Cons. Stato, Sez. V, 13 ottobre 2020, n. 6168
Il Pef rappresenta un elemento significativo della proposta contrattuale, perché dà modo all’amministrazione, che ha invitato a offrire, di apprezzare la congruenza e dunque l’affidabilità della sintesi finanziaria contenuta nell’offerta in senso stretto. Ne consegue la sua rilevanza già in sede di valutazione dell’offerta economica e, di converso, l’insuscettibilità di ricorrere al soccorso istruttorio in caso di sua mancata produzione unitamente alla documentazione allegata all’offerta.
Il principio di rotazione è posto a tutela della concorrenza e non opera quando il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 4679 del 2020, proposto da
Finori Marco s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paola Chirulli, Stefano Vinti e Samuel Bardelloni, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Emilia n. 88;
contro
Società Remigio Group s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Galvani e Francesco Ciabattoni, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Salaria n. 95;
nei confronti
Consorzio turistico del Comprensorio dei Monti Gemelli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Achille Buonfigli, con domicilio digitale come da Pec Registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) n. 132/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Remigio Group s.r.l. e del Consorzio turistico del Comprensorio dei Monti Gemelli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2020 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Chirulli, Galvani e Buonfigli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso al Tribunale amministrativo dell’Abruzzo la società Remigio Group s.r.l. impugnava la delibera del Consiglio di amministrazione del Consorzio turistico del Comprensorio dei Monti Gemelli - CO.TU.GE. n. 13 del 14 novembre 2019, con la quale era stata affidata in concessione alla società Finori Marco s.r.l. la gestione degli impianti sciistici della Stazione Monte Piselli nei Comuni di Valle Castellana e Civitella del Tronto per il periodo 2019/2024, nonché gli atti della relativa procedura negoziata indetta ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. c) del d.lgs n. 50 del 2016.
A tale procedura prendevano parte l’impresa poi risultata aggiudicataria – Finori Marco s.r.l. – nonché la Funivie Bolognolaski s.r.l.s. e la Remigio Group s.r.l., che aveva a sua volta gestito gli stessi impianti a partire dalla stagione invernale 2011/2012.
La ricorrente affidava le proprie doglianze a cinque motivi in diritto.
Con ricorso incidentale depositato in data 11 gennaio 2020 la controinteressata Finori Marco s.r.l. denunciava a sua volta, sotto diverso profilo, l’illegittimità degli atti impugnati; sosteneva che la ricorrente avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura per la presenza di errori, lacune ed omissioni dichiarative nella documentazione amministrativa dalla stessa presentata.
Con sentenza 17 aprile 2020, n. 132, il giudice adito accoglieva il ricorso principale e respingeva quello incidentale, evidenziando come l’aggiudicataria non avesse allegato il Piano economico finanziario della propria offerta economica, così precludendo alla stazione appaltante la possibilità di riscontrare la “concreta capacità del concorrente di correttamente eseguire la prestazione per l'intero arco temporale prescelto attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico - finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché il rendimento per l'intero periodo”.
Avverso tale decisione la Finori Marco s.r.l. interponeva appello, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:
1) Illegittimità della sentenza appellata. – Errores in judicando: erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Travisamento dei fatti – Violazione e falsa applicazione dell’art. 83, co. 8 (ult. periodo) del D.Lgs. 50/2016. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 97, co. 5 e 6 (ult. periodo) del D.Lgs. 50/2016. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 166 e 171, co. 7, del D.Lgs. 50/2016 – Violazione e falsa applicazione della lex specialis di gara e segnatamente dell’art. 7.3 del disciplinare di gara – Violazione dei principi in materia di interpretazione delle clausole della lex di gara – Violazione del principio di proporzionalità. – Violazione del principio del “favor partecipationis”.
2) Illegittimità della sentenza appellata – Error in judicando – Insufficiente motivazione. – Travisamento dei fatti – Fondatezza del ricorso incidentale – Violazione e falsa applicazione degli artt. 30, co. 1 e 36, co. 1, del d.lgs. n. 50/2016 – Violazione e falsa applicazione del principio di rotazione degli in-viti – Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21-octies della L. 241/90 s.m.i. – Eccesso di potere per difetto di motivazione, falso presupposto e contraddittorietà –Violazione dei principi di correttezza, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa.
Costituitasi in giudizio, Remigio Group s.r.l. concludeva per l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del gravame, chiedendo che fosse respinto.
Anche il Consorzio turistico del Comprensorio dei Monti Gemelli si costituiva, insistendo in particolare sull’accoglimento del primo motivo di appello.
Successivamente le parti ulteriormente precisavano, con apposite memorie, le rispettive tesi difensive ed all’udienza del 24 settembre 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.
Con il primo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che “l’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per non aver depositato il Piano Economico Finanziario (PEF) che rappresenterebbe, ai sensi dell’art. 7.3 del disciplinare di gara, un elemento essenziale della offerta economica ed integrante la stessa proposta contrattuale a pena di esclusione. Di talché l’Amministrazione resistente avrebbe illegittimamente fatto ricorso al soccorso istruttorio per richiedere all’affidataria il PEF non allegato alla offerta economica, in violazione dell’art. 83 comma 9 del D.Lvo 50/16”.
Nel caso di specie, deduce invece l’appellante, il Pef non avrebbe rappresentato un elemento essenziale dell’offerta economica, integrante la stessa proposta contrattuale a pena di esclusione, atteso che nel caso di specie l’affidamento in concessione avrebbe riguardato dei “servizi semplici e di mera gestione che non richiedono investimenti nemmeno lontanamente comparabili a quelli che in-vece caratterizzano le operazioni di partenariato pubblico privato o le concessioni di costruzione e gestione di lavori pubblici”.
Sotto altro profilo, inoltre, il contratto non prevedeva l’effettuazione di investimenti da parte dell’aggiudicatario a fronte della prevista totale dismissione di tutti gli impianti a fine gestione, ragion per cui non avrebbe trovato applicazione l’art. 183, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016 (dettato in materia di project financing), che espressamente prescrive di allegare all’offerta un Pef asseverato da un istituto di credito, a pena di esclusione.
Del resto, la stazione appaltante non aveva predisposto una simulazione del Pef idonea a costituire una cornice o una traccia per gli offerenti, decidendo quindi di rimettersi all’esperienza maturata dagli operatori nel settore e precisando che detto documento non sarebbe stato fatto oggetto di valutazione discrezionale da parte della commissione giudicatrice, trattandosi di un elemento di verifica della sostenibilità dell’intervento e dell’offerta proposta da parte del Rup.
Né potrebbe parlarsi di soccorso istruttorio in ordine alla successiva produzione di detto documento, in quanto la trasmissione del Pef da parte dell’aggiudicataria sarebbe avvenuta “nell’ambito di un sub-procedimento di verifica di congruità e sostenibilità dell’offerta, in ossequio a quanto previsto dall’art. 97, commi 5 e 6 (ult. periodo) del D.Lgs. 50/2016”.
In ogni caso, l’irrilevanza della mancata produzione del Pef ai fini dell’esclusione dalla gara emergerebbe dall’attenta esegesi dell’art. 7.3 del disciplinare di gara, che si comporrebbe sostanzialmente di tre parti: nella prima verrebbe precisato cosa doveva essere inserito nella busta economica, a pena di esclusione (ossia l’offerta economica completa di tutti gli elementi essenziali specificati nella seconda parte dell’articolo medesimo), laddove nella terza parte si preciserebbe che “all’interno della busta contenente l’offerta economica dovrà essere allegato un proprio Piano Economico Finanziario, debitamente sottoscritto dal legale rappresentante o da un suo procuratore. […] Il piano non sarà oggetto di punteggio, ma costituirà elemento di verifica della sostenibilità dell’intervento e dell’offerta proposta”.
Dunque, attenendo la documentazione in esame alla sola (ed eventuale) fase del sub-procedimento di anomalia dell’offerta, la sua produzione rileverebbe solo successivamente all’instaurazione dello specifico contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art. 97 del d.lgs. n. 50 del 2016, che si caratterizza, temporalmente, per essere successivo alla definizione della graduatoria di gara e preventivo rispetto all’eventuale statuizione espulsiva connessa alla insostenibilità dell’offerta.
Andrebbe pertanto esclusa l’applicabilità alla fattispecie de qua dell’art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto l’omessa presentazione del Pef non avrebbe potuto influire sulla comprensibilità e valutabilità del contenuto dell’offerta economica.
Le conseguenze dedotte dall’appellante troverebbero conferma anche nella vigente normativa, atteso che alla vicenda attualmente controversa dovrebbe applicarsi l’art. 165 del d.lgs. n. 50 del 2016, il quale non contempla più – risetto alla disciplina previgente – l’obbligo di allegare il Pef all’offerta economica, regola cui farebbe eccezione il solo art. 183, comma 9, per l’ipotesi di finanza di progetto (non sussistente nel caso di specie).
Il Pef, in estrema sintesi, è un documento che giustifica la sostenibilità dell’offerta e non si sostituisce a essa, ma ne rappresenta un supporto per la valutazione di congruità, per provare che l’impresa è in condizione di trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività.
Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, ritiene il Collegio che il motivo non sia fondato.
Per la giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 26 maggio 2020, n. 3348; V, 2 settembre 2019, n. 6015; V, 13 aprile 2018, n. 2214), la funzione del Pef è quella di dimostrare la concreta capacità del concorrente di eseguire correttamente la prestazione per l’intero arco temporale prescelto attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico - finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché il rendimento per l’intero periodo: il che consente all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione (Cons. Stato, V, 26 settembre 2013, n. 4760; III, 22 novembre 2011, n. 6144). In altri termini, è un documento che giustifica la sostenibilità dell’offerta e non si sostituisce a essa, ma ne rappresenta un supporto per la valutazione di congruità, per provare che l’impresa è in condizione di trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività (Cons. Stato, V, 10 febbraio 2010, n. 653).
Sicché il Pef non può essere tenuto separato dall’offerta in senso stretto, ma ne rappresenta un elemento significativo della proposta contrattuale, perché dà modo all’amministrazione, che ha invitato a offrire, di apprezzare la congruenza e dunque l’affidabilità della sintesi finanziaria contenuta nell’offerta in senso stretto (così Cons. Stato, V, n. 2214 del 2018, cit.).
Ne consegue la sua rilevanza già in sede di valutazione dell’offerta economica e, di converso, l’insuscettibilità di ricorrere al soccorso istruttorio in caso di sua mancata produzione unitamente alla documentazione allegata all’offerta. Ciò derivando dalla sua specifica natura, dunque a prescindere da un’espressa previsione in tal senso da parte della lex specialis, così come dalla natura dell’affidamento oggetto di gara.
Con il secondo motivo di appello viene inoltre censurata la ritenuta inapplicabilità, al caso di specie, del cd. principio di rotazione, alla luce della motivazione per cui “il nuovo affidamento è avvenuto tramite una procedura nella quale la stazione appaltante non ha operato alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione (Cons. Stato Sez. III, Sent. 4 febbraio 2020, n. 875), ma è stata invece demandata al mercato l'individuazione dei concorrenti interessati a presentare la propria offerta (cfr. in tal senso Lombardia - Brescia, Sez. I, 20 novembre 2019, n. 993)”.
Nel caso di specie, rileva l’appellante, la stazione appaltante aveva optato per inoltrare l’invito anche al gestore uscente dopo aver ricevuto la sua manifestazione di interesse, senza però evidenziare, negli atti di gara, le ragioni per le quali avrebbe ritenuto di non poter prescindere dall’invito, e ciò tanto più in considerazione delle numerose proroghe della concessione di cui aveva precedentemente beneficiato il gestore uscente. Il che avrebbe viziato la procedura di selezione del concessionario.
Neppure questo motivo risulta fondato.
Va infatti confermato, in relazione al caso in esame, il principio (espresso, da ultimo, nei precedenti di Cons. Stato, III, 4 febbraio 2020, n. 875 e V, 5 novembre 2019 n. 7539) per cui il principio di rotazione non trova applicazione nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione del numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione (ad esempio, attraverso inviti); in pratica, trattandosi di principio posto a tutela della concorrenza, lo stesso non opera “quando il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione” (cfr. Linee-guida Anac n. 4 del 2016, p.to 3.6, nella versione adottata con delibera 1° marzo 2018, n. 206).
Il principio in questione trova infatti la propria ragion d’essere in presenza di procedure di tipo ristretto, in quanto l’esclusione del gestore uscente dal novero degli operatori economici suscettibili di essere invitati alla procedura garantisce l’avvicendamento tra gli stessi.
Tali presupposti non si verificano nel caso in esame, nel quale – come già detto – la stazione appaltante non ha operato alcuna limitazione (e/o selezione) in ordine al numero di operatori economici da invitare alla procedura di gara finalizzata ad individuare il nuovo concessionario, alla quale prendevano parte tutti quelli che avevano dichiarato il proprio interesse a parteciparvi, in riscontro dell’avviso pubblico esplorativo prot. 138 del 9 agosto 2019.
Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va dunque respinto.
La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro la compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di lite del grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2020.
GUIDA ALLA LETTURA
La sentenza in commento trae origine da un giudizio avente ad oggetto la concessione di impianti sciistici mediante la procedura negoziata ai sensi dell’art. 36, comma 2 lett. c) d.lgs. n. 50/2016.
Il giudizio di primo grado innanzi al TAR Abruzzo si era concluso con sentenza di accoglimento del ricorso principale proposto dal gestore uscente (e partecipante a sua volta alla nuova procedura di gara), che aveva evidenziato la mancata allegazione, da parte dell’impresa risultata aggiudicataria, del Piano economico finanziario relativo alla propria offerta economica.
L’appellante proponeva gravame per rilevare l’erroneità della sentenza del TAR, nella parte in cui aveva ritenuto illegittimo l’operato della stazione appaltante che aveva attivato il soccorso istruttorio per emendare alla mancata allegazione del PEF. A parere dell’appellante, infatti, il Piano non rappresenterebbe un elemento essenziale dell’offerta, la cui mancanza possa dar luogo alla sanzione espulsiva. Inoltre, rilevava che la successiva produzione agli atti di gara del PEF non sarebbe avvenuta nell’ambito del sub-procedimento di soccorso istruttorio, bensì in sede di verifica di congruità e sostenibilità dell’offerta, ai sensi dell’art. 97, commi 5 e 6 del d.lgs. n. 50/2016.
Sul punto, la giurisprudenza è unanime nel ritenere essenziale l’allegazione del piano economico nelle concessioni di project financing: il tale contesto, infatti, esso rappresenta un elemento significativo della proposta contrattuale ed integra a pieno titolo l'offerta, in quanto è volto ad illustrarne la complessiva sostenibilità tractu temporis e provare che l'impresa andrà prospetticamente a trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell'attività.
Al di fuori della citata ipotesi, parte della giurisprudenza ha ritenuto che il Piano economico finanziario non è da qualificare come componente dell'offerta in senso stretto, ma come documento contenente la dimostrazione della esattezza delle valutazioni poste alla base del calcolo di convenienza economica dell'affare, con la conseguenza che nei suoi confronti è possibile il soccorso istruttorio (in termini, Cons. Stato, sez. III, 6 agosto 2018, n. 4829 e T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. III, 5 marzo 2020, n. 285). Pertanto, a parere della citata giurisprudenza, sono senz’altro emendabili errori, incongruenze e rettifiche del PEF mediante il soccorso istruttorio, che dovrà essere attivato dalla Commissione in sede di valutazione di sostenibilità. La Commissione, inoltre, è l’organo chiamato a verificare e chiarire, mediante congrua motivazione, se ci si trovi in presenza di una modifica sostanziale, capace di modificare i contenuti dell'offerta e i suoi elementi economico-finanziari, ovvero di un vizio di natura meramente formale. Il descritto orientamento risponde all’esigenza di evitare che eventuali vizi del PEF influiscano sulla validità dell’offerta, pregiudicando del tutto la proficua partecipazione alla gara.
Per fare chiarezza sul punto, tuttavia, è opportuno ricordare la natura e i limiti del potere-dovere di cui all’art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50/2016.
Il soccorso istruttorio è disciplinato in via generale dall'art. 6, lett. b), della legge n. 241 del 1990 e si pone l’obiettivo di agevolare il dialogo tra amministrazione e privati per una più celere ed efficace definizione dei procedimenti, prevedendo che il responsabile del procedimento “può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete”.
Nonostante la disposizione sembri far riferimento ad una mera facoltà, è oramai indiscusso che il soccorso istruttorio, specie in materia di contratti pubblici, rivesta carattere di doverosità: si pone – di conseguenza – la necessità di delimitare con un sufficiente grado di certezza le ipotesi in cui la norma trova applicazione, data anche la stretta interdipendenza con il principio di par condicio tra i concorrenti di gara, proprio di tutti i procedimenti caratterizzati dall’elemento della concorsualità.
La giurisprudenza ha tentato di offrire certezze applicative in relazione ad una più che variegata casistica, muovendosi, tuttavia, su direttrici e criteri coerenti e universamente applicabili, ovvero facendo leva sulla distinzione tra regolarizzazione ed integrazione documentale: la prima è generalmente ammessa e risponde ad esigenze di deformalizzazione e alla necessità di operare un approccio sostanzialistico; la seconda è generalmente esclusa, in quanto ha l’effetto di violare il principio di parità di trattamento tra i concorrenti.
Anche sul quest’ultimo punto, tuttavia, la giurisprudenza – in applicazione del principio del favor partecipationis in chiave sostanzialistica - ha tentato di ampliare la portata del soccorso istruttorio, che risulta - in estrema sintesi - del tutto escluso solo ove comporti una modifica sostanziale dell’offerta. L'art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50/2016 ha infatti sancito che è sanabile ogni vizio formale della domanda, purchè non involgente l'offerta economica o tecnica in sé considerata.
Con riferimento al PEF, dunque, per verificare se i relativi vizi siano sanabili mediante soccorso istruttorio, vi è da analizzare la sua funzione all’interno del procedimento di gara e la sua relazione con l’offerta in senso stretto.
La recente giurisprudenza, (ex multis, Cons. Stato, V, 26 maggio 2020, n. 3348; V, 2 settembre 2019, n. 6015; V, 13 aprile 2018, n. 2214) fatta propria dalla pronuncia in commento, ha chiarito che la funzione del Piano economico finanziario è quella di dimostrare la concreta capacità del concorrente di eseguire correttamente la prestazione per l’intero arco temporale prescelto, attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico - finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché il rendimento per l’intero periodo: il che consente all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione (Cons. Stato, V, 26 settembre 2013, n. 4760; III, 22 novembre 2011, n. 6144). In altri termini, è un documento che giustifica la sostenibilità dell’offerta e non si sostituisce a essa, ma ne rappresenta un supporto per la valutazione di congruità, per provare che l’impresa è in condizione di trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività (Cons. Stato, V, 10 febbraio 2010, n. 653).
In tal senso, il PEF non può essere tenuto separato dall’offerta in senso stretto, ma ne rappresenta un elemento significativo della proposta contrattuale, perché dà modo all’amministrazione, che ha invitato a offrire, di apprezzare la congruenza e dunque l’affidabilità della sintesi finanziaria contenuta nell’offerta in senso stretto (così Cons. Stato, V, n. 2214 del 2018).
Ne consegue la sua rilevanza già in sede di valutazione dell’offerta economica e, di converso, l’insuscettibilità di ricorrere al soccorso istruttorio in caso di sua mancata produzione unitamente alla documentazione allegata all’offerta.
La prospettata ricostruzione ermeneutica ha una duplice conseguenza. In primo luogo, la sanzione espulsiva prescinde da un’espressa previsione in tal senso da parte della lex specialis, così come dalla natura dell’affidamento oggetto di gara, configurandosi come ipotesi di incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta: in tal senso, l’interpretazione è rispettosa del principio di tassatività delle cause di esclusione e della par condicio tra i concorrenti. In secondo luogo, l’esclusione sarà automatica anche in presenza di vizi meramente formali, prestando il fianco a derive formalistiche, in contrasto con i principi ispiratori delle direttive del 2014.