il punto della situazione
Le misure anticicliche adottate da Governo e Parlamento, a gravare sul bilancio UE, per tentare di arginare la crisi economica conseguita alla pandemia da SARS-COV 2, non hanno avuto il tempo di essere attuate che l’irrompere del conflitto ucraino pone già il tema di una possibile revisione delle relative linee d’intervento. Frattanto, pare che in Italia qualcosa già non funzionasse, a fronte di riforme incentrate più sulla fase di affidamento dei contratti pubblici che su quella fase esecutiva, in relazione alla quale si sono registrati interventi sulla risoluzione alternativa delle controversie (con la modifica all’art. 207 sul collegio consultivo-tecnico), ma nulla è stato previsto per evitare l’insorgere delle liti. Solo con il varo, di recente, del decreto ‘Sostegni ter’, il legislatore è intervenuto sull’istituto della revisione dei prezzi, in relazione al quale la disciplina contenuta nel codice del 2016 manifestava invero sin dall’origine carenze significative, con effetti negativi che negli ultimi anni si sono vieppiù aggravati dapprima a causa della pandemia, che ha comportato difficoltà nell’approvvigionamento dei materiali e della componentistica elettronica, con conseguente aggravamento dei costi, e quindi con il conflitto russo-ucraino, che ha avuto come conseguenza una crisi energetica e agroalimentare alla quale i governi di tutto il mondo tentano di dare risposta.
È noto che nel vigore del vecchio codice il compenso revisionale era dovuto a prescindere da una previsione in tal senso espressa nel bando di gara, avendo anzi la giurisprudenza chiarito che anche nel caso in cui l’amministrazione avesse inteso vietare, nella lex specialis, qualsiasi ipotesi revisionale, il giudice eventualmente adito avrebbe dovuto dichiarare nulla la relativa clausola, per contrasto di essa con norme imperative a carattere economico (con conseguente sostituzione della stessa con la disciplina obbligatoria prevista per legge: cfr. T.A.R. Brescia, sez. I, 03/07/2020, n.504).
In tutt’altro senso si è attestato il codice del 2016, che nell’inquadrare l’istituto della revisione prezzi nell’ambito delle modifiche dei contratti in corso d’opera ha previsto che “I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati…omissis… se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi” (art. 106, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 50/2016). Tale disciplina ha manifestato tutti i suoi limiti con l’avvio dell’attuazione del PNRR, accompagnato dall’aumento incontrollato dei prezzi dei materiali da costruzione, della componentistica elettronica e dei trasporti, e ora anche dell’energia e dei prodotti agroalimentari.
L’intervento correttivo, invocato a gran voce dalle associazioni di categoria e, più di recente, anche dall’Anac, si è ora materializzato con l’entrata in vigore dell’art. 29 del D.L. n. 4 del 27.1.2022 (cd. Decreto sostegni-ter), convertito in Legge n. 25 del 28.3.2022 (in G.U. n. 73 del 28 marzo 2022, S.O. n. 13).
In linea con il trend legislativo delle riforme ‘a tempo’, che la caratterizza la disciplina ‘della ripartenza’ nel settore dei contratti pubblici, l’art. 29 del DL cit. dispone in sostanza una ‘moratoria’ della facoltatività delle clausole che prevedano compensi revisionali, da prevedere ora obbligatoriamente nei bandi di gara con clausole chiare e univoche, sebbene limitatamente alle gare bandite tra la data di entrata in vigore del Decreto Legge (28.1.2022) e il 31.12.2023 (cfr. l’art. 29, comma 1, lett. a, D.L. n. 4/2022).
Sempre in via temporanea, ma questa volta solo per i lavori pubblici, è poi disposta una deroga all’art. 106, comma 1, lett. a), commi da 2 a 4 del codice, nella misura in cui viene previsto che le variazioni, sia in aumento che in diminuzione, dei prezzi dei materiali da costruzione vadano riconosciute dalle stazioni appaltanti se singolarmente d’importo superiore al 5% (e non più al 10%) e solo per la parte eccedente tale limite, secondo parametri valutativi che saranno stabiliti, in base alle rilevazioni annuali dell’ISTAT, con decreto del MIT da pubblicarsi entro il 30 aprile di ciascun anno (art. 29, comma 1, lett. b, e commi 2 e 3). La revisione non è dovuta per il primo anno di durata del contratto (art. 29, comma 5) e grava sull’appaltatore, a pena di decadenza, l’onere di presentare l’istanza di compensazione entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto del MIT nella Gazzetta Ufficiale (art. 29, comma 4). All’istanza va allegata tutta la documentazione utile a dimostrare l’aggravamento dei costi rispetto alle documentate previsioni d’offerta, essendo la compensazione dovuta nella misura prevista dal decreto ovvero in quella inferiore eventualmente dimostrata.
Secondo la giurisprudenza formatasi su previsioni a carattere emergenziale dal contenuto in tutto analogo a quello ora riproposto dall’art. 29 del D.L. cit. (cfr. l’art. 1 del D.L. 162/2008, allora approvato per far fronte all’ultima, grave crisi economica), in presenza delle condizioni stabilite dalla legge l’appaltatore vanta un vero e proprio diritto soggettivo a ottenere il compenso revisionale, in ciò differenziandosi la disciplina delle ‘compensazioni’ valida per i lavori, da quella della revisione dei prezzi negli appalti di servizi e forniture (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 26.07.2021, n. 5531). Diritto che, comunque, può esser fatto valere innanzi al giudice amministrativo, in virtù della giurisdizione esclusiva a questi spettante in subjecta materia (art. 133, d.lgs. n. 104/2010).
Agli appalti di servizi e forniture la disciplina introdotta dal decreto “Sostegni-ter” si applica solo con riferimento all’obbligo d’inserimento nei bandi di gara della clausola revisionale. Con la conseguenza che troverà applicazione, anche per tali appalti, la regola di origine pretoria cui si è fatto sopra riferimento, che prevede la sostituzione di diritto delle clausole che vietino la revisione con la disciplina imperativa di legge.
Prima dell’entrata in vigore del decreto Sostegni-ter, il bando tipo (approvato dall’ Anac con Delibera del Consiglio dell’Autorità n. 1/2021) aveva già invero evidenziato l’esigenza che le stazioni appaltanti inseriscano nei bandi di gara clausole di revisione inequivoche, con condizioni chiare di ammissibilità dell’istanza, individuando i parametri per la relativa quantificazione tenendo “conto dei prezzi di riferimento, ove definiti”. Tale indicazione continua ad avere perdurante validità in virtù della mancata abrogazione delle norme settoriali che si sono succedute nel tempo in relazione alla misura del compenso revisionale. Cosicché, anche dopo il decreto sostegni-ter, per quanto riguarda gli appalti indetti dalle aziende sanitarie e ospedaliere occorrerà farsi riferimento ai prezzi rilevati dall’Osservatorio, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a), D.L. 6.07.2011 n. 98 (convertito in legge 15.07.2011, n. 111); così come per le altre amministrazioni aggiudicatrici e per i soggetti aggiudicatori si farà riferimento ai costi standard nella misura stabilita dall’art. 9, comma 7, del D.L. n. 66/2014 (convertito in L. n. 89/2014). Per i contratti stipulati con i soggetti aggregatori di cui al medesimo art. 9, D.L. n. 66/2016, la revisione va infine riconosciuta nei limiti d’incremento superiore al 10%, ai sensi dall’art. 1, comma 511, della L. 208/2015 (avendo a tal proposito il legislatore considerato un’alea di rischio in capo all’appaltatore, in conformità a quanto previsto dall’art. 1664 cod. civ.).
Come detto, la revisione prezzi delineata dalla riforma si applica alle sole gare bandite dopo l’entrata in vigore del decreto sostegni-ter; il che costituisce probabilmente il più grave limite dell’intervento, in quanto gli effetti negativi degli eventi eccezionali verificatisi nel corso degli ultimi due anni si sono già prodotti e continuano comunque a prodursi, hic et inde, sulle gare in corso d’esecuzione, con elevati rischi di default delle imprese dei più disparati comparti produttivi.
Una misura per attenuare tale rischio è stata introdotta, ma solo per i lavori pubblici, dalla legge di conversione del decreto, con riferimento agli appalti da eseguire in attuazione di accordi quadro efficaci ovvero anche solo aggiudicati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. In particolare, è previsto che per l’esecuzione degli accordi quadro di lavori stipulati ai sensi dell’art. 54, comma 2 e 3, del d.lgs. n. 50/2016, le amministrazioni aderenti possano (questa volta non ‘devono’) fare riferimento, nei limiti delle risorse disponibili per l’intervento, ai prezzari regionali aggiornati ai sensi dell’art. 29, comma 12, D.L. cit.; nelle more dell’aggiornamento dei prezzari si può fare riferimento alle rilevazioni considerate dal MIT ai fini dell’approvazione del decreto di cui al comma 2. In entrambi i casi i nuovi prezzi vanno depurati dai ribassi proposti in gara (v. l’art. 29, comma 11-bis, inserito dalla legge di conversione n. 25/2022).
Va infine segnalato, de iure condendo, che il testo della legge delega di riforma del codice dei contratti pubblici già approvato in Senato, sul quale è stata appena avviata la discussione alla Camera, demanda al legislatore delegato d’inserire nel nuovo codice la “previsione dell’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta, stabilendo che gli eventuali oneri derivanti dal suddetto meccanismo di revisione dei prezzi siano a valere sulle risorse disponibili del quadro economico degli interventi e su eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante da utilizzare nel rispetto delle procedure contabili di spesa” (art. 1, lett. f, testo approvato). La riforma in cantiere ha il pregio di garantire una prospettiva di stabilizzazione della normativa emergenziale, quantomeno per quanto attiene l’obbligatorietà della revisione prezzi. Ma la generalizzazione del criterio dell’imprevedibilità degli incrementi di prezzo, invero pertinente rispetto ai settori dei lavori e delle forniture, e meno a quello dei servizi, potrebbe condurre a soluzioni inique, quantomeno con riferimento agli appalti di servizi labour intensive. Nell’ambito di tali appalti, infatti, il costo di gran lunga più rilevante è quello della manodopera, per il quale gli incrementi di prezzo sono in genere prevedibili nell’an, ma non nel quantum, all’atto della formulazione dell’offerta. Le stazioni appaltanti potrebbero dunque obiettare, a fronte di una richiesta di adeguamento dei compensi che invochi la l’aggiornamento del CCNL quale causa sopravvenuta, che l’incremento di costo era comunque prevedibile all’atto della formulazione dell’offerta, sebbene che nessuno potesse invero calcolarne la misura. Con la conseguenza che la revisione potrebbe non essere concessa, con effetti potenzialmente incidenti sui diritti dei lavoratori, ultima – ed eterna – parte debole della catena. Per converso, nell’attuazione della delega dovrà considerarsi, ferma ovviamente la scrupolosa osservanza dei criteri, che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha anche di recente ribadito che il mancato riconoscimento della revisione prezzi negli appalti di durata ad effetti continuativi e periodici integra un’ipotesi d’ingiustificato arricchimento a vantaggio dell’amministrazione (Ad.Pl. n. 14, 6 agosto 2021).