non più nel provvediment, in particolare per ciò che attiene alla durata del rapporto.

Per tale via, se la proroga è direttamente disposta per legge ma la relativa norma che la dispone non avrebbe potuto e non può essere applicata, siccome in contrasto con il diritto dell’Unione, l’effetto della proroga deve considerarsi tamquam non esset.

A venire in rilievo – argomenta l’Adunanza Plenaria – sono le dinamiche di disapplicazione della fonte primaria, regolante il rapporto di diritto pubblico, a importare l’effetto di mancata proroga delle concessioni.

Sicchè, l’Amministrazione non esercita alcun potere di autotutela con tutti i vincoli che la connotano: invero, il provvedimento di secondo grado, espressione dell’autotutela, non può avere a oggetto una disciplina contenuta nella legge.

Peraltro, non si può evitare di considerare la peculiare funzione assolta dall’atto ricognitivo eventualmente adottato dall’Amministrazione: esso non costituisce il portato del potere autoritativo riconosciuto alla soggettività pubblica, pur essendo in ogni caso riconducibile alla posizione dell’Amministrazione all’interno dell’ordinamento giuridico generale.

Tale provvedimento è, invero, funzionale a rappresentare il verificarsi di un fatto – la proroga – con un grado di certezza che consente alla collettività di fare affidamento su di esso, al fine di rendere affidabile il traffico economico e giuridico, che deriva appunto dal ruolo svolto dall’Amministrazione nell’ambito di una società fluida quale quella contemporanea, in cui anche numerosi rapporti tipicamente amministrativi sono regolati in assenza di un provvedimento espresso.

Siffatto ruolo consente alle Amministrazioni pubbliche di creare certezze giuridicamente rilevanti per i terzi, laddove ai privati è inibita questa facoltà rispetto a soggetti estranei al rapporto negoziale.

Analoghe considerazioni valgono anche nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole al concessionario demaniale.

In conclusione, secondo il Consiglio di Stato in composizione plenaria, il contrasto con il diritto europeo della legge nazionale che ha disposto la proroga ex lege delle concessioni demaniali determina il venir meno degli effetti della concessione in conseguenza della non applicazione della disciplina interna altresì nei casi in cui siano stati adottati formali atti di proroga e nelle ipotesi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole.

La Plenaria è, tuttavia, consapevole e preoccupata del notevole impatto anche sociale ed economico che tale immediata non applicazione può comportare, specie in un contesto connotato da un regime di proroga che è frutto di interventi normativi stratificatisi nel corso degli anni, a far data dalla prima proroga disposta dall’art. 1, comma 18, d.l. n. 1947/2009, convertito con modificazione in legge 26 febbraio 2010, n. 25, fino al 31 dicembre 2015.

In questo quadro normativo, l’Adunanza Plenaria, applicando principi analoghi a quelli già espressi nella sentenza n. 13 del 2017, ha ritenuto che, a fronte di un quadro di incertezza normativa, sussistano i presupposti per modulare gli effetti temporali della propria decisione.

Nel caso di specie, peraltro, la graduazione degli effetti è resa necessaria dalla constatazione che la regola in ossequio alla quale le concessioni balneari debbono essere affidate all’esito della procedura pubblica e imparziale richiede di prevedere un lasso di tempo necessario per svolgere la competizione, nell’ambito del quale i rapporti concessori continueranno a essere regolati dalla concessione già rilasciata.

Pertanto, l’Adunanza Plenaria, consapevole della portata nomofilattica della propria decisione, della necessità di assicurare alle Amministrazioni un ragionevole lasso di tempo per intraprendere le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara, nonché degli effetti ad ampio spettro che inevitabilmente deriveranno su una moltitudine di rapporti concessori, ha ritenuto che detto intervallo temporale per l’operatività degli effetti della decisione medesima possa essere congruamente individuato al 31 dicembre 2023.

Scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente dal fatto se vi sia o meno un soggetto subentrante nella concessione. Con la precisazione che eventuali proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni disciplina comunque diretta a eludere gli obblighi comunitari) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili a opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere.

Dal ragionamento seguito dall’Adunanza Plenaria appare icto oculi come il Consiglio di Stato abbia, più o meno spontaneamente ma sicuramente arditamente, “assunto quella decisione”, tanto ovviata dal Legislatore, di trasformare il regime concessorio delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, cristallizzando sì situazioni esistenti da molti anni, ma nel contempo prevedendo che a un certo punto le concessioni in essere necessariamente scadano.

La ratio sottesa a tale decisione appare risiedere, precipuamente, nella considerazione secondo cui la proroga automatica è istituto che viola il principio avente rilevanza costituzionale della concorrenza, senza dubbio operante nella fase dell’affidamento di concessioni demaniali, le quali altro non sono se non concessioni aventi a oggetto beni e servizi pubblici connotati dal fine di migliorare la qualità della vita dei cittadini oltra alla cura dei beni stesso.

Alla luce dei principi espressi nelle sentenze nn. 17 e 18, il Consiglio di Stato, nella fattispecie che ci occupa, ribadisce fermamente che le concessioni demaniali con finalità turistiche e ricreative in essere conservano la propria efficacia sino al 31 dicembre 2023, al fine precipuo di consentire alle Amministrazioni di predisporre le procedure di gara richieste.

Ben lungi dall’intento di indagare ulteriormente il nodo problematico, già esaminato funditus nelle rammentate sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria, la Sezione Settima si è opportunamente limitata a fare applicazione dei predetti enunciati al caso di specie, addivenendo alla conclusione che le doglianze proposte dall’odierna appellante non possano che essere disattese. Peraltro, ha compensato le spese di giudizio stante l’evoluzione della giurisprudenza nel corso del giudizio.

Il Consiglio di Stato pare, dunque, allinearsi alla posizione coraggiosamente elaborata sul tema nel novembre scorso. E sembra, ragionevolmente, restare in attesa di intervento propulsivo, questa volta da parte dell’organo cui “spetterebbe” in via primaria: il Legislatore.

L’auspicio è poter decidere le future vicende sottoposte al suo vaglio in un clima di maggiore certezza giuridica per gli operatori economici e per le Amministrazioni nonchè di maggiore tranquillità istituzionale. Ma, soprattutto, non dover più sacrificare il proprio ruolo di giudice-interprete per privilegiare quello di “ausiliare” di un Legislatore marcatamente temporeggiatore e, financo, non dover ancora compiere scelte di opportunità nonchè di contemperamento di molteplici interessi, appannaggio esclusivo della politica.

 

[1] La bibliografia sul tema è molto vasta. Si segnalano, senza pretesa di esaustività, i lavori monografici di A. Giannelli, Concessioni di beni e concorrenza, Napoli 2018 e M. Timo, Le concessioni balneari alla ricerca di una disciplina fra normativa e giurisprudenza, Torino, 2020; F. Capelli, Evoluzioni, splendori e decadenza delle direttive comunitarie, Impatto della direttiva CE n. 2006/123 in materia di servizi: il caso delle concessioni balneari, Napoli 2021; nonché B. Caravita di Toritto, G. Carlomagno, La proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime. Tra tutela della concorrenza ed economia sociale di mercato. Una prospettiva di riforma, in federalismi.it, n. 20/2021; i contributi raccolti nel volume a cura di A. Lucarelli, B. De Maria, M.C. Girardi, Governo e gestione delle concessioni demaniali marittime, Principi costituzionali, beni pubblici e concorrenza tra ordinamento europeo e ordinamento interno, in Quaderni della Rassegna di diritto pubblico europeo, 7, Napoli 2021 e, con specifico riguardo al decreto con cui il Presidente del Consiglio di Stato ha richiesto l’intervento dell’Adunanza Plenaria, R. Dipace, All’Adunanza Plenaria le questioni relative alla proroga legislativa delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, in Giustiziainsieme.it 2021; M.A. Sandulli, “La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria”, in Rivista Diritto e Società n. 3/2021.

[2]Con specifico riguardo al demanio marittimo, gli articoli 36 e 37 cod. nav. che dispongono che “L’amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo”, e che “Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell’amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico”.

Qualche indicazione in più è rinvenibile nel Regolamento per l’esecuzione dello stesso codice (d.P.R. n. 328/1952), che, all’art. 18, prevede una modalità particolare di evidenza pubblica, avviata e condizionata dalla presentazione di una domanda di concessione (per certi aspetti analoga a quella prevista dall’art. 7 del TU della legislazione sulle acque pubbliche – R.D. n. 1775/1933 – per le concessioni di queste ultime, ma) con un regime di pubblicità molto ridotto.

L’art. 37, comma 2 cod. nav. stabiliva, peraltro che, nell’ipotesi di plurime domande di concessione di beni demaniali marittimi, fossero preferite in sede di rinnovo, i titolari delle pregresse concessioni.

Il d.l. 5 ottobre 1993 n. 400, convertito nella l. n. 494, recante disposizioni per la determinazione dei canoni delle concessioni demaniali marittime, stabiliva poi all’art. 1 che “1. La concessione dei beni demaniali marittimi può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, per l’esercizio delle seguenti attività:

- gestione di stabilimenti balneari;

- esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio;

- noleggio di imbarcazioni e natanti in genere;

- gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive;

- esercizi commerciali;

- servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione”.

Il comma 2 dello stesso articolo, come modificato dall’art. 10 della l. n. 88/2001, “autenticamente interpretato” dalla l. n. 172/2003, infine abrogato dalla l. n. 217/2011 per far posto alle proroghe “a data unica”, dopo aver fissato in 6 anni la durata delle concessioni “indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività”, stabiliva peraltro che le concessioni con finalità turistico-ricreative di cui alle lettere da a a f (a eccezione di quelle rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorità portuali di cui alla l. 28 gennaio 1994 n. 84) fossero tutte automaticamente prorogate di ulteriori 6 anni a ogni scadenza.

Ancora, la l. n. 296/2006, c.d. “legge finanziaria 2007’’, modificando l’art. 3, d.l. n. 400/1993, stabiliva che le concessioni demaniali marittime dovessero avere una durata non inferiore ai 6 e non superiore ai 20 anni “in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.

[3]M.S. Giannini, I beni pubblici, Roma, Bulzoni, 1963; S. Cassese, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, Giuffrè, 1967. Più recentemente, M. Renna, Beni pubblici, in Dizionario di diritto pubblico, I, diretto da S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006, 714 ss.; I beni pubblici: tutela, valorizzazione e gestione, a cura di A. Police, Milano, Giuffrè, 2008. Riguardo allo strumento concessorio, sempre attuali le considerazioni di M. D’Alberti, Concessioni e concorrenza, in Agcm, Temi e problemi, n. 8, Roma, 1998, 14, e per un inquadramento anche in chiave storica, B. Tonoletti, Beni pubblici e concessioni, Padova, Cedam, 2008.

[4]In questi termini, Corte cost., 22 ottobre 2010, n. 302.

 

[5]Cosi in https://www.unioncamere.gov.it.

[6]La legge n. 145/2018 e il decreto legge n. 34/2020, che hanno stabilito la scadenza del 31 dicembre 2033.  

[7]Per un primo commento sulle sentenze, si veda E. Cannizzaro, Demanio marittimo. Effetti in malam partem di direttive europee? In margine alle sentenze 17 e 18 dell’Ad. plen. del Consiglio di Stato; F.P. Bello, Primissime considerazioni sulla “nuova” disciplina delle concessioni balneari nella lettura dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, entrambi in Giustiziainsieme.it, 2021 e M. Timo, Concessioni balneari senza gara … all’ultima spiaggia, in Riv. giur. edil., n. 5/2021 e ivi ulteriori richiami.

[8]Di cui sono prova i numerosi incontri di studio che si sono susseguiti e ancora si susseguono all’indomani della pubblicazione delle pronunce rese dall’Adunanza Plenaria. Si ricordano, fra gli altri, Demanio e mare: il problema delle concessioni alla luce dell’adunanza plenaria, organizzato dall’Università della Calabria il 22 novembre 2021, e Diritto dell’Unione Europea e concessioni balneari alla luce delle recenti sentenze dell’Adunanza Plenaria, organizzato dall’Università degli studi di Napoli Federico II il 20 dicembre 2021, cui adde la Relazione tenuta sul tema da G. Morbidelli, al convegno IGI del 14 dicembre 2021.

[9]La quale era pervenuta alla affermazione, in sintesi, dei seguenti principi di diritto: a) l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che essa osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati; 2) l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo.

[10]Per i quali si rinvia alla lettura della pronuncia resa dal Consiglio di Stato.

[11]L’Adunanza ricorda che, in particolare, nella sentenza Fratelli Costanzo si legge espressamente che “tutti gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali”, sono tenuti ad applicare le disposizioni UE self-executing, “disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi” (22 giugno 1989, C-103/88).

Inoltre, anche la Consulta, con la sentenza n. 389 del 1989, ha ribadito che “tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge) – tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi – sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le norme” eurounitaria nell’esegesi datane dalla Corte di giustizia europea.

A sua volta, il Consiglio di Stato, sin dalla pronuncia 6 aprile 1991, n. 452, ha chiarito che tutti i soggetti dell’ordinamento, inclusi gli organi amministrativi, devono riconoscere quale diritto legittimo e vincolante le norme europee, non applicando le norme nazionali confliggenti.

[12]Si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 25 gennaio 2005, n. 168; Id., sez. V, 31 maggio 2007, n. 2825.

[13]In particolare, Corte cost. n. 180/2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, l.r. Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8; Corte cost. n. 213/2011 che ha dichiarato illegittimi l’art. 4, comma 1, l.r. Marche 11 febbraio 2010, n. 7; l’art. 5, l.r. Veneto 16 febbraio 2010, n. 13; gli artt. 1 e 2, l.r. Abruzzo18 febbraio 2010, n. 3.

[14]A tale riguardo si possono richiamare, con precipuo riguardo alla questione dell’obbligo di autotutela su un atto amministrativo comunitariamente invalido, le sentenze Khun (C-453/04) e Kempter (C-2/06), in cui la Corte UE, pur escludendo la sussistenza di un generalizzato obbligo di autotutela o di riesame, individua talune condizioni in presenza delle quali tale obbligo sussiste, anche in presenza di giudicato che abbia escluso l’illegittimità del provvedimento medesimo.

Ad avviso della Corte, tale obbligo sussiste quando: a) l’Amministrazione disponga secondo il diritto nazionale del potere di riesame; b) l’atto amministrativo sia divenuto definitivo in seguito a una sentenza di un Giudice nazionale di ultima istanza; c) tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della CGUE successiva alla medesima, risulti fondata su una interpretazione errata del diritto adottata senza che la Corte fosse stata adita in via pregiudiziale.

[15] In tal senso, prima delle sentenze nn. 17 e 18 del 2021, Consiglio di Stato, sez. VI, 18 novembre 2019 n. 7874.

 

 

 

Il Consiglio di Stato

                                    in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5235 del 2018, proposto da 
Turismo Sostenibile S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Cocchi, Gerolamo Taccogna, Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n.44; 

contro

Comune di Imperia, Regione Liguria, non costituiti in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 987/2017


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio il ricorso incidentale proposto dalla ricorrente incidentale Società Balneare Turistica Imperiese S.p.A.; 

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2022 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Corbyons per la società appellante e Ilaria Greco per la società controinteressata; 

Viste, altresì, le conclusioni della parte appellante come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

La Società Balneare Turistica Imperiese, titolare di concessione relativa allo stabilimento balneare “Spiaggia d’oro” e della concessione relativa allo stabilimento “Conca d’oro” entrambe prorogate, fino al 31 dicembre 2020, ad istanza dell’interessata, rispettivamente con la licenza 16 dicembre 2014 n. 104 rep. 3376 e con la licenza 16 dicembre 2014 n. 103 rep. 3377, presentava al Comune di Imperia due distinte domande di concessione pluriennale, aventi ad oggetto gli stessi beni demaniali già nella propria disponibilità. 

Il progetto relativo allo stabilimento balneare Spiaggia d’oro prevedeva anche il restauro della cosiddetta “Palazzina Liberty” che ospita al piano terra il bar/ristorante dello stabilimento. Con l'istanza veniva chiesta la estensione della concessione anche al primo piano dell’immobile, già in concessione al Comune di Imperia.

Pubblicata la domanda ai sensi dell’art. 18 Reg Nav. Mar. la Società Turismo Sostenibile s.r.l., presentava due istanze concorrenti per l’assegnazione, per venti anni, dei compendi.

L’Ente locale, con nota 2 agosto 2016 chiedeva alla Regione Liguria un parere per conoscere “se le attuali licenze demaniali marittime con scadenza 31/12/2020 siano da ritenere valide e se possono essere istruite nuove istanze di concessioni demaniali marittime”. 

Il 16 agosto 2016 la Regione Liguria rendeva il proprio parere nel senso che: a. le attuali concessioni, anche quelle ex lege prorogate al 2020, “sono da ritenere valide come confermato dal Legislatore statale con il recente d.l. 113 del 24 giugno 2016, all’art. 24, comma 3 septies”; b potevano essere istruite, attraverso procedure ad evidenza pubblica, nuove istanze di concessioni demaniali marittime per licenza con durata massima di anni 4 o istanze di concessione per atto formale per una durata massima di 20 anni; c “qualora l’istanza venga formulata dall’attuale concessionario, lo stesso si impegna a rinunciare alla concessione nel caso in cui, in esito alla procedura ad evidenza pubblica, venga prescelto un altro soggetto”.

Ricevuto il parere, il Comune di Imperia, con nota 1 settembre 2016 chiedeva alla concessionaria, per la prosecuzione dei procedimenti, di "confermare" l’impegno a rinunciare alle concessioni in essere “anche nel caso in cui, in esito alla procedura ad evidenza pubblica, sia prescelto un soggetto

diverso …”. Il 27 settembre 2016 l’attuale appellante comunicava all’Amministrazione comunale la decisione di “proseguire l’esercizio delle attuali concessioni sino al 31/12/2020 ai sensi dell’art. 24, comma 3 septies D.L. 113/2016”, senza alcuna anticipata rinuncia alle medesime.

Il Comune di Imperia con le note 6 ottobre 2016 n. 40050 e n. 40046 preannunciava alla concessionaria il rigetto delle domande per assenza dei presupposti per l’assegnazione di nuove concessioni e contestualmente preannunciava alla controinteressata il rigetto delle domande concorrenti dalla medesima presentate “in quanto manca l’impegno della Società Balneare Turistica Imperiese a rinunciare alla(e) concessione(i)… in scadenza il 31/12/2020”. In data 10 novembre 2016 l’ente locale concludeva i procedimenti avviati a seguito delle istanze presentate dalla Società Balneare Turistica Imperiese e di quelle concorrenti in coerenza con le precedenti comunicazioni.

La Società Turismo Sostenibile impugnava innanzi al Tar Liguria i provvedimenti di rigetto delle domande concorrenti da essa proposte unitamente al parere della Regione Liguria e con motivi aggiunti estendeva l’impugnativa alle concessioni 16 dicembre 2014 n. 3377 (relativa allo Stabilimento Conca d’oro) e 16 dicembre 2014 n. 3376 rep. n. 104/2014 (relativa allo Stabilimento Spiaggia d’oro) in capo alla Società Balneare Turistica Imperiese, sostenendo di averne avuto conoscenza solo a seguito della produzione in giudizio da parte della controinteressata.

Con la sentenza gravata, il Tar Liguria rigettava il ricorso, avendo ritenuto infondati i motivi dedotti con l’atto introduttivo e tardive le censure formulate con l’atto di motivi aggiunti avverso le concessioni demaniali del 16 dicembre 2014.

Appellata ritualmente la sentenza, resisteva la Società Balneare Turistica Imperiese s.p.a. la quale proponeva appello incidentale riproponendo i motivi di ricorso incidentale dichiarati inammissibili per carenza di interesse.

La Regione Liguria e il Comune di Imperia non hanno spiegato difese.

All’udienza del 10 maggio 2022 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo l’appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata per non avere ritenuto che le domande di nuova concessione demaniale implicassero rinuncia alle concessioni in essere; Infrapetizione; Violazione dei principi nazionali ed euro-unitari dell’evidenza pubblica; Violazione dei principi di uguaglianza ed imparzialità. 

2.Con il secondo motivo deduce violazione, sotto un ulteriore profilo, dei principi nazionali ed euro-unitari dell’evidenza pubblica e dei principi di uguaglianza ed imparzialità; Violazione delle regole di interpretazione degli atti giuridici ed in particolare della regola che, fra più opzioni, impone di scegliere quella che faccia apparire il contenuto dell’atto conforme a legge, piuttosto che quella che ne determini il contrasto con la legge stessa. Difetto di motivazione.

Le censure suscettibili di trattazione congiunta non sono fondate.

Il Tar ha osservato che le istanze della odierna appellata si chiudevano con la seguente frase: “Si fa altresì presente che una volta eseguito l’atto formale di avvenuto perfezionamento del rilascio della concessione demaniale di cui sopra comporterà da parte della società la contestuale rinuncia all’attuale licenza demaniale marittima in atto sino al 31.12.2020” e che da questo si evinceva la volontà di non rinunciare alle concessioni in essere se non nel caso e all’atto del rilascio dei nuovi titoli aventi durata trentennale.

L’ atto di rinuncia produce un tipico effetto diretto, ossia la dismissione di un diritto, sicché lo stesso non può essere equivoco. Non è revocabile in dubbio la considerazione che la rinuncia sia atto essenzialmente unilaterale. Di fronte al potere di rinuncia non vi sono né più parti né destinatari in senso tecnico. L’atto di rinuncia costituisce regolamento di interessi di una sola parte, ovvero del titolare del diritto soggettivo. Peraltro è agevole escludere dal novero della rinuncia vera e propria le fattispecie nelle quali l’intento dell’autore non è quello di dismettere un diritto essendo diretto altresì ad un fine ulteriore, che si innesta nella causa del negozio, modificandone la natura.

Nella specie, lungi dal rinunciare alle concessioni in essere sino al 31.12.2020 la concessionaria ha sostanzialmente chiesto il rilascio una nuova concessione che costituiva un ampliamento temporale, con modifiche, di quella in essere.

Ne consegue che correttamente il Tar ha ritenuto la legittimità delle determinazioni del Comune di Imperia, il quale, preso atto della contraria volontà manifestata dalla richiedente a rinunciare anticipatamente alle concessioni di cui era titolare, ha ritenuto che fossero venuti meno i presupposti per l’espletamento di una procedura comparativa intesa al rilascio delle nuove concessioni.

3. Con il terzo motivo l’appellante deduce la violazione dei principi e delle regole sull’individuazione degli atti amministrativi impugnabili e sull’onere di impugnazione. 

Osserva che le concessioni rilasciate alla controparte nel 2014 non assumono alcuna propria valenza provvedimentale lesiva, quanto piuttosto un mero carattere ricognitorio di un effetto che non è loro proprio, bensì il frutto delle norme di legge che hanno disposto la proroga generalizzata delle concessioni demaniali marittime fino al termine del 2020. 

4. Con il quarto motivo, in subordine deduce violazione dei principi e delle regole sulla decorrenza dell’onere di impugnazione degli atti amministrativi. 

5. Con il quinto ripropone i motivi aggiunti, riguardo alla proroga dell’efficacia delle concessioni della Società Balneare Turistica Imperiese. 

Le censure, suscettibili di trattazione congiunta non sono fondate per i motivi che si vanno a precisare.

L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, con le sentenze n.ri 17 e 18 del 2021 ha affermato i seguenti principi di diritto:

-Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, s.l. n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77 del 2020 – sono in contrasto con il diritto euro unitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.

-Ancorché siano intervenuti atti di proroga delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari; non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata; la non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto.

-Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere, nonché di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.  

Ne consegue che sebbene il provvedimento amministrativo adottato dall'amministrazione in applicazione di una norma nazionale contrastante con il diritto eurounitario debba essere considerato tamquam non esset, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, per dare modo alle amministrazioni di predisporre le procedure di gara richieste, sicché le doglianze proposte devono essere disattese.

Le superiori considerazioni fondano il rigetto del settimo motivo di ricorso avente ad oggetto la presunta illegittimità della licenza rilasciata dal Comune a sé per il primo piano della Palazzina Liberty presso la Spiaggia d’Oro, in data 4-10-2016.

6. La trattazione del sesto motivo con il quale si lamenta l’omesso esame delle doglianze, a causa dell’erroneamente ritenuta infondatezza - improcedibilità - inammissibilità degli altri motivi di ricorso deve ritenersi assorbito dal rigetto dei motivi precedenti.

L’appello incidentale, con il quale sono stati riproposti i motivi di ricorso incidentale, nell’ipotesi di accoglimento dell’appello principale, deve dichiararsi inammissibile per carenza di interesse. 

L’appello principale deve essere, pertanto, rigettato è l’appello incidentale dichiarato inammissibile. 

In considerazione dell’evoluzione della giurisprudenza nel corso di giudizio, sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2022