Consiglio di Stato, sez. III, 17 febbraio 2021, n. 1455

La stazione appaltante, attraverso un’indagine di mercato, ha rilevato che il prezzo cui si sarebbe aggiudicata la gara era superiore alle migliori quotazioni rivenienti da aggiudicazioni effettuate in ambito nazionale; richieste le giustificazioni all’offerente, e ritenute le stesse tali da non giustificare il sovrapprezzo, ha quindi fatto applicazione dell’apposita clausola di salvaguardia inserita nella legge di gara.

L’appellante invoca l’art. 97 del vigente codice dei contratti pubblici, che è però parametro inconferente, perché relativo alla valutazione di anomalia dell’offerta. Per le stesse ragioni non è pertinente il richiamo alla giurisprudenza in materia di valutazione della congruità o dell’anomalia dell’offerta.

Per giurisprudenza pacifica, “la revoca dell'aggiudicazione provvisoria e di tutti gli atti di gara precedenti l'aggiudicazione definitiva, compreso il bando di gara, rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione, il cui esercizio prescinde dall'applicazione dell'art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, pur richiedendosi la sussistenza di concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna la prosecuzione delle operazioni di gara” (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1744/2020)

Qualsiasi appalto deve essere conveniente per tutti i partecipanti alla procedura concorsuale: per la stazione appaltante e per l’operatore economico.

Questo il nucleo centrale della sentenza in argomento, la quale affronta la tematica in relazione alla pubblica amministrazione aggiudicatrice.

Infatti quest’ultima, nel procedere alla predetta assegnazione, può ricorrere ad uno strumento, di derivazione economica ed applicato da vario tempo nel settore degli appalti, consistente nell’indagine di mercato o attività di benchmarking[1].

Come detto con tale strumento l’amministrazione è in grado di verificare la disponibilità e l’assetto del mercato.

In sintesi la predetta indagine aiuta la pubblica amministrazione nel prendere una decisione in relazione alla possibilità, o meno, di aggiudicare l’appalto ad un determinato operatore economico. In tale ottica il Collegio ha accertato che l’ente aggiudicatore ha preventivamente verificato l’assetto del mercato e che gli operatori economici interessati fossero in possesso dei prescritti requisiti.

Nella fattispecie de qua la suddetta stazione, espletata la richiamata indagine di mercato, ha deciso di revocare l’appalto, considerato che il prezzo di aggiudicazione superasse i costi di altre aggiudicazioni rilevate in ambito nazionale. Contestualmente lo stesso ente aggiudicatore ha accertato che le giustificazioni addotte dall’operatore economico interessato non potessero legittimare il sovrapprezzo.

Di conseguenza l’amministrazione procedente ha fatto ricorso all’apposita clausola di salvaguardia inserita nella legge di gara, rifiutando, pertanto, la predetta offerta.

A fronte di tale negazione, l’appellante ha invocato il disposto di cui all’all’articolo 97 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50 (Codice dei contratti pubblici), ritenuto, tuttavia, inconferente dalla stessa amministrazione, in quanto operante nella differente tematica della valutazione dell’anomalia dell’offerta.

Infatti il Consiglio di Stato ha rilevato che, nella controversia in argomento, non si agisse in un giudizio di anomalia, ma, al contrario, nel ricorso all’applicazione della clausola di salvaguardia, a sua volta permessa dall’art. 95, comma 12, del citato codice degli appalti.

Pregio della sentenza in argomento è quello di essersi successivamente soffermata sull’individuazione delle condizioni legittimanti l’esercizio del potere di revoca.

Nello specifico il supremo Consesso, dopo aver ricordato i noti elementi che contraddistinguono il richiamato potere di revoca, connotato da ampia attività discrezionale, si è soffermato sulle norme relative all’annullamento d’ufficio; istituto, come è noto, contraddistinto da illegittimità dell’atto rimosso d’ufficio, e sempre nel rispetto del soddisfacimento dell’interesse pubblico. Sul punto la Sezione ha altresì affermato che, dopo la stipula del contratto di appalto, l’unico strumento utile per la stazione appaltante, finalizzato a causare la non prosecuzione della gara, risultasse il ricorso alle disposizioni sul recesso.

In conclusione il supremo Consesso ha precisato che l’ente aggiudicatore ha ben operato in quanto lo jus poenitendi è intervenuto in una fase prodromica e, precisamente, ancor prima che la medesima procedura di selezione terminasse con l’aggiudicazione definitiva.

Quanto sopra in conseguenza, come ricordato, di una nuova valutazione dell’interesse pubblico, motivata dalle specifiche ragioni che sono alla base dello stesso provvedimento di revoca.    


[1] Si cita la recente sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV, n.184 del 7 gennaio 2021 la quale esamina, in materia di affidamento in house di un servizio pubblico, le varie caratteristiche dell’indagine di mercato.

 

LEGGI LA SENTENZA

Pubblicato il 17/02/2021

N. 01455/2021REG.PROV.COLL.

N. 08703/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8703 del 2020, proposto da Hospital Scientific Consulting S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vito Petrarota, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Asl Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Libera Valla, con domicilio eletto presso il dott. Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini n. 30;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 01129/2020, resa tra le parti


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Asl Bari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2021 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le note di udienza depositate dalle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

FATTO e DIRITTO

1. Con sentenza n. 1129/2020, pubblicata il 4 settembre 2020, il T.A.R. Puglia, sede di Bari, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società Hospital Scientific Consulting contro la deliberazione del Direttore Generale dell’Azienda sanitaria locale di Bari n. 264 del 28 febbraio 2020, con la quale l’Azienda deliberava di non procedere all’aggiudicazione in favore della società ricorrente dei lotti n. 34 e 24 della gara, indetta con determina n. 3785 del 29 marzo 2019, per l’affidamento della fornitura triennale (oltre rinnovo per un massimo di 24 mesi) di antisettici e disinfettanti per soddisfare le esigenze delle Aziende sanitarie locali pugliesi, dell’I.R.C.S.S. “Oncologico” di Bari, dell’I.R.C.S.S. “S. De Bellis”, dell’azienda ospedaliero-universitaria Policlinico di Bari e dell’azienda ospedaliero-universitaria “Riuniti” di Foggia.

Con ricorso in appello notificato il 30 ottobre 2020 e depositato il successivo 11 novembre, la società Hospital Scientific Consulting ha impugnato l’indicata sentenza.

Si è costituita in giudizio, per resistere al gravame, l’Azienda sanitaria locale di Bari.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza dell’11 febbraio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell'art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, attraverso collegamento in videoconferenza secondo le modalità indicate dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

2. La sentenza gravata ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado facendo applicazione della disposizione di cui all’articolo 120, comma 11-bis, del codice del processo amministrativo, ai sensi del quale “Nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”.

Il giudice di primo grado ha, in particolare, ritenuto che “la spiegata domanda di annullamento ha ad oggetto due provvedimenti di non aggiudicazione distinti: la relativa delibera, infatti, è solo cartolarmente un atto unitario, trattandosi evidentemente di un provvedimento plurimo in quanto l’omogenea decisione di non pervenire all’affidamento dell’appalto si fonda su ragioni diverse, come ampiamente riportato supra. Alla diversità di petitum si accompagna la non identità della causa petendi di ciascuna delle due domande non è identica, essendo stati proposto motivi d’impugnazione diversi per ciascun lotto”.

3. Il primo motivo del ricorso in appello critica l’applicazione che il T.A.R. ha fatto della richiamata disposizione processuale, facendone discendere la statuizione in rito (di inammissibilità).

La censura è fondata.

Il Collegio è ben consapevole sia del significato normativo della disposizione della cui applicazione si tratta, sia dell’orientamento giurisprudenziale, anche di questa Sezione, che ne ha fatto applicazione.

Tale orientamento, peraltro, opportunamente circoscrive l’ambito di operatività della norma al suo significato letterale, id est alla necessità che più atti si impugnino con più ricorsi.

Quando però il mezzo concerne il medesimo atto, o comunque il medesimo segmento procedimentale, viene meno la ratio (e, prima ancora, l’ambito applicativo come normativamente definito) della disposizione in parola [ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 6577/2020: “La norma consente l'impugnazione di non più di un atto - o di segmenti procedimentali comuni che riguardino più lotti - al sussistere della condizione tassativa della identità dei motivi di ricorso (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 948/2019; Cons. Stato, sez. III, n. 5434/2018 e n. 4569/2019). Nel caso dell’articolazione di censure idonee ad inficiare un identico atto o segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche, etc..), il cumulo è ammesso in quanto e nella misura in cui possa dirsi verificata la riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria (Cons. Stato, sez. V, n. 526/2020 e n. 6385/2020)”].

Un simile approccio mostra adeguata consapevolezza della dialettica fra gli interessi antagonisti implicati all’applicazione di tale disposizione (solo parzialmente colta dal primo giudice, che ha fatto richiamo “a logiche di non aggravio processuale e, anzi, di economicità del processo”): un approccio che estenda tale applicazione al di là del suo significato letterale, e al delicato equilibrio che sul piano funzionale esso realizza, rischia infatti di porsi in conflitto con la tutela del diritto di difesa della parte (costretta a proporre più ricorsi giurisdizionali, con quel che ne consegue anche in termini di costi di accesso alla giustizia), con conseguenti implicazioni critiche sia sul piano costituzionale, che in relazione al rispetto del diritto dell’U.E.

Dovendosi pertanto procedere ad un’interpretazione adeguatrice, nel caso di specie la formale unicità del provvedimento impugnato non consente, a avviso del Collegio, la scomposizione cui è pervenuto il primo giudice.

4. Inoltre una seconda ragione per cui, nel caso di specie, l’applicazione della disposizione processuale in esame non avrebbe dovuto condurre ad una pronunzia di inammissibilità è costituita da un dato non formale ma sostanziale.

Il ricorso di primo grado in realtà, diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R., non deduce censure di tipo diverso, ma allega le medesime (o quanto meno fortemente analoghe) ragioni in diritto fondanti la pretesa demolitoria, in termini di contrarietà degli atti di gara all’interesse pubblico specifico portato dall’amministrazione aggiudicatrice, ancorché – ovviamente – tali censure vengano declinate in fatto con riguardo alla diversità in concreto della situazione di ciascun lotto (nel primo caso, per l’accertata difformità del capitolato tecnico dalla normativa relativa ai prodotti oggetto del lotto; nel secondo caso, perché le condizioni economiche dell’offerta sono risultate superiori al prezzo medio di mercato, sicché l’aggiudicazione avrebbe pregiudicato l’interesse a stipulare alle migliori condizioni) .

Il motivo è pertanto fondato anche sotto questo profilo, e come tale deve essere accolto.

5. L’accoglimento del mezzo esaminato al punto precedente implica – in ragione dell’effetto devolutivo - la delibazione delle censure proposte con il ricorso di primo grado che il T.A.R. non ha esaminato avendo ritenuto di arrestarsi ad una pronuncia in rito, e che l’appellante ha riproposto nel presente giudizio.

Con il primo di tali motivi si censura la decisione relativa al lotto n. 34: in particolare l’appellante deduce che non sarebbe stata adeguatamente motivata la valutazione di non convenienza economica per l’amministrazione.

La censura è infondata.

Come accennato la stazione appaltante, attraverso un’indagine di mercato, ha rilevato che il prezzo cui si sarebbe aggiudicata la gara era superiore alle migliori quotazioni rivenienti da aggiudicazioni effettuate in ambito nazionale; richieste le giustificazioni all’offerente, e ritenute le stesse tali da non giustificare il sovrapprezzo, ha quindi fatto applicazione dell’apposita clausola di salvaguardia inserita nella legge di gara.

L’appellante invoca l’art. 97 del vigente codice dei contratti pubblici, che è però parametro inconferente, perché relativo alla valutazione di anomalia dell’offerta.

Per le stesse ragioni non è pertinente il richiamo alla giurisprudenza in materia di valutazione della congruità o dell’anomalia dell’offerta.

Peraltro, fermo restando che - proprio in base a tale orientamento giurisprudenziale - una simile valutazione è sindacabile in giudizio solo in relazione a macroscopici profili di illogicità od irragionevolezza manifesta (non sussistenti nel caso di specie), ciò che caratterizza la peculiare vicenda dedotta nel presente giudizio è che non si controverte intorno ad un giudizio di anomalia, ma dell’applicazione della clausola di salvaguardia, a sua volta consentita dall’art. 95, comma 12, del medesimo codice (“Le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del contratto. Tale facoltà è indicata espressamente nel bando di gara o nella lettera di invito”).

Il potere di non aggiudicare la gara era dunque, in presenza di simile attribuzione, subordinato unicamente alla valutazione di non convenienza economica, che nel caso di specie appare essere stata conseguente ad adeguata ricognizione, ed esplicitata in idonea motivazione, nei termini sopra richiamati.

L’unica offerta valida, delle sette presentate, è risultata di importo superiore a quello rilevato mediante attività di benchmarking dei prezzi di beni e servizi in ambito sanitario; l’offerente, odierna appellante, ha giustificato tale circostanza limitandosi a rilevare che tale prezzo sarebbe risultato in linea con quello praticato alla ASL di Lecce (peraltro, come deduce la parte appellata, a seguito non di gara ma di affidamento diretto).

Tale motivazione non è stata ritenuta tale da giustificare un’offerta non conveniente sul piano economico: tanto più in relazione ad una domanda aggregata, che avrebbe dovuto al contrario consentire l’acquisizione a condizioni di mercato migliori e non peggiori rispetto a quelle medie.

La plausibilità e ragionevolezza della decisione del seggio di gara, in presenza dei richiamati presupposti fattuali e giuridici, esclude che essa sia affetta dai vizi dedotti, ed altresì che sia stato leso un affidamento qualificato dell’appellante, dal momento che proprio la legge della gara, mediante la citata clausola di salvaguardia, escludeva che si potesse radicare un simile affidamento fino all’aggiudicazione definitiva, e comunque fino all’esercizio del potere di valutazione della convenienza economica dell’offerta previsto da tale clausola.

6. Con il secondo profilo di censura si critica la decisione relativa al lotto n. 24 [relativo alla fornitura di spugna o manopola per la detersione corporea senza risciacquo, resistente e allo stesso tempo morbida, tale da evitare di lesionare la cute, imbibita in una soluzione acquosa, ipo-allergenica, senza alcol, lattine o lanolina, e bilanciato ad un pH dermico (5,5)], con la quale – come accennato – si è ritenuto di non aggiudicare la relativa gara essendo emerso – su sollecitazione di altre concorrenti - che le prescrizioni del capitolato tecnico non erano conformi a quanto previsto dalla circolare del Ministero della Salute n. DGFDM.III./P/2875/I del 27 gennaio 2011.

La stazione appaltante ha quindi ritenuto che tale dato rendesse inconciliabili l’interesse pubblico ad acquisire, mediante la fornitura, prodotti conformi alla normativa settore, con gli ulteriori interessi implicati nella vicenda (compresi quelli di par condicio e di favor partecipationis).

L’appellante censura tale decisione sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, e della lesione del principio di favor partecipationis.

Il mezzo è infondato.

Va anzitutto premesso che il principio di massima partecipazione alle gare è recessivo rispetto alla (o comunque va bilanciato con la) compatibilità dei suoi esiti rispetto all’interesse pubblico portato dall’amministrazione aggiudicatrice, anche in termini di corrispondenza dei prodotti oggetto della fornitura rispetto ai requisiti richiesti dalle normative di settore.

Nel caso di specie, rilevata la difformità fra il capitolato e la citata circolare ministeriale, la stazione appaltante ha ragionevolmente previsto di non procedere ad aggiudicazione, e di indire una nuova gara, previa univoca indicazione dei requisiti tecnico-normativi da parte del competente Dipartimento Gestione del Farmaco.

Tale motivazione assiste più che ragionevolmente la decisione gravata, anche in termini di bilanciamento con gli interessi antagonisti, posto che la partecipazione va comunque considerata in relazione all’acquisizione di forniture conformi all’interesse della stazione appaltante (considerato peraltro che trattasi di fornitura relativa a dispositivi sanitari).

7. Per le ragioni sopra esposte risulta infondato anche il secondo motivo di appello, con il quale si lamenta una insufficiente motivazione della decisione di non procedere ad aggiudicazione della gara relativa ai lotti n. 24 e n. 34.

8. Con l’ultimo motivo di appello si contesta la pretesa violazione degli artt. 3 e 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, in relazione all’esercizio del potere di revoca degli atti di gara ed alla sua motivazione.

Anche questa censura è infondata.

Per giurisprudenza pacifica, “la revoca dell'aggiudicazione provvisoria e di tutti gli atti di gara precedenti l'aggiudicazione definitiva, compreso il bando di gara, rientra nel potere discrezionale dell'amministrazione, il cui esercizio prescinde dall'applicazione dell'art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, pur richiedendosi la sussistenza di concreti motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna la prosecuzione delle operazioni di gara” (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1744/2020).

Anche questa Sezione, nella sentenza n. 4461/2019, ha in materia affermato che “A differenza del potere di annullamento d'ufficio, che postula l'illegittimità dell'atto rimosso d'ufficio, quello di revoca esige, infatti, solo una valutazione di opportunità, seppur ancorata alle condizioni legittimanti dettagliate all'art. 21 quinquies l. cit. (e che, nondimeno, sono descritte con clausole di ampia latitudine semantica), sicché il valido esercizio dello stesso resta, comunque, rimesso ad un apprezzamento ampiamente discrezionale dell'Amministrazione procedente. Con riferimento alla procedura di gara deve premettersi, in via generale, che mentre la revoca resta impraticabile dopo la stipula del contratto d'appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso (come chiarito dall'Adunanza Plenaria con la decisione in data 29 giugno 2014, n. 14), prima del perfezionamento del documento contrattuale, al contrario, l'aggiudicazione è pacificamente revocabile (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2011, n. 2291)”.

Nel caso di specie la stazione appaltante ha esercitato il potere di autotutela ancor prima di procedere all’aggiudicazione, in conseguenza della nuova valutazione dell’interesse pubblico indotta dalle ragioni che si sono richiamate, e che costituiscono la motivazione del provvedimento di revoca.

Tali ragioni integrano pienamente il paradigma normativo indicato dall’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, dal momento che, per un verso, l’amministrazione ha realizzato di avere indicato nella lex specialis delle specifiche tecniche erronee; e, par altro verso, ha riscontrato la possibilità di un risparmio di spesa dalla non aggiudicazione dell’offerta.

In entrambi i casi si tratta di elementi che giustificano l’esercizio dello jus poenitendi, avuto riguardo all’interesse dell’amministrazione a stipulare alle migliori condizioni economiche e al fine di acquisire una fornitura ottimale, funzionale all’interesse pubblico che la procedura di gara deve soddisfare (sulla tutela dell’interesse finanziario dell’amministrazione quale causa legittimante la revoca degli atti di gara, ex multis, Consiglio di Stato, III, sentenza n. 4809/2013).

Del resto, il mezzo in esame critica la stessa “configurazione normativa del potere di autotutela” (pag. 19 del ricorso in appello), e dunque si risolve in una censura di sistema.

L’appellante lamenta poi che “la stazione appaltante ha omesso di ponderare i contrapposti interessi limitandosi ad affermare la non aggiudicazione del lotto n. 24 e 34 omettendo la benché minima motivazione a supporto di siffatta determinazione”.

L’affermazione non è autorizzata dagli atti, dal momento che l’amministrazione ha operato tale comparazione, attribuendo peraltro – legittimamente – prevalenza all’interesse pubblico, ed indicandone adeguatamente (e testualmente) le ragioni (dando conto delle difficoltà di “giungere ad un corretto bilanciamento dei diversi interessi rappresentati dai concorrenti con quello dell’Amministrazione volto a garantire i principi di par condicio e favor partecipationis”).

9. Il ricorso in appello deve essere dunque parzialmente accolto, e per l’effetto la sentenza impugnata deve essere riformata, nel senso del rigetto, perché infondato, del ricorso di primo grado.

In considerazione della peculiarità della fattispecie le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere

Solveig Cogliani, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere, Estensore