Cons. Stato, Sez. V, 11 gennaio 2021, n. 368
Secondo il consolidato orientamento, nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing, sussiste la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione se, pur non avendo adottando provvedimenti illegittimi, tenga un comportamento non ispirato al canone di correttezza e buona fede e, perciò, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione del danneggiato circa il buon esito delle trattative. Infatti, l’indizione della gara e, soprattutto, la disposta aggiudicazione, ha trasformato la posizione dell’operatore economico da aspettativa di mero fatto in aspettativa giuridicamente tutelata alla consequenziale stipula del contratto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2336 del 2019, proposto da
Betoncablo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giancarlo Turri e Laura Erika Negri, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
contro
Comune di Senago, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Quadri, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – Milano, sez. IV, n. 2785/2018, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Senago;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo, d.-l. n. 28 del 2020 e dell’art. 25 d.-l. n. 137 del 2020 il Cons. Giovanni Grasso e udito, per l’appellante, l’avvocato Giancarlo Turri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- In data 11 novembre 2014, BG Edile Servizi presentava al Comune di Senago, nella qualità di soggetto promotore, uno “studio di fattibilità” per l’ampliamento del cimitero comunale, con successiva gestione dei servizi annessi.
Con deliberazione di Giunta n. 100 del 28 giugno 2016, l’Amministrazione comunale approvava il progetto, dichiarandone il pubblico interesse, procedendo, quindi, alla indizione di formale procedimento di gara avente a oggetto la “concessione della gestione del cimitero comunale, finalizzata all’ampliamento del complesso cimiteriale mediante la procedura del ‘project financing’ con diritto di prelazione da parte del promotore a norma dell’art. 183, comma 15, D. Lgs. 50/2016”, da aggiudicarsi secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Alla gara partecipava Betoncablo s.p.a., la quale presentava la migliore offerta cosicché, con nota in data 15 maggio 2017 prot. n. 0012821/2017 il Comune le comunicava l’intervenuta aggiudicazione definitiva chiedendo, contestualmente, di procedere con la redazione del progetto definitivo.
Betoncablo s.p.a. dava, quindi, corso alle attività amministrative e progettuali successive all’aggiudicazione, per come espressamente richieste dalla lex specialis di gara e con la tempistica ivi prevista, prodromiche alla sottoscrizione della concessione.
Tuttavia, con nota prot. n. 459/PEC del 13 novembre 2017, il Comune comunicava che l’ATS Milano Città Metropolitana aveva riscontrato negativamente la richiesta di parere in merito alla fattibilità dell’intervento, sull’assunto: a) che il progetto fosse carente dei requisiti di carattere igienico-sanitario, atteso il mancato rispetto delle distanze minime previste dalla normativa vigente; b) che, inoltre, il Comune di Senago, nonostante i ripetuti solleciti, non si era dotato di un piano cimiteriale aggiornato alle diposizioni di cui al regolamento regionale n. 6 del 2014.
Con successiva nota in data 16 aprile 2018 prot. n. 0010821/2018, l’Amministrazione comunale, preso atto del parere negativo, comunicava l’intervenuto annullamento d’ufficio dell’intera procedura e dell’aggiudicazione definitiva.
2.- Il provvedimento veniva impugnato, con ricorso al Tribunale amministrativo per la Lombardia, da Betoncablo s.p.a., la quale: a) in via principale, contestava la legittimità della misura di autotutela, invocando il rispristino, in via di tutela specifica, della conseguita aggiudicazione; b) in via subordinata, formulava domanda di condanna, a titolo di responsabilità precontrattuale, al risarcimento dei danni subiti.
3.- Nella resistenza dell’Amministrazione intimata, con sentenza n. 2785/2018 il Tribunale amministrativo respingeva la domanda di annullamento, accogliendo la domanda subordinata e condannando, per l’effetto, il Comune di Senago al risarcimento del danno precontrattuale, indicando i relativi criteri ai sensi dell’art. 34 Cod. proc. amm..
4.- Avverso la sentenza insorge, con atto di appello notificato nei tempi e nelle forme di rito, Betoncablo s.p.a., che ne lamenta l’illegittimità sotto il profilo della quantificazione del danno risarcibile e ne invoca, per quanto di interesse, la riforma.
Si è costituito in giudizio, per resistere, il Comune di Senago, che ha proposto a sua volta appello incidentale, con il quale ha contestato la ritenuta sussistenza dei presupposti per l’imputazione della responsabilità precontrattuale, auspicando l’integrale riforma della sentenza e la complessiva reiezione del ricorso di primo grado.
Alla pubblica udienza dell’11 novembre 2020, la causa è stata riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello principale non è fondato e va respinto. È parzialmente fondato l’appello incidentale, che va, conseguentemente, accolto, per quanto di ragione.
2.- Nell’ordine logico delle questioni al vaglio del Collegio, va data priorità all’appello incidentale proposto dal Comune di Senago, con il quale si contesta, in via pregiudiziale, la sussistenza dei presupposti per l’imputazione, a proprio carico, della responsabilità precontrattuale.
In particolare, con il primo motivo, il Comune assume che, in base all’art. 183, comma 11, del d.lgs. n. 50 del 2016, la stipulazione del contratto di concessione può avvenire “solamente a seguito della conclusione, con esito positivo, della procedura di approvazione del progetto definitivo”, approvazione subordinata, nel caso di specie, al preventivo parere di ATS Milano, che si era espressa in senso negativo: per tal via, Betoncablo s.p.a. non poteva vantare, per il solo fatto di aver conseguito l’aggiudicazione, alcuna legittima aspettativa alla conclusione del contratto.
Ciò tanto più in presenza di un project financing a iniziativa privata, il cui progetto di fattibilità non solo non è redatto dall’Amministrazione, ma direttamente dal promotore, ma deve anche essere sviluppato in un progetto definitivo soggetto a varianti, sul quale deve essere sollecitata la concorrenza degli operatori economici interessati.
Nemmeno si poteva pretendere dall’Amministrazione, con il primo giudice, l’anticipata sollecitazione, fin dalla ricezione dello studio preliminare di fattibilità, del parere di ATS Milano, e ciò proprio in considerazione del fatto che tale progetto era, di suo, soggetto a variazioni.
2.1.- Il motivo non è fondato.
2.1.1.- Va dato seguito al consolidato orientamento (ribadito, da ultimo, da Cons. Stato, V, 11 gennaio 2018, n. 111) per cui, nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing, sussiste la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione che, pur non adottando provvedimenti illegittimi, tenga un comportamento non ispirato al canone di correttezza e buona fede e, perciò, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato ovvero della ragionevole convinzione del danneggiato circa il buon esito delle trattative.
Tale responsabilità va, in particolare, riconosciuta nel caso in cui l’Amministrazione prima pronunci (senza adeguata verifica delle effettive e concrete condizioni di attuabilità) la dichiarazione di pubblico interesse – approvando, senza riserve, il progetto proveniente dal promotore – e, successivamente, ne disponga il (pur legittimo) annullamento in autotutela, laddove si avveda di insuperabili ragioni ostative che avrebbero potuto (e dovuto) essere immediatamente rilevate, ovvero si risolva, comunque, ad una diversa valutazione della praticabilità (o della convenienza) dell’intervento o del ricorso allo strumento della finanza di progetto.
Importa, per chiarezza, precisare che la responsabilità dell’Amministrazione non si fonda sulla mera dichiarazione di pubblico interesse dell’idea progettuale elaborata dal promotore, per quanto successivamente sconfessata: e ciò in quanto, per consolidato intendimento dal quale il Collegio non intende discostarsi, in materia di project financing l’Amministrazione – una volta individuato il promotore e ritenuto di pubblico interesse il progetto dallo stesso presentato – non è comunque tenuta a dare corso alla procedura di gara, essendo libera di scegliere, attraverso valutazioni attinenti al merito amministrativo e non sindacabili in sede giurisdizionale, se, per la tutela dell’interesse pubblico, sia più opportuno affidare il progetto per la sua esecuzione ovvero rinviare la sua realizzazione ovvero non procedere affatto (cfr., tra le tante, Cons. Stato, V, 4 febbraio 2019, n. 820; Id., V, 18 gennaio 2017, n. 207; Id., V, 21 giugno 2016, n. 2719; Id., III, 20 marzo 2014, n. 1365).
Se è vero, perciò, che anche in un momento successivo a quello in cui una proposta di realizzazione di lavori pubblici sia stata dichiarata di pubblico interesse, l’Amministrazione resta libera di non dar corso alla procedura di gara per l’affidamento della relativa concessione (sicché l’eventuale misura di autotutela non determina, in tal caso, alcuna responsabilità precontrattuale né fa sorgere, in caso di revoca, l’obbligo di corrispondere alcun indennizzo a ristoro dei pregiudizi economici asseritamente patiti dal promotore: cfr. Cons. Stato, V, n. 820/2019, cit.), è anche vero, tuttavia, che ciò vale solo fino a quando l’Amministrazione non si risolva, sulla base del progetto assentito, ad attivare la procedura di gara e a concluderla con l’aggiudicazione. L’aggiudicazione, invero, trasforma, di suo, l’aspettativa di mero fatto, fino a quel punto vantata dal promotore, in aspettativa giuridicamente tutelata alla consequenziale stipula del contratto aggiudicato, il cui rifiuto – quand’anche, in concreto, giustificato dal (postumo e tardivo, ma pur sempre legittimo) accertamento della carenza delle condizioni iniziali della messa a gara – concreta ragione di responsabilità per violazione del canone di correttezza e di lealtà (cfr. art. 1337 Cod. civ. e, oggi, l’art. 1, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990).
2.1.2.- Nel caso di specie, risulta che il Comune di Senago ha approvato la proposta progettuale, dichiarandola di pubblico interesse; ha sollecitato il promotore alla predisposizione del progetto definitivo; ha, quindi, attivato la procedura di gara, che ha concluso con l’aggiudicazione a favore della odierna appellante e – solo a valle della vicenda – ha dovuto prendere atto del parere negativo di ACS (peraltro formulato sulla base del mero accertamento della inidoneità dell’idea progettuale, per l’assenza delle distanze minime dalla fascia di rispetto cimiteriale, di cui il Comune avrebbe ben potuto, dispiegando una ordinaria diligenza, rendersi conto fin dall’inizio).
Sussistono, perciò, come bene ritenuto dal primo giudice, i presupposti per l’imputazione della responsabilità precontrattuale (cfr. Cons Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5).
3.- Ciò posto, va esaminato, perché logicamente prioritario, il primo motivo dell’appello principale, con il quale Betoncablo s.p.a. si duole che la sentenza impugnata, pur avendo correttamente affermato la responsabilità dell’Amministrazione, ha ritenuto sussistente a suo carico, ai fini della consequenziale quantificazione del danno risarcibile, il concorso di colpa.
3.1.- Il motivo non è fondato.
Se non è revocabile in dubbio, nel senso chiarito, la responsabilità del Comune per aver validato il progetto, senza avvedersi che lo stesso appariva, fin dall’origine, irrealizzabile perché irrispettoso della distanza minima inderogabile dalla fascia di rispetto cimiteriale, è anche vero che l’appellante – che non contesta la propria qualità di qualificato ed esperto operatore del settore, come tale dotato di tutte le competenze tecniche necessarie – ha formulato una proposta che ha omesso di rilevare l’esistenza (accertabile con un minimo di diligenza) del vincolo cimiteriale, ed ha, anzi, positivamente attestato il rispetto della relativa fascia.
È, dunque, corretto ritenere che – sebbene tale negligenza professionale non sia, di per sé, idonea, come chiarito, ad escludere i presupposti per l’imputazione all’Amministrazione comunale della responsabilità contrattuale – la stessa incida (in termini di concorso di colpa del danneggiato) sulla quantificazione del danno suscettibile di ristoro (cfr. art. 1227 Cod. civ.): principio desumibile anche dall’art. 21-quinquies, comma 1-bis della l. n. 241 del 1990, laddove – sia pure ai diversi fini della quantificazione dell’indennizzo da revoca legittima e corretta – pone in evidenza il “concorso” del privato nell’“erronea valutazione” operata dalla stazione appaltante, rilevante anche a fini risarcitori, in presenza di atto di ritiro in autotutela bensì legittimo ma, come nella specie, scorretto (cfr. Cons. Stato, V, 10 aprile 2020, n. 2358).
4.- A questo punto, possono essere esaminate congiuntamente le censure con le quali sia l’appellante principale che l’appellante incidentale hanno lamentato, per quanto di rispettivo interesse, la violazione dei criteri di quantificazione del danno risarcibile.
4.1.- Premesso che, in caso di responsabilità precontrattuale, i danni vanno parametrati al c.d. interesse negativo, ravvisabile, nel caso delle procedure ad evidenza pubblica, nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi (danno emergente) e nella perdita di occasioni di guadagno alternative (lucro cessante) (cfr. Cons. Stato, III, 2 aprile 2019, n. 2181), rileva il Collegio che il primo giudice ha, in concreto, ritenuto:
a) di liquidare il danno emergente nella misura di € 56.000, corrispondenti alle spese sostenute (e documentate) dalla società appellante per la partecipazione alla gara;
b) di negare le spese successive all’aggiudicazione, in considerazione del rilievo che – essendo la stipula del contratto condizionata alla definitiva approvazione del progetto definitivo – le stesse dovessero essere considerate anticipate “a mero rischio e pericolo”;
c) di negare, in quanto non idoneamente comprovato, il danno asseritamente correlato alle mancate occasioni di guadagno;
d) di riconoscere, sulle somme così liquidate, la rivalutazione e gli interessi come per legge, trattandosi di debito di valuta e non di valore.
4.2.- Ciò posto, va osservato che – sebbene abbia correttamente accertato la spettanza del danno correlato alle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura, in quanto documentalmente comprovate – il primo giudice ha omesso di considerare, traendo le dovute conseguenze dalle sue stesse premesse, il rilievo concausale del concorso di colpa riconosciuto a carico del danneggiato, che avrebbe importo (ai sensi dell’art. 1227 Cod. civ.) una riduzione quantitativa delle poste di danno, in proporzione al grado di colpa attribuito.
Sul punto, il Collegio ritiene che, in difetto di elementi di prova offerti dall’una e dall’altra parte, la corresponsabilità possa essere attribuita presuntivamente in misura paritaria, con la conseguenza che il danno in questione va riconosciuto nella misura del 50% delle spese documentate.
A tale somma occorre, peraltro, sottrarre – in quanto spettanti esclusivamente in caso di esecuzione del contratto – le spese generali, quantificate in € 2.732,35.
In definitiva, va riconosciuta la somma di € 26.634 [(€ 56.000 - € 2.732,25)/2].
4.3.- Appare invece corretto, a dispetto delle doglianze dell’appellante principale, il disconoscimento delle spese sostenute successivamente all’aggiudicazione, nella prospettiva della esecuzione del contratto. Si tratta, invero, di spese che l’appellante ha sostenuto prima di avere certezza della positiva conclusione dell’iter di affidamento della concessione, la quale, per le ragioni esposte, era subordinata per un verso all’approvazione del progetto definitivo (risultata, in concreto, impossibile a causa delle riscontrate preclusioni di ordine tecnico) e per altro verso alle definitive valutazioni della stazione appaltante. È esatto, perciò, che si tratta di spese sostenute volontariamente e, come tali, non necessarie, e – per tal via – da imputarsi ad una libera scelta dell’appellante, non suscettibile di ristoro.
4.4.- Parimenti corretto il disconoscimento del lucro cessante, e ciò sulla base del principio, più volte ribadito, per cui , a fini della relativa e necessaria dimostrazione, non è sufficiente l’allegazione della mera indizione di procedure selettive né la produzione di dichiarazioni di rinuncia alla partecipazione ad esse ‘per impegni in precedenza assunti’, non accompagnati da elementi univoci circa l’andamento e l’esito delle relative procedure, in un periodo contestuale a quello considerato (Cons. Stato, IV, 6 giugno 2008, n. 2680).
5.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello incidentale del Comune di Senago va parzialmente accolto, con riguardo alla riduzione del quantum dovuto a titolo risarcitorio. Per contro, l’appello principale deve essere integralmente respinto.
Per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, va riconosciuta la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, con condanna al risarcimento dei danni nei limiti dell’interesse negativo, complessivamente quantificati in € 26.634, oltre a rivalutazione e interessi come per legge.
In considerazione della soccombenza reciproca, sussistono giustificate ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e accoglie in parte l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, condanna il Comune di Senago al risarcimento del danno in favore di Betoncablo s.p.a., che liquida in complessivi € 26.634, oltre rivalutazione e interessi come per legge, fino all’effettivo soddisfo.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020.
GUIDA ALLA LETTURA
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza in oggetto, ha affermato il principio di diritto in forza del quale è configurabile la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione che, nel caso di mancata conclusione del procedimento di finanza di progetto (c.d. project financing), pur non avendo adottando provvedimenti illegittimi, tenga un comportamento non ispirato ai canoni di correttezza e buona fede e, dunque, lesivo delle legittime aspettative ingenerate nel contraente privato e della ragionevole convinzione del danneggiato circa il buon esito delle trattative.
La finanza di progetto è una delle forme di partenariato pubblico privato (c.d. PPP).
Tale istituto, mutuato da un fenomeno nato negli ordinamenti di common law, è disciplinato agli artt. 183 – 186 del Codice dei Contratti Pubblici il D. Lgs 50 del 2016.
Esso si concretizza in una forma innovativa di realizzazione e gestione delle opere o servizi di pubblica utilità, basata sul reperimento di capitali alternativi rispetto a quelli statali e mediante l’affidamento a soggetti privati della parte della progettazione e della gestione dell’opera.
A fronte dell’assunzione del rischio operativo e dell’investimento di capitali privati, l’operatore economico promotore, nello schema contrattuale tipico del project financing, è ricompensato dalla remunerazione generata dalla gestione dell’opera in un dato arco temporale. Dunque, ai fini della riuscita dell’investimento, è necessario che l’operazione possa generare dei flussi di cassa positivi in grado di coprire i costi operativi, restituire le somme necessarie al finanziamento dell’opera e, infine, a fornire un margine di profitto all’operatore economico promotore dell’opera.
L’istituto, in una delle sue definizioni più accreditate, viene delineato come “un’operazione di finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore è soddisfatto di considerare, fin dallo stato iniziale, il flusso di cassa dell’unità economica in oggetto, come la sorgente di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell’unità economica come garanzia collaterale del prestito” (cfr. P.K. Nevitt, Project Financing, Bari, 1987, p. 13).
Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, disciplina due modelli fondamentali di finanza di progetto.
Nel primo modello a iniziativa pubblica l’Amministrazione, che ha già programmato a monte l’intervento (in quanto rientrante negli strumenti di programmazione e pianificazione economica), avvia mediante pubblicazione di un bando di gara una procedura per l’affidamento di una concessione sui generis in quanto viene posta a base di un progetto di fattibilità con un invito a presentare offerte che prevedano il finanziamento parziale o totale a carico dei soggetti proponenti (art. 183, comma 2 del Codice dei Contratti Pubblici).
Nel secondo modello a iniziativa privata, l’operatore economico presenta una proposta contenente un progetto di fattibilità che può riguardare opere non inserite negli strumenti di programmazione dell’Amministrazione aggiudicatrice. La P.A. deve valutare, entro il termine perentorio di tre mesi, la fattibilità della proposta presentata e, qualora sia necessario, ha facoltà di invitare l’operatore proponente ad apportare delle modifiche al fine di addivenire all’approvazione definitiva del progetto (art. 183, comma 10, lett. e del Codice dei Contratti Pubblici).
Nel caso di specie, avente ad oggetto l’applicazione del secondo modello a iniziativa privata di finanza di progetto, Giudici di Palazzo Spada hanno affermato la sussistenza della responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione aggiudicatrice che abbia approvato, senza apporre riserve, il progetto definitivo del promotore e, successivamente, agito in autotutela per l’annullamento della procedura per ragioni ostative che avrebbero dovuto essere immediatamente rilevate prima dell’aggiudicazione definitiva.
Nella vicenda de quo, la Stazione Appaltante aveva approvato la proposta progettuale presentata dell’operatore economico, dichiarandola di pubblico interesse e sollecitando il promotore alla predisposizione del progetto definitivo.
La P.A. ha, quindi, attivato la procedura di gara, che si è conclusa con l’approvazione del progetto definitivo e l’aggiudicazione a favore dell’operatore economico promotore e, solo alla fine della procedura, ha dovuto prendere atto del parere negativo dell’Agenzia della Tutela della Salute (ATS) che evidenziava l’inidoneità della proposta progettuale per violazione delle distanze minime della fascia di rispetto cimiteriale. Tuttavia, l’Amministrazione comunale aggiudicatrice avrebbe potuto, con ordinaria diligenza, rendersi conto del mancato rispetto della fascia cimiteriale e richiedere delle modifiche alla proposta progettuale se non, addirittura, non aggiudicare la gara al soggetto proponente.
Infatti, l’aggiudicazione della procedura trasforma l’aspettativa di mero fatto del promotore in aspettativa giuridicamente tutelata alla successiva stipula del contratto aggiudicato.
Il rifiuto della P.A., sebbene giustificato dal tardivo accertamento dell’inidoneità progettuale, si concretizza in responsabilità precontrattuale qualora sia violato il canone di correttezza e di lealtà ai sensi dell’art. 1337 del Codice Civile e dell’art. 1, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990.
L’art. 1337 c.c. stabilisce che “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede” e, dunque, l’Amministrazione comunale aggiudicatrice ha l’obbligo di conformarsi a tale principio.
La giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che la legittima revoca di una gara non esclude un’eventuale responsabilità precontrattuale della Stazione Appaltante: “La responsabilità per la revoca della gara, non ancora conclusa da parte dell’Amministrazione, seppure formalmente legittima, può ritenersi tuttavia configurabile quando il fine pubblico è stato attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà. Dunque, anche la revoca legittima degli atti della procedura di gara può infatti integrare una responsabilità della pubblica amministrazione, seppure precontrattuale, nel caso di affidamenti suscitati nell’impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica, poi rimossi. In altri termini, si è in presenza di una scissione fra la legittima determinazione di revocare l’aggiudicazione della gara ed il complessivo tenore del comportamento, tenuto dalla medesima Amministrazione nella sua veste di controparte negoziale, non informato alle generali regole di correttezza e buona fede, che devono essere osservate dall’Amministrazione anche nella fase precontrattuale” (cfr. TAR Lazio, Sez. Roma II-quater, 2 aprile 2010, n. 5621).
L’Amministrazione, infatti, può legittimamente decidere di non proseguire con la procedura di gara anche dopo l’individuazione del promotore e la dichiarazione di interesse pubblico del progetto.
Tuttavia, l’esplicazione di siffatto potere discrezionale è tollerata solo fino a quando l’Amministrazione non proceda, sulla base del progetto assentito, ad attivare la procedura di gara e a concluderla con l’aggiudicazione.
L’aggiudicazione costituisce la “linea di confine” del potere discrezionale dell’Amministrazione. Superato tale limite la discrezionalità viene esaurita e l’interesse ad addivenire alla stipula del contratto diventa meritevole di tutela.
Successivamente a tale momento, l’Amministrazione conserva il potere di non addivenire alla stipula. Tale decisione però, sebbene ancorata da ragioni di pubblico interesse, non esclude la configurabilità di un’eventuale responsabilità precontrattuale qualora vengano violati i canoni di buona fede e correttezza tra le parti.
In conclusione, per mezzo di tale pronuncia, il Collegio pone in evidenza il “concorso” del privato nell’“erronea valutazione” operata dalla Stazione Appaltante, in presenza dell’atto di ritiro in autotutela bensì legittimo ma scorretto (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 10 aprile 2020, n. 2358) affermando la responsabilità precontrattuale della Stazione Appaltante e condannandola al risarcimento del danno.