Consiglio di Stato, sez. V, 27 settembre 2021, n. 6496
Non costituisce quindi il possesso di un determinato codice ATECO neppure un requisito di partecipazione alla gara, ma mero elemento di identificazione e classificazione del tipo di attività, che delinea immediatamente e univocamente i contenuti della relativa licenza;
l’unica funzione dei codici ATECO (consistenti in una combinazione alfanumerica) si risolve in una classificazione a fini statistici, fiscali e contributivi delle attività economiche che l’imprenditore dichiara di svolgere, senza alcun valore costitutivo né ricognitivo del titolo abilitativo allo svolgimento dell’attività, né dell’attività concretamente espletata, che può essere ricostruita soltanto facendo riferimento all’oggetto sociale, alle licenze possedute ed a quanto effettivamente svolto dal singolo esercizio commerciale (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 21 maggio 2018, n. 3035).
Guida alla lettura
Nel settore degli appalti la normativa europea e quella nazionale tendono a far si che l’aggiudicazione sia effettuata nel rispetto dei principi che regnano nell’ambito delle procedure, in primis, della tutela della concorrenza, e ,quindi, del favor partecipationis di tutti gli operatori economici.
Il suddetto settore degli appalti ha subito un notevole rallentamento a seguito dell’attuale situazione emergenziale; tuttavia la decretazione di urgenza, intervenuta nel 2020 e nell’anno in corso, ha cercato di ovviare al predetto arresto, introducendo nuovi istituti tesi ad accelerare le procedure in argomento.
La tematica che è stata esaminata dalla suddetta normativa emergenziale ha interessato anche l’individuazione della natura e della funzione dei Codici ATECO.
Come è noto con tale definizione si indica una classificazione, in particolare delle ATtività ECOnomiche; tale ripartizione è stata adottata dall’Istituto nazionale di statistica italiano (ISTAT) con il fine di effettuare una specifica rilevazione statistica nazionale di carattere preminentemente economico. Nel concreto tale nomenclatura consiste in una procedura alfa-numerica caratterizzata da differenti gradazioni di dettaglio che serve ad identificare le varie articolazioni dei settori economici interessati.
Pertanto anche se in tale contesto si fa esclusivo riferimento ad una vera e propria classificazione, tuttavia i suddetti Codici hanno avuto un ruolo importante, proprio in considerazione del verificarsi della predetta fase emergenziale.
Infatti, in relazione alle misure urgenti di contenimento del contagio sull'intero territorio nazionale, le Istituzioni hanno elencato i codici Ateco corrispondenti alle attività che erano state sospese[1].
Di conseguenza dottrina e giurisprudenza hanno cercato di evidenziare la natura dei richiamati Codici; in particolare, in considerazione del fatto che una mera, come detto, numerazione fosse potenzialmente in grado di determinare l’esclusione degli stessi operatori economici dal compimento di particolari attività, anche nell’ambito degli appalti.
Merito, pertanto, della pronuncia in esame è di aver delimitato il ruolo rivestito dall’ istituto in argomento.
Infatti il supremo Consesso, nel confermare che i richiamati Codici consistano in una combinazione alfa numerica, dichiara espressamente che l’enumerazione in oggetto svolga una funzione eminentemente statistica, fiscale e contributiva delle attività economiche che l’operatore economico compie.
Di conseguenza la funzione dei medesimi Codici è meramente dichiarativa ed accertativa, senza che la stessa svolga una funzione costitutiva.
Pertanto i giudici di appello evidenziano come l’attività concretamente compiuta dagli operatori economici possa essere ricavata da specifici elementi (oggetto sociale, licenze possedute e quanto effettivamente compiuto). Gli stessi magistrati affermano che solo con il ricorso a tali componenti si possa effettivamente individuare la funzione primaria della medesima attività, finalizzata, a sua volta, all’esatta individuazione della natura dell’appalto[2].
In conclusione l’utilizzo dei Codici Ateco serve ad indivicare tutte quelle attività che possono essere rappresentate nella domanda che ogni operatore economico deve effettuare, ai fini dell’iscrizione di quest’ultimo nel Registro delle imprese.
Alla luce di quanto prospettato si può ricavare l’importante principio in base al quale il giudice amministrativo tende sempre inevitabilmente ad adottare un approccio sostanzialistico.
Tale comportamento è giustificato dal fatto che, in tal modo, possano essere superati quegli ostacoli che il formalismo, spesso troppo ripetuto, tende necessariamente a creare, determinando, necessariamente, un aggravio per tutti gli operatori economici.
LEGGI LA SENTENZA
Pubblicato il 27/09/2021
N. 06496/2021REG.PROV.COLL.
N. 06028/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6028 del 2020, proposto da
Day Ristoservice S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Ivan Bullo, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuliana Fozzer, Nicolò Pedrazzoli, Sabrina Azzolini, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sabrina Azzolini in Trento, piazza Dante, 15;
APAC-Agenzia Provinciale per gli Appalti e i Contratti della Provincia Autonoma di Trento, non costituita in giudizio;
nei confronti
Società Cirfood s.c. cooperativa italiana di ristorazione società cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Eugenio Dalli Cardillo, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Unipolsai Assicurazioni S.p.A. non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Provincia di Trento, 30 giugno 2020, n. 104, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento e della Società Cirfood s.c. cooperativa italiana di ristorazione società cooperativa che ha proposto anche appello incidentale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2021 il consigliere Angela Rotondano, uditi per le parti, in collegamento da remoto secondo quanto stabilito dall'art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e dell’art. 1, comma 17, come modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, gli avvocati Bullo e Azzolini e preso atto delle note d'udienza depositate dall'avv. Dalli Cardillo ai sensi del d.l. 137/2020, conv. in legge 176/2020, e del d.l. 183/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con bando pubblicato in GUUE l’11 gennaio 2019, la Provincia Autonoma di Trento (di seguito “PAT”, “Provincia” o “Stazione appaltante”) indiceva, per il tramite dell’Agenzia Provinciale per gli Appalti e i Contratti della Provincia Autonoma di Trento (di seguito “APAC”), una procedura di gara aperta sopra soglia comunitaria, ai sensi degli artt. 16 e 17 della L.p. 9 marzo 2016, n. 2, da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la conclusione di una convenzione avente ad oggetto il “servizio sostitutivo di mensa, a favore dei soggetti e degli enti individuati all'art. 39 bis, comma 3, della L.P. 16 giugno 2006, n. 3 e all'art. 5 della L.P. 9 marzo 2016, n. 2 della Regione Autonoma Trentino Alto-Adige/Sudtirol - Lotto unico”, del valore complessivo stimato di € 55.392.000,00, per la durata di 4 anni.
1.1. In particolare, l’oggetto del servizio consisteva nella fornitura tramite buono pasto elettronico (di seguito anche “BPE”) di un pasto dalla composizione predefinita ai dipendenti, dovendo a tal fine l’operatore economico, come richiesto dalla lex specialis di gara, impegnarsi a convenzionare una rete di esercizi, oltre al “circuito di base” definito dalla stessa legge di gara, presso i quali “deve essere garantita la fruizione, fino al valore nominale del BPE, di generi alimentari di buona qualità organolettica” (cfr. art. 6.1 del Capitolato Tecnico).
Per quanto di interesse, la disciplina di gara prevedeva, inoltre, che gli esercizi convenzionati dovessero essere muniti delle relative licenze definite dai codici ATECO, elencate nello stesso capitolato, prevedendo (per il codice ATECO relativo alla ristorazione con preparazione di cibi d’asporto) di limitare l’utilizzabilità del buono pasto ai soli “pasti pronti al consumo immediato”.
Nello specifico, l’art. 6, comma 2 del Capitolato tecnico prevedeva che “gli Esercizi convenzionati devono: - essere muniti delle relative licenze come definite dai codici ATECO (Classificazione delle Attività Economiche), elencate nell’allegato n. 3 “Elenco codici ATECO” del presente Capitolato e dell’autorizzazione sanitaria di cui all'art. 2 della legge 30 aprile 1962, n. 283, nel caso di preparazione o manipolazione dei prodotti di gastronomia all'interno dell'Esercizio; - avere caratteristiche tali da garantire un’adeguata ricettività; - esporre la vetrofania (adesivo recante l’indicazione di accettazione del BPE presso l’Esercizio)”.
All’art. 10, commi 3 e 4, del capitolato tecnico si stabiliva poi che dovessero essere trasmessi alla Provincia autonoma gli accordi di convenzione sottoscritti con gli esercenti, precisando che la mancata costituzione del circuito comune degli esercizi (CCE) avrebbe precluso la stipulazione della convenzione, costituendo “motivo di decadenza dall’aggiudicazione”. L’art. 23.1. del disciplinare di gara, in particolare, imponeva all’aggiudicatario di fornire, entro quarantacinque giorni naturali e consecutivi dalla comunicazione dell’aggiudicazione, a pena di decadenza dall’aggiudicazione medesima, la prova dell’adempimento di quanto dichiarato nell’offerta tecnica circa la rete degli esercizi commerciali, trasmettendo ad APAC gli originali degli accordi di convenzione.
1.2. Alla gara partecipavano tre operatori economici: la società Cirfood s.c., cooperativa italiana di ristorazione società cooperativa (di seguito “Cirfood”), aggiudicataria uscente, prima classificata, era dichiarata decaduta per aver convenzionato 985 esercizi contro i 1251 esercizi offerti in gara (con provvedimento confermato dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento con sentenza del 17 dicembre 2019, n. 164); veniva poi esclusa dalla gara anche la Edenred Italia s.r.l., collocatasi al secondo posto; la procedura era quindi aggiudicata alla Day Ristoservice s.p.a. (nel prosieguo “Day Ristoservice”), classificatasi terza, la quale, a seguito dell’aggiudicazione provvisoria, trasmetteva alla stazione appaltante gli accordi di convenzione sottoscritti con gli esercenti che si era impegnata a convenzionare in offerta.
1.3. Tuttavia, con nota prot. n. 12005/2020 del 9 gennaio 2020, il Servizio contratti della Provincia Autonoma di Trento, richiamate le deliberazioni della Giunta Provinciale n. 2960 del 23 dicembre 2010 e n. 2031 del 28 settembre 2012, avviava nei confronti della Day Ristoservice il procedimento di decadenza dall’aggiudicazione, contestandole 34 non conformità (riscontrate, nell’ambito di verifiche a campione, sui 1351 accordi di convenzionamento conclusi con gli esercenti) dei codici ATECO “riferite spesso a supermercati, famiglie cooperative, punti vendita al dettaglio di alimentari che non eseguono l’attività di ristorazione come codificata nella lex specialis di gara”. In particolare, nella nota in questione, la Provincia assumeva il mancato rispetto della disposizione che richiedeva all’operatore economico, per eseguire la prestazione di “Ristorazione senza somministrazione con preparazione di cibi da asporto”, di risultare classificato nel registro delle imprese con il codice ATECO 56.10.20, “come chiarito anche con la nota prot. n. 105154 dd. 15 febbraio 2019 in risposta al quesito n. 8 posto in sede di gara”. Con quest’ultima nota di chiarimenti, la Stazione appaltante aveva infatti prescritto che soltanto i locali classificati nell’attività economica con il codice ATECO 56.10.20 “Ristorazione senza somministrazione con preparazione di cibi da asporto” potessero essere inseriti nella rete dei locali convenzionati per il servizio sostitutivo di mensa.
1.4. Con determina n. 1 del 13 febbraio 2020 la Stazione appaltante, respinte le osservazioni della società Day Ristoservice, la dichiarava quindi decaduta dall’aggiudicazione, disponendo l’incameramento della cauzione prestata e la segnalazione all’Autorità Nazionale Anticorruzione.
2. Di tale provvedimento di decadenza la Day Ristoservice ha chiesto ritualmente l’annullamento, previa sospensiva, al Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, impugnando col ricorso proposto tutti gli atti del procedimento di decadenza avviato dall’Amministrazione, ivi compresi il provvedimento di escussione della cauzione provvisoria, la segnalazione trasmessa all’ANAC il 22 febbraio 2020, la nota del 9 gennaio 2020 recante la contestazione di irregolarità inerenti agli accordi di convenzionamento presentati dall’aggiudicataria, nonché gli atti della procedura di gara (in particolare: a) la nota di chiarimenti n. 2, limitatamente alla risposta fornita al quesito n. 8; b) il Disciplinare di gara, nei limiti delle disposizioni relative alla “verifica degli esercizi convenzionati”; c) il Capitolato Tecnico, limitatamente alla parte che disciplina le caratteristiche degli esercizi da convenzionare ed i relativi accordi; d) l'Allegato n. 3 al Capitolato Tecnico; e) i verbali del “gruppo di lavoro per la convenzione del servizio sostitutivo di mensa” e i verbali di “attività istruttoria di verifica del gruppo di lavoro”; f) la determina a contrarre n. 45 del 30 ottobre 2018 e la successiva determina a contrarre n. 55 dell'11 dicembre 2018; g) la nota prot. n. S171/2019/754896 del 27 novembre 2019 recante il “Riscontro agli accordi di convenzionamento”), in uno a tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e conseguenti, lamentandone l’illegittimità alla stregua di sei motivi di ricorso con cui formulava plurime e articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere (sub specie di difetto di motivazione, travisamento, illogicità, sviamento e discriminazione).
2.1. In particolare la ricorrente censurava: “1. Violazione dell’art. 28 della Costituzione, dell’art. 1, comma 1, lett. a) della legge 11/2016, degli artt. 30 e 144 del D.Lgs 50/2016, del D.M. 122/2017. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Illogicità grave e manifesta. Sviamento e discriminazione”. 2. Violazione dell’art. 28 della Costituzione, dell’art. 1, comma 1, lett. a) della Legge 11/2016, degli artt. 30 e 144 del D.Lgs 50/2016, del D.M. 122/2017. Violazione degli artt. 68 e 86 D.Lgs 50/2016. Eccesso di potere per perplessità ed apparenza della motivazione. Violazione della lex specialis di gara. Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca; 3. Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca ed estrinseca e violazione del principio di proporzionalità. Ingiustizia ed illogicità manifeste. Restrizione. Irragionevolezza. Sviamento. 4. Violazione dell’art. 144 D.Lgs 50/2016. Violazione del D.M. 122/2017. Violazione della delibera ANAC n. 5 del 20 ottobre 2011, della Determinazione n. 45 del 30 ottobre 2018. Violazione della L.P. n. 2/2016. Violazione dell’art. 23 del disciplinare di gara. Violazione delle delibere di Giunta Provinciale n. 2960 del 23 dicembre 2010 e n. 2031 del 28 settembre 2012. Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca ed estrinseca e violazione del principio di proporzionalità. Ingiustizia ed illogicità manifesta. Sviamento. 5. Violazione della delibera ANAC n. 5 del 20 ottobre 2011 e della Determinazione n. 45 del 30 ottobre 2018. Eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca ed estrinseca e violazione del principio di proporzionalità. Ingiustizia ed illogicità manifesta. Sviamento. 6. Eccesso di potere. Violazione del principio di proporzionalità. Ingiustizia e illogicità manifeste. Discriminazione e sviamento”.
2.2. In sintesi, coi motivi dedotti la ricorrente si doleva dell’introduzione da parte della Provincia di un elenco tassativo di codici ATECO il cui possesso era richiesto agli esercizi commerciali da convenzionare, censurando la perplessità e contraddittorietà delle motivazioni addotte dalla Stazione appaltante per giustificare l’ingresso postumo del requisito nella disciplina di gara, nonché la violazione del principio di proporzionalità, l’illogicità e intrinseca discriminatorietà dei provvedimenti gravati, che avrebbero introdotto un’ingiusta disparità di trattamento tra gli esercenti legittimati dalla legge ad erogare il servizio messo a gara.
Lamentava poi che la Provincia avesse, con un’illegittima inversione procedimentale, anticipato ad una fase antecedente alla stipula della convenzione i controlli volti a verificare l’esistenza e le caratteristiche degli esercizi convenzionati, di fatto impedendole ogni sostituzione degli esercizi risultati non conformi (con riguardo alla mera classificazione ATECO), ed inoltre che avesse omesso di prevedere nella lex specialis di gara un’idonea soglia di tolleranza con riguardo alle riscontrate irregolarità degli esercizi convenzionati.
2.3. Si costituiva in resistenza la Provincia, sostenendo con vari argomenti la legittimità del suo operato.
2.4. Si costituiva in giudizio anche la Cirfood, la quale spiegava a sua volta ricorso incidentale, con cui censurava gli atti impugnati, per non aver rilevato ulteriori profili di invalidità rispetto a quelli posti a fondamento della decadenza dall’aggiudicazione, inficianti gli accordi di convenzionamento prodotti dall’aggiudicataria, sostenendo che anche i rimanenti esercizi convenzionati erano inidonei a dimostrare l’attivazione della rete di esercizi che la società si era impegnata a convenzionare nell’area territoriale indicata.
3. Con la sentenza segnata in epigrafe l’adito Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso principale, ritenendone infondate tutte le censure, e ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
3.1. In particolare, la sentenza di primo grado:
I. ha respinto il primo mezzo, ritenendo che : a) l’art. 3 del D.M. 7 giugno 2017, n. 122 del Ministero dello Sviluppo Economico (“Regolamento recante disposizione in materia di servizi sostitutivi di mensa, in attuazione dell’articolo 144, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50”) elenca solo gli esercizi presso i quali “può” essere erogato il servizio sostitutivo di mensa, senza avere alcun contenuto precettivo per la Stazione appaltante; b) la Stazione appaltante ha in generale un’ampia discrezionalità nella redazione della lex specialis di gara; c) tale discrezionalità sarebbe poi ancor più ampia nel caso di specie, trovando il servizio messo a gara la propria fonte nella contrattazione collettiva locale ed essendo oggetto di una procedura di gara indetta dalla Provincia nel contesto della propria autonomia legislativa e amministrativa in materia di disciplina del rapporto di lavoro del personale da essa dipendente, rientrando quindi tra le prerogative dell’Amministrazione provinciale stabilire le caratteristiche del servizio in questione;
II. ha dichiarato infondato il secondo motivo (non ravvisando la contraddittorietà delle motivazioni addotte dalla Provincia per giustificare l’introduzione dei codici ATECO nella disciplina di gara) ed anche il terzo motivo di ricorso, ritenendo proporzionata e non discriminatoria l’introduzione da parte della PAT di una classificazione ATECO, rilevando come il parere reso dal Consiglio di Stato sul citato D.M. 122/2017, richiamato dalla ricorrente, pur esprimendo un apprezzamento per l’aumento delle tipologie di esercizi legittimati ad erogare il servizio sostitutivo di mensa, non preclude certamente alle amministrazioni di limitare le tipologie medesime, “considerata la lettera della disposizione normativa che si riferisce a soggetti presso i quali può essere erogato”;
III. ha respinto anche il quarto motivo per la riconosciuta legittimità dei controlli svolti dalla PAT poiché la verifica del possesso dei codici ATECO in capo agli esercenti non rientrerebbe tra quelli volti ad attestare l’esistenza e le caratteristiche dei singoli esercizi (da svolgersi dopo la stipula della convenzione), bensì tra i controlli (antecedenti alla stipula) finalizzati a verificare l’impegno a costituire la rete degli esercizi convenzionati da parte dell’aggiudicatario;
IV. ha reputato inoltre che pure l’omessa previsione di una soglia di conformità rientrasse nella discrezionalità della PAT anche alla luce della “natura non coercitiva” delle previsioni contenute nei provvedimenti emanati dall’ ANAC (nello specifico, la Determinazione n. 5 del 20 ottobre 2011), ritenendo perciò infondato il quinto motivo;
V. ha infine respinto anche l’ultima censura (di violazione del principio di proporzionalità), rilevando che la lex specialis avesse espressamente previsto che la mancata costituzione della rete degli esercizi convenzionati fosse causa di decadenza dall’aggiudicazione.
4. Avverso la sentenza la società Day Ristoservice ha proposto appello, deducendone l’erroneità ed ingiustizia per aver respinto le censure articolate coi motivi di ricorso, chiedendone perciò la riforma.
L’appellante ha riproposto le domande risarcitorie rigettate in primo grado, chiedendo il risarcimento in forma specifica, mediante aggiudicazione della gara e subentro nella gestione del servizio, e in subordine l’integrale ristoro del danno per equivalente monetario.
4.1. Si sono costituite anche nel presente giudizio la Provincia e la Cirfood chiedendo il rigetto dell’appello stante la sua infondatezza.
4.2. La Cirfood ha proposto altresì appello incidentale, con cui ha contestato la declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale di primo grado per difetto di legittimazione ed ha quindi riproposto i motivi di ricorso incidentale spiegati in primo grado, non esaminati dalla sentenza.
4.3. La Provincia ha chiesto anche il rigetto dell’appello incidentale di Cir Food in quanto inammissibile e infondato, riproponendo anche le eccezioni di inammissibilità ai sensi dell’art. 35 c.p.a., comma 1, lett. b) e dell’art. 42 c.p.a. sollevate in primo grado.
4.4. Con ordinanza n. 5689 del 25 settembre 2020, la Sezione ha disposto, su concorde richiesta delle parti, l’abbinamento al merito dell’istanza cautelare ai sensi dell’art. 55 comma 10 Cod. proc. amm. e ha fissato l’udienza pubblica.
4.4. In vista dell’udienza di discussione, le parti hanno illustrato con memorie e repliche le rispettive tesi difensive e le circostanze sopravvenute nelle more del giudizio.
4.4.1. In particolare l’appellante ha evidenziato che, in attuazione dell’art. 75 quinquies della L.P. n. 7 del 1997, introdotto dall’art. 19 della L.p. 2/2020 (“Misure urgenti di sostegno per le famiglie, i lavoratori e i settori economici connesse all’emergenza epidemiologica da Covid- 19 e altre disposizioni”) la Provincia, con delibera della Giunta Provinciale n. 1417 del 18 settembre 2020, ha affidato in via diretta il servizio sostitutivo alla propria società in house Trentino Sviluppo s.p.a. ed inoltre che, con sentenza 21 dicembre 2020, n. 208, passata in giudicato, il T.R.G.A. ha parzialmente accolto il ricorso della stessa Day Ristoservice avverso la predetta delibera, annullandola nella parte in cui ha previsto l’affidamento del servizio anche agli enti diversi dalla Provincia.
L’appellante ha ribadito pertanto il proprio interesse ad una decisione di merito sul presente ricorso.
4.4.2. La Provincia ha altresì precisato (nella memoria difensiva sull’appello incidentale) che, fino al 31 gennaio 2020, nelle more della definizione del giudizio conclusosi con la sentenza del Consiglio di Stato n. 5420/2020 e dell’odierno giudizio, il servizio in oggetto è stato gestito da Cirfood, gestore uscente, in regime di proroga e che, a seguito del sentenza del T.R.G.A. n. 208/2020 che ha annullato la deliberazione della Giunta provinciale n. 1417 del 2020 nella sola parte in cui dispone l’affidamento del servizio sostitutivo di mensa in favore degli enti del sistema territoriale integrato provinciale, la Provincia ha affidato il servizio sostitutivo di mensa alla propria società in house Trentinto Sviluppo, mentre gli enti del sistema integrato provinciale hanno provveduto autonomamente all’affidamento del servizio sostitutivo di mensa per il proprio personale dipendente.
4.5. All’udienza del 18 febbraio 2021, tenuta con collegamento da remoto, udita la rituale discussione dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. Come esposto in fatto, la sentenza di primo grado, rilevato che la natura del servizio oggetto di gara debba comportare la necessaria attenzione alla composizione della rete degli esercizi convenzionati al fine di impedire l’utilizzo non corretto e improprio del buono pasto da parte dei fruitori (id est: per l’acquisto di prodotti diversi da un pasto pronto al consumo nei giorni di servizio), ha ritenuto non irragionevole la tassatività della classificazione ATECO introdotta dalla stazione appaltante, che ha considerato ammissibile l’inclusione degli esercizi commerciali nelle rete di convenzionamento purché in possesso del codice ATECO di ristorazione senza somministrazione con preparazione di cibo da asporto, con l’ulteriore prescrizione dell’esposizione in cassa di uno specifico avviso dell’utilizzabilità del buono pasto solo per l’acquisto di pasti pronti per il consumo immediato: tanto impedisce, ad avviso del primo giudice, di apprezzare positivamente le censure di discriminazione, irragionevolezza e violazione del principio di proporzionalità articolate dalla ricorrente e di ravvisare i vizi di illogicità e irragionevolezza nella determinazione discrezionale dei requisiti di partecipazione della stazione appaltante; ciò in quanto la classificazione dei prescritti codici ATECO è volta a definire le caratteristiche del servizio da offrire ai dipendenti (in termini di mensa diffusa o servizio sostitutivo di mensa, e non di mera messa a disposizione del buono pasto) e le modalità di erogazione del servizio (non costituendo quindi il possesso di un determinato codice ATECO neppure un requisito di partecipazione alla gara, ma mero elemento di identificazione e classificazione del tipo di attività, che delinea immediatamente e univocamente i contenuti della relativa licenza).
6. L’appellante contesta le ridette statuizioni con articolate argomentazioni, con cui ripropone sostanzialmente le doglianze di primo grado, respinte dalla sentenza con motivazione a suo avviso erronea e non convincente.
In sintesi, coi motivi di gravame proposti, l’appellante è tornato a dolersi che la Provincia abbia inopinatamente ristretto l’ambito delle tipologie di esercizi ammessi a far parte della rete a quelli muniti del codice ATECO della somministrazione, escludendo gli esercizi commerciali (quali ad esempio i supermercati con vendita di pasti per l’asporto e il consumo immediato) dal novero degli esercenti presso i quali è consentito l’utilizzo dei buoni pasto e l’espletamento del servizio di “mensa diffusa”.
6.1. In particolare, col primo motivo di gravame l’appellante sostiene che il primo giudice avrebbe errato nel ritenere che la legittimazione all’esercizio dell’attività medesima, derivante dal tipo di licenza posseduta possa essere attestata tramite il corrispondente codice ATECO, condividendone la funzione certificativa ad esso attribuita dalla stazione appaltante, in quanto “in grado di significare univocamente ed immediatamente i contenuti della relativa licenza, identificando puntualmente e direttamente il tipo di attività che la Stazione appaltante pretende dall’operatore economico chiamato a far parte della rete”. La sentenza non avrebbe così considerato che l’unica funzione dei codici ATECO (consistenti in una combinazione alfanumerica) si risolve in una classificazione a fini statistici, fiscali e contributivi delle attività economiche che l’imprenditore dichiara di svolgere, senza alcun valore costitutivo né ricognitivo del titolo abilitativo allo svolgimento dell’attività, né dell’attività concretamente espletata, che può essere ricostruita soltanto facendo riferimento all’oggetto sociale, alle licenze possedute ed a quanto effettivamente svolto dal singolo esercizio commerciale (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 21 maggio 2018, n. 3035).
Ed infatti, la legge, nel disciplinare le tipologie di esercizi legittimate ad erogare il servizio sostitutivo di mensa, non ha fatto alcun riferimento ai codici ATECO e alla relativa classificazione (né nell’art. 144, comma 5, D.Lgs. 18 aprile 2018, n. 50, né nel D.M. 7 giugno 2017, n. 122 emanato in sua attuazione, in materia di servizi sostitutivi di mensa, né nelle norme che regolano l’attività di somministrazione di cibi e bevande); l’art. 3, comma 1, lett. c) del citato d.m. 122/2017 include anzi espressamente gli esercizi di vendita al dettaglio, gli esercizi di vicinato, le medie e grandi strutture di vendita tra le tipologie di esercizi presso i quali l’utente può fruire del servizio di mensa sostitutiva.
La lex specialis di gara, recependo le indicazioni del su indicato decreto ministeriale, aveva perciò soltanto richiesto, per la convenzionabilità del servizio, il possesso di licenze riconducibili ai codici ATECO elencati, senza null’altro disporre circa la loro tassatività o prevalenza, non costituendone il possesso strumento idoneo a descrivere e individuare le caratteristiche degli esercizi da convenzionare e delle relative attività.
6.1.1. Con un altro ordine di censure (proposte sempre nell’ambito del primo motivo) l’appellante lamenta la violazione dei principi eurounitari di parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità e trasparenza: si duole in particolare del rigetto della doglianza di violazione dell’art. 30 del D.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (ove al comma 1 si prevede che “nell’affidamento degli appalti e delle concessioni, le stazioni appaltanti rispettano, altresì, i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità”), sul rilievo secondo cui non vi sarebbe contrasto tra l’elenco tassativo di esercizi legittimati a svolgere il servizio, individuati tramite codice ATECO, e l’esigenza di tutelare l’effettiva concorrenza tra gli esercenti che concretamente erogano il servizio.
6.1.2. La scelta della Provincia lederebbe, infatti, la concorrenza “nel mercato”, ad esclusivo vantaggio solo di taluni esercizi nei quali si riverserebbe l’utenza munita del buona pasto tra tutti quelli che, secondo la normativa di settore, sono invece legittimati a rendere il servizio nel circuito degli esercizi convenzionati, sulla base del mero dato formale (del possesso di un determinato codice ATECO) ed a prescindere dal riscontro in concreto dell’attività effettivamente esercitata.
6.1.3. Tale opzione restrittiva finirebbe così per favorire soltanto alcune tipologie di esercenti, escludendone altri idonei alla prestazione del servizio senza valide ragioni, in contrasto con quegli orientamenti volti, in conformità alle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci, a garantire la più ampia libertà nel settore della somministrazione di cibi e bevande, tanto a favore degli utenti quanto degli operatori del settore.
In particolare l’appellante ha richiamato al riguardo:
a) l’art 3. del D.L. 223/2006, convertito con L. 248/2006 (rubricato “Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale”);
b) l’art. 117 lett. e) Cost. che tra le materie di competenza esclusiva dello Stato ricomprende anche la tutela della concorrenza, nonchè l’art. 117 lett. m.) della Costituzione sulla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, anch’essa materia di esclusiva competenza legislativa statale;
c) l’orientamento espresso dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AS1316 – “Distorsioni concorrenziali nel settore della vendita di alimenti e bevande con consumo sul posto”), in linea con le disposizioni del decreto citato e contrapposto alle Risoluzioni del Ministero dello Sviluppo Economico in materia di consumo sul posto di alimenti e bevande acquistate da parte dei consumatori, “in quanto ingiustificatamente restrittive rispetto agli esercizi di vicinato”, in assenza di giustificazioni obiettive;
d) in generale quelle disposizioni della normativa di settore (di cui al D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, recante “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”; al D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”; al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”) che impongono di interpretare ed applicare le norme restrittive ancora in vigore in senso pro-concorrenziale ed “alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità” (art. 1, commi 2 e 4, D.L. 1/2012 cit.);
e) il parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato (n. 287 del 3 febbraio 2017, reso nell’ambito dell’affare 2316/2016, nell’Adunanza della Commissione Speciale del 9 gennaio 2017, avente ad oggetto “Schema di decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, concernente il "Regolamento recante disposizioni in materia di servizi sostitutivi di mensa, in attuazione dell'articolo 144, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50") che, a proposito dell’art. 3 del citato decreto che individua gli esercizi presso i quali può essere erogato il servizio sostitutivo di mensa a mezzo dei buoni pasto, ha manifestato apprezzamento per l’aver “tenuto conto, …(nell’ottica dell’aumento della concorrenza,) delle modificate abitudini di acquisto e di consumo degli utenti, nonché, come opportunamente segnalato nella relazione illustrativa, dell'aumentato numero delle tipologie di esercizi che, allo stato attuale e in base alle norme vigenti, sono legittimati ad esitare e a somministrare prodotti alimentari per il consumo e che, pertanto, possono rappresentare per gli utenti un’ulteriore ed efficace possibilità di usufruire del servizio disciplinato dal decreto”.
6.1.4. La sentenza, obliterando tali profili, avrebbe così, per un verso, omesso di considerare, che, sebbene la Stazione appaltante goda di “un’ampia discrezionalità nello stabilire i contenuti della lex specialis”, nei fatti la limitazione introdotta dalla Provincia discrimina in modo ingiustificato ed anticoncorrenziale alcuni esercenti, in assenza di elementi concreti che dimostrino l’adeguatezza, congruità ed efficacia delle misura adottate al perseguimento dell’interesse pubblico (invero neppure individuato da provvedimenti gravati); per altro verso, avrebbe del tutto trascurato che le scelte discrezionali dell’amministrazione sono sindacabili in sede giurisdizionale se manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, ovvero fondate su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti, specie avuto riguardo alla specificità dell’oggetto e all’esigenza di non restringere la platea di potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegi (in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 3 settembre 2018, n. 5158).
6.1.5. La sentenza è altresì censurata nella parte in cui afferma che la Provincia, “senza in alcun modo violare le norme richiamate dalla ricorrente” (artt. 30 e 144 D.lgs 50/2016 e art. 3 D.M. 122/2017) “ha definito nella lex specialis di gara le caratteristiche del servizio sostitutivo di mensa coerentemente alle disposizioni del contratto collettivo, limitando la fruizione di buoni pasto presso gli esercizi di ristorazione ed escludendo gli esercizi di vendita al dettaglio di meri prodotti alimentari, indicando in modo tassativo il possesso da parte degli esercizi di determinati codici ATECO”, laddove l’introduzione dell’elenco tassativo di codici ATECO non è invece affatto coerente con la contrattazione collettiva locale, che non contiene restrizioni in ordine alla tipologia degli esercizi commerciali per la fruibilità del servizio sostitutivo di mensa (cfr. disciplina del servizio sostitutivo di mensa contenuta nell’art. 65 del contratto collettivo integrativo riferito al triennio 2016-2018 pubblicato dall’Agenzia provinciale per la rappresentanza negoziale, a seguito della delibera di Giunta provinciale n. 1744 del 28 settembre 2018).
6.1.6. L’appellante critica altresì la sentenza nella parte in cui ha ritenuto insussistente il lamentato gold plating, non considerando che invece la limitazione del novero degli esercizi convenzionabili, confliggente con l’art. 1, lett. a) della menzionata Legge 11/2016, con l’art. 30, comma 2 del Codice degli appalti, con il richiamato DM 122/2017 e con i principi eurounitari di massima apertura nel mercato, costituisce un gravoso onere procedimentale ulteriore rispetto ai livelli minimi di regolazione, in assenza di base normativa, la cui introduzione implicava almeno la necessaria e puntuale indicazione delle ragioni sostanziali sottese a tale scelta.
6.2. Con il secondo motivo l’appellante chiede la riforma della sentenza nella parte in cui ha respinto la seconda doglianza, ritenendo le motivazioni addotte dalla Provincia a sostegno dell’introduzione della richiesta classificazione ATECO ai fini del convenzionamento non incerte né contraddittorie, nonostante la totale mancanza di una ratio a sostegno della restrizione censurata, che non emerge neanche nell’ambito dei lavori preparatori di redazione degli atti di gara (cfr. verbali del gruppo di lavoro del 16 e 18 maggio 2018).
La stazione appaltante avrebbe, infatti, più volte “aggiustato il tiro”, modificando con argomentazioni contraddittorie e in via postuma le motivazioni sottese alle proprie scelte, indicando di volta in volta e finanche in sede di giudizio ragioni diverse ed implausibili a sostegno dell’introdotta tassatività dei codici ATECO (cfr. preavviso di decadenza del 9 gennaio 2020, note del 10 gennaio e 13 febbraio 2020 e memoria cautelare depositata in primo grado pag. 41).
Ad ogni modo le misure adottate (con il dichiarato fine di evitare l’utilizzo improprio dei titoli presso gli esercizi commerciali), oltre a non migliorare il servizio e a non essere funzionali alle relative finalità, risulterebbero finanche sproporzionate rispetto all’obiettivo perseguito, considerato che non vi sarebbe alcuna possibilità di acquistare tramite card prodotti diversi da un pasto pronto al consumo nei supermercati con annesso bar (gli unici muniti sia del codice ATECO 47.10 sia del codice 56.10, essendo gli altri classificati in modo unitario solo con il primo codice che include tutte le categorie merceologiche, compresi i generi alimentari, venduti all’interno della struttura), provvisti di casse separate, e che comunque gli accordi di convenzionamento sottoscritti con gli esercenti già contenevano prescrizioni volte ad impedite l’utilizzo irregolare dei titoli (id est: per l’acquisto di beni diversi da un pasto pronto al consumo).
6.2.1. Tali incertezze e contraddittorietà connoterebbero poi anche le motivazioni della sentenza laddove ha ritenuto che l’indicazione dei codici ATECO come “specifiche tecniche” per l’esecuzione del servizio sia in realtà una locuzione utilizzata “atecnicamente dalla PAT” e che “la prescrizione del suddetto sistema di classificazione non riguarda la disciplina di selezione del contraente” essendo “volta a definire le caratteristiche del servizio da offrire ai dipendenti provinciali”, ritenendo altresì che “anche a voler considerare i prescritti codici ATECO specifiche tecniche, si tratterebbe in ogni caso, come rilevato dall’amministrazione resistente, di quelle ben particolari “specifiche tecniche” rientranti nella lettera a) dell’art. 68, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016 per le quali non si impone il principio di equivalenza”.
6.3. Col terzo mezzo l’appellante critica la sentenza per aver ritenuto che la stazione appaltante abbia non irragionevolmente introdotto l’elenco tassativo dei codici ATECO al fine di disporre di una rete di esercizi con caratteristiche tali da ostacolare l’utilizzo improprio, non considerando che il servizio messo a gara è quello di mensa diffusa (per l’acquisto di un pasto nei giorni di servizio) e non una semplice fornitura di buoni pasto.
L’Amministrazione non avrebbe poi fornito prova delle ragioni addotte (id est: l’asserito utilizzo “improprio” dei BPE durante l’esecuzione del precedente servizio sostitutivo di mensa) al fine di escludere dalla rete degli esercenti convenzionabili i c.d. esercizi “ibridi” (i supermercati con annesso bar o reparto di gastronomia).
6.4. Con il quarto motivo di appello la Day Ristoservice censura le statuizioni di rigetto del quarto motivo di ricorso con cui si contestava la decisione della PAT di anticipare i controlli sul corretto convenzionamento degli esercizi ad una fase precedente a quanto stabilito dalla Determinazione n. 45 del 30 ottobre 2018, dall’art. 13, par. b) del Capitolato Tecnico e dall’art. 23.1 del Disciplinare di gara, emanati conformemente alle indicazioni date dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), con determinazione n. 5 del 20 ottobre 2011, la quale, nello stabilire due tipologie di controlli, ha demandato alla fase di esecuzione quelli “volti a verificare l’esistenza e le caratteristiche degli esercizi convenzionati, nonché il rispetto delle condizioni di convenzionamento dichiarate in sede di gara”. In ogni caso, in base alla lex specialis di gara, i controlli in questione non includevano affatto la verifica del possesso di una determinata classificazione ATECO da parte degli esercenti convenzionati (cfr. art. 23.1 del Disciplinare).
Sarebbero dunque erronei gli assunti della sentenza secondo cui, anche alla luce della citata determinazione dell’AVCP n. 5/2011, la verifica dei codici ATECO andava effettuata in un momento antecedente alla stipula del contratto per avere l’art. 23.1 del disciplinare di gara solo previsto “indagini finalizzate ad acclarare la serietà e veridicità degli impegni assunti in sede di offerta”.
6.5. Con il quinto motivo l’appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha respinto le censure con cui si contestava la mancata previsione nella legge di gara di una soglia di tollerabilità in conformità alla citata Delibera ANAC 5/2011, pure richiamata dalla Stazione appaltante nella Determinazione 45/2018, sull’assunto che “dalla determinazione ANAC n. 5 del 20 ottobre 2011, non discendono puntuali obblighi conformativi”, rientrando comunque anche la scelta di prevedere una soglia di tolleranza nella discrezionalità della Stazione appaltante nella predisposizione della lex specialis.
Al riguardo, lamenta l’appellante, la predetta Determinazione di ANAC, reputata dal primo giudice sufficiente a respingere il quarto motivo di ricorso, sarebbe stata invece, con riguardo al quinto motivo, declassata a mera indicazione di natura non coercitiva dalla quale non discenderebbe alcun obbligo conformativo; dal che l’intrinseca contraddittorietà delle statuizioni impugnate.
6.6. Infine l’appellante ha sostenuto l’inammissibilità ed infondatezza dell’ulteriore argomento della Provincia in base al quale la Day sarebbe stata comunque dichiarata decaduta dalla procedura di gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis) del D.Lgs. n. 50/2016, precisando che la segnalazione all’ANAC è stata archiviata dall’Autorità con deliberazione n. 966 dell’11 novembre 2020.
7. Vanno, in primo luogo, esaminate le eccezioni in limine sollevate dall’Amministrazione e dalla Cirfood.
7.1. È anzitutto infondata, in ognuno degli argomenti in cui è articolata, l’eccezione concernente il difetto di jus postulandi del difensore dell’appellante per asseriti vizi della procura speciale rilasciata dall’appellante.
L’art. 24 Cod. proc. amm. prevede che “la procura rilasciata per agire e contraddire davanti al giudice si intende conferita anche per proporre motivi aggiunti e ricorso incidentale, salvo che in essa sia diversamente disposto”.
L’art. 40, comma 1, lett. d) Cod. proc. amm. stabilisce che il ricorso deve contenere “la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale”.
L’art. 101, comma 1, Cod. proc. amm. statuisce che l’appello deve contenere l’indicazione “della procura speciale rilasciata anche unitamente a quella per il giudizio di primo grado”.
Orbene, nella fattispecie in esame, la procura speciale è stata conferita per l’impugnazione della determinazione dirigenziale adottata della Provincia di decadenza dall’aggiudicazione della gara nei confronti dell’odierna appellante.
La procura speciale rilasciata il 24 febbraio 2020 da Day Ristoservice al difensore per ogni stato, fase e grado del giudizio, è stata quindi notificata a mezzo PEC unitamente al ricorso di prime cure il 27 febbraio 2020, ed ivi puntualmente richiamata nell’epigrafe dell’atto, e poi nuovamente notificata a mezzo PEC con il ricorso in appello il 24 luglio 2020 (in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 40 e 101 Cod. proc. amm. che per converso richiedono che il ricorso contenga la sola indicazione della procura speciale rilasciata). La stessa procura è stata quindi depositata unitamente al ricorso introduttivo di primo grado e poi all’atto di appello.
Alla luce di tali circostanze non può dunque dubitarsi che l’appellante abbia validamente conferito al proprio difensore il potere di rappresentarla nel presente giudizio.
Sono parimenti infondate le argomentazioni inerenti all’elezione di domicilio “fisico” e non “digitale” (considerato che, come chiarito dalla giurisprudenza, “l’elezione di domicilio presso una determinata persona va comunque intesa come scelta di quella persona quale destinataria della consegna degli atti da notificarsi e non già come scelta di un luogo in cui gli atti devono essere notificati”: in tal senso, Cons. Stato, Ad. Plen. 19 novembre 2014, n. 33; Cons. Stato, IV, 13 gennaio 2021, n. 429), come pure quelle relative alla data di rilascio della procura che la Cir Food censura essere precedente rispetto alla notificazione del ricorso (essendo invece logico e coerente che la procura sia rilasciata anteriormente alla sottoscrizione del ricorso e alla proposizione dell’impugnazione, costituendo la redazione del ricorso “esercizio dell’attività professionale del difensore, cui è legittimato proprio dal conferimento del potere rappresentativo insito nel mandato difensivo”: così Cons. Stato, V, 7 febbraio 2020, n. 964).
7.2. Va poi rilevato sempre in limine che la ricorrente non aveva alcun onere di immediata impugnazione delle previsioni sui codici ATECO contenute nella lex specialis di gara (difatti correttamente gravate col ricorso solo a seguito ed unitamente al provvedimento di decadenza).
È regola generale quella secondo la quale le clausole non immediatamente escludenti debbono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo che ne fa in concreto applicazione (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4).
Nel caso di specie, né il bando, né il successivo chiarimento n. 8 erano idonei a precludere la partecipazione o la formulazione dell’offerta: la lesione si è concretizzata ed è divenuta attuale solo a seguito del disposto provvedimento di decadenza dall’aggiudicazione (all’esito delle verifiche sull’attività di convenzionamento), sicché solo a partire da tale momento poteva dirsi sorto il conseguente onere di impugnazione.
7.3. È altresì infondata l’eccezione, sollevata dalla Provincia, di inammissibilità del gravame per difetto di interesse all’annullamento del provvedimento di decadenza sull’assunto che la stazione appaltante abbia disposto in realtà l’esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis) del d.lgs. 50/2016 per avere l’aggiudicataria Day Ristoservice reso una dichiarazione non veritiera.
Ed invero, nessun mendacio è imputabile all’appellante la quale non ha reso dichiarazioni non rispondenti al vero in relazione alle quali l’Amministrazione debba assumere le conseguenti vincolanti determinazioni: i provvedimenti impugnati hanno infatti dichiarato decaduta dall’aggiudicazione la concorrente unicamente per asserite non conformità degli esercizi convenzionati con riguardo al possesso dei codici ATECO anche alla luce di quanto precisato nei chiarimenti formulati dall’Amministrazione.
8. Nel merito l’appello è fondato, alla stregua delle seguenti osservazioni.
In particolare sono fondati in via assorbente i motivi di impugnazione con cui si contesta la sentenza per aver respinto le censure, articolate sotto plurimi profili, di violazione dei principi di proporzionalità, logicità e ragionevolezza ad opera degli atti gravati col ricorso di primo grado.
9. Il Collegio rileva come gli atti impugnati, per le modalità con cui hanno introdotto l’elenco tassativo dei codici ATECO ai fini del convenzionamento degli esercizi e le conseguenti limitazioni nell’utilizzo del titolo ai fini dell’accesso al servizio sostitutivo di mensa tramite buoni pasto, senza verificare in particolare se gli esercizi commerciali esclusi dal novero di quelli convenzionabili siano in concreto idonei a prestare il servizio in base alle caratteristiche richieste dalla lex specialis, né stabilire un’adeguata soglia di tolleranza entro la quale l’operatore economico possa provvedere alla regolarizzazione di eventuali difformità, oltre a violare la libertà di concorrenza nel mercato (determinando un’ingiustificata ed immotivata restrizione degli esercizi presso i quali, in conformità alla richiamata disciplina che governa gli affidamenti dei servizi sostitutivi di mensa, può essere erogato il servizio), si pongano in frontale contrasto con i principi di proporzionalità, logicità e ragionevolezza cui deve conformarsi l’azione amministrativa.
9.1. L’anticipazione dei controlli inerenti alla mera classificazione dei Codici ATECO, avulsa dalle concrete caratteristiche degli esercizi, alla fase antecedente a quella di esecuzione del contratto, e soprattutto il non aver posto l’aggiudicataria nelle condizioni di sanare le esigue irregolarità (in tutto 34 su 1351 accordi di convenzionamento conclusi con gli esercenti), riscontrate nell’ambito delle verifiche espletate, anche mediante riferimento ad un codice ATECO secondario degli esercizi convenzionandi o usufruendo dello stralcio dei soli esercizi privi del codice richiesti o della loro sostituzione, hanno comportato l’illegittima decadenza dall’aggiudicazione disposta a favore dell’appellante.
9.2. In primo luogo, andava considerato che i codici ATECO assolvono a una funzione statistica e che in ogni caso gli esercizi per la vendita di prodotti alimentari o la somministrazione di alimenti e bevande, presso i quali a mente dell’art. 3 del citato d.m. 122/2018 può essere erogato il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto (nello specifico i supermercati con annesso bar o reparto di gastronomia), hanno un unico codice ATECO in considerazione dell’unicità della cassa sebbene gli acquisiti siano riferiti a vari prodotti, riconducibili a plurime categorie merceologiche; occorreva altresì considerare che la finalità del servizio sarebbe stata comunque garantita dall’essere la smart card (che non esprimeva un valore monetario fungibile, cumulabile o diversamente spendibile nella rete indistinta degli esercizi commerciali) non utilizzabile per l’acquisto di prodotti altri e diversi da un pasto pronto al consumo immediato.
Non può infatti sottacersi che il più volte richiamato art. 3 del d.m. 122/2018 (che include anche gli esercizi di vendita al dettaglio tra quelli che possono erogare il servizio di mensa sostitutivo) non reca alcun riferimento al possesso, da parte dell’esercizio convenzionabile, di un determinato Codice ATECO e che questo non ha valore ricognitivo né costitutivo del titolo abilitativo allo svolgimento dell’attività, né dell’attività concretamente svolta. L’art. 3 del d.m. 122/2017 prevede invece che il servizio sostitutivo di mensa reso a mezzo dei buoni pasto è erogato, tra gli altri, dai soggetti legittimati ad esercitare "la somministrazione di alimenti e bevande” e “la vendita al dettaglio, sia in sede fissa, che su area pubblica, dei prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare ai sensi del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114”. È dunque la stessa definizione del servizio sostitutivo di mensa contenuta nel citato decreto ministeriale a ricomprendere in sé attività commerciali che vendono prodotti alimentari pronti al consumo, senza affatto contemplare specifiche limitazioni in ordine all’utilizzabilità del buono pasto soltanto presso alcune categorie.
9.2.1. Anche la contrattazione collettiva (cfr. art. 65 del contratto collettivo sopra specificato che disciplina il servizio sostitutivo di mensa, erogato tramite buono pasto cartaceo o buono pasto elettronico) non reca alcun accenno al necessario possesso di un determinato codice ATECO da parte degli esercizi convenzionati, limitandosi a prevedere, per quanto di interesse, le condizioni di fruizioni del servizio (compresa la possibilità di fruire della prestazione anche fuori sede di servizio, qualora autorizzata, e le modalità di rimborso nel caso di missioni), nonché l’importo massimo all’uopo riconosciuto, oltre la cui concorrenza il maggior costo è a carico del dipendente. Il contratto collettivo decentrato per i dipendenti della Provincia non contiene, dunque, disposizioni che rimettano al datore di lavoro il potere di ridurre il novero degli esercizi convenzionati nell’ambito delle categorie indicate dal citato decreto ministeriale.
Va al riguardo altresì precisato che la Provincia, nel bandire la gara oggetto del presente giudizio, non ha esercitato il potere organizzativo del datore di lavoro e le relative prerogative, ma ha svolto il ruolo di centrale di committenza a favore degli enti aderenti alla convenzione per il servizio sostitutivo di mensa, agendo come soggetto aggregatore.
9.3. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve dunque rilevarsi che l’aspetto decisivo da garantire col servizio in oggetto è la fornitura agli utenti di pasti pronti al consumo immediato da parte delle strutture e degli esercizi convenzionati.
Rileva, dunque, in definitiva l’attività effettivamente svolta all’interno degli esercizi commerciali abilitati ad erogare il servizio sostitutivo di mensa (ciò garantendo di per sé gli obiettivi che la stazione appaltante si prefigge di realizzare mediante la sua esecuzione): l’attività in questione poi si desume dall’oggetto sociale e dall’iscrizione camerale, dai contenuti della licenza e da quanto in concreto espletato all’interno del locale, e non dalla mera classificazione di un determinato (e tassativo) codice ATECO (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 gennaio 2018, n. 262). L’Amministrazione, limitandosi al mero riscontro del dato formale (il possesso di un determinato codice ATECO in capo all’esercizio convenzionato), non ha verificato se, in concreto, gli esercizi risultati non conformi (peraltro in numero esiguo) svolgessero anche effettivamente l’attività di somministrazione di alimenti e pasti pronti al consumo immediato, violando così le stesse prescrizioni della legge di gara che si era vincolata a rispettare. Per converso, l’individuazione degli esercizi in grado di fornire compiutamente il servizio sostitutivo di mensa sulla base del mero possesso di un determinato codice ATECO non è coerente con la natura del servizio messo a gara che è quello di mensa diffusa e non una semplice fornitura di buoni pasto.
9.4. Difatti, la lex specialis (come si evince anche dai lavori preparatori), in conformità alle indicazioni delle disposizioni su richiamate in materia di procedure di affidamento dei servizi sostitutivi di mesa, non prescriveva la tassatività dell’elenco dei codici ATECO, ma solo la licenza riconducibile a determinati codici.
In particolare:
- l’art. 6, par. 2, del Capitolato Tecnico (rubricato “Caratteristiche della rete di esercizi convenzionati”) ha previsto che gli esercizi convenzionati dovessero garantire la fruizione fino al valore nominale del BPE, di generi alimentari di buona qualità organolettica ed essere “muniti delle relative licenze come definite dai codici ATECO (Classificazione delle Attività Economiche), elencate nell’allegato n. 3 “Elenco codici ATECO” del presente Capitolato”;
- l’art. 10, lett. c) dello stesso Capitolato (recante la disciplina degli “Accordi di convenzione tra il fornitore e gli esercizi convenzionati”) ha stabilito che gli accordi di convenzione tra il Fornitore ed i titolari degli Esercizi dovessero contenere, tra l’altro, precise clausole di utilizzabilità del BPE (relative “alle condizioni di validità ed ai limiti di utilizzo, nonché ai termini di scadenza, specificati in modo espresso ed uniforme”) e, solo per quegli esercizi con classificazione codice ATECO 56.10.20 “attività di ristorazione senza somministrazione con preparazione cibi da asporto” dovesse essere normata la tipologia di cibi d’asporto, limitando l’utilizzabilità del BPE unicamente ai “pasti pronti al consumo immediato (es. prodotti da rosticceria o gastronomia)”;
- l’art. 13 del Capitolato, nello stabilire che “il servizio dovrà essere reso per tutta la durata della Convenzione”, richiedeva di garantire (lett. a) che la rete di Esercizi dichiarati in offerta tecnica non subisse riduzione nella consistenza qualitativa e quantitativa, dovendo in caso contrario provvedere al reintegro entro quindici giorni naturali e consecutivi decorrenti dalla nota di contestazione; mentre per quanto di interesse la successiva lett. b) della disposizione ha richiesto che gli Esercizi convenzionati fossero muniti delle licenze definite dai codici ATECO, come da elenco allegato, e che, nel caso di rilevata presenza nel circuito di esercizi convenzionati privi delle licenze definite dai detti codici, il Fornitore dovesse riportare a norma il circuito entro 5 giorni naturali e consecutivi decorrenti dalla contestazione;
- inoltre, anche la lett. c) del richiamato art. 13 ha previsto, con riferimento al solo codice ATECO 56.10.20 “Ristorazione senza somministrazione con preparazione di cibi da asporto”, che venisse normata negli accordi di convenzione tra fornitore ed esercizi convenzionati la tipologia di cibo da asporto limitando l’utilizzabilità del BPE ai soli pasti pronti al consumo immediato o a qualsiasi altro alimento pronto al consumo immediato che soddisfi le caratteristiche descritte, disponendo in caso di inadempimento all’erogazione delle prestazioni anzidette “previste quali obbligatorie per tali esercizi (ossia pasti pronti per il consumo immediato)”, il richiamo prima e poi la rimozione dell’esercizio dal CCE.
9.4.1. Se la lettura del capitolato accordava prevalenza all’elemento (sostanziale) della licenza solo con la nota di chiarimenti del 15 febbraio 2019 la Provincia ha privilegiato il dato formale del possesso di un determinato codice ATECO. In particolare, evadendo il quesito (n. 8) con cui si richiedeva di sapere “con riferimento alla rete degli esercizi …se i supermercati dotati di banco di gastronomia per cibi da asporto sono equiparabili ai locali codice ATECO 56.10.20 e potranno quindi essere inseriti nella rete di locali”, l’APAC ha fornito la seguente risposta: “Tutti i locali classificati nell’attività economica con il codice ATECO 56.10.20 “Ristorazione senza somministrazione con preparazione di cibi da asporto” possono essere inseriti nella rete dei locali convenzionati, compresi quindi i supermercati qualora l’attività riferita “all’Unità locale” che si intende convenzionare, sia classificata nel registro delle imprese con il codice ATECO 56.10.20. Come indicato nell’allegato n. 3 al Capitolato tecnico, per il codice ATECO 56.10.20 negli accordi di convenzione tra il Fornitore e gli Esercizi convenzionati si richiede obbligatoriamente di normare la tipologia di cibi da asporto, proponendo unicamente pasti pronti al consumo (es. prodotti da rosticceria o gastronomia) o qualsiasi altro alimento pronto al consumo immediato che soddisfi le caratteristiche descritte. Nel “Modello accordo di convenzione” pag. 3 punto 5. il Titolare/Responsabile legale dell’esercizio si impegna ad esporre in modo ben visibile la possibilità di utilizzare il buono pasto per asportare unicamente pasti pronti per il consumo immediato (es. prodotti di rosticceria/gastronomia)”.
9.5. Pertanto, l’immotivata (e postuma) esclusione tout court degli esercizi commerciali (dotati di servizio di gastronomia da asporto), sol perché non in possesso di un determinato codice ATECO, che non ha riscontro negli atti di gara, discrimina in modo ingiustificato e sproporzionato gli operatori economici, riducendo il numero di esercizi presso cui spendere il buono pasto, senza che sia dimostrata l’idoneità di tali prescrizioni a migliorare il servizio e a perseguire gli obiettivi indicati dalla stessa stazione appaltante (in violazione di quelle disposizioni dell’ordinamento comunitario e nazionale in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi, tese a “garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione”: cfr. art. 3 del D.L. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006 rubricato “Regole di tutela della concorrenza nella distribuzione commerciale”). Poiché l’obiettivo del servizio sostitutivo di mensa oggetto di affidamento è quello di “garantire il benessere psicofisico necessario alla prosecuzione dell’attività lavorativa”, “consentendo al lavoratore la consumazione di un pasto durante una pausa lavorativa al fine di ottimizzare il rendimento della prestazione di lavoro” e “garantire il recupero delle energie psico-fisiche in vista della maggior resa della prestazione lavorativa”, come evidenziato dalla stessa Amministrazione, sarebbe infatti logico garantire ai dipendenti la più ampia fruibilità del titolo presso il maggior numero di esercizi possibile, limitandolo sulla base del dato sostanziale dell’attività effettivamente svolta (la somministrazione di alimenti e bevande pronti al consumo immediato) e non del mero dato formale della classificazione ATECO dell’esercente da convenzionare. Al riguardo, non è poi superfluo evidenziare che l’apertura del mercato in questione agli esercizi commerciali ha lo scopo “di favorire la libera ed effettiva concorrenza nel settore e l'equilibrato svolgimento dei rapporti tra i diversi operatori economici al fine di un efficiente servizio ai consumatori” (così la Commissione speciale del Consiglio di Stato nell’Adunanza del 9 gennaio 2017, n. affare 2316/2016): sicché l’ampliamento della rete degli esercizi convenzionati (se in grado di erogare il servizio con le prescritte modalità), oltre a realizzare un obiettivo pro-concorrenziale, è funzionale ad assicurare quel “benessere” dei dipendenti in ragione di quelle “modificate abitudini di acquisto e consumo degli utenti” cui prima si accennava.
9.6. Sotto altro concorrente profilo la disposta decadenza dall’aggiudicazione per pochissime non conformità consistenti nel mancato possesso della classificazione ATECO, oltre a non trovare riscontro negli atti di gara (anche alla luce delle disposizioni del Capitolato sopra richiamate), è contraria al principio di proporzionalità.
Al riguardo, va anzitutto evidenziato come irragionevolmente gli atti impugnati non abbiano prescritto né tenuto conto di una soglia minima di conformità, sicché, in difetto di una siffatta previsione, anche un solo esercizio mancante o difforme avrebbe comportato la sproporzionata sanzione decadenziale, senza consentire neppure in caso di minimi scostamenti (come quelli qui in concreto riscontrati) l’espunzione entro un determinato termine degli esercizi effettivamente non conformi al tipo di attività esercitata (e, quindi, non in grado di erogare le prestazioni obbligatorie previste).
La Stazione appaltante avrebbe dovuto, mediante la previsione della soglia minima di conformità, indicare il margine entro il quale era da considerare accettabile e fisiologico un certo scostamento tra numero di esercizi dichiarati e numero di esercizi effettivamente convenzionabili, superato il quale lo scarto tra le convenzioni dichiarate dalla concorrente in sede di offerta e quelle documentate nel termine richiesto dall’Amministrazione era da considerarsi non minimale; diversamente la comminata sanzione della decadenza (e quelle conseguenti dell’escussione della cauzione e della segnalazione all’ANAC) non può rispondere al generale principio di proporzionalità, potendo derivare tali gravi conseguenze, a seguire il ragionamento della Provincia, anche in caso di una sola riscontrata mancanza o difformità su un numero consistente di esercizi indicati.
9.7. In definitiva, i provvedimenti impugnati prima e la sentenza poi non hanno considerato il rapporto di continenza che caratterizza i codici ATECO (come evidenziato, tutta l’attività degli esercizi commerciali adibiti a supermercati, sebbene riferita a prodotti di varie categorie merceologiche, confluisce per ragioni fiscali sotto l’unico codice ATECO 47.10), trascurando altresì che la stessa lex specialis di gara non ha previsto un elenco ab origine tassativo dei codici ATECO (in specie relativo ai servizi di ristorazione) che gli esercizi convenzionabili avrebbero dovuto possedere né vi ha attribuito un “valore corrispondente ai contenuti della licenza commerciale” o una "valenza specifica” rispetto a quella sua propria.
9.7.1. Invero, neppure con l’impugnato “chiarimento n. 8” del 15 febbraio 2019 la Provincia ha affermato la censurata tassatività dei codici ATECO, essendo tale carattere emerso soltanto con la nota di avvio del procedimento di decadenza nei confronti dell’aggiudicataria ove per la prima volta si affermava che l’elenco dei codici ATECO doveva considerarsi “chiuso”, “tassativo” e “non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica”, al fine di “porre rimedio ad origine ad alcuni comportamenti opportunistici, spesso inconsapevoli, da parte del personale dipendente” ribadendo (con la successiva nota del 10 gennaio 2020) che tale scelta intendeva “evitare l’utilizzo improprio del servizio per acquistare prodotti di vario tipo (soprattutto nell’ambito di supermercati con annesso bar) non qualificabili come pasto pronto”, per poi ancora precisare che l’introduzione dei codici ATECO era correlata allo scopo di “circoscrivere l’oggetto del contratto ed, in particolare, enucleare in maniera puntuale le caratteristiche che devono essere possedute dai locali costituenti la rete”.
9.7.2. Acclarato che la finalità del servizio è quella di assicurare ai dipendenti l’acquisto di un pasto pronto per il consumo immediato nei giorni di servizio, in base a peculiari “specifiche tecniche” da garantire nel corso della sua esecuzione (e tra queste le “caratteristiche” dei locali erano già elencate nell’art. 6 del Capitolato) andava accordata comunque prevalenza alle “licenze” (e quindi all’attività concretamente assentita e svolta) anziché al dato formale del mero possesso del “codice ATECO”, sì da consentire pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione, senza comportare ostacoli ingiustificati alla concorrenza e alla partecipazione alla gara, consentendo ai concorrenti di provare l’effettiva capacità di adempiere agli obblighi assunti e la sostanziale conformità del servizio offerto (in ragione del tipo di attività in concreto ed effettivamente svolta all’interno dei locali convenzionati) “alle prestazioni e ai requisiti funzionali dell'amministrazione aggiudicatrice” e in definitiva alle finalità e agli obiettivi perseguiti con l’affidamento in questione; e ciò tanto più ove si segua il ragionamento della Provincia secondo cui quello in questione non costituisce requisito di partecipazione, ma strumento di perimetrazione dell’oggetto del servizio che ne descrive le modalità di erogazione (attenendo dunque alla mera fase esecutiva).
A ogni modo la stazione appaltante, pur avendo già verificato la serietà dell’impegno a costituire la rete da parte dell’aggiudicataria (avendo la stessa difesa della Provincia riconosciuto che l’accertamento di regolarità formale delle convenzioni stipulate e depositate dalla Day Ristoservice si è conclusa positivamente per l’odierna appellante), ha esteso le verifiche all’esistenza delle caratteristiche del servizio che intendeva offrire ai propri dipendenti, come definite negli impugnati chiarimenti, basate sul mero riscontro formale della classificazione ATECO.
9.7.3. A tale riguardo giova evidenziare che l’appellante ha provato, senza contestazione sul punto da parte dell’Amministrazione, che gli esercizi convenzionati sono in grado di offrire il servizio sostitutivo di mensa messo a gara, con le caratteristiche e modalità definite dalla lex specialis di gara e volute dalla stazione appaltante, a prescindere dal mancato possesso del dato formale costituito dalla classificazione successivamente richiesta.
Nello specifico, con un’articolata nota del 16 gennaio 2020 la Day Ristoservice, per ogni singolo esercizio, ha prodotto le visure camerali con l’indicazione dell’oggetto sociale e numerose rappresentazioni fotografiche dei corner di somministrazione di pasti pronti al consumo, con ciò dimostrando che gli esercizi convenzionati (anche quelli asseritamente non conformi per non aver inserito nel Registro delle Imprese i codici ATECO indicati) erano in grado di fornire il servizio richiesto.
La prestazione in esame, del resto, non è né fungibile, né cumulabile, né diversamente utilizzabile, essendo inoltre già nello schema di convenzione con gli esercenti espressamente prevista “la possibilità di utilizzare il buono pasto per asportare unicamente pasti pronti per il consumo immediato”, con esclusione indi di ogni altra categoria merceologica.
9.7.4. L’appellante ha dunque assolto agli oneri previsti dalla legge di gara, ove si stabiliva (art. 23.1. del Disciplinare in materia di “verifica esercizi convenzionati”) che “la prova dell’adempimento di quanto dichiarato in offerta tecnica in ordine alla rete degli esercizi convenzionati, ivi compresi gli esercizi in possesso del marchio o che rispettano tutti i requisiti di cui al marchio “Ecoristorazione Trentino (elementi di valutazione A e B)” doveva essere fornita “trasmettendo gli originali degli “Accordi di convenzione” (con le indicazioni richieste, compresa “l’indicazione della percentuale di sconto incondizionato offerta ed applicata dal concorrente”).
Dalla lettura testuale della norma da ultimo richiamata non risulta tuttavia che tali controlli includessero anche i codici ATECO. Ed infatti, l’art. 23.1 concludeva precisando che “l’Amministrazione non terrà conto degli accordi di convenzione che riportino una percentuale di sconto incondizionato/commissione difforme da quella indicata in sede di offerta tecnica dal concorrente”, aggiungendo che “la stipula della Convenzione è subordinato all’esito positivo delle predette verifiche e agli adempimenti previsti dal Capitolato tecnico in generale e in particolare, dagli artt. 4 (attivazione del sistema informatico) e 7 (costituzione del circuito comune degli CCE) del medesimo)”(articoli questi ultimi che, a loro, volta non riportavano alcun riferimento ai codici ATECO).
Il possesso dei codici ATECO era previsto, ai fini ispettivi, esclusivamente nell’ambito del “livello di servizio atteso” disciplinato dal citato art. 13 del Capitolato Tecnico, che riconosceva al fornitore un lasso di tempo (pari a cinque giorni consecutivi) entro i quali regolarizzare gli esercizi.
Non è dato dunque dubitare, allo stato, della serietà e veridicità degli impegni assunti in sede di offerta da parte dell’odierna appellante.
9.7.5. Non è poi superfluo evidenziare, come bene dedotto da parte appellante, che:
a) la Legge Provinciale n. 2 del 9 marzo 2016 nella formulazione vigente alla data di pubblicazione del bando, richiamata in tutti i provvedimenti della Stazione appaltante impugnati nel giudizio di primo grado, ha previsto al comma 9 che i controlli antecedenti la fase di esecuzione del contratto potessero essere sì svolti in qualsiasi momento, ma limitatamente “al possesso dei requisiti e al rispetto delle condizioni di partecipazione della gara”;
b) la Determinazione n. 45 del 30 ottobre 2018 “conformemente alle indicazioni date dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) con determinazione n. 5 del 20 ottobre 2011”, demandava i controlli sulle “specifiche tecniche” alla fase dell’esecuzione del contratto;
c) la Determinazione AVCP del 20 ottobre 2011 non contiene alcun cenno ai codici ATECO e colloca espressamente nella fase esecutiva le verifiche circa “l’esistenza e le caratteristiche degli esercenti, nonché il rispetto delle condizioni di convenzionamento dichiarate in sede di gara” (cfr. par. 7 “La rete degli esercizi convenzionati”); con la Determinazione in parola peraltro (richiamata dalla stessa Stazione appaltante nella Determinazione a contrarre 45/2018), l’Autorità, stante le peculiarità che informano il mercato dei servizi sostitutivi di mensa mediante l’erogazione di buoni pasto, aveva esortato le Stazioni appaltanti a “predeterminare nel bando di gara una soglia minima di conformità, fissata in percentuale al numero complessivo di esercizi dichiarati, considerando accettabile e fisiologico un certo scostamento tra il numero di esercizi dichiarati e numero di esercizi effettivamente convenzionati”.
9.7.6. A ciò si aggiunga che anche le delibere provinciali della Giunta Provinciale n. 2960 del 23 dicembre 2010 e n. 2031 del 28 settembre 2012 richiamate nell’impugnata nota del 9 gennaio 2020 (recante la rilevazione di asserite irregolarità inerenti agli accordi di convenzionamento), consentono di “regolarizzare o integrare le dichiarazioni sostitutive, fissando un termine per detta regolarizzazione o integrazione” qualora nel corso dei controlli si siano rilevati degli errori, prevedendo solo con riferimento ai più gravi casi di “dichiarazioni non veritiere” (qui non ricorrenti per quanto finora detto, avendo l’aggiudicataria solo prodotto le convenzioni compilate dagli esercenti, con i relativi codici ATECO), in applicazione del principio di proporzionalità, la “decadenza parziale dal beneficio conseguito illecitamente”.
10. È invece infondato l’appello incidentale.
10.1. Correttamente la sentenza ha dichiarato il ricorso incidentale inammissibile per difetto di legittimazione, con statuizioni che qui si condividono.
10.2. Cirfood impugna questo capo della sentenza con un unico motivo, sostenendo che il Consiglio di Stato, con la sentenza 5420/2020, avrebbe riconosciuto la sua “piena legittimazione a svolgere attività difensiva nel giudizio promosso da Day ristoservice s.p.a. avverso il provvedimento di decadenza che la riguarda”.
10.3. Sul punto deve invece in primo luogo rilevarsi che correttamente la sentenza impugnata ha osservato che la citata decisione n. 164 del 2019 del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento che ha confermato la decadenza dall’aggiudicazione disposta nei confronti di Cirfood, nonostante la pendenza del giudizio di appello, fosse al tempo esecutiva ed efficace e che pertanto, secondo il principio affermato da una consolidata e condivisibile giurisprudenza (ex multis, C.d.S., Sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1560; Sez. V, 20 febbraio 2012, n. 892), in capo al concorrente legittimamente escluso non può essere riconosciuta una posizione differenziata e qualificata a contestare gli esiti e la legittimità delle scansioni procedimentali della gara dalla quale è stato estromesso, né un interesse a ottenere la riedizione della gara. D’altra parte, come bene evidenziato dal primo giudice, non assumeva rilievo neppure il dichiarato interesse di Cirfood a proseguire oltre il 31 dicembre 2020 la gestione in proroga del servizio a fronte dell’interesse dell’amministrazione ad attivare per il proprio personale un sistema “a regime” del servizio sostitutivo di mensa, nelle forme e con le modalità ritenute opportune (tra cui quelle indicate nell’art. 19 della legge provinciale 23 marzo 2020, n. 2 il quale prevede che la Provincia, possa, in alternativa all’appalto, procedere alla gestione diretta del servizio sostitutivo di mensa).
La sentenza di prime cure ha dunque bene evidenziato come la ricorrente incidentale Cirfood, estromessa dalla gara, non risultava - rebus sic stantibus - pregiudicata nella sfera soggettiva, atteso che solo l’eventuale annullamento da parte del giudice d’appello della decadenza dall’aggiudicazione della gara, a suo tempo disposta nei suoi confronti, l’avrebbe ricollocata in una situazione di interesse.
L’interesse strumentale della ricorrente incidentale alla ripetizione della gara presuppone inoltre la conferma del provvedimento di decadenza disposto nei confronti dell’odierna appellante principale; essendo quest’ultimo provvedimento illegittimo e da annullare per le ragioni anzidette, Cirfood, operatore economico decaduto dall’aggiudicazione, è priva di qualunque interesse ad una ripetizione della gara.
10.2. A quanto correttamente statuito dal primo giudice si aggiunga che l’esclusione di Cir Food si è consolidata per effetto della sentenza di appello (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 settembre 2020, n. 5420), che ha respinto l’appello della Cirfood contro la menzionata sentenza del T.R.G.A. n. 164 del 2019, in cui il Consiglio di Stato non si è pronunciato sulla legittimazione a proporre ricorso incidentale in un altro giudizio, ma in un mero obiter ha affermato che l’appellante aveva potuto svolgere tale attività difensiva nel giudizio di impugnazione avverso il provvedimento di decadenza nel quale risultava aver proposto ricorso incidentale.
Risulta inoltre dagli atti (cfr. memoria per l’udienza pubblica della Day Ristoservice) che la Cirfood ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza del Consiglio di Stato, n. 5420/2020.
10.3. In conclusione, va confermata la sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale di primo grado ex art. 35, comma 1, lett. b) c.p.a. (per mancanza di interesse attuale alla dimostrazione di ulteriori motivi di decadenza dall’aggiudicazione disposta in favore dell’appellante principale), in quanto la Cirfood, legittimamente esclusa dalla gara, non è titolare di una posizione differenziata rispetto alle scansioni procedimentali e all’esito della procedura di gara dalla cui aggiudicazione è decaduta, né vanta un interesse strumentale ad ottenere la riedizione della gara stessa o la proroga del contratto (Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4; Cons. Stato, V, 20 febbraio 2012, n. 892).
10.4. Il ricorso incidentale di primo grado è altresì inammissibile anche ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b) Cod. proc. amm. e dell’art. 42, comma 1, Cod. proc. amm., per essere al momento della sua proposizione decorso il termine dimidiato per agire in via principale per l’annullamento degli atti con esso gravati (dei quali l’appellante incidentale ha avuto conoscenza già in occasione dell’accesso documentale in data 12 dicembre 2019, momento dal quale ha cominciato a decorrere il relativo termine di impugnazione).
11. In conclusione, l’appello principale va accolto nei sensi e termini indicati in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado ed annullato l’impugnato provvedimento di decadenza dall’aggiudicazione disposto nei confronti della Day Ristoservice s.p.a. e gli altri atti impugnati in primo grado, nei limiti indicati in motivazione.
Deve essere invece respinto in quanto infondato l’appello incidentale di Cirfood.
12. La complessità e particolarità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra tutte le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così decide: a) accoglie l’appello di Day Ristoservice s.p.a. e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso principale di primo grado e annulla i provvedimenti con esso impugnati nei limiti indicati in motivazione; b) respinge l’appello incidentale.
Compensa interamente tra tutte le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall'art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e dall’art. 1, comma 17, come modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, con l'intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Federico Di Matteo, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere, Estensore
Stefano Fantini, Consigliere
Giovanni Grasso, Consigliere
[1] Cfr. D.P.C.M. del 14 gennaio 2021.
[2] Sulla tematica è anche intervenuta la Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n.14891 del 13 luglio 2020, ha specificamente definito “i codici ISTAT, identificativi dell’ attività svolta (c.d.codici Ateco) di rilievo essenzialmente statistico”.