Cons. Stato, Ad. Plen., 27 maggio 2021, nn. 9, 10, 11
La presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186-bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale.
La partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186-bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante.
L’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale.
L’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione, nella fase di gara, del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, che abbia presentato domanda di concordato in bianco o con riserva a norma dell’art. 161, comma 6, l. fall, e non sia stata utilmente autorizzato dal tribunale fallimentare a partecipare a tale gara, solo se tale sostituzione possa realizzarsi attraverso la mera estromissione del mandante, senza quindi che sia consentita l’aggiunta di un soggetto esterno al raggruppamento; l’evento che conduce alla sostituzione interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara.
L’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione meramente interna del mandatario o del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese con un altro soggetto del raggruppamento stesso in possesso dei requisiti, nella fase di gara, e solo nelle ipotesi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di liquidazione o, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte, interdizione, inabilitazione o anche liquidazione giudiziale o, più in generale, per esigenze riorganizzative dello stesso raggruppamento temporaneo di imprese, a meno che – per questa ultima ipotesi e in coerenza con quanto prevede, parallelamente, il comma 19 per il recesso di una o più imprese raggruppate – queste esigenze non siano finalizzate ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara.
L’evento che conduce alla sostituzione meramente interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara o la prosecuzione del rapporto contrattuale.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2 di A.P. del 2021, proposto da
Impresa Devi Impianti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Sansone e Eugenio Bruti Liberati, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Consorzio Stabile Rennova, La Torre Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Gianluigi Pellegrino, Pierluigi Piselli e Alessandro Bonanni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro Bonanni in Roma, via G. Mercalli 13;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Rialto Costruzioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Magliocca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 3 di A.P. del 2021, proposto da
Rialto Costruzioni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Antonio Magliocca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Consorzio Stabile Rennova e La Torre Costruzioni S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Gianluigi Pellegrino, Pierluigi Piselli e Alessandro Bonanni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro Bonanni in Roma, via G. Mercalli 13;
nei confronti
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Impresa Devi Impianti S.r.l. non costituiti in giudizio;
per la riforma,
in entrambi gli appelli,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna 28 gennaio 2020, n. 76, resa tra le parti, concernente l’aggiudicazione della procedura aperta per l’affidamento dei “lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì- 1 stralcio”;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione nei giudizi del Consorzio Stabile Rennova e di La Torre Costruzioni S.r.l., del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di Rialto Costruzioni S.p.A.;
Vista l’ordinanza n. 309/2021 di rimessione all’Adunanza plenaria dei due giudizi riuniti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2021 il cons. Hadrian Simonetti, uditi per le parti gli avvocati Paolo Sansone, Eugenio Bruti Liberati, Gianluigi Pellegrino, Alessandro Bonanni, Antonio Magliocca e l'avvocato dello Stato Davide Di Giorgio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con bando pubblicato il 19.10.2018 il Ministero delle infrastrutture – Provveditorato per le opere pubbliche Lombardia ed Emilia Romagna ha indetto una procedura aperta per l’affidamento dei “lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì, per un importo di 31.615.296,64, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Alla procedura partecipavano 6 concorrenti e l’iniziale aggiudicazione era annullata all’esito di un primo giudizio, per vizi nella composizione della commissione giudicatrice. Rinnovate le operazioni di gara, con atto del 9.9.2019 la procedura è stata aggiudicata al RTI tra Devi Impianti s.r.l. (mandataria) e Rialto Costruzioni (mandante).
2. Proposto ricorso dalla seconda classificata avverso l’aggiudicazione, deducendo quattro ordini di censure, tutte potenzialmente escludenti, il Tar con sentenza 76/2020, disatteso il ricorso incidentale proposto dalla Devi Impianti, lo ha accolto, giudicando fondati i primi due motivi ed assorbendo i restanti.
Il Tar ha rilevato la violazione dell’art. 80, comma 5, lett. b) del Codice dei contratti, in ragione del fatto che la mandante del raggruppamento aggiudicatario aveva presentato in corso di gara, il 5.2.2019, domanda di concordato con riserva ai sensi dell’art. 161, comma 6, l.fall. e sul presupposto che in tale evenienza sia preclusa la partecipazione a gare pubbliche.
Ha rilevato inoltre la violazione dell’art. 80, comma 5 bis, del Codice dei contratti, in ragione del ritardo con cui la mandataria ha comunicato alla stazione appaltante, solo il 19.7.2019 a distanza di oltre cinque mesi, il fatto che la mandante avesse presentato la domanda di concordato con riserva.
La reiezione del ricorso incidentale condizionato proposto dalla mandataria, volto a richiedere la possibilità di designare una nuova impresa mandante, è stato giudicato infondato sul rilievo che la disposizione di cui all’art. 48, comma 19-ter, non possa consentire modificazioni della compagine di RTI dirette ad eludere il mancato possesso dei requisiti.
3. Avverso la sentenza è proposto un primo appello dalla società mandante Rialto Costruzioni, ripercorrendo preliminarmente i fatti di causa e precisando come la prima comunicazione alla stazione appaltante, in ordine al deposito del ricorso ex art. 161, comma 6, l.fall., risaliva al 6.2.2019, che il piano e la proposta erano stati depositati dinanzi al tribunale fallimentare l’11.9.2019, il che era stato comunicato alla stazione appaltante il 16.9.2019, che il 17.12.2019 il tribunale aveva autorizzato la stipula del contratto di appalto.
Ciò posto, ha dedotto l’erroneità della sentenza assumendo sia non occorresse richiedere alcuna autorizzazione, anche in ragione del fatto che la partecipazione in gara era già in corso al momento di presentare domanda di concordato con riserva; sia che la presentazione di tale domanda non determinerebbe la perdita dei requisiti.
4. Un secondo appello è stato proposto dalla società mandataria Devi Impianto, con cui ha dedotto sotto diversi aspetti l’erroneità della sentenza, anche nella parte in cui ha respinto il ricorso incidentale proposto nel giudizio di primo grado.
Si sono costituiti Il Ministero delle Infrastrutture e il Consorzio Stabile Rennova e LaTtorre Costruzioni s.r.l., il primo aderendo alla domanda di riforma della sentenza, le seconde replicando con articolate memorie difensive nel senso della conferma della sentenza del Tar.
5. Accolta la domanda cautelare e sospesa l’esecutività della sentenza appellata, con ordinanza n. 309/2021 la V sezione del Consiglio di Stato, disposta la riunione degli appelli, alla luce del contrasto di orientamenti registratisi in proposito, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., ha rimesso all’Adunanza plenaria una serie di questioni concernenti il tema e i profili della rilevanza della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara.
Le questioni poste all’esame dell’adunanza plenaria sono in particolare le seguenti:
“a) Se la presentazione di un’istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, legge fallimentare (r.d. n. 267/1942) debba ritenersi causa di automatica esclusione dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell’ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale;
b) se la partecipazione alle gare pubbliche debba ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, dunque, possa consentirsi alle imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo c.d. in bianco la partecipazione alle stesse gare, soltanto previa autorizzazione giudiziale nei casi urgenti, ovvero se detta autorizzazione debba ritenersi mera condizione integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione;
c) in quale fase della procedura di affidamento l’autorizzazione giudiziale di ammissione alla continuità aziendale debba intervenire onde ritenersi tempestiva ai fini della legittimità della partecipazione alla procedura e dell’aggiudicazione della gara;
d) se le disposizioni normative di cui all’art. 48, commi 17, 18, 19 ter del d.lgs. n. 50/2016 debbano essere interpretate nel senso di consentire la sostituzione della mandante che abbia presentato ricorso di concordato preventivo c.d. in bianco ex art. 161, comma 6, cit. con altro operatore economico subentrante anche in fase di gara, ovvero se sia possibile soltanto la mera estromissione della mandante e, in questo caso, se l’esclusione del r.t.i. dalla gara possa essere evitata unicamente qualora la mandataria e le restanti imprese partecipanti al raggruppamento soddisfino in proprio i requisiti di partecipazione”.
Le difese, in vista della discussione, hanno depositato ulteriori memorie ai sensi dell’art. 73 c.p.a., ribadendo le proprie rispettive tesi.
DIRITTO
1. Le prime tre delle quattro questioni sollevate dalla V sezione sottopongono all’esame dell’Adunanza plenaria il tema delle interferenze tra il concordato preventivo con continuità aziendale, in particolare nella versione del concordato in bianco o con riserva o preconcordato, e le vicende dei contratti pubblici, con specifico riferimento alla fase dell’evidenza pubblica e dunque alla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto o della concessione.
2. Se tradizionalmente il rapporto tra le procedure concorsuali e le procedure ad evidenza pubblica è sempre stato all’insegna dell’antinomia, nel senso che la sottoposizione dell’impresa al fallimento o a procedure similari è sempre stata una causa ostativa o di impedimento a partecipare alle gare, a partire dal d.l. 83/2012 che modificava l’art. 38 del Codice dei contratti del 2006 si è aperta per così dire una breccia, che ha riguardato proprio il concordato preventivo con continuità aziendale.
Si tratta, questa, di una variante del concordato preventivo, procedura concorsuale che, a differenza in particolare del fallimento, ha sempre avuto una finalità “recuperatoria” ma che, nella logica originaria della legge fallimentare del 1942, incentrata sull’espulsione dal mercato dell’impresa insolvente, occupava un posto secondario, se non marginale.
L’evoluzione del diritto concorsuale italiano, quale registratasi soprattutto a partire dalle riforme del 2005-2006 attraverso una profonda revisione dell’impianto della legge fallimentare, nel quadro di una riscoperta e di un forte potenziamento delle procedure finalizzate al recupero del valore dell’impresa e alla continuazione dell’azienda, privilegiando soluzioni della crisi concordate con i creditori, ha visto, con il ricordato d.l. 83/2012 che ha aggiunto l’art. 186 bis alla legge del 1942, l’ingresso nel nostro sistema del concordato con continuità aziendale, finalizzato ad assicurare il ritorno in bonis dell’imprenditore e la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dello stesso.
Sin dal suo primo apparire, il nesso tra concordato con continuità e contratti pubblici è stato molto forte, sul presupposto che, nella generalità dei casi e in un mercato dove gli appalti aggiudicati dalle pubbliche amministrazioni occupano uno spazio considerevole, fossero funzionali, per non dire del tutto necessari, al perseguimento dell’obiettivo del recupero di valore dell’impresa sia la continuazione dei contratti pubblici già in corso, sia la partecipazione a procedure di assegnazione di nuovi contratti pubblici con la possibilità, quindi, di aggiudicarsi nuove commesse (come ha ricordato anche, di recente, Corte cost. n. 85/2020, al punto 5.1).
Di questo nesso così stretto il legislatore del 2012 si era mostrato subito consapevole, non solo nella disciplina dell’istituto racchiusa nell’art. 186 bis della legge fallimentare, che già allora in diversi punti faceva menzione dei contratti pubblici per garantirne la prosecuzione e quindi la stabilità o per permetterne a determinate condizioni la stipula di nuovi, ma anche nella coordinata modifica dell’art. 38 del codice dei contratti del 2006, già ricordata. Modifica in forza della quale, alla tradizionale e risalente regola di esclusione per le imprese in stato di fallimento, liquidazione coatta o concordato preventivo (v. già l’art. 75 del d.p.r. 554/1999 e prima ancora l’art. 13 della l. 584 del 1977 e a ritroso l’art. 15 della l. 57 del 1962 sull’istituzione dell’albo nazionale dei costruttori che aveva specificato e definito sul punto la clausola generale di “insindacabile” esclusione di cui all’art. 68 del r.d. 827 del 1924), si introduceva la novità di un’eccezione esplicita per “il caso di cui all’art. 186 bis…”.
Allo stesso anno, il 2012, risale anche, mutuato dall’esperienza nordamericana, la prima previsione del concordato in bianco o con riserva, introdotto all’art. 161, comma 6, con il quale l’imprenditore può depositare un ricorso contenente una domanda di concordato, avente comunque un contenuto minimo, riservandosi di procrastinare di sessanta o centoventi giorni la presentazione del piano e della proposta di concordato, così da anticipare i tempi dell’emersione della crisi, ma avendo uno spazio maggiore per elaborare una via d’uscita dalla stessa, e nel frattempo beneficiare degli effetti “protettivi” di cui all’art. 168 nei confronti delle iniziative di terzi, con la possibilità di compiere atti di ordinaria amministrazione e anche, purché urgenti, di straordinaria amministrazione su autorizzazione del tribunale, come anche di assicurare la prededuzione ai nuovi creditori.
Il concordato in bianco o con riserva - in cui autorevole dottrina ha scorto una scissione tra il profilo volitivo (la domanda di apertura del concordato), quello propositivo (la proposta) e quello argomentativo (il piano) - ha conosciuto sin dai primi mesi di applicazione un significativo successo ricevendo, anche per questo improvviso e largo utilizzo, valutazioni discordanti, in specie per i temuti rischi di abuso (sui quali v. Cass. Sez. U., n. 9935/2015). Il legislatore è quindi presto tornato sull’art. 161, comma 6, con alcuni correttivi significativi, il principale dei quali è consistito nel prevedere la possibilità che il tribunale – nel fissare il termine entro il quale l’imprenditore deve presentare la proposta e il piano di concordato nonché depositare la documentazione - nomini subito un commissario giudiziale affinché vigili sull’impresa nel tempo, che potrebbe anche essere non breve, compreso tra la presentazione della domanda di concordato e l’ammissione alla procedura, e dove maggiori sono i timori di un uso dilatorio dell’istituto.
Del commissario giudiziale e della sua funzione di vigilanza è fatta menzione anche all’art. 186 bis, a proposito del concordato con continuità aziendale, in particolare al comma 4 inserito nel 2013 e da allora rimasto sostanzialmente immutato, dove si è previsto che successivamente al deposito del ricorso, ovvero alla domanda di concordato con esso proposta, “la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato”.
Anticipando quel che si osserverà a breve, mentre le disposizioni della legge fallimentare, rilevanti ai fini della presente decisione (artt. 161 e 186 bis), dal 2013 in poi si sono stabilizzate e da ultimo sono state trasfuse nel codice della crisi d’impresa del 2019 (non ancora in vigore, per queste parti), sono cambiate invece, più volte come si vedrà, quelle del codice dei contratti del 2016 racchiuse negli articoli 80, comma 5, lett. b) e 110, il che ha reso il coordinamento tra le prime e le seconde sicuramente meno agevole.
3. Ciò premesso, sulla questione posta con il primo quesito si è registrato un contrasto di orientamenti, puntualmente ripercorso nell’ordinanza di remissione.
L’indirizzo favorevole all’applicabilità anche al concordato in bianco o con riserva della deroga all’art. 80 , comma 5, lett. b) del codice dei contratti prevista per il concordato con continuità aziendale (Cons. St., sez. V n. 1328/2020, sez. III n. 1772/2018, sez. VI n. 426/2016, sez. III n. 5519/2015, sez. V n. 6272/2013, sez. IV n. 3344/2014) fa leva sull’effetto prenotativo della domanda di concordato in bianco, in funzione del possibile concordato con continuità aziendale, e sulle finalità anticipatorie e protettive dell’istituto.
L’indirizzo restrittivo, che conduce all’esclusione in via automatica dalla procedura di gara (Cons. St., VI n. 3984/2019, sez. III n. 5966/2018), muove dalla duplice premessa che con la domanda di concordato in bianco il debitore riconosca il venir meno dei propri requisiti di affidabilità e che la partecipazione alla gara sia un atto di straordinaria amministrazione, autorizzabile a mente dell’art. 161, comma 6, solo se urgente, per poi sottolineare l’incertezza e la fluidità della fase che si apre a seguito della domanda in bianco o con riserva, il che renderebbe tale fattispecie non comparabile con quella del concordato con continuità aziendale in senso proprio, il solo caso peraltro contemplato dall’art. 80, comma 5, lett. b) quale ragione di eccezione alla veduta regola che, in omaggio alla tradizione della contrattualistica pubblica nazionale, dispone altrimenti l’esclusione dell’operatore che si trovi in stato di insolvenza o di crisi, giudicandolo inaffidabile.
4. La soluzione del contrasto impone di riprendere il discorso sul quadro normativo di riferimento, approfondendo ora il rapporto tra le discipline della legge fallimentare e del codice dei contratti.
Se della prima si è già detto, sottolineandone la sostanziale stabilità dal 2013 in poi, la seconda ha conosciuto invece continui rimaneggiamenti per effetto dei quali è mutato nel tempo il grado – ora maggiore, ora minore - di concordanza con la prima.
In linea generale va ricordato come nella disciplina sui contratti pubblici il problema della crisi di impresa sia sempre stato affrontato per lo più o primariamente secondo la prospettiva e dal punto di vista della stazione appaltante, muovendo quindi dalla preoccupazione che la crisi possa minare alla radice l’affidabilità dell’appaltatore in vista della realizzazione della commessa pubblica. A tale preoccupazione l’ordinamento risponde con delle norme di ordine pubblico poste a tutela della stazione appaltante e improntate non da oggi (si è già citato, tra gli altri, l’art. 15 della l. 57/1962) ad una regola di esclusione obbligatoria ed automatica.
Si tratta, sempre ragionando in linea generale, di un approccio non del tutto necessitato sul piano del diritto europeo, nel senso che le direttive europee sugli appalti, a partire dalla prima, la n. 305 del 1971, sino all’ultima, la n. 24 del 2014, pur contemplando (quest’ultima all’art. 57.4, lett. b) il fallimento e le altre procedure concorsuali tra i possibili motivi di esclusione, e quindi riconoscendone certamente la rilevanza nell’ambito dei requisiti di partecipazione a garanzia dell’integrità degli operatori economici, hanno tuttavia sempre rimesso agli stati membri e alle loro amministrazioni aggiudicatrici la scelta se e come (verrebbe da dire, quanto) escludere i concorrenti che si trovano in tali situazioni, al pari di quanto previsto per le ipotesi di grave illecito o errore professionale.
In questo senso il richiamo alla recente sentenza della Corte di giustizia 28.3.2019, C-101/18, non è di particolare ausilio, non solo e non tanto poiché pronunciata in relazione all’art. 45 della direttiva 2004/18 e sull’assunto – si vedrà, revocabile in dubbio - del giudice remittente che la normativa nazionale disponga l’esclusione dalla gara dell’operatore economico che abbia presentato una domanda di concordato con riserva; ma, soprattutto, in quanto il giudice europeo ricorda come l’art. 45 in questione “non contempla un’uniformità di applicazione delle cause di esclusione che esso prevede a livello dell’Unione, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale. In tale ambito, gli Stati membri hanno il potere di attenuare o di rendere più flessibili i criteri stabiliti da tale disposizione” (punto 45 della motivazione).
Nel fare uso del proprio margine di scelta il legislatore italiano, ancora nel 2016, ha optato per un criterio binario: per cui la regola è e rimane l’esclusione obbligatoria e automatica per l’operatore in stato di fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo, mentre l’eccezione è ammessa per l’ipotesi di concordato con continuità aziendale.
Poiché il legislatore del codice dei contratti ha riferito testualmente il motivo di esclusione anche agli operatori nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di fallimento, o per le altre situazioni, si è fatta strada negli interpreti l’idea che l’eccezione andasse declinata unicamente in favore degli operatori che fossero già stati ammessi al concordato con continuità aziendale. Un’idea rafforzata dalla lettura dell’art. 110, comma 3 – nel testo applicabile ratione temporis - dove la partecipazione alle procedure di affidamento è riferita, oltre che al curatore del fallimento ammesso all’esercizio provvisorio, alla (sola) impresa (già) “ammessa” al concordato con continuità aziendale; e dove per l’impresa che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva si dice(va) solo che “può eseguire i contratti già stipulati”.
5. Stando al complessivo (e innegabilmente complesso) dato testuale ricavabile dal codice dei contratti, nella versione applicabile sempre ratione temporis, se ne potrebbe ricavare allora la duplice conclusione per cui la partecipazione a nuove gare sarebbe preclusa non solo a chi ha presentato domanda di concordato in bianco ma, più in generale, in tutti i casi in cui l’operatore che ha presentato domanda di concordato preventivo a norma dell’art. 161 non sia stato ancora ammesso alla procedura. Il che, nei casi di concordato con continuità, non solo condurrebbe al sicuro insuccesso dell’istituto ma contrasterebbe frontalmente con quanto si è sempre letto, in questi anni, all’art. 186 bis, comma 4, dove – come già sottolineato – si dice chiaramente che tra il deposito della domanda e il decreto di apertura della procedura la partecipazione alle gare pubbliche è possibile purché sia autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (un ulteriore indice, in favore della possibilità di partecipare alle gare anche prima dell’ammissione al concordato, si ricava inoltre dall’art. 5 del DM 31.1.2015 in tema di regolarità contributiva).
Da questo inciso della norma fallimentare – “se nominato”, nella formulazione in vigore dal 2013 al 2019, divenuto attualmente (come confermato anche, quando finalmente sarà in vigore, dall’art. 95 del codice della crisi) “ove già nominato” – già l’ANAC (con la determinazione n. 5 dell’8.4.2015) e la dottrina hanno ricavato la convinzione che esso dimostrerebbe come l’art. 186 bis, comma 4, contempli (anche) l’ipotesi del concordato in bianco o con riserva, dal momento che per il concordato preventivo ordinario la nomina del commissario giudiziale è doverosa, sicché l’uso della formula ipotetica si spiegherebbe solo se riferita al concordato in bianco dove, invece, la nomina del commissario giudiziale è una facoltà lasciata al tribunale.
In epoca più recente, successivamente all’indizione della gara qui in contestazione, queste distonie (ma v’era chi tra i commentatori aveva parlato, al principio, di vero e proprio corto circuito tra due blocchi normativi) tra il codice dei contratti e la legge fallimentare sono andate riducendosi (come ha osservato anche Corte cost., n. 85/2020 al punto 4.2.1), se è vero che l’art. 80, comma 5, lett. b) fa ora (di nuovo) testuale rinvio all’art. 186 bis della legge fallimentare (come già prima era avvenuto con l’art. 38 del vecchio codice) e quindi anche al suo comma 4; e che l’art. 110 è stato riscritto in occasione dell’adozione proprio del codice della crisi d’impresa (ad opera dell’art. 372 di tale codice), prevedendosi che alle imprese che hanno depositato domanda di concordato con riserva si applichi l’art. 186 bis della legge fallimentare e che per la partecipazione alle gare, tra il momento di tale domanda e quello del decreto di ammissione, sia sempre necessario l’avvalimento dei requisiti di un altro soggetto. Dove il primo periodo, nel fare rinvio all’art. 186 bis, ha una valenza di chiarimento o di interpretazione autentica; laddove invece il secondo periodo ha carattere innovativo, introducendo - per l’avvenire - un elemento di ulteriore garanzia che si aggiunge al controllo giudiziale.
Esplicativa di questo stato delle cose parrebbe la relazione illustrativa all’art. 372 del codice della crisi, che nel ribadire come la domanda con riserva non impedisce la partecipazione a procedure di affidamento, puntualizza come “Lo scopo è quello di evitare che paradossalmente, tale domanda, da strumento di tutela per l’imprenditore, diventa un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale”.
6. Oltre al dato ricavabile dalla legge fallimentare, e al progressivo riavvicinamento da parte del codice dei contratti, viene in soccorso nella soluzione del primo quesito l’inquadramento che la domanda con riserva riceve da parte della giurisprudenza della Suprema Corte nel più ampio contesto della procedura di concordato preventivo. Si è osservato al riguardo come con il ricorso di cui all’art. 161, comma 6, della legge fallimentare l’imprenditore presenta la domanda di concordato preventivo, “e non già un ricorso di portata diversa e più circoscritta”, e come “il procedimento innescato dalla domanda con riserva non è un primo procedimento distinto (e antecedente) rispetto a quello, ordinario, che si apre solo con la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, ma costituisce un segmento dell’unico procedimento che rileva, articolato in due fasi per così dire interne” (Cass. sez. I n. 14713/2019, nel senso che il cosiddetto preconcordato costituisce una mera opzione di sviluppo del concordato, in cui l’imprenditore ha già assunto la qualità di debitore concordatario ed è già sottoposto ad un regime di controllo giudiziale, v., altresì,.Cass., sez. I, n. 7117/2020).
7. L’insieme di questi rilievi e di queste evidenze conduce quindi l’Adunanza plenaria a ritenere che, sulla scorta dell’art. 186 bis, comma 4, della legge fallimentare, la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione né inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici. In particolare non si può ritenere che la presentazione di una tale domanda comporti per ciò solo la perdita dei requisiti generali di partecipazione - il cui eventuale successivo recupero in caso di buon esito della procedura non varrebbe neppure ad elidere una simile cesura, in ragione del noto principio di continuità sempre ribadito da questo Consiglio (Cons. St. AP n. 8/2012 e 8/2015) - ostando a tale ricostruzione, oltre che la lettera dell’art. 186 bis, la veduta e ribadita funzione prenotativa e protettiva dell’istituto del concordato con riserva che, come spiegato nella relazione ministeriale all’art. 372 del codice della crisi d’impresa, da strumento di tutela non può tradursi nel suo contrario, ossia in un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale in quanto proprio tale prospettiva postula che resti consentito, per quanto “vigilato”, l’accesso al mercato dei contratti pubblici (non pertinente è il richiamo a Cons. St., AP, n. 2155/2010, perché precedente le novità sul concordato introdotte a partire dal 2012).
Questa conclusione, che subordina la partecipazione alle procedure di gara al prudente apprezzamento del tribunale, vale sia per l’ipotesi che l’impresa abbia già assunto la qualità di debitore concordatario nel momento in cui è indetta la (nuova) procedura ad evidenza pubblica, che per il caso in cui, all’inverso, la domanda di concordato segua temporalmente quella già presentata di partecipazione alla gara. In questo senso la formula “partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici”, contenuta nell’art. 186 bis, comma 4 (e da ultimo all’art. 110, comma 4, del codice dei contratti), deve essere letta nel suo significato più pieno e più coerente con quella esigenza di controllo giudiziale ab initio che, realizzandosi sin dal momento in cui si costituisce il rapporto processuale con il giudice fallimentare, rappresenta il punto di equilibrio tra la tutela del debitore e quella dei terzi.
8. Si deve quindi precisare come, qualora come nel caso di specie l’impresa presenti la domanda di concordato dopo avere già presentato la domanda di partecipazione alla gara, essa dovrà chiedere al tribunale di essere autorizzata a (continuare a) partecipare alla procedura (in tal senso già Cons. St, sez. V, n. 6272/2013). Sebbene la legge non indichi un termine ad hoc per la presentazione di una tale istanza (di autorizzazione), è del tutto ragionevole ritenere che, secondo un elementare canone di buona fede in senso oggettivo, l’istanza debba essere presentata senza indugio, anche per acquisire quanto prima l’autorizzazione ed essere – per quanto si dirà - nella condizione utile di poterla trasmettere alla stazione appaltante con la procedura ad evidenza pubblica ancora in corso.
In casi di questo tipo, il richiamo alla buona fede, e agli obblighi di protezione che ne discendono nel corso delle trattative e della formazione del contratto (cfr. AP n. 5/2018), vale anche a ritenere che della avvenuta presentazione della domanda di concordato ai sensi dell’art. 161, comma 6, l’operatore debba mettere prontamente a conoscenza la stazione appaltante, trattandosi di un’informazione rilevante, ancorché la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese e sia quindi in linea di principio conoscibile. Qualora fosse omessa tale informazione valuterà la stazione appaltante l’incidenza di una condotta reticente, (ma) senza automatismi e alla luce di quanto si è chiarito di recente con la sentenza di questa Adunanza n.16/2020: facendo quindi applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. C-bis, anziché della lett. F-bis.
9. Quanto sinora evidenziato dispensa l’Adunanza dal dare risposta al secondo quesito, siccome incentrato sull’assunto che la questione della partecipazione, possibile o meno, alle gare pubbliche debba trovare la sua soluzione sulla base dell’art. 161, comma 7, della legge fallimentare, a seconda che detta partecipazione sia qualificabile come un atto di ordinaria ovvero di straordinaria amministrazione; quando invece, per quanto in precedenza osservato, il legislatore con l’art. 186 bis, comma 4, ha considerato nello specifico la partecipazione alla gara come un atto (ovvero, anche se non soprattutto, una condotta complessiva), da sottoporre comunque e sempre al controllo giudiziale del tribunale fallimentare. Il che – è appena il caso di osservare incidentalmente – non deve significare che in linea generale partecipare ad una gara pubblica sia da considerarsi (sempre) un atto di straordinaria amministrazione quanto, piuttosto, che dopo la presentazione di una domanda di concordato (soprattutto se con riserva) quel che in astratto potrebbe anche considerarsi come di ordinaria amministrazione assume un connotato diverso, tale da richiedere il controllo giudiziale assicurando in tale sede – come si è chiarito – un minimo di discovery (in più) ovvero dovendo fornire l’imprenditore idonee informazioni sul contenuto del piano in preparazione (Cass. 14713/2019 cit.).
10. La centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conducono a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debbano intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione. Si tratta di una posizione, qui sostenuta anche dalla difesa erariale, che già è stata fatta propria dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons. St, sez. V n. 1328/2020), alla quale si è richiamata anche l’ANAC (delibera n. 362/2020), e che ha il pregio di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad assicurare l’ordinato svolgimento della procedura di gara, senza far carico l’amministrazione aggiudicatrice e gli altri concorrenti dei possibili ritardi legati ai tempi di rilascio (o di richiesta) dell’autorizzazione.
Si intende che – anche a chiarimento del quesito rivolto all’Adunanza - si sta ragionando sempre dell’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara, di cui all’art. 186 bis, comma 4, e non anche dell’ammissione alla procedura di concordato di cui all’art. 163, trattandosi di provvedimenti del tribunale differenti, nei presupposti e negli effetti, il secondo dei quali destinato ad essere adottato a distanza di mesi dalla presentazione della domanda di concordato con riserva, quando la procedura ad evidenza pubblica normalmente è già conclusa. Proprio perché consapevole di questa distanza temporale, sempre in chiave anticipatoria e prenotativa, il legislatore ha previsto che il rilascio del primo provvedimento sia condizione necessaria ma al tempo stesso (anche) sufficiente. Ove poi, nonostante il rilascio dell’autorizzazione, alla fine il tribunale non procedesse più all’ammissione dell’impresa al concordato o l’ammissione fosse revocata, aprendo così la via al fallimento ricorrendone i presupposti, è evidente che varranno le regole generali previste per i casi in cui il fallimento sopravvenga nel corso della gara o dopo la stipula del contratto (art. 110 e, per i raggruppamenti temporanei d’impresa, art. 48 del codice dei contratti).
Così rispondendosi in linea generale al terzo quesito, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un’autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. E’ il caso singolare dal quale è originato il giudizio in corso, in cui è mancato il rilascio di un’autorizzazione da parte del tribunale prima dell’aggiudicazione della gara, non essendo stata presentata un’istanza in tal senso dall’impresa concordataria sull’erroneo presupposto che non occorresse, ma è intervenuta l’autorizzazione alla stipula del contratto di appalto.
11. Per quanto concerne il quarto ed ultimo quesito, originato dal ricorso incidentale proposto in primo grado dagli odierni appellanti, il suo esame era stato allora condizionato all’accoglimento del ricorso principale dinanzi al Tar ed è ora condizionato all’esito degli appelli, nel senso che qualora questi venissero accolti e si dovesse accertare che – a differenza di quanto ha ritenuto il Giudice di primo grado - il raggruppamento appellante non andava escluso dalla gara, non vi sarebbe più interesse alla soluzione della questione su come si debba interpretare il comma 19 ter dell’art. 48 del codice dei contratti. Ciò premesso, poiché per quanto osservato al punto precedente è rimessa alla sezione remittente la valutazione della rilevanza nel caso concreto dell’autorizzazione tardivamente acquisita dal tribunale, l’Adunanza ritiene prudenzialmente di dover rispondere anche sul quarto quesito, di cui allo stato non si può escludere la rilevanza.
12. Si deve procedere dall’esame dei commi 17 e 18 dell’art. 48. Tali norme dispongono per quanto più rileva in questa sede che, in deroga alla regola generale dell’immodificabilità della composizione del raggruppamento temporaneo rispetto all’assetto risultante dall’impegno presentato in sede di offerta (art. 48, comma 9), è consentita al raggruppamento la possibilità di modificare la propria composizione in conseguenza della sottoposizione del mandante o del mandatario ad una procedura concorsuale per insolvenza o crisi d’impresa (nel caso in questione sarebbe, per quanto detto, la pendenza di una domanda di concordato in bianco o con riserva cui non avrebbe fatto seguito in tesi il tempestivo rilascio ad opera del tribunale fallimentare, e la tempestiva comunicazione alla stazione appaltante, dell’autorizzazione a partecipare alla gara pubblica in questione) ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia.
Il comma 19 contempla, inoltre, le (ulteriori) modifiche soggettive derivanti da esigenze organizzative del raggruppamento, che nella fase dell’esecuzione del rapporto possono giustificare la riduzione del raggruppamento, alla duplice condizione che le imprese rimanenti abbiano i requisiti sufficienti e che la modifica non sia finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara (evidentemente diverso da quello di cui all’art. 80, comma 5, lett. b).
Su queste previsioni, dettate per la fase dell’esecuzione e che privilegiano l’interesse alla conservazione del rapporto in funzione della più celere esecuzione dell’opera o del servizio o della consegna della fornitura, si innesta il comma 19-ter dell’art. 48 - comma aggiunto dall’art. 32, comma 1, lett. h) del d. lgs. 19 aprile 2017 n. 56 – che ha esteso espressamente la possibilità di modifica soggettiva per le ragioni indicate dai commi 17, 18 e 19 anche in corso di gara.
La questione qui posta attiene, specificamente, proprio all’estensione, ora introdotta dal comma 19-ter, delle modifiche soggettive, in origine consentite dai commi 17 e 18 solo alla fase dell’esecuzione, anche alla fase di gara, con l’invocata possibilità di effettuare la sostituzione della mandataria o della mandante – nel caso di specie, la mandante -anche con un soggetto esterno al raggruppamento.
13. Merita ricordare come la regola dell’immodificabilità risponda in via generale ad una duplice esigenza, fortemente avvertita sia a livello nazionale che, come si dirà, a livello europeo, di evitare, da un lato, che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto, del quale non abbia potuto verificare i requisiti, generali o speciali, di partecipazione, in conseguenza di modifiche della composizione del raggruppamento avvenute nel corso della procedura ad evidenza pubblica o nella fase esecutiva del contratto, e dall’altro all’esigenza di tutelare la par condicio dei partecipanti alla gara con modifiche della composizione soggettiva del raggruppamento “calibrate” sull’evoluzione della gara o sull’andamento del rapporto contrattuale.
Di questa regola l’Adunanza plenaria, prima ancora del codice attuale, aveva dato una lettura funzionale, nel senso di non precludere la modifica soggettiva in assoluto, ammettendola laddove questa operi in riduzione, anziché in aggiunta o in sostituzione, quindi solo internamente e senza innesti dall’esterno del raggruppamento; e comunque sempre che non sia finalizzata ad eludere i controlli in ordine al possesso dei requisiti (AP n. 8/2012, di recente Cons. St., V, n. 1379/2020 e n. 1031/2018).
13.1. In particolare secondo l’impostazione tradizionale l’addizione di soggetti esterni all’originaria composizione del raggruppamento, che ha presentato la propria offerta con una determinata composizione soggettiva, costituisce un vulnus non solo al fondamentale interesse pubblico alla trasparenza e, dunque, al buon andamento della pubblica amministrazione, dovendo l’iter della gara svolgersi secondo determinate e non alterabili – salvo deroghe espressamente consentite – scansioni procedurali che consentano la previa verifica dei requisiti in capo ai concorrenti e, poi, la valutazione delle offerte nell’interesse pubblico all’aggiudicazione al miglior offerente, ma anche un vulnus al principio di parità di trattamento tra le imprese interessate all’aggiudicazione e, dunque, al valore primario della concorrenza nel suo corretto esplicarsi.
13.2. Se questa è l’impostazione di partenza, con la duplice declinazione del principio appena ricordata (nella prospettiva sia della stazione appaltante che degli altri concorrenti), si tratta di interrogarsi ora se per effetto del combinato disposto dei commi 17, 18, 19 e 19 ter dell’art. 48 debba ritenersi ammessa, dal legislatore nazionale, nelle ipotesi ivi contemplate, una modifica soggettiva di tipo anche additivo quindi in aumento, nella fase dell’esecuzione come in quella della gara.
Da una lettura testuale del combinato disposto – specie laddove al comma 18 utilizza la formula “altro operatore economico subentrante” - si potrebbe ritenere che in effetti il legislatore si sia mosso in tale direzione, privilegiando la continuità ovvero la prosecuzione del rapporto contrattuale come anche della partecipazione alla procedura di gara, e in nome di questa continuità – a sua volta connessa alla nuova prospettiva “recuperatoria” del diritto della crisi d’impresa in precedenza ricordata - consenta ora la modifica del raggruppamento anche per addizione. Se non fosse che, in un intervento più recente, extracodicistico (con l’art. 5, comma 4, d.l. 76/2020), peraltro di natura dichiaratamente emergenziale e quindi almeno nelle intenzioni volto ad assicurare ancora di più (del codice) la sollecita esecuzione dei contratti pubblici, sempre il legislatore è sembrato invece circoscrivere l’orizzonte della modifica limitando l’avvicendamento solo (se realizzato) “con altra impresa del raggruppamento designato”. E se questo ha ritenuto di fare (o riaffermare) nella fase dell’esecuzione, a maggior ragione parrebbe logico doversi escludere che abbia voluto ammettere una modifica additiva nella fase della gara, dove il profilo del rispetto della concorrenza è più acuto.
14. Nel diritto europeo dei contratti pubblici il tema della sostituzione è affrontato nella fase dell’esecuzione. La Direttiva n. 24/2014/UE contempla talune ipotesi di sostituzione all’art. 72 in tale fase e nel Considerando n. 110, già ricordato dallo stesso Collegio rimettente, precisa che «in linea con i principi di parità di trattamento e di trasparenza, l’aggiudicatario non dovrebbe essere sostituito da un altro operatore economico, ad esempio in caso di cessazione dell’appalto a motivo di carenze nell’esecuzione, senza riaprire l’appalto alla concorrenza» e «tuttavia, in corso d’esecuzione del contratto, in particolare qualora sia stato aggiudicato a più di un’impresa, l’aggiudicatario dell’appalto dovrebbe poter subire talune modifiche strutturali dovute, ad esempio, a riorganizzazioni puramente interne, incorporazioni, fusioni e acquisizioni oppure insolvenza», sicché «tali modifiche strutturali non dovrebbero automaticamente richiedere nuove procedure di appalto per tutti gli appalti pubblici eseguiti da tale offerente».
Nel diritto europeo manca invece una disposizione che si occupi della sostituzione dell’operatore economico nello svolgimento della procedura di aggiudicazione.
Al di là della sua forza più o meno cogente, per la fase dell’esecuzione il Considerando svolge una funzione ricognitiva di principi che trovano in disposizioni del Trattato provviste di effetto diretto, quelle che a suo tempo scandirono la realizzazione del mercato comune imponendo agli Stati l’abolizione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci e delle persone, il loro primo fondamento.
Questa Adunanza plenaria, di recente, ha chiarito che anche la fase esecutiva del contratto pubblico non è una “terra di nessuno”, indifferente all’interesse pubblico e a quello privato degli altri operatori che hanno preso parte al confronto concorrenziale, e che «l’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono […] essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione» (Ad. plen. n. 10/2020).
15. Si può quindi fondatamente ritenere che la deroga all’immodificabilità soggettiva dell’appaltatore costituito in raggruppamento, tale da evitare in fase esecutiva la riapertura dell’appalto alla concorrenza e, dunque, l’indizione di una nuova gara, sia solo quella dovuta, in detta fase, a modifiche strutturali interne allo stesso raggruppamento, senza l’addizione di nuovi soggetti che non abbiano partecipato alla gara (o, addirittura, che vi abbiano partecipato e ne siano stati esclusi), ciò che contraddirebbe la stessa ratio della deroga, dovuta a vicende imprevedibili che si manifestino in sede esecutiva e colpiscano i componenti del raggruppamento, tuttavia senza incidere sulla capacità complessiva dello stesso raggruppamento di riorganizzarsi internamente, con una diversa distribuzione di diversi compiti e ruoli (tra mandante e mandataria o tra i soli mandanti), in modo da garantire l’esecuzione dell’appalto anche prescindendo dall’apporto del componente del raggruppamento ormai impossibilitato ad eseguire le prestazioni o, addirittura, non più esistente nel mondo giuridico (perché, ad esempio, incorporato od estinto).
16. A maggior ragione si impone che nella fase della procedura di gara il soggetto che ha preso parte ad essa, presentando l’offerta, non sia diverso da quello che viene valutato dalla stazione appaltante e che, infine, si aggiudica la gara, non essendo ammissibile, sul piano del diritto UE, che proprio la fase pubblicistica, deputata alla scelta del miglior offerente, sia quella in cui attraverso la modifica soggettiva e l’addizione di un soggetto esterno alla gara si aggiri il principio della concorrenza e si ammetta in corso di gara un soggetto diverso da quello che ha presentato l’offerta.
A conferma di ciò vale richiamare la Corte di Giustizia UE, che nella sentenza del 24 maggio 2016 in C-396/14 - pronunciata in un caso di modifica della composizione di un raggruppamento temporaneo per riduzione - ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza significano, in particolare, che gli offerenti devono trovarsi su un piano di parità sia al momento in cui preparano le offerte sia al momento in cui queste vengono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice e, in questi termini, detto principio e detto obbligo «costituiscono la base delle norme dell’Unione relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici» (§ 37).
16.1. Il principio di parità di trattamento tra gli offerenti, che discende dalle libertà fondamentali del Trattato e che ha lo scopo di favorire lo sviluppo di una concorrenza sana ed effettiva tra le imprese che partecipano ad un appalto pubblico, impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse opportunità nella formulazione dei termini delle loro offerte e implica quindi che queste siano soggette alle medesime condizioni per tutti i concorrenti.
16.2. Né l’argomento valorizzato dalle difese delle appellanti, nel senso che l’eventuale modifica soggettiva del raggruppamento mediante addizione avverrebbe pur sempre lasciando immutata l’offerta già presentata in gara, il che renderebbe non pertinente il richiamo alla concorrenza e alla trasparenza, è persuasivo. La tesi sembra considerare infatti unicamente le procedure aperte o ristrette, ossia quelle modalità di scelta del contraente che autorevole dottrina definiva già nei primi anni ’70 del secolo scorso come (modi) “di tipo meccanico”, dove la parte privata non partecipa alla formazione del contenuto contrattuale e dove l’offerta, una volta presentata, è destinata a rimanere immutata (tutt’al più potrà essere “giustificata” in sede di verifica sull’anomalia). Senonché il sistema conosce da sempre anche modi (di scelta) “di tipo negoziato”, nei quali la parte privata partecipa invece attivamente alla formazione del contenuto contrattuale e comunque ne discute con l’amministrazione contrattante, modalità che ricevono negli ultimi tempi un forte impulso nel diritto europeo, come dimostrano, ad esempio, la procedura competitiva con negoziazione, il dialogo competitivo, i partenariati per l’innovazione. Sono modalità, tra loro differenti, ma accomunate dall’elemento della negoziazione e dove è fisiologico che le offerte iniziali siano modificate nel corso della procedura (cfr. art. 29.5 e 30.6 della Direttiva 24/2014/UE), il che esclude, almeno in tali casi, il preteso carattere neutro ai fini della parità di trattamento di un’eventuale sostituzione e rende necessario riaffermare piuttosto l’immodificabilità ovvero l’identità del soggetto che ha presentato l’offerta iniziale con quello che formula l’offerta finale.
17. Questa stessa Adunanza, con la sentenza n. 8 del 4 maggio 2012, ha già chiarito da tempo che il principio di immodificabilità soggettiva persegue lo scopo di consentire alla stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla gara e, di conseguenza, «precludere modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli, in grado di impedire le suddette verifiche preliminari» ovvero che «tale verifica venga vanificata», sicché le uniche modifiche soggettive elusive del dettato normativo sono quelle che portano all’aggiunta delle imprese partecipanti, non già alla loro riduzione (c.d. modifica per sottrazione) o al recesso di una partecipante, laddove, però, la modifica della compagine in senso riduttivo avvenga per esigenze proprie del raggruppamento o del consorzio, non già per evitare la sanzione dell’esclusione dalla procedura di gara per difetto dei requisiti in capo ad un componente.
18. La procedura di gara assume il carattere di strumento di scelta non solo dell’offerta migliore, ma anche del contraente più affidabile, come è stato acutamente notato in dottrina, e il principio di immodificabilità soggettiva risponde ad esigenze di sicurezza giuridica per la stazione appaltante
durante l’iter di formazione e di esecuzione del contratto, oltre che al principio di concorrenza, di sicuro rilievo europeo, garantendosi così il primato giuridico della gara, la massima partecipazione, il principio di personalità del contratto, quale “specchio fedele” della gara stessa, come si è detto, e della sua tendenziale incedibilità, ammessa solo a determinate condizioni dalla legge (v., più in generale, l’art. 106, comma 1, lett. d), n. 2 del d. lgs. n. 50 del 2016).
Le deroghe, tassativamente previste, devono trovare un solido fondamento normativo, a livello europeo e nazionale, e rispondere anzitutto, seppur non solo, ad un preciso interesse pubblico, che giustifichi la deroga alla riapertura dell’appalto alla concorrenza per il venir meno della identità giuridica tra soggetto che ha formulato la proposta, che si aggiudica la gara e che esegue il contratto.
Ebbene, quanto meno per la fase della gara, un simile fondamento, a livello europeo, non è dato rinvenire, non al punto da consentire la modifica del raggruppamento temporaneo d’imprese con l’addizione di un soggetto esterno. In assenza di un tale fondamento, e al cospetto di una regola generale risalente di segno inverso di cui si è già detto, si impone quindi un’interpretazione comunitariamente orientata, ovvero conforme, della disposizione nazionale di cui al comma 19 ter dell’art. 48, privilegiando tra tutti i significati possibili quello che appare maggiormente conforme ai principi del Trattato e alle finalità della direttive in materia, nel senso che deve ritenersi consentita in sede di gara, per tutte le ragioni vedute, solo una modifica della composizione del raggruppamento c.d. per sottrazione ovvero per riduzione, la sola coerente con i principi di parità di trattamento e di concorrenza.
Sul piano procedurale, l’evento che conduce alla sostituzione interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara.
19. È alla luce di queste considerazioni, dunque, che deve ora fornirsi risposta al quarto quesito, escludendo la sostituzione esterna per la figura della mandante, come anche logicamente per quella della mandataria.
20. Sulla base di tutto quanto finora considerato possono quindi essere formulati i principi di diritto sulle questioni deferite ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. all’Adunanza plenaria dalla V sezione del Consiglio di Stato, alla quale la causa va restituita ai sensi del comma 4 della medesima disposizione:
- a) la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186 bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale;
- b) la partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186 bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante;
- c) l’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale;
-d) l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione, nella fase di gara, del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, che abbia presentato domanda di concordato in bianco o con riserva a norma dell’art. 161, comma 6, l. fall, e non sia stata utilmente autorizzato dal tribunale fallimentare a partecipare a tale gara, solo se tale sostituzione possa realizzarsi attraverso la mera estromissione del mandante, senza quindi che sia consentita l’aggiunta di un soggetto esterno al raggruppamento; l’evento che conduce alla sostituzione interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, afferma i principi di diritto di cui in motivazione e restituisce per il resto il giudizio alla V sezione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6 di A.P. del 2021, proposto da Lupò Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e da GFF Impianti s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocato Mario Caldarera, dall’Avvocato Andrea Scuderi, dall’Avvocato Fabrizio Belfiore e dall’Avvocato Antonio Sottile, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
ANAS s.p.a, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Caterina Maria Rita Marangia e dall’Avvocato Sergio De Salvo, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Maria Rita Marangia in Misterbianco, via Basilicata, n. 29;
Ital System s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Co.Ge.O. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Di Piazza S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocato Giovanni Immordino e dall’Avvocato Giuseppe Immordino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Giovanni Immordino in Palermo, viale Libertà, n. 171;
nei confronti
Fallimento della Sikelia Costruzioni s.p.a., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza n. 1870 del 21 settembre 2020 del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sede di Palermo, sez. I, resa in forma semplificata tra le parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a., relativa all’affidamento dell’accordo quadro quadriennale per l’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria sul corpo stradale (lotto 19 – area compartimentale Palermo) e impugnata avanti al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana che, con la sentenza non definitiva n. 37 del 20 gennaio 2021, ha accolto in parte l’appello e, per la restante parte, ha devoluto la causa alla cognizione dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato sulle questioni di cui meglio si dirà, infra, in parte motiva
visto l’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, conv. con mod. in l. n. 176 del 2020;
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di ANAS s.p.a. e delle controinteressate Ital System s.r.l., Co.Ge.O. s.r.l. e Di Piazza s.r.l.;
visti tutti gli atti della causa;
vista la sentenza non definitiva n. 37 del 20 gennaio 2021 del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2021 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi in modalità da remoto, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, conv. con mod. in l. n. 176 del 2020, per gli odierni appellanti, Lupò Costruzioni s.r.l. e GFF Impianti s.r.l., l’Avvocato Mario Caldarera, l’Avvocato Andrea Scuderi e l’Avvocato Antonio Sottile, per la controinteressata Itala System s.r.l. l’Avvocato Giuseppe Immordino e per la stazione appaltante, ANAS s.p.a., l’Avvocato Caterina Maria Rita Marangia e l’Avvocato Sergio De Salvo;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Le odierne società appellanti, Lupò Costruzioni s.r.l. e GFF Impianti s.r.l., hanno partecipato, quali mandanti, in raggruppamento con mandataria la Sikelia Costruzioni s.p.a., alla gara indetta dall’ANAS s.p.a. – di qui in avanti, per brevità, anche solo ANAS – per l’affidamento dell’accordo quadro quadriennale per l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria sul corpo stradale, precisamente per il lotto diciannove, riguardante l’Area Compartimentale di Palermo, da aggiudicarsi col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, importo a base di gara euro 20.000.000,00, e hanno conseguito all’esito delle operazioni di gara il miglior punteggio.
1.1. Al momento della verifica dei requisiti, tuttavia, il seggio di gara è venuto a conoscenza dello stato di fallimento della mandataria Sikelia Costruzioni s.p.a., dichiarato con la sentenza n. 16 del 28 gennaio 2020 del Tribunale civile di Catania, e della conseguente intervenuta decadenza dell’attestazione SOA n. 32323/17/00 del 14 giugno 2019.
1.2. Pertanto, il raggruppamento è stato escluso per esser venuta meno la qualificazione alla procedura di gara.
1.3. Con la nota del 13 agosto 2020, le odierne appellanti hanno contestato l’esclusione, lamentando di non essere state preventivamente interpellate al fine di operare una sostituzione esterna della capogruppo fallita, chiedendo, pertanto, l’annullamento dell’esclusione ed indicando una nuova mandataria, in possesso dei requisiti.
2. Nel silenzio dell’ANAS, con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sede di Palermo, hanno impugnato l’esclusione del raggruppamento e il mancato riscontro alla richiesta di sostituzione della mandataria.
2.1. Si sono costituite nel primo grado del giudizio ANAS e le odierne appellate, Ital System s.r.l., in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del costituendo raggruppamento di imprese con Co.Ge.O. s.r.l. e Di Piazza s.r.l., che hanno eccepito l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza del ricorso.
2.2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sede di Palermo (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), con la sentenza n. 1870 del 21 settembre 2020 resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo il provvedimento di esclusione plurimotivato, con la conseguenza che, a suo avviso, le ricorrenti avrebbero dovuto formulare specifiche censure avverso il profilo di esclusione, presente nell’atto impugnato, relativo al definitivo provvedimento di decadenza dell’attestato SOA della società mandataria dell’a.t.i. costituenda.
2.3. Il Tribunale ha, in parte motiva, esaminato comunque le censure, ritenendole infondate, poiché solo con riferimento alla posizione dell’impresa mandante sarebbe espressamente prevista una modificazione “additiva”, con soggetti non facenti parte del raggruppamento originario, mentre, ove la fattispecie patologica colpisca la mandataria, la modificazione soggettiva potrebbe intervenire solo in termini restrittivi ovvero mediante l’espunzione della mandataria e la sua sostituzione con un’altra delle imprese già presenti nel raggruppamento.
2.4. A conforto di questo assunto il Tribunale ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale inerente alla immutabilità soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, affermato con alcuni temperamenti dalla sentenza n. 8 del 4 maggio 2012 di questa Adunanza plenaria, e ribadito anche nell’applicazione dell’art. 48, comma 17, del vigente codice dei contratti dei pubblici, il d. lgs. n. 50 del 2016, nella riformulazione ad opera del d. lgs. n. 56 del 2017, che non può prescindere dal fondamentale limite costituito dall’immutabilità, per quanto “temperata”, dei concorrenti nella gara, corollario dei superiori principi della par condicio competitorum e della tutela della concorrenza.
2.5. Questa prospettazione consentirebbe di attribuire il giusto rilievo alla diversa posizione, nel raggruppamento, tra impresa mandate e impresa mandataria e, al riguardo, il primo giudice si è soffermato sulla comparazione tra il comma 17 dell’art. 48 ed il successivo comma 18 del d. lgs. n. 50 del 2016, che disciplina l’ipotesi delle vicende patologiche che colpiscono l’impresa mandante del r.t.i., a norma del quale «salvo quanto previsto dall’articolo 110, comma 5, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all’articolo 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire».
2.6. In tale disposizione il legislatore avrebbe previsto espressamente l’ipotesi dell’operatore economico “subentrante” e, cioè, di una figura dichiaratamente nuova rispetto alla compagine originaria, che si sostituisca in termini additivi al mandante colpito dalla fattispecie patologica, restando immutata la mandataria.
2.7. Solo in tale ipotesi, quindi, e con riferimento alla posizione della impresa mandante, sarebbe espressamente prevista una modificazione “additiva”, con soggetti non facenti parte del raggruppamento originario, mentre una diversa direzione il legislatore, in riferimento alla sostituzione della mandataria, avrebbe preso nel precedente comma 17, ai sensi del quale «[…] la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire», con ciò evidenziando come, ove la fattispecie patologica colpisca la mandataria, la modificazione soggettiva può intervenire solo in termini restrittivi, ovvero mediante l’espunzione della mandataria e la sua sostituzione con un’altra delle imprese già presenti nel raggruppamento.
2.8. Tale linea ermeneutica sarebbe stata già chiaramente espressa ed indicata nella sentenza n. 8 del 4 maggio 2012 di questa Adunanza plenaria.
2.9. Nel caso di specie, ad avviso del giudice di prime cure, correttamente la stazione appaltante avrebbe quindi in conclusione proceduto all’esclusione delle imprese mandanti, nonché attuali appellanti, in quanto le stesse non posseggono, come dalle stesse riconosciuto, i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori a base di appalto, in applicazione del combinato disposto degli artt. 48, comma 17 e 19-ter del d. lgs. n. 50 del 2016, che consentono, per come chiarito, alla stazione appaltante di proseguire il rapporto di appalto, ed oggi anche di continuare la gara, con altro operatore economico, facente già parte della compagine iniziale, che si sia costituito mandatario «nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori, non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante deve recedere dal contratto».
3. Le società soccombenti in prime cure, Lupò Costruzioni s.r.l. e GFF Impianti s.r.l., hanno impugnato avanti al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sezione giurisdizionale (di qui in avanti, per brevità, il Consiglio di Giustizia), la sentenza, deducendo, sotto un primo profilo, che il provvedimento di esclusione è stato adottato dalla pubblica amministrazione in ragione della dichiarazione di fallimento della mandataria e della correlata perdita del requisito ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. b) del d.lgs. n. 50 del 2016, cui consegue obbligatoriamente la decadenza dell’attestazione SOA, che dunque non potrebbe costituire un’autonoma e alternativa ragione di esclusione.
3.1. Quindi, la stazione appaltante avrebbe dovuto richiedere alle appellanti di manifestare o meno la volontà di sostituire la mandataria e procedere alla successiva verifica del possesso dei requisiti della indicata nuova mandataria, ai sensi dell’art. 48, comma 17, del d. lgs. n. 50 del 2016.
3.2. Nel merito, le appellanti hanno sostenuto che la sentenza appellata si discosterebbe dall’esegesi giurisprudenziale dell’art. 48, comma 17, del d. lgs. n. 50 del 2016, secondo la quale il mandatario fallito può legittimamente essere sostituito da un nuovo operatore anche se estraneo al raggruppamento originario.
3.3. Si sono costituite nel giudizio di appello avanti al Consiglio di Giustizia amministrativa ANAS e l’aggiudicataria Ital System s.r.l., le quali hanno dedotto che la motivazione del provvedimento impugnato si reggerebbe su due punti (il fallimento della mandataria e la decadenza dell’attestazione SOA) e che l’esclusione è stata comminata non tanto e non solo per l’art. 80, comma 5, lett. b) del d. lgs. n. 50 del 2016 (fallimento oggi liquidazione giudiziale), ma anche per la perdita dell’attestazione SOA di cui all’art. 7.1 del disciplinare di gara e in forza del principio di continuità dei requisiti.
3.4. L’appellata Ital System s.r.l. ha altresì eccepito che la capogruppo è risultata essere fallita sei mesi prima rispetto la data dell’esclusione, senza che le mandanti avessero ritenuto di proporre tempestivamente alcuna sostituzione e in violazione degli oneri di correttezza scolpiti dall’art. 80, comma 5, lett. c-bis d. lgs. n. 50 del 2016.
3.5. Essa ha argomentato, poi, come la decadenza della SOA e della possibilità di proseguire la gara non costituiscano una conseguenza automatica del fallimento, potendo il curatore essere ammesso all’esercizio provvisorio dell’azienda.
3.6. Con la propria memoria Lupò Costruzioni s.r.l. e GFF Impianti s.r.l. hanno replicato che la ritenuta perdita della qualificazione, non dedotta quale motivazione autonoma ed espressamente indicata dalla Stazione appaltante come mera conseguenza del fallimento, verrebbe meno automaticamente, per effetto dell’accoglimento della censura dedotta dalle appellanti e del subingresso di una nuova mandataria.
3.7. Peraltro, l’argomentazione secondo cui la decadenza della SOA non sarebbe scontata, in caso di fallimento, potendo essere scongiurata da un intervento del curatore fallimentare ai fini della prosecuzione dell’attività d’impresa, rileverebbe solo in fase di esecuzione ai fini della prosecuzione degli appalti in corso.
3.8. Con l’ordinanza n. 723 del 16 ottobre 2020 il Consiglio di Giustizia ha respinto la domanda cautelare formulata dalle appellanti ai sensi dell’art. 98 c.p.a., ritenendo che, a un primo esame, dagli atti di causa non emergerebbe con evidenza la fondatezza dei motivi, proposti contro una sentenza caratterizzata da una duplicità di rationes decidendi distinte e autonome, ciascuna delle quali, isolatamente apprezzate, logicamente sufficienti a giustificare la decisione presa, e ciò sia con riguardo al carattere asseritamente (non) plurimotivato del provvedimento di esclusione e alle ripercussioni sulla ammissibilità del ricorso di primo grado derivanti da tale qualificazione dell’atto impugnato, sia con riferimento alla pretesa ammissibilità del subentro, di altra impresa, esterna al raggruppamento originario, e in possesso dei necessari requisiti di qualificazione, da costituirsi come mandataria in luogo della precedente, in modo tale da consentire, in tesi, una modificazione soggettiva derogatoria additiva mediante “sostituzione esterna” della impresa mandataria fallita.
3.9. All’udienza pubblica del 13 gennaio 2021, fissata con la predetta ordinanza n. 723 del 2020 avanti al Consiglio di Giustizia, le parti hanno discusso la causa.
4. Il Consiglio di Giustizia, al più approfondito esame proprio della fase di merito, ha ritenuto di dover rimeditare, con la sentenza non definitiva n. 37 del 20 gennaio 2021, sull’orientamento assunto in sede cautelare
5. Quanto al primo motivo di appello, infatti, il Consiglio di Giustizia ha ritenuto che il riferimento contenuto nell’atto di esclusione impugnato nel presente giudizio alla perdita della qualificazione non integri autonoma motivazione, trattandosi di mera conseguenza del fallimento della mandataria, come palesato dalla stessa ANAS, nelle premesse dell’atto impugnato, laddove afferma che «il Seggio di gara è venuto a conoscenza dello stato di fallimento della società mandataria SIKELIA COSTRUZIONI S.P.A. (c.f. 05039970875), dichiarato con sentenza del Tribunale civile di Catania n. 16/2020 del 28/01/2020 e “della decadenza dell’attestazione n. 32323/ 17/00 del 14/06/2019 rilasciata dalla SOA LA SOATECH all’impresa SIKELIA COSTRUZIONI S.p.A. per venir meno del requisito di cui all’art. 80 comma 5 lettera b), del d.lgs. 50/2016” (annotazione Anac del 27/02/2020)».
5.1. ANAS ha proseguito ricordando che il venir meno del requisito di cui all’art. 80, comma 5, lett. b) d. lgs. n. 50 del 2016 comporta il difetto di legittimazione dell’intera a.t.i. a partecipare alla gara, salva l’operatività dell’art. 48, commi 17 e 19-ter del d. lgs. n. 50/2016, che tuttavia la stessa ANAS non ritiene applicabile al caso in questione perché le mandanti, da sole, non possiedono i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori a base di appalto (OG 3 € 10.200.000,00 – OS 21 9.800.000,00) e «in base al prevalente orientamento giurisprudenziale, non è consentito il subentro nel R.T.I. di altra impresa esterna al raggruppamento stesso», sicché il costituendo raggruppamento «viene escluso per la mancata qualificazione alla procedura di gara».
5.2. Il percorso motivazionale, quindi, sarebbe chiaro nel comminare l’esclusione in quanto la mandataria è stata dichiarata fallita e, in conseguenza di tanto, è stata dichiarata la decadenza dell’attestazione di qualificazione, poiché le mandanti da sole non possiedono i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori a base di appalto né ANAS ritiene ammissibile il subentro di altra impresa al posto della mandataria fallita.
5.3. L’art. 80, comma 5, lett. b) del d. lgs. n. 50 del 2016 – nel testo modificato dall’art. 1, comma 20, lettera “o”, numero 3, del d. l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla l. 14 giugno 2019, n. 55 – prevede l’esclusione, dalla partecipazione alla procedura d’appalto, dell’operatore economico che «sia stato sottoposto a fallimento o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall’articolo 110 del presente codice e dall’articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267».
5.4. Mediante l’attestazione di qualificazione i concorrenti provano l’assenza dei motivi di esclusione di cui all’art. 80, che costituisce presupposto ai fini della qualificazione, sicché la sopravvenienza di una situazione ostativa quale il fallimento ne comporta la decadenza (la SOA avviando, infatti, il procedimento di cui all’art. 70, comma 1, lett. f) del d.P.R. n. 207 del 2010 al venir meno di un requisito di ordine generale o di un requisito speciale che ha consentito il rilascio dell’attestazione).
5.5. Nel caso in questione, come si evince dalle premesse dell’atto impugnato, la mandataria ha perduto la qualificazione «per venir meno del requisito di cui all’art. 80 comma 5 lettera b), del d. lgs. 50/2016” (annotazione Anac del 27/02/2020)», e non per altre, autonome, ragioni.
5.6. Considerato che il provvedimento di esclusione del 2 luglio 2020 non collega la decadenza della qualificazione a ragione diversa dalla perdita del requisito previsto dall’art. 80, comma 5, lett. b) del d. lgs. n. 50 del 2016 da parte della mandataria (con conseguente perdita della qualificazione da parte dell’intera a.t.i.), ne deriva che l’atto non conterebbe, secondo il Consiglio di Giustizia, due autonomi motivi di esclusione (fallimento e perdita della qualificazione) e la circostanza che nel preambolo siano enunciati (prima) l’intervenuto fallimento della mandataria “e” (poi) la decadenza dell’attestazione SOA declina un fatto storico seguito dalla conseguenza dello stesso in termini di qualificazione.
5.7. Poiché, dunque, la decadenza è intervenuta in conseguenza del fallimento, come è reso palese dal richiamo al citato art. 80, comma 5, più volte citato, la stessa non costituisce autonoma causa di esclusione sganciata dalla procedura concorsuale che vi ha dato origine, né il provvedimento potrebbe essere diversamente interpretato, ostandovi evidenti ragioni di ordine testuale e logico.
6. Sotto altro profilo, ha ancora rilevato il Consiglio di Giustizia, è decisiva la circostanza che, nel ricorso introduttivo del presente giudizio, le odierne appellanti hanno lamentato l’illegittimità dell’esclusione, avvenuta senza ammetterle a sostituire, in corso di gara, la mandataria fallita con altra impresa in possesso dei requisiti di qualificazione, ciò che avrebbe consentito di ovviare alla perdita degli stessi.
7. Tale doglianza, riproposta in appello, assorbe, comunque, la questione della motivazione dell’atto di esclusione, avendo le interessate chiaramente dedotto l’illegittimità dell’esclusione in quanto la sostituzione della mandataria (che ANAS ha in radice precluso) avrebbe consentito di ovviare alla perdita della qualificazione a causa del fallimento della mandataria.
8. Conclusivamente, dunque, il primo motivo di appello è stato ritenuto fondato e conseguentemente la pronuncia appellata è stata riformata dal Consiglio di Giustizia nella parte in cui il Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado.
9. Il Consiglio di Giustizia non si è sottratto all’esame, anche nel merito, dell’eccezione, la cui risoluzione potrebbe però dar luogo a contrasto giurisprudenziale, comportando a suo giudizio, pertanto, la necessità di deferimento all’Adunanza Plenaria.
10. Verrebbe anzitutto in rilievo il problema della fase in cui possa/debba essere chiesta la sostituzione della mandataria colpita da uno degli eventi contemplati dall’art. 48, commi 17 e 19-ter, del d. lgs n. 50 del 2016; questione che implica delicati riflessi in tema di procedimentalizzazione dell’incidente anche in relazione alla conoscenza-conoscibilità in capo alle mandanti dell’avvenuta sottoposizione della capogruppo (nel caso in esame) alla procedura concorsuale.
10.1. Il richiamato art.48, commi 17 e 19-ter, infatti, non disciplina espressamente i modi e i tempi nel rispetto dei quali, in fase di gara, la mandante possa chiedere la sostituzione della mandataria, né procedimentalizza l’eventuale iniziativa della stazione appaltante che abbia avuto notizia dell’evento ostativo che colpisce la mandataria, tant’è vero che, nel caso in questione, il seggio di gara ha disposto l’esclusione, e in proposito, come esposto in premesse, le ricorrenti in primo grado hanno censurato la sanzione espulsiva comminata senza previo interpello, al fine di consentire loro di operare la sostituzione.
10.2. L’indagine, ferma ogni questione sull’ammissibilità o meno della sostituzione della mandataria di cui si dirà appresso, investe dunque anche la tempistica e le modalità per l’ipotesi in cui la sostituzione venga esercitata “in fase di gara”, come consentito con la novella di cui all’art. 32, comma 1, lett. h) del d. lgs. n. 56 del 2017.
10.3. Con riferimento al previgente sistema, lo stesso Consiglio di Giustizia, con la sentenza n. 34 dell’8 febbraio 2016, ha avuto occasione di ricostruire il procedimento che conduce, dopo l’estromissione della mandataria, alla sostituzione della stessa (in quel caso, nella fase di esecuzione del contratto) in “chiave bifasica”, mediante il previo recesso della PA dal contratto originariamente stipulato e la sostituzione di questo con altro contratto che preveda altra capogruppo.
10.4. Ad avviso del Collegio rimettente, la ricostruzione può essere riconfermata ed adattata al sistema attuale dove, per effetto della modifica normativa più volte richiamata, la facoltà può essere esercitata in fase di gara.
10.5. Se ne deve concludere che, ordinariamente, la richiesta di sostituzione debba essere introdotta a seguito dell’iniziativa della stazione appaltante, che abbia appreso (come nel caso in questione) della vicenda ostativa che ha colpito la mandataria.
10.6. Esigenze sistematiche (di coordinamento con la normativa sul cd. procedimento) e di economicità del procedimento di gara suggerirebbero che, una volta appresa la situazione a carico della mandataria, la stazione appaltante interpelli le mandanti (magari attraverso l’inoltro di un preavviso di espulsione dalla gara) assegnando un termine per esercitare la facoltà di sostituzione della mandataria.
10.7. In ogni caso, ove la pubblica amministrazione pervenga direttamente all’esclusione (come avvenuto nel caso in questione), ben potranno le mandanti esercitare la facoltà di sostituzione, in coerenza con la ricostruzione di cui alla cennata sentenza n. 34 dell’8 febbraio 2016 dello stesso Consiglio di Giustizia.
10.8. Deve anche ritenersi, ad avviso del Collegio rimettente, che, qualora anteriormente alla conclusione della gara le mandanti vengano a conoscenza della causa di esclusione, possano spontaneamente proporre l’estromissione della capogruppo e la sostituzione della stessa, in ragione di esigenze di speditezza della procedura.
10.9. Ma poiché si tratta sovente di vicende delle quali le imprese riunite possono non avere alcuna conoscenza, deve ritenersi consentito loro di esercitare la facoltà di sostituzione fino al momento in cui acquisiscano la notizia della vicenda che interessa la mandataria dalla stazione appaltante (che abbia notificato interpello ovvero esclusione dalla gara), e ciò in coerenza con l’intenzione del legislatore che – nel bilanciamento dei contrapposti interessi – ha inteso contemperare l'iniziativa economica delle imprese in forma associata con le esigenze delle stazioni appaltanti a contrattare con soggetti in possesso dei necessari requisiti.
11. Espresso nei superiori termini l’avviso del Collegio rimettente, poiché, tuttavia, nel silenzio della disciplina (art. 48, commi 17 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016), potrebbe darsi luogo a differenti orientamenti giurisprudenziali, il Consiglio di Giustizia ha ritenuto di investire della questione questa Adunanza plenaria.
12. Il Collegio rimettente osserva che la decisione dell’appello nel merito presuppone la soluzione di un’altra questione, che può dar luogo a contrasti giurisprudenziali.
12.1. Con il secondo motivo di appello, infatti, Lupò Costruzioni s.r.l. e GFF Impianti s.r.l. hanno dedotto che dall’art. 48, commi 17 e 18, del d. lgs. n. 50 del 2016 si evincerebbe chiaramente la sussistenza della possibilità di sostituire – nell’ambito di un’a.t.i. – anche l’impresa capogruppo mandataria con un soggetto esterno al raggruppamento.
12.2. Tali norme dispongono che, in deroga alla regola generale dell’immodificabilità del raggruppamento temporaneo rispetto alla composizione risultante dall’impegno presentato in sede di offerta (art. 48, comma 9), è consentita al raggruppamento la possibilità di modificare la propria composizione in conseguenza di un evento che privi uno dei suoi partecipanti della capacità di contrattare con la pubblica amministrazione (in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti, ovvero qualora si tratti di imprenditore individuale in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo) ovvero in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all’art. 80, o nei casi previsti dalla normativa antimafia.
12.3. Il comma 19-ter dell’art. 48, comma aggiunto dall’art. 32, comma 1, lett. h) del d. lgs. 19 aprile 2017 n. 56, estende espressamente la possibilità di modifica soggettiva per le ragioni indicate dai commi 17, 18 e 19 anche in corso di gara.
12.4. La stazione appaltante e Ital System s.r.l. oppongono che il principio di immutabilità dei soggetti partecipanti alla gara d’appalto temporaneamente riuniti in associazione ammette la sola eccezione della modifica “in riduzione”, anche al fine di evitare condotte elusive del necessario possesso dei requisiti di partecipazione alle gare.
12.5. La disciplina recata dal combinato disposto di cui ai commi 17, 18 e 19-ter dell’art. 48 del d.lgs. n. 50 del 2016 dovrebbe essere interpretata restrittivamente, nel senso che sarebbero ammesse le modificazioni soggettive dell’a.t.i. in fase di gara esclusivamente tra le imprese già raggruppate e comunque con riferimento solo alle mandanti e non anche alla mandataria.
12.6. Il Consiglio di Giustizia, richiamando alcuni suoi precedenti (e, in particolare, la sentenza n. 706 del 26 luglio 2019), ha tuttavia ritenuto che la sostituibilità dell’impresa mandataria colpita da alcuni eventi pregiudizievoli indicati dalla legge, anche con addizione di un soggetto esterno all’originario raggruppamento, rientrerebbe nel paradigma dell’art. 48 del d. lgs. n. 50 del 2016, interamente e specificamente dedicato proprio ai casi di deminutio potestatis dell’impresa mandataria
12.7. Ciò anche al fine di evitare che l’intera associazione temporanea d’imprese venga esclusa dall’aggiudicazione unicamente perché “responsabile” di essersi associata in raggruppamento temporaneo con una impresa che solamente in momento successivo alla presentazione della domanda di partecipazione alla gara è stata colpita da fatti ostativi (come un’informazione antimafia, ovvero, nel caso in questione, da un provvedimento giudiziale di apertura di procedura concorsuale).
12.8. Quanto alla possibilità di ingresso di soggetto economico esterno alla originaria compagine, milita in favore della tesi il dato testuale, il quale induce a ritenere che, “con altro operatore”, possa intendersi sia uno degli originari mandanti dell’a.t.i., sia un soggetto estraneo all’a.t.i. originaria.
13. Il principio della sostituibilità della mandataria che ha pero i requisiti in corso di gara, applicato anche di recente dallo stesso Consiglio di Giustizia in sede cautelare (v., in particolare, l’ordinanza n. 667 del 17 settembre 2020), non si porrebbe in contrasto, sempre ad avviso del Collegio rimettente, con la decisione n. 298 del 22 maggio 2020 dello stesso Consiglio, relativa ad una informazione antimafia precedente alla presentazione delle offerte, per cui il raggruppamento in quel momento «non possedeva i requisiti di ordine generale che ha dichiarato, invece, di possedere» o «attraverso la successiva modificazione l’associazione di imprese il raggruppamento in questione ha inteso sanare la pregressa situazione».
13.1. In questa decisione si è, quindi, precisato che l’art. 48, commi 18 e 19-ter del d. lgs. n. 50/2016 rappresentano ipotesi derogatorie della regola generale di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alla gara, intervengono per consentire ad un soggetto collettivo di sopperire alla sopravvenuta lacuna dei requisiti di ordine generale di un’impresa componente del raggruppamento, al fine di non perdere la pretesa di partecipare alla gara, consentendo che l’associazione di imprese prosegua il rapporto con la stazione appaltante in ragione di un meccanismo espulsivo dell’impresa che ha perso il requisito e configurandosi come meccanismi obbligatori di “autodifesa” dell’interesse del raggruppamento rispetto alla posizione assunta da uno dei partecipanti al medesimo; ma non configurano una dispensa dalla regola per la quale i partecipanti alla gara devono possedere i requisiti (anche di ordine generale) già al momento di presentazione delle offerte (e devono in quell’occasione dichiarare di averli).
13.2. La concreta applicazione delle disposizioni citate presuppone, pertanto, che la causa di esclusione relativa a uno dei componenti del raggruppamento sopravvenga rispetto al tempo di presentazione dell’offerta; allorquando, invece, il raggruppamento era ab origine in possesso dei requisiti prescritti; l’operazione produrrebbe, in favore del soggetto aggregato, un vantaggio ingiustificato, idoneo ad alterare il piano di parità con gli altri concorrenti, ai quali si richiede, per principio generale, di essere in possesso dei requisiti al momento di presentazione delle offerte.
13.3. Ma il caso in questione sarebbe diverso, in quanto il termine per la presentazione delle offerte era previsto per il 23 gennaio 2019, mentre il fallimento della capogruppo è stato dichiarato con sentenza del Tribunale civile di Catania n. 16 del 28 gennaio 2020, sicché il raggruppamento possedeva, al momento della presentazione delle offerte, i requisiti di partecipazione.
14. L’applicazione del principio affermato con la sentenza n. 706 del 2019 (e con l’ordinanza n. 667 del 2020) dello stesso Consiglio di Giustizia non sarebbe incompatibile con il diritto dell’Unione.
14.1. Infatti, sebbene il considerando 110 della direttiva appalti 2014/24/UE ammetta l’ipotesi della sostituzione di un operatore economico raggruppato nella fase esecutiva, prevedendo che «in linea con i principi di parità di trattamento e di trasparenza, l’aggiudicatario non dovrebbe essere sostituito da un altro operatore economico, ad esempio in caso di cessazione dell’appalto a motivo di carenze nell’esecuzione, senza riaprire l’appalto alla concorrenza. Tuttavia, in corso d’esecuzione del contratto, in particolare qualora sia stato aggiudicato a più di un’impresa, l’aggiudicatario dell’appalto dovrebbe poter subire talune modifiche strutturali dovute, ad esempio, a riorganizzazioni puramente interne, incorporazioni, fusioni e acquisizioni oppure insolvenza», si deve osservare che la Corte di Giustizia UE, Sez. X, sentenza 28 marzo 2019, in C-101/18 ha avuto occasione di affermare gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare le cause di esclusione previste dalla direttiva appalti o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale.
14.2. Nella legislazione interna, sarebbe stata, quindi, espressamente prevista la deroga, in sede di gara, ed al ricorrere di particolari situazioni, alla regola generale dell’immutabilità del raggruppamento temporaneo rispetto alla composizione risultante dall’impegno presentato in sede di offerta, mediante il richiamato comma 19-ter dell’art. 48, applicabile, tra gli altri, al caso del fallimento, contemplato dal comma 17.
15. Tuttavia, parte della giurisprudenza, muovendo dai principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 8 del 4 maggio 2012, ha, in più occasioni, affermato che in materia di gare pubbliche il divieto di modificazione della compagine delle associazioni temporanee di imprese o dei consorzi nella fase procedurale, corrente tra la presentazione delle offerte e la definizione della procedura di aggiudicazione, è finalizzato a impedire l’aggiunta o la sostituzione di imprese partecipanti all’a.t.i. o al consorzio, e non anche a precludere il recesso di una o più di esse, a condizione che quelle che restano a farne parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione e che ciò non avvenga al fine di eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. venuto meno per effetto dell’operazione riduttiva (Cons. St., sez. V, 20 gennaio 2015, n. 169).
15.1. Ancora di recente si è affermato che dall’esclusione di una delle imprese raggruppate, determinata dalla sottoposizione ad una procedura concorsuale, non debba necessariamente derivare l’esclusione dalla gara dell’intero raggruppamento, allorquando il venir meno della singola impresa determini una mera sottrazione, senza sostituzione da parte di da altro operatore, di modo che l’operazione non sia finalizzata ad eludere le verifiche in ordine al possesso dei requisiti e sempre che i residui membri del raggruppamento risultino da soli in possesso della totalità dei requisiti di qualificazione richiesti per l’esecuzione dell’appalto (Cons. St., sez. V, 24 febbraio 2020, n. 1379).
15.2. A tale orientamento, come rammenta ancora la sentenza non definitiva n. 37 del 2021, si è dichiaratamente ispirata ANAS nel provvedimento di cui oggi si controverte.
16. Si pone quindi la questione della possibilità, o meno, di integrare l’originario raggruppamento con altro operatore, nel caso di specie con riferimento alla figura della mandataria, questione risolta in senso positivo dallo stesso Consiglio di Giustizia, peraltro con riferimento alla posizione della mandataria, in talune pronunce alle quali si è fatto cenno, ma che registra orientamenti dissonanti.
15.3. Di recente, con ordinanza n. 309 dell’8 gennaio 2021 la stessa V sezione di questo Consiglio di Stato ha posto il problema che «la par condicio tra i concorrenti e la salvaguardia del principio dell’immodificabilità del raggruppamento non sembrerebbero poter ammettere – nel contesto dell’evidenza pubblica - l’inserimento nel r.t.i. di nuovi operatori estranei alla procedura e che non hanno formulato l’offerta, con l’inammissibile finalità di sanare una causa di esclusione (nella specie, la presenza di un soggetto posto sotto procedura di insolvenza concorsuale “in bianco”) intervenuta prima dell'aggiudicazione>.
15.4. Ha pertanto rimesso all’Adunanza Plenaria – tra le altre – la questione «se le disposizioni normative di cui all’art. 48, commi 17, 18, 19 ter del d.lgs. n. 50/2016 debbano essere interpretate nel senso di consentire la sostituzione della mandante che abbia presentato ricorso di concordato preventivo c.d. in bianco ex art. 161, comma 6, cit. con altro operatore economico subentrante anche in fase di gara, ovvero se sia possibile soltanto la mera estromissione della mandante e, in questo caso, se l’esclusione del r.t.i. dalla gara possa essere evitata unicamente qualora la mandataria e le restanti imprese partecipanti al raggruppamento soddisfino in proprio i requisiti di partecipazione».
15.6. Di tale questione, dunque, questa stessa Adunanza plenaria è già stata investita, sebbene con riferimento alla posizione della mandante, giacché la causa è stata trattata contestualmente alla presente all’udienza pubblica del 21 aprile 2021.
16. Il Collegio rimettente ritiene che questa Adunanza plenaria debba essere ora investita della medesima questione, ma con riguardo alla posizione della mandataria, atteso che si delinea un contrasto tra la giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella, già sopra riportata, dello stesso Consiglio di Stato.
16.1. Di recente, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha espresso il proprio convincimento circa l’impossibilità della sostituzione della capogruppo colpita da uno degli eventi indicati all’art. 48 citato, proprio con l’ordinanza n. 309 del 2021.
16.2. L’ordinanza ritiene di trarre elementi a favore di tale interpretazione anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 7 maggio 2020, che sembrerebbe avvalorare la tesi secondo cui il legislatore avrebbe inteso distinguere l’ipotesi in cui la procedura concorsuale coinvolga l’impresa mandataria (comma 17) da quella in cui la medesima colpisca l’impresa mandante (comma 18), prevedendo solo in quest’ultimo caso la possibilità che un soggetto esterno all’a.t.i. subentri alla mandante colpita dalla causa di esclusione.
17. Stante l’esposto contrasto giurisprudenziale sulle tematiche in oggetto, il Consiglio di Giustizia ha ritenuto quindi opportuno, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., deferire l’affare a questo Adunanza plenaria e, nel far ciò, ha precisato di ritenere preferibile l’orientamento già espresso da questo Consiglio con le decisioni indicate supra, ai cui argomenti si è riportato e sui quali esso ha puntualizzato quanto segue:
a) non si rinverrebbero sul piano lessicale nel testo dell’art. 48, commi 17 e 18, del d.lgs. n. 50 del 2016 ostacoli a tale esegesi e, in particolare, un riferimento esclusivo alla sola sostituzione con soggetti interni all’a.t.i. e conseguente preclusione della sostituzione con soggetti esterni, mentre, al contrario, viene utilizzata una formulazione neutra tale da includere entrambe le ipotesi (sostituzione interna e sostituzione per addizione);
b) non si ravviserebbe alcuna significativa e sostanziale differenza lessicale tra il comma 17 e il comma 18 del citato art. 48, tale da giustificare una disciplina differenziata per il caso di venir meno di una mandante (per la quale figura sarebbe ammessa la sostituzione per addizione esterna) e per il caso di venir meno della mandataria (per la quale non sarebbe ammessa la sostituzione per addizione esterna);
c) la esegesi che ammette la sostituzione per addizione esterna appare più coerente con la disciplina europea dell’avvalimento, che ammette sostituzioni dell’impresa ausiliaria priva di requisiti;
d) la esegesi che ammette la sostituzione per addizione esterna appare idonea a scongiurare il rischio che la compagine del raggruppamento concorrente si trovi a subire incolpevolmente effetti negativi da vicende che colpiscono (successivamente alla presentazione di un’offerta in gara) la mandataria, eventi rispetto ai quali nessuna responsabilità può essere ascritta alle mandanti;
e) la esegesi che ammette la sostituzione per addizione esterna non confliggerebbe con il principio, affermato dapprima dalla giurisprudenza, e poi codificato nell’art. 48, comma 19, ultimo periodo, del d. lgs. n. 50 del 2016, secondo cui «la modifica soggettiva (…) non è ammessa se finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara», perché il presupposto fattuale dell’applicazione dell’art. 48 comma 17 (e comma 18) nel senso proposto è che l’a.t.i. abbia tutti i requisiti richiesti alla data di scadenza del bando e che gli eventi ostativi della partecipazione colpiscano una componente dell’a.t.i. dopo la scadenza del termine fissato dal bando per la presentazione dell’offerta, sicché sarebbe scongiurato ogni intento elusivo della legge di gara;
f) la esegesi che ammette la sostituzione per addizione esterna avrebbe una funzione acceleratoria e semplificatoria delle gare, evitando esclusioni di offerte congrue a causa di eventi che colpiscono singoli componenti dell’a.t.i. e rimediabili con una sostituzione esterna, lasciando invariata l’offerta.
18. Il Consiglio di Giustizia ha pertanto sottoposto a questa Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., le seguenti questioni:
a) se le disposizioni normative di cui all’art. 48, commi 17 e 19-ter del d. lgs. n. 50 del 2016 debbano essere interpretate nel senso di consentire, in fase di gara, la sostituzione della mandataria dichiarata fallita successivamente alla presentazione dell’offerta con un altro operatore economico subentrante ovvero se ne sia possibile soltanto la mera estromissione e, in questo caso, se l’esclusione dell’a.t.i. dalla gara possa essere evitata unicamente qualora le restanti imprese partecipanti al raggruppamento soddisfino in proprio i requisiti di partecipazione;
b) i tempi e le modalità per introdurre nel procedimento di gara l’estromissione della mandataria e la sostituzione della stessa e, in particolare:
b.1) se l’impresa mandante (o le imprese mandanti) possano chiedere di essere ammesse a sostituire la mandataria fin quando non intervenga comunicazione, da parte della amministrazione procedente, di apposito interpello ovvero del provvedimento di esclusione;
b.2) se sia comunque consentito, nell’ipotesi di intervenuta conoscenza aliunde della vicenda che ha colpito la mandataria, proporre la sostituzione nel corso della gara ed anteriormente all’adozione dei citati atti da parte dell’amministrazione procedente.
19. Conclusivamente, pertanto, il Consiglio di Giustizia con la sentenza non definitiva n. 37 del 20 gennaio 2021 ha accolto l’appello in parte, riformando in detta parte la sentenza in primo grado, mentre per la restante parte ha rimesso la causa all’Adunanza plenaria, come sopra indicato.
20. Nella pubblica udienza del 21 aprile 2021, fissata dal Presidente del Consiglio di Stato in conseguenza della rimessione e tenutasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, conv. con mod. in l. n. 176 del 2020, questa Adunanza, sentiti i difensori delle parti in modalità da remoto, ha trattenuto la causa in decisione.
21. L’appello in parte qua deve essere respinto.
22. La questione centrale del presente giudizio, devoluta alla cognizione di questa Adunanza plenaria, concerne la sostituibilità in corso di gara dell’impresa mandataria fallita o comunque assoggettata ad altra procedura concorsuale con un’altra impresa, esterna all’originario raggruppamento di imprese (c.d. sostituzione per addizione).
22.1. Occorre ricordare che il principio regolatore della materia, la tendenziale immodificabilità soggettiva dell’operatore economico partecipante alla gara in forma di raggruppamento temporaneo di imprese, è sancito in modo espresso dall’art. 48, comma 9, del d. lgs. n. 50 del 2016, il vigente codice dei contratti pubblici, il quale prescrive che, salve le eccezioni previste al comma 17, per la mandataria, e al comma 18, per una delle mandanti, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta, pena l’annullamento dell’aggiudicazione e la nullità del conseguente contratto stipulato con il soggetto illegittimamente modificato.
22.2. Il c.d. correttivo al codice dei contratti pubblici, di cui al d. lgs. n. 57 del 2016, ha in parte ritoccato la disciplina originaria dell’art. 48 del codice dei contratti pubblici, estendendo le originarie eccezioni consentite dai commi 17 e 18, con riferimento al fallimento e alle altre ipotesi di procedure concorsuali (in quanto la sottoposizione ad esse costituisce causa di esclusione ai sensi dall’art. 80, comma 5, lett. b) del codice), anche alla fase di gara; permettendo, altresì, la modifica soggettiva del raggruppamento, nella sola fase dell’esecuzione, anche per la perdita di uno degli altri requisiti dell’art. 80 in capo ad uno dei componenti; vietando, infine e comunque, il recesso di uno dei componenti per ragioni di mera riorganizzazione interna al raggruppamento, laddove queste ragioni siano in realtà finalizzate a colmare l’assenza dei requisiti partecipativi.
22.2. Il citato comma 17, più in particolare, dispone nell’attuale formulazione che, salvo quanto previsto dall’art. 110, comma 5, del d. lgs. n. 50 del 2016, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all’art. 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con un altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal codice dei contratti pubblici, purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire e, non sussistendo tali condizioni, la stazione appaltante deve recedere dal contratto.
22.3. Il successivo comma 18, ancora, prevede che, salvo quanto previsto dall’art. 110, comma 5, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione controllata, amministrazione straordinaria, concordato preventivo ovvero procedura di insolvenza concorsuale o di liquidazione di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all’art. 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
22.4. È ammesso dal successivo comma 19 il recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per esigenze organizzative del raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire, ma in ogni caso la modifica soggettiva non è ammessa se finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara.
22.5. Secondo il comma 19-bis, le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche con riferimento ai soggetti di cui all’art 45, comma 2, lettere b), c) ed e), e cioè ai consorzi tra società cooperative di produzione e lavoro, ai consorzi stabili e ai consorzi ordinari di concorrenti di cui all’art. 2602 c.c.
22.6. Secondo il comma 19-ter, infine, le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara.
22.7 La questione posta dal Consiglio di Giustizia attiene, specificamente, proprio all’estensione, ora introdotta dal comma 19-ter, di queste modifiche soggettive, in origine consentite dai commi 17 e 18 solo alla fase dell’esecuzione, anche alla fase di gara, con l’invocata possibilità di effettuare la sostituzione della mandataria – o della mandante – anche con un soggetto esterno al raggruppamento.
23. Le disposizioni appena menzionate, che consentono nella fase dell’esecuzione del contratto la modificabilità soggettiva del raggruppamento solo in tassative, eccezionali, ipotesi, ora estese anche alla fase pubblicistica di gara, rispondono ad una duplice esigenza, fortemente avvertita sia a livello nazionale che, come si dirà, a livello europeo, di evitare, da un lato, che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto, del quale non abbia potuto verificare i requisiti, generali o speciali, di partecipazione, in conseguenza di modifiche della composizione del raggruppamento avvenute nel corso della procedura ad evidenza pubblica o nella fase esecutiva del contratto, e dall’altro all’esigenza di tutelare la par condicio dei partecipanti alla gara con modifiche della composizione soggettiva del raggruppamento “calibrate” sull’evoluzione della gara o sull’andamento del rapporto contrattuale.
23.1. In questa prospettiva l’addizione di soggetti esterni all’originaria composizione del raggruppamento, che ha presentato la propria offerta con una determinata composizione soggettiva, costituisce un vulnus non solo al fondamentale interesse pubblico alla trasparenza e, dunque, al buon andamento della pubblica amministrazione, dovendo l’iter della gara svolgersi secondo determinate e non alterabili – salvo deroghe espressamente consentite – scansioni procedurali che consentano la previa verifica dei requisiti in capo ai concorrenti che hanno presentato le offerte e, poi, la valutazione delle offerte nell’interesse pubblico all’aggiudicazione al miglior offerente, ma anche un vulnus al principio di parità di trattamento tra le imprese interessate all’aggiudicazione e, dunque, al valore primario della concorrenza nel suo corretto esplicarsi.
23.2. Le uniche modifiche consentite dal legislatore sono quelle interne allo stesso raggruppamento, con una diversa distribuzione di ruoli e compiti tra mandanti e mandataria, secondo la disciplina dei richiamati commi 17 e 18, in ragione di eventi imprevedibili tassativamente definiti del legislatore, che abbiano colpito taluno degli originari componenti, eventi che costituiscono all’evidenza eccezioni, di stretta interpretazione, al principio di immutabilità soggettiva.
23.3. Nella sola fase dell’esecuzione, peraltro, il legislatore, dopo la riforma apportata dall’art. 32, comma 1, lett. h), del d. lgs. n. 56 del 2017, ha previsto che anche il venir meno di uno dei requisiti di partecipazione, di cui all’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016, in capo ad uno dei componenti – non essendo tale ipotesi applicabile alla fase di gara (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 28 gennaio 2021, n. 833, Cons. St., sez. V, 27 agosto 2020, n. 5255 nonché l’ANAC nella delibera n. 555 del 12 giugno 2011 su istanza di parere precontenzioso ai sensi dell’art. 211, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016) – possa giustificare la modifica soggettiva, ma sempre e solo interna al raggruppamento perché, diversamente, la fase dell’esecuzione presterebbe il fianco ex post all’aggiramento delle regole della trasparenza e della concorrenza, che presiedono alla fase della scelta del contraente, con l’inserzione postuma di soggetti esterni che nemmeno hanno preso parte alla gara e si troverebbero ad essere contraenti della pubblica amministrazione.
23.4. Questa Adunanza plenaria, di recente, ha chiarito che anche la fase esecutiva del contratto pubblico non è una “terra di nessuno”, indifferente all’interesse pubblico e a quello privato degli altri operatori che hanno preso parte alla gara, e che «l’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono […] essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione» (Ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10).
24. Nella stessa concomitante direzione muove il diritto europeo dei contratti e, da ultimo, anche la Direttiva n. 24/2014/UE, laddove, nel Considerando n. 110, già ricordato dallo stesso Collegio rimettente, precisa che «in linea con i principi di parità di trattamento e di trasparenza, l’aggiudicatario non dovrebbe essere sostituito da un altro operatore economico, ad esempio in caso di cessazione dell’appalto a motivo di carenze nell’esecuzione, senza riaprire l’appalto alla concorrenza» e «tuttavia, in corso d’esecuzione del contratto, in particolare qualora sia stato aggiudicato a più di un’impresa, l’aggiudicatario dell’appalto dovrebbe poter subire talune modifiche strutturali dovute, ad esempio, a riorganizzazioni puramente interne, incorporazioni, fusioni e acquisizioni oppure insolvenza», sicché «tali modifiche strutturali non dovrebbero automaticamente richiedere nuove procedure di appalto per tuti gli appalti pubblici eseguiti da tale offerente».
25. La deroga all’immodificabilità soggettiva dell’appaltatore costituito in raggruppamento, tale da evitare in fase esecutiva la riapertura dell’appalto alla concorrenza e, dunque, l’indizione di una nuova gara, è solo quella dovuta, in detta fase, a modifiche strutturali interne allo stesso raggruppamento, senza l’addizione di nuovi soggetti che non abbiano partecipato alla gara (o, addirittura, che vi abbiano partecipato e ne siano stati esclusi), ciò che contraddirebbe la stessa ratio della deroga, dovuta a vicende imprevedibili che si manifestino in sede esecutiva e colpiscano i componenti del raggruppamento, tuttavia senza incidere sulla capacità complessiva dello stesso raggruppamento di riorganizzarsi internamente, con una diversa distribuzione di diversi compiti e ruoli (tra mandante e mandataria o tra i soli mandanti), in modo da garantire l’esecuzione dell’appalto anche prescindendo dall’apporto del componente del raggruppamento ormai impossibilitato ad eseguire le prestazioni o, addirittura, non più esistente nel mondo giuridico (perché, ad esempio, incorporato od estinto).
26. È chiaro che la modifica sostituiva c.d. per addizione costituisce ex se una deroga non consentita al principio della concorrenza perché ammette ad eseguire la prestazione un soggetto che non ha preso parte alla gara secondo regole di correttezza e trasparenza, in violazione di quanto prevede attualmente l’art. 106, comma 1, lett. d), n. 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, più in generale, per la sostituzione dell’iniziale aggiudicatario.
27. Le stesse regole impongono a fortiori, per cogenza logica, che nella stessa procedura di gara il soggetto che ha preso parte alla gara, presentando l’offerta, non sia diverso da quello che viene valutato dalla stazione appaltante e, infine, si aggiudica la gara, non essendo ammissibile, evidentemente, che proprio la fase pubblicistica, deputata alla scelta del miglior offerente, sia quella in cui attraverso la modifica soggettiva e l’addizione di un soggetto esterno alla gara si aggiri il principio della concorrenza e si ammetta in corso di gara un soggetto diverso da quello che ha presentato l’offerta.
28. La Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 24 maggio 2016 in C-396/14, ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza significano, in particolare, che gli offerenti devono trovarsi su un piano di parità sia al momento in cui preparano le offerte sia al momento in cui queste vengono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice e, in questi termini, detto principio e detto obbligo «costituiscono la base delle norme dell’Unione relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici» (§ 37).
28.1. Il principio di parità di trattamento tra gli offerenti, che ha lo scopo di favorire lo sviluppo di una concorrenza sana ed effettiva tra le imprese che partecipano ad un appalto pubblico, impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse opportunità nella formulazione dei termini delle loro offerte e implica quindi che queste siano soggette alle medesime condizioni per tutti i concorrenti.
28.2. La deroga al principio di immutabilità soggettiva dell’offerente, dunque, deve trovare un espresso e chiaro fondamento nel diritto dell’Unione, non potendo essa giustificarsi a livello sistematico, come sembra supporre il Collegio rimettente, nel richiamo al diverso istituto dell’avvalimento e all’eventuale sostituzione dell’impresa ausiliaria, trattandosi di istituti intesi a favorire il principio della massima partecipazione alla gara, a condizioni paritarie e trasparenti tra tutti i concorrenti, non già a derogare alla parità di trattamento tra questi, ben dovendo, anzi, la stazione appaltante imporre all’operatore economico di sostituire i soggetti ausiliari che non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione, come questa Adunanza plenaria ha da ultimo ricordato nella sentenza n. 5 del 18 marzo 2021.
29. In questa prospettiva, dunque, occorre qui ribadire che i contratti di diritto pubblico poggiano sul principio della personalità, in virtù del fatto che derivano da una procedura concorsuale che mira, da un lato, a premiare l’offerta migliore e, dall’altro, a tutelare l’interesse pubblico alla qualificazione tecnica, organizzativa, economica e morale delle imprese concorrenti.
29.1. Questa stessa Adunanza, con la sentenza n. 8 del 4 maggio 2012, ha già chiarito da tempo che il principio di immodificabilità soggettiva persegue lo scopo di consentire alla stazione appaltante di verificare il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla gara e, di conseguenza, «precludere modificazioni soggettive, sopraggiunte ai controlli, in grado di impedire le suddette verifiche preliminari» ovvero che «tale verifica venga vanificata», sicché le uniche modifiche soggettive elusive del dettato normativo sono quelle che portano all’aggiunta delle imprese partecipanti, non già alla loro riduzione (c.d. modifica per sottrazione) o al recesso di una partecipante, laddove, però, la modifica della compagine in senso riduttivo avvenga per esigenze proprie del raggruppamento o del consorzio, non già per evitare la sanzione dell’esclusione dalla procedura di gara per difetto dei requisiti in capo ad un componente.
29.2. L’Adunanza plenaria, prima ancora del codice attuale, ha dunque dato una lettura funzionale del principio di immodificabilità nel senso di non precludere la modifica soggettiva in assoluto, ammettendola laddove questa operi in riduzione, anziché in aggiunta o in sostituzione, e quindi solo internamente e senza innesti dall’esterno del raggruppamento, e comunque sempre che non sia finalizzata ad eludere i controlli in ordine al possesso dei requisiti.
29.3. Se questa è l’impostazione di partenza, con la duplice declinazione del principio appena ricordata (nella prospettiva sia della stazione appaltante che degli altri concorrenti), si tratta in questo giudizio di interrogarsi se per effetto del combinato disposto dei commi 17, 18, 19 e 19-ter dell’art. 48 debba ritenersi ammessa, dal legislatore nazionale, nelle ipotesi ivi contemplate, una modifica soggettiva di tipo anche additivo e, quindi, in aumento, nella fase dell’esecuzione come in quella della gara.
29.4. Da una lettura testuale del combinato disposto – specialmente laddove al comma 18 utilizza la formula «altro operatore economico subentrante» – si potrebbe ritenere ad una prima lettura che in effetti il legislatore si sia mosso in tale direzione, privilegiando la continuità ovvero la prosecuzione del rapporto contrattuale come anche della partecipazione alla procedura di gara, e in nome di questa continuità consenta ora, come afferma il giudice rimettente, la modifica del raggruppamento anche per addizione.
29.5. Eppure, in un intervento più recente, extracodicistico (con l’art. 5, comma 4, d.l. n. 76 del 2020, conv. con mod. in l. n. 220 del 2020), peraltro di natura dichiaratamente emergenziale e, quindi, almeno nelle intenzioni volto ad assicurare ancora di più (del codice) la sollecita esecuzione dei contratti pubblici, sempre il legislatore è sembrato invece circoscrivere l’orizzonte della modifica limitando l’avvicendamento solo (se realizzato) «con altra impresa del raggruppamento designato».
29.6. E se questo ha ritenuto di fare (o riaffermare) nella fase dell’esecuzione, a maggior ragione parrebbe logico doversi escludere che abbia voluto ammettere una modifica additiva nella fase della gara, dove il profilo del rispetto della concorrenza è più acuto.
30. La procedura di gara assume il carattere di strumento di scelta non solo dell’offerta migliore, ma anche del contraente più affidabile, come è stato acutamente notato in dottrina, e il principio di tendenziale immodificabilità soggettiva risponde ad esigenze di sicurezza giuridica per la stazione appaltante, durante l’iter di formazione e di esecuzione del contratto, oltre che al principio di concorrenza, di sicuro rilievo europeo, garantendosi così il primato giuridico della gara, la massima partecipazione, il principio di personalità del contratto, quale “specchio fedele” della gara stessa, come si è detto, e della sua tendenziale incedibilità, ammessa solo a determinate condizioni dalla legge (v., più in generale, il già richiamato art. 106, comma 1, lett. d), n. 2 del d. lgs. n. 50 del 2016).
31. Le deroghe, tassativamente previste, devono trovare un solido fondamento normativo, a livello europeo e nazionale, e rispondere anzitutto, seppur non solo, ad un preciso interesse pubblico (come è ad esempio e tradizionalmente, nella fase esecutiva, per la prosecuzione del rapporto contrattuale già avviato), che giustifichi la deroga alla riapertura dell’appalto alla concorrenza per il venir meno della identità giuridica tra il soggetto che ha formulato la proposta, il soggetto che si aggiudica la gara e il soggetto che esegue il contratto.
32. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dunque, è ferma nell’escludere la modifica del raggruppamento con l’addizione di un soggetto esterno, essendo consentita in sede di gara, per tutte le ragioni vedute, solo quella c.d. per sottrazione per ragioni riorganizzative tutte interne allo stesso raggruppamento e ora eccezionalmente, per la sola fase esecutiva, anche per il venir meno, eventualmente, di uno dei requisiti di cui all’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016 in capo ad una delle imprese partecipanti.
33. È alla luce di queste considerazioni, dunque, che deve ora fornirsi risposta ai quesiti posti dalla sentenza non definitiva n. 37 del 2021.
33.1. La sostituzione esterna non è consentita né per la figura della mandataria né per quella della mandante e, in senso contrario, non assume alcun rilievo sul piano letterale né deve trarre in errore la diversa formulazione del comma 17 al rispetto al comma 18 dell’art. 48 del codice dei contratti pubblici, perché il riferimento del comma 18 all’operatore economico “subentrante” non allude certo all’ingresso nel raggruppamento di soggetto esterno, ma semplicemente alla struttura stessa del raggruppamento, che presuppone una pluralità di mandanti, e al subentro, appunto, di un mandante in possesso dei prescritti requisiti di idoneità ad altro mandante, salvo l’obbligo, per il mandatario, di eseguire direttamente le prestazioni, direttamente o a mezzo degli «altri mandanti», purché abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori e ai servizi o fornitura «ancora da eseguire».
33.2. La disposizione del comma 18 correttamente interpretata intende disciplinare la prosecuzione del rapporto contrattuale tra la stazione appaltante e i rimanenti soggetti del raggruppamento, mandatario e mandanti, non certo – e quasi surrettiziamente – introdurre ab externo un terzo soggetto mandante nell’esecuzione di un rapporto contrattuale tra l’originario raggruppamento aggiudicatario e la stazione appaltante.
33.3. La stessa conclusione vale a fortiori per il comma 17, in rapporto alla figura della mandataria, centrale nell’esecuzione dell’appalto (v., su questo punto, Corte cost., 7 maggio 2020, n. 85), essendo necessario costituire un nuovo rapporto di mandato, ai sensi dei commi 12 e 13 del medesimo art. 48, nella «prosecuzione del rapporto» tra i medesimi soggetti, esclusa, appunto, la mandataria colpita dall’evento ostativo, da sostituirsi con uno dei mandanti, purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.
33.4. Altrimenti, non sussistendo tali condizioni, così come ancora prevede l’ultimo periodo del comma 17 novellato dal d. lgs. n. 56 del 2017, la «stazione appaltante deve recedere dal contratto».
33.5. Disposizione ancor più rigorosa, va solo qui ricordato a fini sistematici, è quella dell’art. 95, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011, prevista dalla normativa antimafia, che consente la sostituzione interna della sola impresa mandante, eventualmente colpita da provvedimento interdittivo antimafia ed estromessa anteriormente alla stipulazione del contratto, e non della mandataria, proprio a cagione del suo essenziale ruolo nell’esecuzione della commessa, con la conseguente esclusione, in questa ultima ipotesi, dell’intero raggruppamento della gara senza possibilità di estromissione/sostituzione interna.
34. Le disposizioni dell’art. 48 del d. lgs. n. 50 del 2016 non intendono certo “sanzionare” gli altri incolpevoli partecipanti al raggruppamento, che non abbiano alcuna responsabilità nell’evento che ha colpito la mandataria o la mandante, né avvilire il principio dell’iniziativa economica, sancito dall’art. 41 Cost., con l’esclusione del raggruppamento al quale viene impedito di ricorrere ad una sostituzione aggiuntiva, mediante l’inserzione di un soggetto nuovo, ma semplicemente regolare la prosecuzione del rapporto contrattuale o – in forza di quanto prevede ora il comma 19-ter – anche della gara con il raggruppamento in cui un’impresa partecipante, mandataria o mandante, sia stata raggiunta da un evento eccezionale, che impedisce la sua partecipazione alla fase della gara o all’esecuzione del contratto.
34.1. È semmai l’aggiunta di un soggetto esterno all’originario raggruppamento a ledere non solo l’interesse pubblico al corretto svolgimento della gara e alla trasparenza nell’esecuzione del contratto aggiudicato al contraente più affidabile, ma anche lo stesso interesse alla concorrenza, tutelato dall’art. 41 Cost., degli altri partecipanti alla gara, che devono concorrere a parità di condizioni con soggetti che, tendenzialmente, abbiano preso parte a tutte le sue fasi a tutela della trasparenza e, insieme, della concorrenza stessa.
34.2. Rispetto a questi interessi, ben delineati dalla Corte di Giustizia nella propria giurisprudenza e dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 85 del 2020, l’interesse del raggruppamento è senz’altro recessivo e non può prevalere per un malinteso senso della concorrenza che, paradossalmente, produrrebbe effetti anticoncorrenziali a livello più generale.
35. Né può accogliersi l’interpretazione riduttiva delle disposizioni qui in esame, proposta dalla sentenza n. 37 del 2021, laddove afferma che la loro applicabilità nel senso suggerito della sostituzione esterna presupporrebbe che il raggruppamento abbia tutti i requisiti di partecipazione al momento in cui scade il termine per presentare l’offerta e ne perda uno o alcuni in corso di gara, perché, in questo modo, il divieto di sostituzione opererebbe, in contrasto con la portata generale del principio di immodificabilità, solo per l’ipotesi di carenze soggettive esistenti al momento in cui è stata presentata l’offerta, più o meno maliziosamente taciute, e non già per eventi sopravvenuti in corso di gara: il senso stesso del principio è, invece, proprio quello di garantire che tendenzialmente sia lo stesso soggetto che ha presentato l’offerta ad aggiudicarsi la gara e ad eseguire il contratto, senza eludere i controlli e le verifiche a monte mediante la successiva inserzione di soggetti esterni al raggruppamento per eventi intervenuti proprio in corso di gara, ipotesi, questa, ben più frequente della carenza ab origine dei requisiti nel momento in cui l’offerta viene presentata.
36. E ciò prescindendo, peraltro, dal rilievo che più in generale la sostituzione – interna – consentita per la perdita dei requisiti di cui all’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016, nel necessario coordinamento tra il comma 19-ter, introdotto dall’art. 32, comma 1, lett. h), del d. lgs. n. 56 del 2017, e i commi 17 e 18 come novellati essi pure dall’art. 19, comma 1, lett. e) d. lgs. n. 56 del 2017, vale solo in corso di esecuzione, alla quale la novella ha inteso solo riferirsi e limitarsi, e non in fase di gara (v., sul punto, le già richiamate pronunce di Cons. St., sez. V, 28 gennaio 2021, n. 833, Cons. St., sez. V, 27 agosto 2020, n. 5255 nonché l’ANAC nella delibera n. 555 del 12 giugno 2011 su istanza di parere precontenzioso ai sensi dell’art. 211, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016).
37. Conclusivamente, pertanto, questa Adunanza plenaria, in risposta ai quesiti posti dal Consiglio di Giustizia, deve affermare i seguenti principî di diritto:
a) l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione meramente interna del mandatario o del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese con un altro soggetto del raggruppamento stesso in possesso dei requisiti, nella fase di gara, e solo nelle ipotesi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di liquidazione o, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte, interdizione, inabilitazione o anche liquidazione giudiziale o, più in generale, per esigenze riorganizzative dello stesso raggruppamento temporaneo di imprese, a meno che – per questa ultima ipotesi e in coerenza con quanto prevede, parallelamente, il comma 19 per il recesso di una o più imprese raggruppate – queste esigenze non siano finalizzate ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara;
b) l’evento che conduce alla sostituzione meramente interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara o la prosecuzione del rapporto contrattuale.
38. Venendo al merito della presente controversia, dunque, l’appello di Lupò Costruzioni s.r.l. e di GFF Impianti s.r.l. deve essere definitivamente respinto, con la conseguente conferma della sentenza impugnata, laddove ha respinto il ricorso avverso l’esclusione dalla gara, seppure per le ragioni tutte sopra esposte, in quanto le mandanti non posseggono da sole, una volta esclusa la possibilità di ammettere la sostituzione esterna della mandataria fallita, i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori a base di appalto, come ANAS ha correttamente rilevato nel provvedimento impugnato, circostanza, questa, peraltro incontestata dalle stesse appellanti.
39. Le spese del doppio grado del giudizio, per la complessità delle questioni esaminate nell’ambito di un quadro interpretativo alquanto controverso, possono essere interamente compensate tra le parti.
39.1. Rimane definitivamente a carico delle appellanti il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da Lupò Costruzioni s.r.l. e da GFF Impianti s.r.l.:
a) enuncia i princìpi di diritto di cui al paragrafo 37;
b) respinge in parte l’appello e, per l’effetto, conferma nei sensi di cui in motivazione la sentenza impugnata;
c) compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Pone definitivamente a carico di Lupò Costruzioni s.r.l. e di GFF Impianti s.r.l. il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo e in secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4 di A.P. del 2021, proposto da
Lapresse S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Vinci e Federico Tedeschini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo di essi in Roma, largo Messico 7;
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Raffaela Antonietta Maria Schiena, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Cristiano Bosin in Roma, viale delle Milizie 34;
nei confronti
Askanews S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Marco Annoni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Udine 6;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 2305/2019, resa tra le parti, concernente l’aggiudicazione della procedura aperta del servizio d’informazione giornalistica a mezzo delle agenzie di stampa – lotto 2;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia e di Askanews S.p.A.;
Vista l’ordinanza di rimessione n. 313/2021;
Viste le memorie depositate in vista dell’udienza di discussione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2021 il cons. Hadrian Simonetti, uditi in modalità da remoto, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, conv. con mod. in l. n. 176 del 2020, gli avvocati Claudio Vinci, Federico Tedeschini, Raffaella Antonietta Maria Schiena e Marco Annoni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Regione Lombardia ha indetto nell’anno 2018 una procedura aperta, divisa in 5 lotti, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento dell’appalto del servizio di informazione giornalistica a mezzo delle agenzie di stampa in favore della Giunta e del Consiglio Regionale, della durata di 24 mesi.
Relativamente al lotto 2 è risultata aggiudicataria, con atto del 10.5.2019, Askanews s.p.a. che ha conseguito il punteggio complessivo di 66,83 punti, di cui 43 per la parte tecnica e 23,83 per la parte economica.
2. La seconda classificata, La Presse s.p.a., ha proposto ricorso avverso l’aggiudicazione deducendo tre articolati motivi di censura, il primo dei quali concernente il possesso dei requisiti di partecipazione da parte di Askanews.
Secondo la Presse, avendo Askanews presentato, a gara in corso, domanda di ammissione al concordato preventivo, da tale momento doveva considerarsi, per sua stessa ammissione, priva del relativo requisito di affidabilità e quindi andava esclusa dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. b).
Con il secondo motivo ha contestato il punteggio attribuito all’offerta tecnica presentata da Askenews, con particolare riferimento alla disponibilità del numero di giornalisti in essa indicati, assumendo la non veridicità di tale affermazione e quindi invocando l’applicazione della causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-bis. In ogni caso assume che una diversa e più corretta valutazione del requisito avrebbe comportato un punteggio differente per effetto del quale La Presse sarebbe risultata aggiudicataria.
Con il terzo motivo ha impugnato anche il disciplinare di gara, censurandone la previsione che limitava la possibilità di aggiudicazione ad un solo lotto, sul rilievo che la Presse si era aggiudicata il lotto 5 ma avesse interesse ad aggiudicarsi anche il lotto 2, peraltro di valore economico maggiore del lotto 5.
3. Il Tar Lombardia, con sentenza n. 2305/2019, ha respinto il ricorso, integrato con motivi aggiunti con i quali era stata impugnata anche la conferma dell’aggiudicazione, quanto alla dedotta violazione dell’art. 80, comma 5, lett. b) sul duplice rilievo che la presentazione di una domanda di concordato ”in bianco” ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall., tale qualificando quella presentata da Askanews il 29.1.2019, non impedisca di per sé la partecipazione alla procedura di gara non determinando la perdita dei requisiti; e che nel caso di specie fosse intervenuta, il 7.5.2019, prima che la procedura di gara si concludesse, l’autorizzazione da parte del Tribunale di Roma ai sensi dell’art. 186 bis l. fall., nonché il 2.8.2019 l’autorizzazione anche alla stipula del contratto, sottoscritto poi il 5.9.2019.
Ha poi respinto i restanti motivi e quindi, per l’effetto, confermato l’aggiudicazione in favore di Askanews
4. Avverso la sentenza La Presse ha proposto il presente appello, riproponendo e sviluppando le originarie censure disattese dal Tar, richiamando il precedente della sentenza del Consiglio di Stato, VI sezione, 3984/2019, precisando in punto di fatto come l’autorizzazione rilasciata dal Tribunale di Roma il 7.5.2019 non ricomprendesse la partecipazione alla gara in questione e sostenendo in punto di diritto la tesi per cui partecipare ad una procedura di gara rientrerebbe tra gli atti di straordinaria amministrazione, autorizzabili ai sensi dell’art. 161, comma 7, Ll.fall. solo se urgenti.
Si sono costituiti la Regione Lombardia e Askanews, replicando con articolate memorie difensive nel senso della conferma della sentenza del Tar. La prima eccependo tra l’altro la tardività del motivo concernente l’esclusione, che La Presse avrebbe dovuto far valere all’indomani dell’ammissione dell’aggiudicataria, ossia entro il 12.3.2019, quando ancora era in vigore l’art. 120, comma 2 bis, del c.p.a.
5. Con ordinanza n. 313/2021 la V sezione del Consiglio di Stato, alla luce del contrasto di orientamenti registratisi in proposito, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a. ha rimesso all’Adunanza plenaria una serie di questioni concernenti il tema e i profili di rilevanza della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara.
Le questioni poste all’esame dell’adunanza plenaria sono in particolare le seguenti:
“a) Se la presentazione di un’istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, legge fallimentare (r.d. n. 267/1942) debba ritenersi causa di automatica esclusione dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell’ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale;
b) se la partecipazione alle gare pubbliche debba ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, dunque, possa consentirsi alle imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo c.d. in bianco la partecipazione alle stesse gare, soltanto previa autorizzazione giudiziale nei casi urgenti, ovvero se detta autorizzazione debba ritenersi mera condizione integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione;
c) in quale fase della procedura di affidamento l’autorizzazione giudiziale di ammissione alla continuità aziendale debba intervenire onde ritenersi tempestiva ai fini della legittimità della partecipazione alla procedura e dell’aggiudicazione della gara;”
Le difese, in vista della discussione, hanno depositato ulteriori memorie ai sensi dell’art. 73 c.p.a., ribadendo le proprie rispettive tesi.
DIRITTO
1. Le tre questioni sollevate dalla V sezione sottopongono all’esame dell’Adunanza plenaria il tema delle interferenze tra il concordato preventivo con continuità aziendale, in particolare nella versione del concordato in bianco o con riserva o preconcordato, e le vicende dei contratti pubblici, con specifico riferimento alla fase dell’evidenza pubblica e dunque alla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto o della concessione.
2. Se tradizionalmente il rapporto tra le procedure concorsuali e le procedure ad evidenza pubblica è sempre stato all’insegna dell’antinomia, nel senso che la sottoposizione dell’impresa al fallimento o a procedure similari è sempre stata una causa ostativa o di impedimento a partecipare alle gare, a partire dal d.l. 83/2012 che modificava l’art. 38 del Codice dei contratti del 2006 si è aperta per così dire una breccia, che ha riguardato proprio il concordato preventivo con continuità aziendale.
Si tratta, questa, di una variante del concordato preventivo, procedura concorsuale che, a differenza in particolare del fallimento, ha sempre avuto una finalità “recuperatoria” ma che, nella logica originaria della legge fallimentare del 1942, incentrata sull’espulsione dal mercato dell’impresa insolvente, occupava un posto secondario, se non marginale.
L’evoluzione del diritto concorsuale italiano, quale registratasi soprattutto a partire dalle riforme del 2005-2006 attraverso una profonda revisione dell’impianto della legge fallimentare, nel quadro di una riscoperta e di un forte potenziamento delle procedure finalizzate al recupero del valore dell’impresa e alla continuazione dell’azienda, privilegiando soluzioni della crisi concordate con i creditori, ha visto, con il ricordato d.l. 83/2012 che ha aggiunto l’art. 186 bis alla legge del 1942, l’ingresso nel nostro sistema del concordato con continuità aziendale, finalizzato ad assicurare il ritorno in bonis dell’imprenditore e la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dello stesso.
Sin dal suo primo apparire, il nesso tra concordato con continuità e contratti pubblici è stato molto forte, sul presupposto che, nella generalità dei casi e in un mercato dove gli appalti aggiudicati dalle pubbliche amministrazioni occupano uno spazio considerevole, fossero funzionali, per non dire del tutto necessari, al perseguimento dell’obiettivo del recupero di valore dell’impresa sia la continuazione dei contratti pubblici già in corso, sia la partecipazione a procedure di assegnazione di nuovi contratti pubblici con la possibilità, quindi, di aggiudicarsi nuove commesse (come ha ricordato anche, di recente, Corte cost. n. 85/2020, al punto 5.1).
Di questo nesso così stretto il legislatore del 2012 si era mostrato subito consapevole, non solo nella disciplina dell’istituto racchiusa nell’art. 186 bis della legge fallimentare, che già allora in diversi punti faceva menzione dei contratti pubblici per garantirne la prosecuzione e quindi la stabilità o per permetterne a determinate condizioni la stipula di nuovi, ma anche nella coordinata modifica dell’art. 38 del codice dei contratti del 2006, già ricordata. Modifica in forza della quale, alla tradizionale e risalente regola di esclusione per le imprese in stato di fallimento, liquidazione coatta o concordato preventivo (v. già l’art. 75 del d.p.r. 554/1999 e prima ancora l’art. 13 della l. 584 del 1977 e a ritroso l’art. 15 della l. 57 del 1962 sull’istituzione dell’albo nazionale dei costruttori che aveva specificato e definito sul punto la clausola generale di “insindacabile” esclusione di cui all’art. 68 del r.d. 827 del 1924), si introduceva la novità di un’eccezione esplicita per “il caso di cui all’art. 186 bis…”.
Allo stesso anno, il 2012, risale anche, mutuato dall’esperienza nordamericana, la prima previsione del concordato in bianco o con riserva, introdotto all’art. 161, comma 6, con il quale l’imprenditore può depositare un ricorso contenente una domanda di concordato, avente comunque un contenuto minimo, riservandosi di procrastinare di sessanta o centoventi giorni la presentazione del piano e della proposta di concordato, così da anticipare i tempi dell’emersione della crisi, ma avendo uno spazio maggiore per elaborare una via d’uscita dalla stessa, e nel frattempo beneficiare degli effetti “protettivi” di cui all’art. 168 nei confronti delle iniziative di terzi, con la possibilità di compiere atti di ordinaria amministrazione e anche, purché urgenti, di straordinaria amministrazione su autorizzazione del tribunale, come anche di assicurare la prededuzione ai nuovi creditori.
Il concordato in bianco o con riserva - in cui autorevole dottrina ha scorto una scissione tra il profilo volitivo (la domanda di apertura del concordato), quello propositivo (la proposta) e quello argomentativo (il piano) - ha conosciuto sin dai primi mesi di applicazione un significativo successo ricevendo, anche per questo improvviso e largo utilizzo, valutazioni discordanti, in specie per i temuti rischi di abuso (sui quali v. Cass. Sez. U., n. 9935/2015). Il legislatore è quindi presto tornato sull’art. 161, comma 6, con alcuni correttivi significativi, il principale dei quali è consistito nel prevedere la possibilità che il tribunale – nel fissare il termine entro il quale l’imprenditore deve presentare la proposta e il piano di concordato nonché depositare la documentazione - nomini subito un commissario giudiziale affinché vigili sull’impresa nel tempo, che potrebbe anche essere non breve, compreso tra la presentazione della domanda di concordato e l’ammissione alla procedura, e dove maggiori sono i timori di un uso dilatorio dell’istituto.
Del commissario giudiziale e della sua funzione di vigilanza è fatta menzione anche all’art. 186 bis, a proposito del concordato con continuità aziendale, in particolare al comma 4 inserito nel 2013 e da allora rimasto sostanzialmente immutato, dove si è previsto che successivamente al deposito del ricorso, ovvero alla domanda di concordato con esso proposta, “la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato”.
Anticipando quel che si osserverà a breve, mentre le disposizioni della legge fallimentare, rilevanti ai fini della presente decisione (artt. 161 e 186 bis), dal 2013 in poi si sono stabilizzate e da ultimo sono state trasfuse nel codice della crisi d’impresa del 2019 (non ancora in vigore, per queste parti), sono cambiate invece, più volte come si vedrà, quelle del codice dei contratti del 2016 racchiuse negli articoli 80, comma 5, lett. b) e 110, il che ha reso il coordinamento tra le prime e le seconde sicuramente meno agevole.
3. Ciò premesso, sulla questione posta con il primo quesito si è registrato un contrasto di orientamenti, puntualmente ripercorso nell’ordinanza di remissione.
L’indirizzo favorevole all’applicabilità anche al concordato in bianco o con riserva della deroga all’art. 80 , comma 5, lett. b) del codice dei contratti prevista per il concordato con continuità aziendale (Cons. St., sez. V n. 1328/2020, sez. III n. 1772/2018, sez. VI n. 426/2016, sez. III n. 5519/2015, sez. V n. 6272/2013, sez. IV n. 3344/2014) fa leva sull’effetto prenotativo della domanda di concordato in bianco, in funzione del possibile concordato con continuità aziendale, e sulle finalità anticipatorie e protettive dell’istituto.
L’indirizzo restrittivo, che conduce all’esclusione in via automatica dalla procedura di gara (Cons. St., VI n. 3984/2019, sez. III n. 5966/2018), muove dalla duplice premessa che con la domanda di concordato in bianco il debitore riconosca il venir meno dei propri requisiti di affidabilità e che la partecipazione alla gara sia un atto di straordinaria amministrazione, autorizzabile a mente dell’art. 161, comma 6, solo se urgente, per poi sottolineare l’incertezza e la fluidità della fase che si apre a seguito della domanda in bianco o con riserva, il che renderebbe tale fattispecie non comparabile con quella del concordato con continuità aziendale in senso proprio, il solo caso peraltro contemplato dall’art. 80, comma 5, lett. b) quale ragione di eccezione alla veduta regola che, in omaggio alla tradizione della contrattualistica pubblica nazionale, dispone altrimenti l’esclusione dell’operatore che si trovi in stato di insolvenza o di crisi, giudicandolo inaffidabile.
4. La soluzione del contrasto impone di riprendere il discorso sul quadro normativo di riferimento, approfondendo ora il rapporto tra le discipline della legge fallimentare e del codice dei contratti.
Se della prima si è già detto, sottolineandone la sostanziale stabilità dal 2013 in poi, la seconda ha conosciuto invece continui rimaneggiamenti per effetto dei quali è mutato nel tempo il grado – ora maggiore, ora minore - di concordanza con la prima.
In linea generale va ricordato come nella disciplina sui contratti pubblici il problema della crisi di impresa sia sempre stato affrontato per lo più o primariamente secondo la prospettiva e dal punto di vista della stazione appaltante, muovendo quindi dalla preoccupazione che la crisi possa minare alla radice l’affidabilità dell’appaltatore in vista della realizzazione della commessa pubblica. A tale preoccupazione l’ordinamento risponde con delle norme di ordine pubblico poste a tutela della stazione appaltante e improntate non da oggi (si è già citato, tra gli altri, l’art. 15 della l. 57/1962) ad una regola di esclusione obbligatoria ed automatica.
Si tratta, sempre ragionando in linea generale, di un approccio non del tutto necessitato sul piano del diritto europeo, nel senso che le direttive europee sugli appalti, a partire dalla prima, la n. 305 del 1971, sino all’ultima, la n. 24 del 2014, pur contemplando (quest’ultima all’art. 57.4, lett. b) il fallimento e le altre procedure concorsuali tra i possibili motivi di esclusione, e quindi riconoscendone certamente la rilevanza nell’ambito dei requisiti di partecipazione a garanzia dell’integrità degli operatori economici, hanno tuttavia sempre rimesso agli stati membri e alle loro amministrazioni aggiudicatrici la scelta se e come (verrebbe da dire, quanto) escludere i concorrenti che si trovano in tali situazioni, al pari di quanto previsto per le ipotesi di grave illecito o errore professionale.
In questo senso il richiamo alla recente sentenza della Corte di giustizia 28.3.2019, C-101/18, non è di particolare ausilio, non solo e non tanto poiché pronunciata in relazione all’art. 45 della direttiva 2004/18 e sull’assunto – si vedrà, revocabile in dubbio - del giudice remittente che la normativa nazionale disponga l’esclusione dalla gara dell’operatore economico che abbia presentato una domanda di concordato con riserva; ma, soprattutto, in quanto il giudice europeo ricorda come l’art. 45 in questione “non contempla un’uniformità di applicazione delle cause di esclusione che esso prevede a livello dell’Unione, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale. In tale ambito, gli Stati membri hanno il potere di attenuare o di rendere più flessibili i criteri stabiliti da tale disposizione” (punto 45 della motivazione).
Nel fare uso del proprio margine di scelta il legislatore italiano, ancora nel 2016, ha optato per un criterio binario: per cui la regola è e rimane l’esclusione obbligatoria e automatica per l’operatore in stato di fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo, mentre l’eccezione è ammessa per l’ipotesi di concordato con continuità aziendale.
Poiché il legislatore del codice dei contratti ha riferito testualmente il motivo di esclusione anche agli operatori nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di fallimento, o per le altre situazioni, si è fatta strada negli interpreti l’idea che l’eccezione andasse declinata unicamente in favore degli operatori che fossero già stati ammessi al concordato con continuità aziendale. Un’idea rafforzata dalla lettura dell’art. 110, comma 3 – nel testo applicabile ratione temporis - dove la partecipazione alle procedure di affidamento è riferita, oltre che al curatore del fallimento ammesso all’esercizio provvisorio, alla (sola) impresa (già) “ammessa” al concordato con continuità aziendale; e dove per l’impresa che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva si dice(va) solo che “può eseguire i contratti già stipulati”.
5. Stando al complessivo (e innegabilmente complesso) dato testuale ricavabile dal codice dei contratti, nella versione applicabile sempre ratione temporis, se ne potrebbe ricavare allora la duplice conclusione per cui la partecipazione a nuove gare sarebbe preclusa non solo a chi ha presentato domanda di concordato in bianco ma, più in generale, in tutti i casi in cui l’operatore che ha presentato domanda di concordato preventivo a norma dell’art. 161 non sia stato ancora ammesso alla procedura. Il che, nei casi di concordato con continuità, non solo condurrebbe al sicuro insuccesso dell’istituto ma contrasterebbe frontalmente con quanto si è sempre letto, in questi anni, all’art. 186 bis, comma 4, dove – come già sottolineato – si dice chiaramente che tra il deposito della domanda e il decreto di apertura della procedura la partecipazione alle gare pubbliche è possibile purché sia autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (un ulteriore indice, in favore della possibilità di partecipare alle gare anche prima dell’ammissione al concordato, si ricava inoltre dall’art. 5 del DM 31.1.2015 in tema di regolarità contributiva).
Da questo inciso della norma fallimentare – “se nominato”, nella formulazione in vigore dal 2013 al 2019, divenuto attualmente (come confermato anche, quando finalmente sarà in vigore, dall’art. 95 del codice della crisi) “ove già nominato” – già l’ANAC (con la determinazione n. 5 dell’8.4.2015) e la dottrina hanno ricavato la convinzione che esso dimostrerebbe come l’art. 186 bis, comma 4, contempli (anche) l’ipotesi del concordato in bianco o con riserva, dal momento che per il concordato preventivo ordinario la nomina del commissario giudiziale è doverosa, sicché l’uso della formula ipotetica si spiegherebbe solo se riferita al concordato in bianco dove, invece, la nomina del commissario giudiziale è una facoltà lasciata al tribunale.
In epoca più recente, successivamente all’indizione della gara qui in contestazione, queste distonie (ma v’era chi tra i commentatori aveva parlato, al principio, di vero e proprio corto circuito tra due blocchi normativi) tra il codice dei contratti e la legge fallimentare sono andate riducendosi (come ha osservato anche Corte cost., n. 85/2020 al punto 4.2.1), se è vero che l’art. 80, comma 5, lett. b) fa ora (di nuovo) testuale rinvio all’art. 186 bis della legge fallimentare (come già prima era avvenuto con l’art. 38 del vecchio codice) e quindi anche al suo comma 4; e che l’art. 110 è stato riscritto in occasione dell’adozione proprio del codice della crisi d’impresa (ad opera dell’art. 372 di tale codice), prevedendosi che alle imprese che hanno depositato domanda di concordato con riserva si applichi l’art. 186 bis della legge fallimentare e che per la partecipazione alle gare, tra il momento di tale domanda e quello del decreto di ammissione, sia sempre necessario l’avvalimento dei requisiti di un altro soggetto. Dove il primo periodo, nel fare rinvio all’art. 186 bis, ha una valenza di chiarimento o di interpretazione autentica; laddove invece il secondo periodo ha carattere innovativo, introducendo - per l’avvenire - un elemento di ulteriore garanzia che si aggiunge al controllo giudiziale.
Esplicativa di questo stato delle cose parrebbe la relazione illustrativa all’art. 372 del codice della crisi, che nel ribadire come la domanda con riserva non impedisce la partecipazione a procedure di affidamento, puntualizza come “Lo scopo è quello di evitare che paradossalmente, tale domanda, da strumento di tutela per l’imprenditore, diventa un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale”.
6. Oltre al dato ricavabile dalla legge fallimentare, e al progressivo riavvicinamento da parte del codice dei contratti, viene in soccorso nella soluzione del primo quesito l’inquadramento che la domanda con riserva riceve da parte della giurisprudenza della Suprema Corte nel più ampio contesto della procedura di concordato preventivo. Si è osservato al riguardo come con il ricorso di cui all’art. 161, comma 6, della legge fallimentare l’imprenditore presenta la domanda di concordato preventivo, “e non già un ricorso di portata diversa e più circoscritta”, e come “il procedimento innescato dalla domanda con riserva non è un primo procedimento distinto (e antecedente) rispetto a quello, ordinario, che si apre solo con la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, ma costituisce un segmento dell’unico procedimento che rileva, articolato in due fasi per così dire interne” (Cass. sez. I n. 14713/2019, nel senso che il cosiddetto preconcordato costituisce una mera opzione di sviluppo del concordato, in cui l’imprenditore ha già assunto la qualità di debitore concordatario ed è già sottoposto ad un regime di controllo giudiziale, v., altresì,.Cass., sez. I, n. 7117/2020).
7. L’insieme di questi rilievi e di queste evidenze conduce quindi l’Adunanza plenaria a ritenere che, sulla scorta dell’art. 186 bis, comma 4, della legge fallimentare, la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione né inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici. In particolare non si può ritenere che la presentazione di una tale domanda comporti per ciò solo la perdita dei requisiti generali di partecipazione - il cui eventuale successivo recupero in caso di buon esito della procedura non varrebbe neppure ad elidere una simile cesura, in ragione del noto principio di continuità sempre ribadito da questo Consiglio (Cons. St. AP n. 8/2012 e 8/2015) - ostando a tale ricostruzione, oltre che la lettera dell’art. 186 bis, la veduta e ribadita funzione prenotativa e protettiva dell’istituto del concordato con riserva che, come spiegato nella relazione ministeriale all’art. 372 del codice della crisi d’impresa, da strumento di tutela non può tradursi nel suo contrario, ossia in un ostacolo alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale in quanto proprio tale prospettiva postula che resti consentito, per quanto “vigilato”, l’accesso al mercato dei contratti pubblici (non pertinente è il richiamo a Cons. St., AP, n. 2155/2010, perché precedente le novità sul concordato introdotte a partire dal 2012).
Questa conclusione, che subordina la partecipazione alle procedure di gara al prudente apprezzamento del tribunale, vale sia per l’ipotesi che l’impresa abbia già assunto la qualità di debitore concordatario nel momento in cui è indetta la (nuova) procedura ad evidenza pubblica, che per il caso in cui, all’inverso, la domanda di concordato segua temporalmente quella già presentata di partecipazione alla gara. In questo senso la formula “partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici”, contenuta nell’art. 186 bis, comma 4 (e da ultimo all’art. 110, comma 4, del codice dei contratti), deve essere letta nel suo significato più pieno e più coerente con quella esigenza di controllo giudiziale ab initio che, realizzandosi sin dal momento in cui si costituisce il rapporto processuale con il giudice fallimentare, rappresenta il punto di equilibrio tra la tutela del debitore e quella dei terzi.
8. Si deve quindi precisare come, qualora come nel caso di specie l’impresa presenti la domanda di concordato dopo avere già presentato la domanda di partecipazione alla gara, dovrà chiedere al tribunale di essere autorizzata a (continuare a) partecipare alla procedura (in tal senso già Cons. St, sez. V, n. 6272/2013). Sebbene la legge non indichi un termine ad hoc per la presentazione di una tale istanza (di autorizzazione), è del tutto ragionevole ritenere che, secondo un elementare canone di buona fede in senso oggettivo, l’istanza debba essere presentata senza indugio, anche per acquisire quanto prima l’autorizzazione ed essere – per quanto si dirà - nella condizione utile di poterla trasmettere alla stazione appaltante con la procedura ad evidenza pubblica ancora in corso.
In casi di questo tipo, il richiamo alla buona fede, e agli obblighi di protezione che ne discendono nel corso delle trattative e della formazione del contratto (cfr. AP n. 5/2018), vale anche a ritenere che della avvenuta presentazione della domanda di concordato ai sensi dell’art. 161, comma 6, l’operatore debba mettere prontamente a conoscenza la stazione appaltante, trattandosi di un’informazione rilevante, ancorché la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese e sia quindi in linea di principio conoscibile. Qualora fosse omessa tale informazione valuterà la stazione appaltante l’incidenza di una condotta reticente, (ma) senza automatismi e alla luce di quanto si è chiarito di recente con la sentenza di questa Adunanza n.16/2020.
9. Quanto sinora evidenziato dispensa l’Adunanza dal dare risposta al secondo quesito, siccome incentrato sull’assunto che la questione della partecipazione, possibile o meno, alle gare pubbliche debba trovare la sua soluzione sulla base dell’art. 161, comma 7, della legge fallimentare, a seconda che detta partecipazione sia qualificabile come un atto di ordinaria ovvero di straordinaria amministrazione; quando invece, per quanto in precedenza osservato, il legislatore con l’art. 186 bis, comma 4, ha considerato nello specifico la partecipazione alla gara come un atto (ovvero, anche se non soprattutto, una condotta complessiva), da sottoporre comunque e sempre al controllo giudiziale del tribunale fallimentare. Il che – è appena il caso di osservare incidentalmente – non deve significare che in linea generale partecipare ad una gara pubblica sia da considerarsi (sempre) un atto di straordinaria amministrazione quanto, piuttosto, che dopo la presentazione di una domanda di concordato (soprattutto se con riserva) quel che in astratto potrebbe anche considerarsi come di ordinaria amministrazione assume un connotato diverso, tale da richiedere il controllo giudiziale assicurando in tale sede – come si è chiarito – un minimo di discovery (in più) ovvero dovendo fornire l’imprenditore idonee informazioni sul contenuto del piano in preparazione (Cass. 14713/2019 cit.).
10. La centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conduce a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debba intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione. Si tratta di una posizione che già è stata fatta propria dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons. St, sez. V n. 1328/2020), alla quale si è richiamata anche l’ANAC (delibera n. 362/2020), e che ha il pregio di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad assicurare l’ordinato svolgimento della procedura di gara, senza far carico l’amministrazione aggiudicatrice e gli altri concorrenti dei possibili ritardi legati ai tempi di rilascio (o di richiesta) dell’autorizzazione.
Si intende che – anche a chiarimento del quesito rivolto all’Adunanza - si sta ragionando sempre dell’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara, di cui all’art. 186 bis, comma 4, e non anche dell’ammissione alla procedura di concordato di cui all’art. 163, trattandosi di provvedimenti del tribunale differenti, nei presupposti e negli effetti, il secondo dei quali destinato ad essere adottato a distanza di mesi dalla presentazione della domanda di concordato con riserva, quando la procedura ad evidenza pubblica normalmente è già conclusa. Proprio perché consapevole di questa distanza temporale, sempre in chiave anticipatoria e prenotativa, il legislatore ha previsto che il rilascio del primo provvedimento sia condizione necessaria ma al tempo stesso (anche) sufficiente. Ove poi, nonostante il rilascio dell’autorizzazione, alla fine il tribunale non procedesse più all’ammissione dell’impresa al concordato o l’ammissione fosse revocata, aprendo così la via al fallimento ricorrendone i presupposti, è evidente che varranno le regole generali previste per i casi in cui il fallimento sopravvenga nel corso della gara o dopo la stipula del contratto (art. 110 e, per i raggruppamenti temporanei d’impresa, art. 48 del codice dei contratti).
10. Così rispondendosi in linea generale al terzo quesito, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un’autorizzazione tardiva ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione possa avere efficacia integrativa o sanante. E’ il caso singolare dal quale è originato il giudizio in corso, in cui la prima autorizzazione in atti del 2.5.2019, rilasciata dal tribunale prima dell’aggiudicazione (e che reca un accertamento approfondito in ordine alla capacità economica ed organizzativa della società, la cui domanda di concordato con riserva sin dal principio è stata declinata in chiave di continuità aziendale), potrebbe ritenersi non sufficientemente riferibile alla gara in questione (di cui non è fatta menzione), mentre la seconda autorizzazione, rilasciata il 2.8.2019, ad aggiudicazione già intervenuta, è sicuramente più specifica nel consentire la stipula dell’appalto con la Regione Lombardia.
11. Sulla base di tutto quanto finora considerato possono quindi essere formulati i principi di diritto sulle questioni deferite ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm. all’Adunanza plenaria dalla V sezione del Consiglio di Stato, alla quale la causa va restituita ai sensi del comma 4 della medesima disposizione:
- a) la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186 bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale;
- b) la partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186 bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante;
- c) l’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, afferma i principi di diritto di cui in motivazione e restituisce per il resto il giudizio alla V sezione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Con le pronunce nn. 9, 10 e 11 del 27 maggio 2021 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha analizzato due differenti questioni, tra loro connesse, consistenti nell’esaminare le interferenze tra il concordato preventivo con continuità aziendale, in particolare nella versione del concordato in bianco o con riserva o preconcordato, e le vicende dei contratti pubblici, con specifico riferimento alla fase dell’evidenza pubblica e dunque della partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto o della concessione, e nel valutare se le disposizioni normative di cui all’art. 48, commi 17, 18, 19-ter d.lgs. n. 50/2016 debbano essere interpretate nel senso di consentire la sostituzione dell’impresa mandante ovvero di quella mandataria che abbia presentato ricorso di concordato preventivo cd. in bianco ex art. 161, comma 6 della legge fallimentare (l. n. 267/1942) con altro operatore economico subentrante anche in fase di gara, ovvero se sia possibile soltanto la mera estromissione della mandante e, in questo caso, se l’esclusione del r.t.i. dalla gara possa essere evitata unicamente qualora la mandataria e le restanti imprese partecipanti al raggruppamento soddisfino in proprio i requisiti di partecipazione.
Della prima questione innanzi indicata si sono occupate le due Plenarie gemelle (nn. 9 e 11), le quali, dopo aver ricostruito storicamente il rapporto intercorrente tra le procedure concorsuali e quelle ad evidenza pubblica, attraverso i differenti snodi legislativi che hanno riguardato tanto la materia fallimentare quanto quella delle commesse pubbliche, oltre che aver con precisione indicato cosa si intende per concordato con continuità aziendale e, in specie, quello cd. in bianco o con riserva, introdotto all’art. 161, comma 6, l. n. 267/1942, hanno elaborato i seguenti principi di diritto.
La presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, legge fallimentare, non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186-bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale. La partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186-bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante. L’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale.
L’ulteriore - correlata - questione innanzi meglio indicata è stata, invece, oggetto di analisi tanto da parte della Plenaria n. 9/2021, con particolare riferimento alla posizione della mandante, quanto dalla successiva Plenaria n. 10/2021, con riguardo alla differente impresa mandataria.
Con riferimento a tale aspetto il Supremo Collegio amministrativo, dopo aver ricordato che il principio regolatore in materia è costituito dalla immodificabilità soggettiva dell’operatore economico partecipante alla gara in forma di raggruppamento temporaneo di imprese, per come sancito dall’art. 48, comma 9, cod. contratti pubblici, ha soffermato la Sua attenzione sulle eccezionali deroghe sancite dai commi 17, per l’impresa mandataria, e 18, per una delle mandanti. Il cd. correttivo al codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 57/2016), poi, ha in parte ritoccato la disciplina originaria dell’art. 48 cit., estendendo le originarie eccezioni consentite dai richiamati commi 17 e 18, con riferimento al fallimento e alle altre ipotesi di procedure concorsuali (in quanto la sottoposizione ad esse costituisce causa di esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. b) del codice dei contratti pubblici), anche alla fase di gara (comma 19-ter); permettendo, altresì, la modifica soggettiva del raggruppamento, nella sola fase dell’esecuzione, anche per la perdita di uno degli altri requisiti dell’art. 80 cit. in capo ad uno dei componenti; vietando, infine e comunque, il recesso di uno dei componenti per ragioni di mera riorganizzazione interna al raggruppamento, laddove queste ragioni siano in realtà finalizzate a colmare l’assenza dei requisiti partecipativi.
I Giudici, inoltre, hanno esaminato la questione scrutinando attentamente l’indicato principio di immodificabilità soggettiva del raggruppamento, fatte salve le tassative ed eccezionali ipotesi, ora estese anche in fase pubblicistica di gara, così individuando ladoppia esigenza, fortemente avvertita sia a livello nazionale che europeo, ad esso sottesa: da un lato, che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto del quale non abbia potuto verificare i requisiti, generali o speciali, di partecipazione, in conseguenza di modifiche della composizione del raggruppamento avvenute nel corso della procedura ad evidenza pubblica o nella fase esecutiva del contratto; dall’altro, tutelare la par condicio dei partecipanti alla gara con modifiche della composizione soggettiva del raggruppamento “calibrate” sull’evoluzione della gara o sull’andamento del rapporto contrattuale. In questa prospettiva, ha soggiunto la Corte, l’addizione di soggetti esterni all’originaria composizione del raggruppamento, che ha presentato la propria offerta con una determinata composizione soggettiva, costituisce un vulnus non solo al fondamentale interesse pubblico alla trasparenza e, dunque, al buon andamento della pubblica amministrazione, dovendo l’iter della gara svolgersi secondo determinate e non alterabili – salvo deroghe espressamente consentite – scansioni procedurali che consentano la previa verifica dei requisiti in capo ai concorrenti che hanno presentato le offerte e, poi, la valutazione delle offerte nell’interesse pubblico all’aggiudicazione al miglior offerente, ma anche un vulnus al principio di parità di trattamento tra le imprese interessate all’aggiudicazione e, dunque, al valore primario della concorrenza nel suo corretto esplicarsi. Le uniche modifiche consentite dal legislatore sono quelle interne allo stesso raggruppamento, con una diversa distribuzione di ruoli e compiti tra mandanti e mandataria, secondo la disciplina dei richiamati commi 17 e 18, in ragione di eventi imprevedibili tassativamente definiti del legislatore, che abbiano colpito taluno degli originari componenti, eventi che costituiscono all’evidenza eccezioni, di stretta interpretazione, al principio di immutabilità soggettiva. Nella sola fase dell’esecuzione, peraltro, il legislatore, dopo la riforma apportata dall’art. 32, comma 1, lett. h), del d. lgs. n. 56 del 2017, ha previsto che anche il venir meno di uno dei requisiti di partecipazione, di cui all’art. 80 del d. lgs. n. 50 del 2016, in capo ad uno dei componenti – non essendo tale ipotesi applicabile alla fase di gara (v., sul punto, Cons. Stato, sez. V, 28 gennaio 2021, n. 833, Id., 27 agosto 2020, n. 5255, nonché l’ANAC nella delibera n. 555 del 12 giugno 2011 su istanza di parere precontenzioso ai sensi dell’art. 211, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016) – possa giustificare la modifica soggettiva, ma sempre e solo interna al raggruppamento perché, diversamente, la fase dell’esecuzione presterebbe il fianco ex post all’aggiramento delle regole della trasparenza e della concorrenza, che presiedono alla fase della scelta del contraente, con l’inserzione postuma di soggetti esterni che nemmeno hanno preso parte alla gara e si troverebbero ad essere contraenti della pubblica amministrazione.
Alla luce di quanto innanzi analizzato, e dopo aver altresì volto lo sguardo al diritto europeo, in specie al Considerando n. 110 della direttiva n. 24/2014/UE - ove si statuisce che “in linea con i principi di parità di trattamento e di trasparenza, l’aggiudicatario non dovrebbe essere sostituito da un altro operatore economico, ad esempio in caso di cessazione dell’appalto a motivo di carenze nell’esecuzione, senza riaprire l’appalto alla concorrenza» e «tuttavia, in corso d’esecuzione del contratto, in particolare qualora sia stato aggiudicato a più di un’impresa, l’aggiudicatario dell’appalto dovrebbe poter subire talune modifiche strutturali dovute, ad esempio, a riorganizzazioni puramente interne, incorporazioni, fusioni e acquisizioni oppure insolvenza», sicché «tali modifiche strutturali non dovrebbero automaticamente richiedere nuove procedure di appalto per tuti gli appalti pubblici eseguiti da tale offerente” -, nonché alla pronuncia della Corte di Giustizia del 24 maggio 2016, in causa C-396/14, la quale ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza significano, in particolare, che gli offerenti devono trovarsi su un piano di parità sia al momento in cui preparano le offerte sia al momento in cui queste vengono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice e, in questi termini, detto principio e detto obbligo “costituiscono la base delle norme dell’Unione relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici” (§ 37), la Plenaria ha affermato i seguenti principi di diritto.
L’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione, nella fase di gara, del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, che abbia presentato domanda di concordato in bianco o con riserva a norma dell’art. 161, comma 6, l. fall, e non sia stata utilmente autorizzato dal tribunale fallimentare a partecipare a tale gara, solo se tale sostituzione possa realizzarsi attraverso la mera estromissione del mandante, senza quindi che sia consentita l’aggiunta di un soggetto esterno al raggruppamento; l’evento che conduce alla sostituzione interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara. Allo stesso modo, l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter, del d. lgs. n. 50 del 2016, nella formulazione attuale, consente la sostituzione meramente interna del mandatario (o dell’impresa mandante) di un raggruppamento temporaneo di imprese con un altro soggetto del raggruppamento stesso in possesso dei requisiti, nella fase di gara, e solo nelle ipotesi di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di liquidazione o, qualora si tratti di imprenditore individuale, di morte, interdizione, inabilitazione o anche liquidazione giudiziale o, più in generale, per esigenze riorganizzative dello stesso raggruppamento temporaneo di imprese, a meno che – per questa ultima ipotesi e in coerenza con quanto prevede, parallelamente, il comma 19 per il recesso di una o più imprese raggruppate – queste esigenze non siano finalizzate ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara. L’evento che conduce alla sostituzione meramente interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara o la prosecuzione del rapporto contrattuale.