Cons. Stato, sez. II, 9 novembre 2020, n. 6884
La domanda giudiziale avente ad oggetto la revisione dei prezzi deve quindi essere definita, sul piano processuale, secondo un'indagine di tipo bifasico, volta dapprima all'accertamento dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale - aspetto per il quale è consentito il giudizio impugnatorio riferito all'atto autoritativo della P.A. e al suo surrogato costituito dal silenzio rifiuto; e solo in un momento successivo alla verifica del quantum debeatur, secondo meccanismi propri della tutela delle posizioni di diritto soggettivo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7667 del 2011, proposto da Leucopetra S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Gaetano Mazza, per il presente giudizio domiciliata presso l’Ufficio di Segreteria di questo Consiglio, in Roma, alla Piazza Capo di Ferro n. 13;
contro
Comune di Poggiomarino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Angelo Bonito, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Marco Papio, n. 15;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sede di Napoli) n. 1536 del 15 gennaio 2011, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Poggiomarino;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2020 il Cons. Roberto Politi;
Uditi per le parti gli avvocati Alessandro Cacchione, su delega dell’avvocato Gaetano Mazza, ed Angelo Bonito;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Espone l’appellante Leucopetra S.p.A. – operante nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti – di essere stata incaricata dello svolgimento del servizio di smaltimento dei rifiuti del Comune di Poggiomarino, in deroga alle ordinarie procedure di affidamento, al fine di fronteggiare la situazione emergenziale venutasi a determinare nel territorio regionale dopo il 2001.
A fronte della determinazione del costo del servizio (di cui al Progetto tecnico-economico gestione integrata dei rifiuti del Comune di Poggiomarino), veniva a determinarsi, nel corso del tempo (anche in ragione della prolungata durata del rapporto in essere fra le parti) una sperequazione fra il compenso pattuito e gli oneri effettivamente sostenuti dall’appaltante.
Soggiunge la parte di aver più volte richiesto, a far tempo dal 2004, una revisione del prezzo del servizio; e di aver vittoriosamente adito il T.A.R. Campania per l’accertamento dell’illegittimità del contegno omissivo in proposito osservato dall’Amministrazione comunale.
Intervenuto, in data 18 marzo 2010, espresso provvedimento di diniego alla richiesta di liquidazione del compenso revisionale, parte appellante nuovamente si rivolgeva al T.A.R. Campania al fine di contestare in sede giudiziale la legittimità di siffatta determinazione.
2. Costituitasi l’Amministrazione comunale intimata, il Tribunale ha, con la sentenza oggetto dell’appello ora all’esame, respinto il ricorso.
3. Avverso tale pronuncia, Leucopetra ha interposto appello, notificato il 17 settembre 2011 e depositato il successivo 30 settembre, lamentando quanto di seguito sintetizzato:
3.1) Error in procedendo e in judicando. Erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di congrua motivazione.
Avrebbe errato il Tribunale nel ritenere che l’odierna appellante abbia prestato adesione – o, comunque, acquiescenza – alle disposizioni comunali che hanno reiteratamente disposto la proroga della durata del servizio, inizialmente stabilita in tre mesi, fino a complessivi sette anni.
Né, come sostenuto dai giudici di prime cure, sarebbe revocabile in dubbio la natura negoziale del rapporto inter partes, con riveniente piena operatività dell’istituto revisionale; ulteriormente rappresentando Leucopetra di aver ripetutamente chiesto, nel corso del suindicato arco temporale, la revisione del prezzo originariamente pattuito per lo svolgimento del servizio de quo.
Quanto alla mancata impugnazione dei provvedimenti con i quali è stato, via via, rideterminato l’ammontare del compenso stesso, l’esclusa connotazione autoritativa degli stessi escluderebbe, secondo la prospettazione di parte, la configurabilità di un onere di tempestiva sollecitazione della tutela giurisdizionale (soggiungendosi come lo stesso Comune abbia, ripetutamente, riconosciuto l’esigenza di adeguamento del canone corrisposto a Leucopetra).
Nell’escludere che la protratta durata del servizio abbia integrato un vantaggio economico per l’appaltante, tale da controbilanciare il mancato adeguamento della prevista remunerazione, la parte ulteriormente contesta le motivazioni della sentenza avversata relative alla domanda di condanna del Comune di Poggiomarino a titolo di indebito arricchimento (sul punto, confutandosi la rilevanza di pretese inadempienze contrattuali, peraltro mai formalmente contestate, ascrivibili a Leucopetra).
3.2) Riproposizione delle domande di merito: violazione di legge, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 del D.Lgs. 163 del 2006, eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, illogicità, contraddittorietà, difetto assoluto di istruttoria e di motivazione.
Sul presupposto dell’assenza di alcun atto di formale rinnovo contrattuale, nonché di alcuna tacita rinunzia all’adeguamento revisionale del compenso stabilito per l’erogazione del servizio di che trattasi, parte appellante ribadisce le ragioni della fondatezza della richiesta avanzata nei confronti del Comune, riproducendo in questa sede le doglianze all’uopo già dedotte dinanzi al giudice di prime cure (segnatamente, con riferimento alla obbligatorietà della revisione prezzi nei contratti di durata, alla stregua del fondamento normativo e dell’interpretazione giurisprudenziale dell’istituto).
3.3) Violazione di legge. Elusione del giudicato amministrativo per differente profilo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. Arricchimento senza causa in favore del Comune di Poggiomarino ed in danno della Società Leucopetra. Travisamento.
A fronte dello sbilanciamento fra iniziale determinazione del compenso ed ammontare degli oneri, nel corso del tempo effettivamente sostenuti per lo svolgimento del servizio, Leucopetra rivendica la presenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’azione di indebito arricchimento, per come individuati dall’art. 2041 c.c., in considerazione del sofferto depauperamento patrimoniale e dell’arricchimento determinatosi in capo all’Amministrazione comunale; e chiede, quindi il risarcimento del danno sofferto, quantificabile nella complessiva misura di € 1.169.320,92.
Conclude l’appellante per l’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.
4. In data 22 ottobre 2011 l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio; e, in vista della trattazione nel merito del ricorso, ha depositato in atti (26 settembre 2020) conclusiva memoria, con la quale:
- preliminarmente eccepita la tardività del proposto appello (i cui termini, secondo la prospettazione di parte, sarebbero dimidiati in ossequio alla previsione dettata dall’art. 119 c.p.a.);
- ha, nel merito, analiticamente confutato le argomentazioni esposte con l’atto introduttivo;
conseguentemente, insistendo per la reiezione del mezzo di tutela all’esame.
5. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 27 ottobre 2020.
DIRITTO
1. Va, in primo luogo, disattesa l’eccezione di irricevibilità dell’appello, come sopra formulata dalla difesa dell’appellata Amministrazione comunale di Poggiomarino.
A fondamento della sostenuta tardività nella notificazione del mezzo di tutela, il Comune sostiene che esso “è stato notificato a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza …, non notificata, e dunque oltre il termine dimidiato di tre mesi, ex art. 119 c.p.a., da ritenersi applicabile a caso di specie”, atteso che “la materia oggetto del contendere attiene, almeno secondo la prospettazione fattane da parte appellante, alla normativa in materia di appalti pubblici, per cui essa ne segue il relativo rito, ivi compreso quello abbreviato comune di cui alla richiamata norma”.
Va rammentato, al riguardo, come l’art. 119, comma 2, c.p.a., abbia disposto il dimezzamento dei termini processuali ordinari salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel medesimo articolo.
Nell’articolata declaratoria delle tipologie di giudizi, i cui termini sono assoggettati all’anzidetto dimidiamento, rientrano anche, ai sensi del comma 1, lett. a), “i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, salvo quanto previsto dagli articoli 120 e seguenti”.
La presente controversia concerne, invero, questione relativa alla fase esecutiva del rapporto, vertendo essa sul denegato consenso, da parte dell’Amministrazione, alla revisione del compenso spettante all’appaltatore (odierna appellante Leucopetra S.p.A.).
Escluso, pertanto, che vengano in considerazione questioni riconducibili all’“affidamento” del servizio, non può il Collegio che escludere la fondatezza dell’eccezione all’esame, atteso che l’elencazione delle controversie di cui al precitato art. 119 è notoriamente, di stretta interpretazione; e, pertanto, insuscettibile di trovare applicazione a settori e/o materie in essa non esplicitamente comprese.
Sotto un profilo di decifrazione ermeneutica della transizione del regime speciale di dimezzamento di taluni termini processuali, del resto, non può omettere di osservarsi che:
- se il previgente testo dell’art. 23-bis della legge T.A.R. enunciava, in diverse lettere le procedure di “aggiudicazione, affidamento ed esecuzione” degli incarichi di progettazione, dei lavori pubblici e di pubblica utilità, e delle pubbliche forniture e servizi, includendo espressamente l’impugnazione di bandi e esclusioni e le connesse espropriazioni immobiliari;
- l’art. 245 del Codice appalti di cui D.Lgs. n. 163/2006, come novellato dal D.Lgs. n. 53/2010, che aveva altresì abrogato l’art. 23-bis, lett. a), b) e c), della legge T.A.R., impiegava una formula diversamente sintetica, rispetto a quella, ora, riscontrabile dalla lettura degli artt. 119 e 120 c.p.a., in quanto si riferiva a “gli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a lavori, servizi o forniture, di cui all’articolo 244”.
Ora, l’art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a. parla di “provvedimenti” (e non di atti) delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture pubblici, senza ulteriori specificazioni.
A sua volta, l’art. 120, comma 1, c.p.a., parla di “atti” e non di “provvedimenti” delle procedure di affidamento, includendovi espressamente le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a lavori, servizi o forniture”, senza più richiamare la norma sulla giurisdizione.
Tale omissione (rectius: mancata riproduzione della previgente declaratoria di legge) ha, con ogni evidenza, fugato dubbi esegetici sollevati dalla norma precedente, la quale poteva indurre a ritenere che alla cognizione del giudice amministrativo fosse rimessa (anche) la cognizione del contenzioso relativo alla fase di esecuzione degli appalti, tradizionalmente spettante al giudice ordinario; anche se l’esegesi dello stesso art. 23-bis, nell’escludere che a tale norma potesse accedere attribuzione di giurisdizione al giudice amministrativo, si era, piuttosto, orientata sulla mera configurazione di un rito speciale esteso, a condizione che sussistesse giurisdizione dello stesso giudice, alla fase di affidamento, come alla fase di esecuzione dell’appalto.
La scomparsa di tale previsione, se ha con dirimente chiarezza reso esplicito che l’art. 119 è solo norma sul rito, e non anche norma attributiva di giurisdizione, ha altresì indotto la conseguenza che, anche nei limitati casi in cui il giudice amministrativo abbia giurisdizione sulla fase di esecuzione degli appalti, il rito dovrà essere quello ordinario, e non quello abbreviato, riservato solo alla fase della procedura di affidamento.
Nell’esclusa operatività del rito speciale – e, con esso, del termine dimezzato per la proposizione dell’appello – appieno rientra la giurisdizione esclusiva riservata dall’art. 133 c.p.a. al giudice amministrativo sul contenzioso in materia di revisione dei prezzi dei pubblici appalti.
Deve, conseguentemente, disattendersi l’eccezione all’esame; e, per l’effetto, darsi atto della piena ricevibilità dell’appello proposto da Leucopetra.
2. La disamina del mezzo di tutela, peraltro, impone una previa ricognizione dei contenuti dell’appellata sentenza del T.A.R. Napoli.
Il giudice di prime cure ha, innanzi tutto, perimetrato le doglianze innanzi ad esso dedotte dalla ricorrente Leucopetra avverso la gravata determinazione comunale, così individuate:
“- sarebbero erronei i presupposti posti a sostegno dell’atto di diniego impugnato, in quanto la ricorrente non avrebbe tacitamente rinunciato ai propri diritti;
- … non sussisterebbe nella specie alcuna rinegoziazione o rinnovo contrattuale, ma la proroga del servizio deriverebbe da atti di imperio del Commissariato di Governo;
- la pretesa troverebbe fondamento nell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 che avrebbe sostituito l’art. 6 della legge n. 537 del 1993, contemplando l’operatività della revisione anche indipendentemente da un’espressa previsione contrattuale, in forza di norma imperativa e cogente per le parti che inserisce automaticamente la clausola ex art. 1339 c.c.;
- il servizio svolto non solo non sarebbe remunerativo, ma sarebbe in perdita;
- la determinazione impugnata sarebbe elusiva della sentenza n. 138/2010, in quanto farebbe riferimento unicamente all’adeguamento del prezzo agli indici ISTAT e non si pronuncerebbe sulle altre questioni sollevate dalla ricorrente;
- irrilevanti, pretestuose, indimostrate ed irrituali sarebbero le contestazioni relative alla ravvisata inosservanza delle modalità pattuite di svolgimento del servizio;
- il rifiuto di adempiere sarebbe giustificato solo in ipotesi di inadempimento grave dell’altro contraente in base all’art. 1455 c.c., laddove il servizio in questione veniva effettuato in una situazione di oggettiva urgenza e straordinarietà;
- il servizio deriverebbe da affidamenti unilaterali che imponevano lo svolgimento del servizio senza alcuna garanzia di continuità e di ulteriori proroghe, ad un costo superiore a quello preventivato nel 2001 nell’ambito di un progetto temporaneo limitato a tre mesi;
- il Comune si sarebbe ingiustamente arricchito in danno della società ricorrente per cui sussisterebbe il diritto al ristoro previsto dall’art. 2041 c.c., godendo delle prestazioni rese senza riserve”.
A fronte del riportato complesso di censure, il T.A.R. ha, innanzi tutto, ritenuto che “l’affidamento del servizio in questione scaturisce da determinazioni disposte in via autoritativa, in forza di una situazione emergenziale, senza gara, di volta in volta rinnovate e prorogate, prolungandosi dagli originari tre mesi fino a sette anni, con l’adesione o comunque l’acquiescenza dell’impresa interessata”; conseguentemente, assumendo che “in difetto di un rapporto negoziale, non risulta pertinente il richiamo all’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, concernente i contratti ad esecuzione periodica o continuativa”.
La natura provvedimentale ravvisata negli atti di ripetuta proroga del servizio ha condotto il Tribunale ha ritenere che “i provvedimenti adottati in merito non risultano tempestivamente impugnati e non formano oggetto del presente giudizio, sia pure nella parte relativa alla determinazione dell’ammontare della remunerazione prevista per lo svolgimento del servizi, tant’è che non risulta intimata nel presente giudizio l’autorità commissariale”.
Ed ha ulteriormente sostenuto che:
- se “è … plausibile che il pregiudizio lamentato dalla ricorrente sia sostanzialmente bilanciato dall’oggettivo vantaggio di aver svolto un servizio pluriennale, affidato senza procedure concorsuali, a condizioni economiche almeno originariamente fissate dalla stessa società interessata, in maniera peraltro non del tutto corrispondente alle modalità prescritte, secondo l’apprezzamento del Comune”;
- “tali presupposti valgono anche ad escludere la fondatezza dell'azione di indebito arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione, che richiede non solo il fatto materiale dell'esecuzione di una prestazione vantaggiosa per l'ente pubblico, ma anche il riconoscimento di tale utilità compiuto dagli organi istituzionalmente competenti a manifestare la volontà dell'ente stesso”.
3. Rileva, ulteriormente, il Collegio l’esigenza di procedere, ad integrazione di quanto esposto in narrativa, ad una sintetica ricostruzione dei fatti di causa.
Innanzi tutto, il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani è stato svolto da Leucopetra dal 10 aprile 2001 al 14 maggio 2008.
L’incarico è stato alla stessa affidato, a fronte della situazione emergenziale dei rifiuti in Campania, senza gara, ma con provvedimento commissariale per un periodo inizialmente commisurato a tre mesi; ed i profili tecnico ed economico della prestazione venivano disciplinati da un “progetto tecnico economico” predisposto dalla stessa affidataria il 22 maggio 2001 (poi integrato il 28 giugno 2001).
Alla scadenza del trimestre di originario affidamento, interveniva una prima proroga (nove mesi); in tale circostanza fissandosi, sempre con provvedimento del Commissario di Governo, anche la remunerazione della prestazione (canone mensile di lire 147.910.000, pari ad € 76.389,14).
Il rapporto veniva poi, sempre a mezzo di provvedimenti amministrativi (dapprima, commissariali; quindi, comunali), prorogato, fino a pervenire alla data, precedentemente indicata, nella quale è cessato lo svolgimento, da parte dell’odierna appellante, del servizio di che trattasi.
4. Quanto sopra osservato, se è vero che, in materia revisionale, la cognizione del giudice amministrativo ha carattere esclusivo (ai sensi del rammentato art. 133 c.p.a.), va nondimeno rammentato come l’istituto della revisione prezzi si atteggi secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, al quale è sotteso l'esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale nei confronti del privato contraente.
Di conseguenza, la posizione di quest’ultimo si articola nella titolarità:
- di un interesse legittimo, con riferimento all'an della pretesa;
- ed, eventualmente, in una situazione di diritto soggettivo solo con riguardo a questioni involgenti l'entità della pretesa stessa, una volta risolto in senso positivo il riconoscimento della spettanza del compenso revisionale (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4207; Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465 e 3 agosto 2012, n. 4444; Corte di Cassazione, SS.UU., 30 ottobre 2014, n. 23067; 15 marzo 2011, n. 6016; 12 gennaio 2011, n. 511; 12 luglio 2010, n. 16285).
Il descritto schema procedimentale, comporta altresì che il privato contraente, in relazione all’esercizio di tale potere, potrà avvalersi unicamente dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell'interesse legittimo, e quindi con strumenti di carattere impugnatorio esperibili nei tradizionali termini decadenziali (Cons. Stato, Sez. III, 18 dicembre 2015, n. 5779 e 9 gennaio 2017, n. 25).
Come osservato da questo Consiglio (Sez. III, 22 giugno 2018, n. 3287), “la domanda giudiziale avente ad oggetto la revisione dei prezzi deve quindi essere definita, sul piano processuale, secondo un'indagine di tipo bifasico, volta dapprima all'accertamento dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale - aspetto per il quale è consentito il giudizio impugnatorio riferito all'atto autoritativo della P.A. e al suo surrogato costituito dal silenzio rifiuto; e solo in un momento successivo alla verifica del quantum debeatur, secondo meccanismi propri della tutela delle posizioni di diritto soggettivo”.
Qualunque provvedimento espresso o tacito che, collocandosi nella prima fase, espressamente neghi la revisione o non dia seguito all’istanza dell’appaltatore, involge, quindi, posizioni di interesse legittimo; e, come tale, va impugnato nei termini di rito, indipendentemente dalle ragioni sulla cui base la posizione di diniego venga assunta.
Né la consistenza di interesse legittimo della situazione soggettiva tutelata muta, a fronte della previsione di un’ipotesi di giurisdizione esclusiva per le questioni relative “alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo”, nonché “ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento prezzi ai sensi dell’art. 133, commi 3 e 4” del D.Lgs. n. 163 del 2006.
La cognizione esclusiva del giudice amministrativo presuppone, infatti (e necessariamente), il concorso, per determinate materie, di situazioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo agli effetti della tutela giurisdizionale, che il Legislatore risolve con l’individuazione del giudice competente, senza che ciò incida sui mezzi di tutela, invece scriminabili a seconda della natura della posizione soggettiva che si assume lesa.
D’altra parte, “la nullità delle clausole contrattuali che escludono la revisione del canone – se può originare l’eterointegrazione della disciplina di gara con le norme imperative violate, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 cc. – non manifesta, invece, alcun riflesso sulla caratterizzazione in termini provvedimentali dell’attività che l’Amministrazione compulsata da una istanza di revisione è chiamata a svolgere nella fase di verifica dei relativi presupposti; né può confondersi il piano della invalidità delle determinazioni in tal senso assunte, con quello della insussistenza del potere ad assumerle. In altri termini, l’amministrazione è pienamente investita, in astratto e in concreto, del potere di verificare i presupposti della revisione, sicché gli atti dalla stessa adottati, in disparte ogni loro eventuale illegittimità, non possono ritenersi offesi da alcun limite di nullità” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3287/2018 cit.).
Quindi, la qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica dei presupposti per il riconoscimento della revisione prezzi comporta – in ipotesi di condotta inerte dell’amministrazione compulsata – la necessità di avvalersi dei rimedi previsti a tutela dell'interesse legittimo nella forma del silenzio - rifiuto conseguente ad istanza formale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465).
Tale conclusione si atteggia quale logica, quanto inevitabile, conseguenza della considerazione che il diritto soggettivo alla revisione dei prezzi non discende direttamente dalla legge, ma deve trovare riconoscimento in un procedimento amministrativo, come del resto palesato dalla circostanza che l’art. 115 del Codice dei contratti rinvia ad un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi e, pertanto, ad un’attività procedimentalizzata, avviabile ad impulso della parte.
5. La caratterizzazione in termini di interesse legittimo della pretesa volta al riconoscimento (della spettanza) del compenso revisionale – diversamente dalla sostanza di diritto soggettivo che connota la posizione di chi intenda contestare il quantum del compenso stesso – si riflette sulle modalità di tutela giurisdizionale delle rispettive situazioni giuridiche soggettive.
Quanto alla fattispecie in esame, l’odierna appellante si è vista – come dalla medesima ammesso nell’atto introduttivo del giudizio – ripetutamente rinnovare il già affidato servizio di raccolta e smaltimento rifiuti, per effetto di atti amministrativi non sussumibili nel novero dell’attività negoziale delle parti.
Attività che, a ben vedere, nella vicenda de qua è singolarmente caratterizzata, ove si consideri:
- che la scelta del privato non è stata intermediata dallo svolgimento di pubblica procedura selettiva, ma ha formato oggetto di diretto affidamento da parte dell’Autorità commissariale;
- che, quantunque il compenso sia stato originariamente individuato con il concorso di Leucopetra (che ha redatto l’anzidetto “Progetto tecnico economico”), successivamente il corrispettivo ha trovato unilaterale determinazione nell’attività provvedimentale dell’Amministrazione;
- e che, da ultimo, lo stesso prolungamento temporale del servizio ha formato oggetto di autoritativa scelta, nell’ambito della legislazione che ha assistito il quadro emergenziale che ha caratterizzato, in quegli anni, la gestione dei rifiuti in Campania.
6. Da quanto sopra esposto, alcune conseguenze.
5.1 In primo luogo, la sentenza appellata merita senz’altro conferma, nella parte in cui ha ritenuto che:
- se l’affidamento del servizio in questione ha tratto fondamento “da determinazioni disposte in via autoritativa, in forza di una situazione emergenziale, senza gara, di volta in volta rinnovate e prorogate, prolungandosi dagli originari tre mesi fino a sette anni, con l’adesione o comunque l’acquiescenza dell’impresa interessata”;
- “i provvedimenti adottati in merito non risultano tempestivamente impugnati e non formano oggetto del presente giudizio, sia pure nella parte relativa alla determinazione dell’ammontare della remunerazione prevista per lo svolgimento del servizi, tant’è che non risulta intimata nel presente giudizio l’autorità commissariale”.
La stessa parte appellante (pag. 8 dell’atto introduttivo) ammette di aver chiesto “fin dal 2004 … al Comune di Poggiomarino numerose volte una revisione del prezzo del servizio e ciò verbalmente nei numerosi incontri tenuti con i vertici dell’Amministrazione per tentare di trovare una soluzione bonaria all’intera vicenda che mediante lettera scritta ricevuta dal Comune con protocollo n. 5998 del 18/02/2004”.
Lungi dal sottoporre tempestivamente a sindacato giurisdizionale il contegno omissivo in proposito osservato dal Comune, la parte ulteriormente rappresenta di aver inoltrato “al Comune di Poggiomarino un atto di diffida e messa in mora ricevuto in data 15/01/2009 con il quale ha espressamente chiesto la revisione del canone di affidamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani convenuto con conseguente pagamento delle maggiorazioni richieste”.
Viene, per l’effetto, in considerazione una ritardata sollecitazione della tutela giurisdizionale (circa cinque anni dalla prima richiesta); ulteriormente dovendosi dare atto come la stessa parte, medio tempore, non abbia contestato la legittimità delle determinazioni, via via succedutesi, con le quali alla prorogata durata del servizio non ha fatto seguito un adeguamento del corrispettivo, per come originariamente stabilito.
A ciò, con ogni evidenza consegue la non reclamabilità della mancata attivazione del meccanismo revisionale, con riferimento ai singoli atti di rinnovo della durata del servizio, con i quali l’entità del compenso è stata mantenuta inalterata: in proposito, dovendosi ribadire come siffatte determinazioni, avrebbero dovuto – in parte qua – formare oggetto di tempestiva devoluzione al sindacato giurisdizionale (mentre tale percorso è stato dalla stessa Leucopetra intrapreso soltanto nel 2009, con la proposizione del ricorso – avverso il silenzio formatosi in ordine alla richiesta del 15 gennaio 2009 – N.R.G. 5994 del 2009, a fronte del quale il T.A.R. Napoli ha reso la sentenza n. 138 del 15 gennaio 2010).
5.2 A quanto sopra accede l’inammissibilità del ricorso di prime cure, atteso che la richiesta di revisione del compenso per lo svolgimento del servizio è stata dalla parte ricorrente formalizzata soltanto in esito alla cessazione dello stesso; e non già attraverso la tempestiva impugnazione delle rinnovazioni della durata del servizio, nel corso del tempo succedutesi, recanti invarianza del corrispettivo spettante a Leucopetra (e, per l’effetto, aventi portata pregiudizievole per la posizione giuridica dalla parte dedotta in giudizio).
5.3 Quanto, poi, all’impugnazione del diniego espresso in data 18 marzo 2010 – proposta dinanzi al T.A.R. Campania e da quest’ultimo respinta con la sentenza oggetto dell’appello ora all’esame – va confermata la decisione assunta dal giudice di prime cure, quanto all’affermata inoperatività, alla vicenda de qua, delle previsioni dettate dall’art. 115 del D.Lgs. n. 163 del 2006.
Ben è consapevole il Collegio dell’orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio in ordine alla configurazione dei presupposti per l’applicazione dell’istituto della revisione, individuabili nella sussistenza di una mera proroga del contratto: ciò in quanto le manifestazioni negoziali di procedere al rinnovo del contratto, anche se di contenuto analogo alle condizioni precedenti, danno luogo a nuovi e distinti rapporti giuridici, in discontinuità con l’originario contratto, che non può essere assunto a parametro di raffronto per la maggiorazione dei corrispettivi a mezzo del procedimento di revisione (Cons. Stato, Sez. V, 8 agosto 2018 n. 4869; Sez. III, 9 maggio 2012 n. 2682).
Per qualificare la tipologia contrattuale (rinnovo, piuttosto che proroga) che viene in rilievo nella materia de qua non è rilevante il nomen juris formalmente attribuito dalle parti, bensì l’esistenza in concreto:
- per il rinnovo, di una nuova negoziazione;
- e per la proroga, del solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario;
con la precisazione, peraltro, che la nuova negoziazione può anche concludersi con la conferma delle precedenti condizioni (Cons. Stato: Sez. V, 31 dicembre 2003, n. 9302; Sez. VI, 22 marzo 2002, n. 1767).
Proprio l’assenza di rinnovate negoziazioni inter partes circa il differimento dello svolgimento del servizio – con prorogata individuazione in Leucopetra del soggetto affidatario – induce ad escludere che le vicende che hanno portato ad uno svolgimento, da parte di quest’ultima, di un’attività settennale (a fronte dell’iniziale durata fissata in soli tre mesi) siano inquadrabili nella fattispecie della mera “proroga”.
Si è, piuttosto, assistito ad una vicenda connotata dalla presenza di atti autoritativi – fuori, quindi, da uno schema negoziale, integrato dalla presenza di una concorrente volontà delle parti – che hanno determinato, nel succedersi delle ripetute determinazioni recanti prolungamento della durata del servizio, effetto “novativo” sul rapporto, parimenti originato da una unilaterale volontà pubblica, in attuazione degli speciali poteri conferiti dalla presenza della nota situazione emergenziale che nel periodo all’esame ha caratterizzato, in Campania, le attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Ciò consente di escludere che la vicenda possa essere utilmente sussunta nel paradigma rinnovatorio, con riveniente esclusione dell’operatività della previsione dettata dall’art. 115 del D.Lgs. 163 del 2006.
6. Esclusa, alla stregua di quanto come sopra osservato, la fondatezza delle doglianze articolate avverso la denegata applicazione dell’istituto revisionale, non si rivela condivisibile neppure la richiesta di condanna dell’Amministrazione appellata alla corresponsione di una indennità, a titolo di arricchimento senza causa.
Tenuto conto del principio di sussidiarietà dell'azione di arricchimento senza causa, ai sensi degli artt. 2041 e 2042 c.c., essa è proponibile – secondo la giurisprudenza a cui questo Consiglio ritiene conformarsi – solo qualora chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, non possa esercitare un'altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito (Cass. civ. Sez. II, 30 agosto 2017, n. 20528).
In tal senso, tale azione va dichiarata inammissibile, sulla base del principio, enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui l’azione di ingiustificato arricchimento, stante il suo carattere sussidiario, deve ritenersi esclusa in ogni caso in cui il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto, prescindendo quindi dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subìto (Cass., SS.UU., 4 novembre 1996, n. 9531; da ultimo, Cass. civ, sez. I, 7 marzo 2014, n. 5396).
Inoltre, va osservato che l’azione di arricchimento senza giusta causa contro la Pubblica Amministrazione è proponibile, secondo la giurisprudenza, soltanto quando sia intervenuto il riconoscimento da parte dell’Amministrazione dell’utilità dell’opera o della prestazione da altri eseguiti a proprie spese (Cass. civ., 93/11107; 87/1753; 86/6981; 86/3268): riconoscimento che, quanto alla vicenda all’esame, non risulta intervenuto.
7. Conclusivamente ribadita l’infondatezza delle doglianze articolate con il presente mezzo di tutela, dispone il Collegio la reiezione dell’appello.
Le spese di lite, in ragione ella peculiarità della esaminata vicenda contenziosa, possono formare oggetto di compensazione fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Con il pronunciamento in commento, la II sezione del Consiglio di Stato ha avuto modo di statuire in ordine al c.d. istituto del compenso revisionale, compendiando gli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia.
Al fine di compiutamente illustrare le questioni portate al vaglio del Supremo Consesso amministrativo giova descrivere in via preliminare il meccanismo di operatività del procedimento di revisione dei prezzi nell’ambito delle pubbliche commesse.
Com’è noto, l’appaltatore può ottenere un aggiornamento del compenso contrattuale qualora si verifichino variazioni nel tempo dei costi dei fattori della produzione tali da determinare una sperequazione tra remunerazione originaria e oneri effettivamente sostenuti.
Siffatta possibilità è limitata ai casi di mera proroga del contratto, integrata in ipotesi di differimento del termine finale del rapporto con invarianza della restante disciplina.
La diversa fattispecie del rinnovo contrattuale, intesa come rinegoziazione delle condizioni pattizie con effetto novativo, esula dal campo applicativo dell’istituto in rassegna (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2018, n. 4869; idem sez. III, 9 maggio 2012, n. 2682).
Per ciò che in questa sede più rileva, l’attribuzione di una maggiorazione sul prezzo d’appalto trova riconoscimento in un’attività procedimentalizzata della p.a., attivabile a istanza di parte e articolata in due distinti segmenti procedurali (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 giugno 2018, n. 3827).
Specificamente, l’amministrazione è chiamata a compiere una preventiva verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’adeguamento monetario, mediante esercizio di un potere autoritativo di carattere tecnico-discrezionale.
La stazione appaltante deve operare un preciso approfondimento istruttorio, componendo ragionevolmente l’interesse privato alla maggiorazione del corrispettivo e l’interesse pubblico al risparmio di spesa e alla regolare esecuzione del contratto.
In seguito, qualora l’anzidetto sub-procedimento venga definito in senso positivo, la stazione appaltante deve quantificare l’entità del compenso revisionale spettante.
Tale sequenza non ha mero valore descrittivo: a ben vedere, lo stato di evoluzione dell’iter sovra delineato incide sulla qualificazione della posizione giuridica soggettiva di cui è titolare il privato contraente.
La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l’appaltatore vanti una pretesa con consistenza d’interesse legittimo rispetto alla fase di riscontro delle condizioni per dar luogo alla revisione dei prezzi, stante la predominante facoltà discrezionale riconosciuta all’Amministrazione e la caratterizzazione in termini provvedimentali della relativa attività.
Di converso, la posizione del privato si articola nella titolarità di un diritto soggettivo rispetto alla fase di accertamento del quantum debeatur (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4207; idem sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465; 3 agosto 2012, n. 4444; Corte di Cassazione, SS.UU., 30 ottobre 2014, n. 23067; idem 15 marzo 2011, n. 6016; 12 gennaio 2011, n. 511; 12 luglio 2010, n. 16285).
Tale distinzione riverbera effetti in sede processuale atteso che le forme tipiche di tutela sono scriminabili in relazione alla posizione soggettiva che si assume lesa.
Il provvedimento di diniego dell’adeguamento del compenso involge posizioni d’interesse legittimo e, come tale, deve essere contestato nel quadro dei rimedi e dei termini propri del giudizio impugnatorio (cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 gennaio 2017; idem 18 dicembre 2015, n. 5779)
Ai rilievi che precedono accede la necessità di attivare il rimedio del silenzio-rifiuto conseguente a istanza formale, in ipotesi d’inerzia dell’amministrazione rispetto alla richiesta di riconoscimento di un importo contrattuale maggiorato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465).
Ebbene, applicando le sovraesposte coordinate ermeneutiche al caso di specie, i Giudici di Palazzo Spada hanno confermato l’inammissibilità del ricorso di prime cure per ritardata sollecitazione della tutela giurisdizionale.
Nella procedura evidenziale portata al vaglio del Collegio, l’appaltatore ha domandato l’adeguamento del corrispettivo contrattuale, assumendo di aver sopportato maggiori oneri rispetto a quelli inizialmente stabiliti in ragione del reiterato differimento del rapporto in essere mediante atti a connotazione autoritativa.
I provvedimenti di proroga, tuttavia, non hanno formato oggetto di tempestiva impugnazione e parimenti non è stato sottoposto a sindacato il contegno omissivo serbato dall’Amministrazione sulla richiesta di aggiornamento del compenso medio tempore avanzata.
Ne consegue la tardività del gravame, data la natura d’interesse legittimo della posizione giuridica dedotta, relativa alla mancata attivazione del meccanismo revisionale.
A ogni buon conto, nel merito, il Consiglio di Stato ha escluso l’applicabilità dell’istituto della revisione dei prezzi sulla scorta del rilievo secondo cui il prolungamento della durata del servizio è stato determinato da provvedimenti amministrativi e non da rinnovate negoziazioni fra le parti.