Consiglio di Stato, Sez. V, 3 novembre 2020, n. 6787

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, si pronuncia sulla natura della legittimazione a ricorrere dell’Anac, legittimazione che non può definirsi straordinaria in quanto sorretta dalla titolarità di un interesse tutelato dall’ordinamento correlato all’esercizio delle funzioni che le sono attribuite.

1. FATTI DI CAUSA E ITER PROCESSUALE

Con la sentenza oggetto dell’odierno esame, la Sezione Quinta del Consiglio di Stato è stata chiamata a decidere sull’appello dell’associazione Asmel al fine di vedere riformata la pronuncia di primo grado.

In particolare, l’appellante ha assunto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo dell’Anac. Con l’eccezione Asmel non ha lamentato solo il mancato tempestivo deposito in giudizio della deliberazione del Consiglio dell’Autorità con la quale l’Anac aveva deciso di esercitare il potere di ricorso ai sensi dell’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, d. lgs. 50/2016, ma anche l’inadeguata motivazione circa le ragioni che hanno giustificato l’esercizio della legittimazione ex lege all’impugnazione degli atti di gara. Secondo parte ricorrente, il Consiglio di Stato avrebbe dovuto valutare la sussistenza in capo all’Autorità preposta dell’interesse pubblico concreto e attuale per poter vantare una legittimazione processuale.

La vicenda contenziosa, sottostante al quesito rivolto al Consiglio di Stato, trae origine dal ricorso ex art. 211, comma 1-bis e comma 1-ter, d.lgs. n. 50/2016, proposto dall’Anac al fine di ottenere l’annullamento del bando di gara pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 9 del 7 agosto 2019 e sulla Gazzetta dell’Unione europea n. S-151 del 7 agosto 2019 avente ad oggetto procedura aperta, con criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la fornitura di apparecchi per illuminazione pubblica equipaggiati con sorgente led, sistemi di sostegno degli apparecchi a led, dispositivi per il telecontrollo.

L’Anac riscontrava gravi violazioni alle previsioni del Codice dei contratti pubblici in relazione alla procedura indicata. Tali violazioni venivano opportunamente segnalate alla Asmel s.c.a.r.l. con parere motivato con il quale veniva assegnato il termine di cinque giorni dalla ricezione per conformarvisi.

Rimasto senza riscontro l’invito, l’Autorità adiva il Tribunale per sentire annullare gli ritenuti illegittimi.

Il T.A.R. Lombardia, con sentenza n. 240/2020, accoglieva il ricorso dell’Anac e, per l’effetto, dichiarava nulli gli atti impugnati e compensava le spese tra le parti costituite. 

In particolare, i giudici di prime cure ribadivano la completezza della documentazione prodotta dall’Autorità, in adempimento dell’incombente istruttorio assegnato alla stessa dalla sezione del Tribunale e la conseguente ricorrenza ex art. 211, comma 1-bis e 1-ter, d.lgs. 50/2016. Nella pronuncia si evidenziava che le suddette previsioni normative conferissero ad Anac una legittimazione straordinaria ed eccezionale in ragione della funzione che le è assegnata dalla legge.

Non condividendo l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa di Asmel Associazione, il T.A.R. riteneva che la censura dell’Anac andava ricondotta nell’alveo di cui all’art. 211, comma 1-bis, d. lgs. n. 50/2016  e di cui all’art. 3, comma 2, lett. e) del Regolamento Anac. Tale disposizione consentiva all’Autorità di esercitare il potere di impugnazione conferito dalla previsione primaria nel caso di contratti di rilevante impatto, intesi, tra gli altri, quelli aventi ad oggetto lavori di importo pari o superiore a 15 milioni di euro ovvero servizi e/o forniture di importo pari o superiore a 25 milioni di euro.

Nel caso di specie, considerato il valore dell’appalto pari a 831.320.954,55 euro pareva  evidente al Tribunale Amministrativo la rilevanza delle gara e la conseguente legittimazione dell’Autorità ad investire il Giudice amministrativo della verifica di legittimità dell’operato dell’associazione.  

Il Consiglio di Stato, pronunciatosi definitivamente sulla controversia, ha respinto il ricorso dell’associazione Asmel.

In particolare, in relazione all’eccezione sollevata dall’appellante sulla legittimazione processuale dell’Anac, il Consiglio di Stato ha riconosciuto, come già ritenuto dal T.A.R. Lombardia, la correttezza dell’operato dell’Autorità in virtù di quanto previsto legislativamente e di quanto contenuto del Regolamento dell’Anac stessa.

Invero, secondo il Giudice amministrativo, considerata la rilevanza dell’impatto economico della procedura di gara in esame e la gravità delle violazioni rinvenute, sarebbe riconoscibile la sussistenza dell’interesse ad agire dell’Autorità per la protezione dei beni giuridici affidatele.

2. OGGETTO DELLA SENTENZA - INQUADRAMENTO NORMATIVO E GIURISPRUDENZIALE

Prima di entrare nel merito delle considerazioni di diritto emergenti dalla giurisprudenza del caso concreto, è opportuno soffermarsi sul sostrato normativo dell’istituto di cui si discute e sulle sue più incisive interpretazioni in sede giurisprudenziale.

Orbene, è necessario esaminare preliminarmente alcuni profili, afferenti pur sempre al tema in argomento, delle condizioni dell’azione riguardanti la legittimazione ad agire e l’interesse ad agire, occorrendo la necessaria compresenza di entrambe le suddette condizioni per ritenere superato il vaglio pregiudiziale dell’ammissibilità della domanda azionata in giudizio.

La giurisprudenza amministrativa, dopo l’affermazione ormai pressoché uniforme della dottrina sulla sostanzialità dell’interesse legittimo, ha chiarito che l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta – sulla falsariga del processo civile – a tre condizioni fondamentali che, valutate in astratto con riferimento alla causa petendi della domanda e non secundum eventum litis, devono sussistere al momento della proposizione dell’azione e permanere fino al momento della decisione; in particolare, tali condizioni sono:

I) il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione (cioè la posizione giuridica configurabile in astratto da una norma come di interesse legittimo, ovvero, come altri dice, la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo);

II) l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (o interesse al ricorso, nel linguaggio corrente del processo amministrativo);

III) la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo)[i].  

Da tali premesse deriva, quale ineludibile corollario, che, con particolare riferimento alle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti delle procedure a evidenza pubblica, come nel caso in oggetto, il tema della legittimazione al ricorso è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata e meritevole di tutela, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione; viceversa, chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non può considerarsi legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita.

Negli ultimi anni, poi, il legislatore ha ampliato la legittimazione ad agire in giudizio anche ad enti esponenziali portatori di interessi diffusi, normalmente adespoti e magmatici, là dove l’interesse azionato possa essere qualificato come “interesse collettivo”, risolvendosi nella progettazione unitaria e contestuale di interessi diffusi e indistinti. A tal proposito, nell’ambito prettamente relativo alle procedure ad evidenza pubblica, anche per gli enti esponenziali è stata ritenuta condizione ineludibile, perché operi il riconoscimento della legittimazione ad agire, l’emersione di un interesse che rifletta una dimensione unitaria immediatamente ascrivibile alla categoria in quanto tale e che si appunti sul bene “intermedio” di una definizione delle regole di gara coerente con l’interesse del gruppo al rispetto e alla valorizzazione della professionalità acquisita e della salvaguardia della esclusività della categoria sul mercato.

Eccezione alla regola della legittimazione e dell’interesse ad agire è costituita dalla legittimazione processuale delle Authorities portatrici di interessi che possono definirsi “istituzionalmente protetti” e che, per la particolare rilevanza della tutela, hanno la facoltà di impugnazione preventiva degli atti di gara.

E’ questo il thema decidendum su cui si è soffermata la sentenza in commento.

Il problema della legittimazione processuale dell’Anac e delle altre Autorità rientra tra le fattispecie di legittimazione di fonte legislativa. Si tratta di ipotesi di legittimazione oggettiva ove il ricorso investe determinati soggetti ad agire per la tutela di interessi pubblici.

L’accesso alla giustizia amministrativa delle autorità amministrative indipendenti si fonda, oggi, su svariate previsioni di legge che legittimano al ricorso, tra le altre,  l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM)[ii], l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART)[iii] e l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC)[iv].

La prima è legittimata ad agire in giudizio al fine di impugnare gli atti adottati dalle pubbliche amministrazioni in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato. La seconda può ricorrere al giudice amministrativo per richiedere l’annullamento di atti adottati dai Comuni che siano espressione di adeguamento dei livelli di prestazione del servizio taxi. La terza, infine, può accedere alla giustizia amministrativa per impugnare taluni atti, che si inseriscono nella procedura ad evidenza pubblica, adottati dalle stazioni appaltanti.

In ciascuno di questi casi ci troviamo di fronte a prerogative di iniziativa processuale, la cui genesi è connessa alla volontà di proteggere interessi pubblici di cui le Autorità sono già istituzionalmente guardiane, che sono di matrice euro-unitaria e che sono ritenuti tanto rilevanti da meritare una maggiore protezione da parte dell’ordinamento[v]. Il loro fondamento costituzionale va, dunque, ricercato in questi interessi, che sono tutelati direttamente o tramite norma di apertura al diritto europeo dalla nostra Carta fondamentale.

La questione, in ogni caso, non può prescindere dalla già sottolineata circostanza che le nuove disposizioni costituiscono un importantissimo segnale di attenzione verso la garanzia di un valore che trae dal Diritto dell’Unione europea una primaria rilevanza [vi], in nome del quale il legislatore italiano deroga alle più tradizionali regole del processo amministrativo, improntato alla tutela delle posizioni soggettive individuali, in favore della tutela di un interesse, pur sempre particolare, ma facente capo ad un soggetto pubblico e soddisfatto attraverso il mero rispetto delle regole che, a livello euro-unitario e nazionale, sono preposte alla sua garanzia.

Autorevole dottrina ha riconosciuto una sorta di estensione dei principi espressi nel regolamento europeo n. 1 del 2003, art. 15, comma 3 là dove le Autorità indipendenti vengono considerate come amici curiae[vii].

 

Con riguardo all’AGCM, Autorità preposta alla tutela della concorrenza, la legittimazione processuale ha trovato origine dopo il fallimento di quei poteri riconducibili alla “competition advocacy” e al ruolo “pro-active” rivestito dall’Autorità. La contestazione da parte dell’AGCM di profili di anti-concorrenzialità non erano neppure considerati vincolati, ma rivestivano solo carattere di “moral suasion”.

Sicché, a fronte di poteri rivelatisi nel tempo incapaci di condurre all’effettiva promozione dell’assetto concorrenziale dei mercati, il legislatore ha deciso di rafforzare le attribuzioni dell’Autorità introducendo l’attuale art. 21-bis L. 241/1990 ove, a fronte di un atto che viola le norme a tutela della concorrenza e del mercato, prima instaura un dialogo preliminare con l’amministrazione che l’ha adottato, poi, a fronte di una crisi di cooperazione, può adire il giudice amministrativo, delineando una peculiare struttura che ha indotto la dottrina a ricondurre anche tale disposizione nel l’ambito della competition advocacy[viii].

Per la medesima finalità di rafforzamento dei poteri è stato introdotto l’art. 36, comma 2, lett. m) e n) del decreto-legge 24 gennaio 2012, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 che ha riconosciuto la legittimazione ad agire all’Autorità di regolazione dei trasporti (ART).

Quanto previsto per l’AGCM o l’ART sono solo due degli esempi di eccezione alla legittimazione processuale prevista dal legislatore.

Si è assistito negli ultimi anni ad un cospicuo incremento di disposizioni normative in tal senso: si rammentano, in proposito, gli artt. 14 comma 7, 62, 110 comma 1, 121comma 6 e 157 comma 2 del d. Lgs. n. 58 del 1998 con cui la Banca d’Italia e la Consob sono state legittimate ad impugnare le deliberazioni delle società vigilate adottate in violazione di alcune disposizioni sul diritto di voto in materia di intermediazione finanziaria; l’ art. 52, comma 4 del d. lgs. n. 446 del 1997 che ha riconosciuto al Ministero delle Finanze il potere di impugnare per qualsiasi vizio di legittimità i regolamenti comunali in materia di entrate tributarie; l’art. 6 comma 10 della l. n. 168 del 1989, che ha attribuito al Ministro dell’Università e della Ricerca il potere di diretta impugnazione degli Statuti dei singoli Atenei che non si adeguino ai rilievi di legittimità dallo stesso formulati; l’art. 70 del decreto legislativo del 18 agosto 2000 n. 267 che attribuisce al Prefetto la legittimazione a far valere, in via giurisdizionale, la decadenza dalla carica di Sindaco, Presidente della Provincia, Consigliere Comunale, provinciale o circoscrizionale.

La garanzia che il legislatore ha voluto accordare agli interessi istituzionalmente protetti deriva dai dubbi sollevati da autorevole dottrina sia per spinta della normativa euro-unitaria, sia a causa dell’abolizione dei controlli amministrativi con riferimento agli atti degli enti territoriali minori (riforma del titolo V della Costituzione) e agli atti amministrativi statali (riforma dei controlli preventivi di legittimità della Corte dei conti), che lasciava circoscritto il controllo pubblico ai – più gravi e limitati – casi di responsabilità amministrativa e contabile.

Si suggeriva, pertanto, l’introduzione di una possibilità di attivazione del controllo giurisdizionale da parte delle autorità appartenenti al medesimo ente la cui normativa risultava violata, quale “importante strumento per contrastare quel deficit di legalità e quelle sacche di immunità, che l'attuale nostro sistema non è in grado altrimenti di superare”.

Il fondamento giuridico di tale potere di legittimazione, non potendosi riconoscere nella violazione di una propria norma comportante la lesione di una posizione giuridica sostanziale del soggetto emanante, era individuato nell’obbligo di leale collaborazione (sancito dall’art. 120 Cost. e dall’art. 4 par. 3 TUE), più facilmente invocabile nei confronti dello Stato per il rispetto delle regole UE, in forza della responsabilità cui lo espone la loro violazione.

Non sono mancate le critiche di coerenza costituzionale del potere di legittimazione ad agire delle Autorità indipendenti a tutela degli interessi ad esse specificamente affidati  che possono, però, essere facilmente superabili con la considerazione che esse sono per legge affidatarie della tutela dell’interesse al corretto andamento del settore vigilato, interesse che, ad esempio, per l’AGCM si identifica nella tutela della concorrenza, sicché sono effettivamente portatrici di interessi sostanziali protetti dall’ordinamento (nella specie, nella forma dell’interesse legittimo), che si soggettivizzano in capo ad esse [ix] e ne ricevono immediata lesione anche nel caso degli atti a contenuto normativo o generale, riducendosi (fino ad oggi) gli ostacoli al suo accesso diretto alla giustizia. Il problema che si è posto non ha riguardato tanto la inconfigurabilità in capo alla stessa di un interesse sostanziale, “qualificato” in quanto fatto oggetto di una particolare considerazione dall’ordinamento e per questo differenziato da quello della generalità degli altri soggetti, ma, se mai, nella difficoltà di configurare in capo all’Autorità un interesse processuale, consistente, come noto, nella possibilità di conseguire un vantaggio personale, concreto e attuale dalla decisione.

Nonostante ciò il legislatore ha guardato alle Autorità e agli interessi ad esse affidati che possono definirsi “istituzionalmente protetti” in chiave innovativa.

Tale apertura del legislatore è da considerarsi una novità di grandissimo rilievo, non soltanto per le Autorità che hanno significativamente iniziato già ad avvalersene ma anche e soprattutto per i potenziali effetti sulla ricostruzione generale della funzione del giudice amministrativo, che accedendo ad una lettura della norma in termini di apertura alla legittimazione “pubblica” ad un’azione “nell’interesse della legge”, vedrebbe indubitabilmente potenziato il suo ruolo di garanzia della “giustizia nell’amministrazione”, affermata dall’art. 100 Cost. e più volte sottolineata dalla Corte Costituzionale a partire dalla fondamentale decisione n. 204 del 2004.

E’ sulla base di tali premesse che è possibile esaminare la decisione del Consiglio di Stato del 2 novembre 2020 n. 6787 nella quale si è pronunciato per la prima volta sulla questione della legittimazione ad agire in giudizio dell’Anac con riferimento alle procedure di evidenza pubblica di particolare rilevanza economica.

3. LEGITTIMAZIONE AD AGIRE DELL’ANAC

Con ricorso in appello n. 2396/2020, l’associazione Asmel ha assunto, con il primo motivo, l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo dell’Anac con conseguente inadeguata motivazione circa la ragioni che hanno giustificato l’esercizio della legittimazione ex lege all’impugnazione degli atti di gara. 

Il Consiglio di Stato, nella sentenza de qua respinge l’eccezione riconoscendo per l’Autorità una legittimazione processuale per l’ipotesi di ricorso diretto nei confronti degli atti di gara relativi a contratti di rilevante impatto, così come disposto anche normativamente.

Punto di partenza della decisione sono le due disposizioni normative di riferimento, ovvero l’art. 211, commi 1-bis e 1-ter d. lgs. 50/2016 e gli arti. 3, 4 e 5 del regolamento ANAC.

Il primo prevede due modalità di legittimazione processuale dell’Autorità: da una parte la possibilità di “agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”; dall’altra ha la facoltà di emettere un parere motivato con il quale indica alla Stazione Appaltante le gravi violazioni che inficerebbero i provvedimento presi in considerazione dall’Autorità, invitando la medesima Stazione Appaltante a conformarsi; nel caso in cui la Stazione Appaltante non dovesse conformarsi, l’Anac può presentare ricorso.

Il regolamento dell’Anac, invece, approvato con deliberazione del 13 giugno 2018, specifica le fattispecie legittimanti la prima tipologia di ricorso del suddetto art. 211 cit. delineando le diverse ipotesi di “contratti a rilevante impatto” (art. 3) e le categorie di atti impugnabili (art. 4); definisce, infine, con riferimento alla seconda tipologia di ricorso dell’art. 211 cit., l’ambito delle “gravi violazioni delle norme in materie di contratti pubblici” (art. 5). Devono qualificarsi “gravi violazioni” le seguenti fattispecie: affidamento di contratti pubblici senza previa pubblicazione del bando o dell’avviso; affidamento mediante procedura diversa da quella aperta e ristretta fuori dai casi consentiti, e quando questo abbia determinato l’omissione di bando o avviso ovvero l’irregolare utilizzo dell’avviso di pre-informazione; atto afferente a rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture; modifica sostanziale del contratto che avrebbe richiesto una nuova gara; mancata o illegittima esclusione di un concorrente; contratto affidato in presenza di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati, come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell’UE in un procedimento ai sensi dell’art. 258 del TFUE; mancata risoluzione del contratto nei casi di cui all’art. 108, comma 2 del codice; bando altro atto che contenga delle clausole o misure ingiustificatamente restrittive.

Alla luce del dettato normativo, la sentenza giunge alla conclusione che la legittimazione ad agire si giustifica ogni qual volta ricorrano gli elementi costitutivi di cui all’art. 211 cit.. Non sono necessari ulteriori indagini che investano le ragioni di interesse pubblico, specifico e concreto. Infatti, conclude il Consiglio di Stato, gli interessi e le funzioni che la legge affida all’Anac sono orientati a prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici anche indipendentemente da iniziative o interessi dei singoli operatori economici o dei partecipanti alle procedure di gara.

La fondamentale importanza della pronuncia riguarda l’approfondita riflessione per la disamina del disposto di cui all’art. 211 del d. lgs. 18 aprile 2016 n. 50 sia nel testo originario interpolato dal d. lgs. 19 aprile 2017, n. 56, che in quello vigente, siccome novellato dal d.L. 24 aprile 2017, n. 50: ci si riferisce all’istituto delle raccomandazioni vincolanti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, previsto dall’art. 211, comma 2 del d.lgs. 50/2016 e, dopo la sua abrogazione, alla legittimazione dell’Anac all'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

A tal proposito Consiglio di Stato e Anac hanno affermato l’autonomia dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 211 del Codice dei contratti pubblici, ritenendo che essi disciplinino, rispettivamente, il «ricorso diretto» e il «ricorso previo parere motivato»: il primo, quale strumento di tutela snello e rapido, a fronte di situazioni di più grave pericolo per l’interesse pubblico al corretto svolgimento delle procedure di gara; il secondo, quale strumento di extrema ratio, destinato ad operare in caso di violazioni, pur gravi, che possano però essere salvaguardate dall’intervento in autotutela della stazione appaltante, sollecitata dall’Autorità mediante il parere motivato[x]. Tale lettura, che si contrappone a quella tesi che sosteneva la presenza di un coordinamento fra i due commi in forza dell’analogia strutturale con l’art. 21-bis della legge n. 287/1990[xi], ha prevalso per diverse ragioni, fra cui la più persuasiva risulta essere la diversità dei presupposti sostanziali fra i due commi.

Si colloca in un’ottica innovativa quanto alla natura della legittimazione riconosciuta all’Anac: la precedente giurisprudenza aveva inteso la legittimazione conferita all’Anac come “straordinaria”[xii] al pari di quanto disposto per le altre Autorità, già esaminate. 

Al contrario, il Consiglio di Stato, pur collocandosi nel solco delle altre fattispecie che in passato hanno riconosciuto alle autorità indipendenti il potere di agire in giudizio, ha ritenuto che quella dell’Anac non possa considerarsi una legittimazione straordinaria o eccezionale in quanto sorretta dalla titolarità di un interesse tutelato dall’ordinamento, correlato all’esercizio delle funzioni che le sono attribuite.

Ancora più importante è l’affermazione secondo cui il ricorso, anche quando preceduto dall’invito all’autotutela, non ha ad oggetto il mancato esercizio dell’annullamento d’ufficio e, quindi, l’Anac non deve dimostrare la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21-nonies della legge 241/1990.

Già gran parte di autorevole dottrina ha sottolineato come il ricorso affidato alle Autorità, inteso quale mera attuazione della legge, e, quindi, sorretto soltanto dall’interesse generale alla legalità dell’azione amministrativa, rischierebbe di disconoscere il valore della concorrenza come “bene della vita” che l’ordinamento garantisce e protegge.

Il dato di fondo da cui occorre prendere le mosse è che l’Anac può proporre ricorso non solo e non tanto perché c’è un atto (regolamentare o amministrativo) illegittimo, ma perché quell’atto ha violato le regole nel settore dei contratti pubblici, così violando “le norme in materie di contratti pubblici”, come espressamente dispone la norma.

Ma vi è di più.

La pronuncia, in un passaggio significativo, afferma che “il collegamento soggettivo che, nel caso di specie, si instaura, senz’altro tra l’Autorità e gli interessi e funzioni pubbliche che la legge affida alla sua cura (…)”.

Il tema è di particolare significatività atteso che, con il riconoscimento della legittimazione ex lege alle Autorità, si idealizzava su un ipotetico ritorno all'oggettività del processo amministrativo (ovviamente, tale discorso varrebbe solo per le autorità indipendenti e non per il giudizio amministrativo propriamente detto della cui soggettività non può discutersi).

Le regole di accesso alla giustizia succitate, infatti, che modificano l’ordinario atteggiarsi della legittimazione processuale, realizzano «particolari modelli processuali che sono tali nella misura in cui particolare è proprio l’accesso alla giustizia che si aggiungono e in tal senso derogano, senza alcun effetto di predominanza, al modello tradizionale di tipo soggettivo»[xiii].

La (condivisibile) idea portata avanti in questi studi, ripresa anche da diversa dottrina processual-amministrativistica, è che l’oggettività di un giudizio debba essere misurata sull’intera struttura processuale.

Occorre cioè separare, secondo tale tesi, “natura” e “finalità” del giudizio: la prima, che ne costituisce l’essenza, da cogliersi sulla base del suo contenuto e della sua struttura formale, con un’indagine che si muove sul terreno del diritto processuale; la seconda, diversamente, individuata in forza di interpretazioni sostanzialistiche esterne al processo, coincidendo con la tutela dell’interesse sostanziale del promotore del giudizio o della legalità ordinamentale, a seconda che la domanda esprima direttamente la protezione di un interesse giuridicamente tutelato di colui che attiva la macchina processuale o il solo rispetto della legge.

In altre parole, si rifiuta l’idea che la natura del giudizio discenda dalla qualificazione dell’interesse a fondamento dell’azione giurisdizionale, per coglierla invece dall’intera struttura processuale, osservando alcuni “marcatori”, come la natura della legittimazione (se soggettiva o oggettiva), le modalità di avvio del processo, la disponibilità del giudizio già instaurato alle parti coinvolte, i poteri istruttori del giudice, la possibilità dello stesso giudicante di estendere l’oggetto del giudizio, e via dicendo.

Ciò premesso, a proposito della legittimazione ex lege dell’Anac si rileva quanto segue.

La giurisprudenza amministrativa ha rinvenuto un interesse istituzionalmente tutelato, differenziato e qualificato, nell’interesse pubblico al corretto svolgimento delle procedure di gara.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha in particolare asserito che il riconoscimento della legittimazione processuale attribuita all’Autorità è indice della consapevole attenzione riservata dal legislatore nazionale alla «concorrenza per il mercato», quale interesse pubblico di rango costituzionale ed europeo direttamente perseguito attraverso il giudizio. Affermando, altresì, che non sembra che tale strumento “si muova nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse – avendolo, come avviene negli interessi diffusi, subiettivizzato in capo all’Autorità”[xiv].

Anche in questa ipotesi, però, l’interesse sostanziale sottostante fatica ad essere perfettamente riconducibile ad un classico interesse diffuso: da un lato, perché la soggettivizzazione avviene, in tal evenienza, a favore di una pubblica autorità; dall’altro, perché la disposizione che fonda la legittimazione processuale dell’Anac non ha reso giuridicamente tutelato un interesse prima adespota, posto che il suo potere d’iniziativa processuale si affianca all’iniziativa del singolo partecipante alla gara.

Inoltre, anche in questo caso, viene snaturato il tradizionale concetto di “bene della vita”.

Alla luce di quanto sopra, è preferibile la via interpretativa, intrapresa dalla prima volta apertamente dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento, che ha affermato la natura soggettiva dei giudizi in cui parte sono le autorità indipendenti, ricavandola dalla struttura formale del processo, senza confondere natura e finalità della giurisdizione e senza intraprendere percorsi ermeneutici che, per ricavare un interesse sostanziale sottostante, forzano i confini delle tradizionali categorie del diritto amministrativo (nel caso di specie, quella di “interesse diffuso” e quella di “bene della vita”).

Significativo a tal proposito è proprio il passaggio della sentenza in cui il Consiglio di Stato ha riconosciuto che l’interesse curato dall’Anac nel settore di contratti pubblici non è individuabile né in un interesse individuale e neppure in una sommatoria di interessi adespoti ma ha carattere generale non essendo connesso all’ottenimento di alcun bene preventivo quale, nel caso degli appalti, è da identificarsi nell’aggiudicazione.

Del resto, come è stato affermato in dottrina[xv]riconoscere un’impostazione squisitamente soggettiva al processo amministrativo non significa ritenere indispensabile sempre e necessariamente la presenza di una situazione giuridica soggettiva di tipo sostanziale correlata al processo instaurato”.

5. RIFLESSIONI FINALI

Accingendoci al termine di tale studio, con l’intenzione di “tirarne le fila”, occorre rilevare che, nell’equivoco di partenza, basato sull’identità fra natura e finalità del giudizio, sembrano essere cadute sia parte della dottrina sia la giurisprudenza amministrativa, pur con esiti addirittura opposti.

La prima, che ha sostenuto l’oggettività di tali giudizi sulla sola base di una legittimazione che trovasse un riconoscimento nel diritto positivo e che individuasse espressamente, quale fine perseguito, un interesse pubblico; la seconda, che, per far salva la natura soggettiva di tali giudizi, ha forzato talune categorie del diritto amministrativo, come quella degli “interessi diffusi” e del “bene della vita”, al fine di individuare – potrebbe dirsi, “costi quel che costi” – un interesse sottostante all’azione che fosse differenziato e qualificato.

In tale contesto – se si vuole, invece, evitare di confondere l’essenza dallo scopo del giudizio – occorre guardare al processo in una dimensione più ampia, osservare le sue regole e la sua struttura, procedere con un’analisi che si muova sul terreno del diritto processuale.

Via, questa, che ci consente di affermare che il giudizio amministrativo, anche là dove prenda vita su impulso delle autorità amministrative indipendenti, rimanga, immutato nelle proprie regole di stretta procedura, un “processo di parti”. Tutto ciò, al di là di quale sia la qualificazione dell’interesse sostanziale che muove la macchina processuale, che neppure sembrerebbe corretto far risalire, a rigor di logica, da una norma di tipo processuale[xvi].

Dubbi potrebbero a questo punto sorgere in punto di legittimità costituzionale di tale modello. Il quesito è in realtà già stato posto in un’occasione alla Consulta. In un giudizio sorto in via principale, infatti, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale di una di tali previsioni – in particolare quella relativa all’AGCM – per contrasto con l’art. 113 Cost.[xvii].

Quel che si ritiene è che non vi sia alcuna incostituzionalità di tali previsioni, anche là dove le si sganci – come si è sostenuto – da un interesse differenziato e qualificato sottostante. Ritenere incostituzionali tali disposizioni stride, infatti, primariamente, in un ordinamento che è pervaso, in qualsiasi ramo del diritto processuale, da legittimazioni di stampo oggettivo. Ma, al di là di tale rilievo – che potrebbe non rilevare in punto di legittimità costituzionale – la stessa interpretazione delle norme costituzionali sulla giustizia amministrativa dovrebbe essere diversa, dovendosi considerare che le stesse “sono state formulate in funzione garantistica: il costituente ha voluto che ai titolari degli interessi legittimi [...] fosse garantita la possibilità di adire il giudice amministrativo. Ma, come tutte le norme di garanzia, essa impone un minimo, non preclude un di più [...] non vieta al legislatore di disciplinare tale processo in modo tale che esso assicuri la protezione anche di altri interessi”[xviii].

Se così è, allora, tali previsioni, che pur danno vita a processi di cui è già stato posto in risalto il lato oscuro, possono certamente permanere nel nostro ordinamento, nell’ambito di una giurisdizione che può essere chiaramente soggettiva, come già è, ma che può essere anche diversamente strutturata dal legislatore: in altre parole ritenendosi che la tradizionale organizzazione in senso soggettivo del processo costituisca, sotto il profilo strettamente costituzionale, strutturazione necessaria ma non esclusiva.

Alla luce di quanto osservato rimane perciò invariata la soggettività di tali giudizi, fintantoché, perlomeno, non venga a mutare anche il regime processuale di detto contenzioso all’insegna di una maggiore officiosità: solo in tal evenienza potrà riproporsi, e a quel punto anche con maggior vigore, l’interrogativo sotteso alla presente indagine.


[i] Cons. Stato, Ad. Plen., 3 giugno 2011, n. 10; Id., 7 aprile 2011, n. 4; Id., 27 gennaio 2003, n. 1, Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3404; sez. V, 27 marzo 2013, n. 1824; sez. III, 27 settembre 2012, n. 5111; sez. III, 11 giugno 2012, n. 3402; sez. III, 8 giugno 2012, n. 3391; sez. V, 29 febbraio 2012, n. 1187; sez. V, 23 maggio 2011, n. 3084; sez. V, 1 aprile 2011, n. 2033.

[ii] Cfr. art. 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287, introdotto dall’art. 35 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv., con modif., in legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[iii] Cfr. le lett. m) e n), comma 2, art. 37 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 36, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in legge 24 marzo 2012, n. 27.

[iv] Cfr. i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), introdotti dall’art. 52- ter del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, conv., con modif., in legge 21 giugno 2017, n. 96.

[v]  Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323, nonché Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246. In dottrina, cfr. Carbone, Modelli processuali differenziati, legittimazione a ricorrere e nuove tendenza del processo amministrativo nel contenzioso sugli appalti pubblici, in Dir. proc. amm., 2014, 436.

[vi] Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Giappichelli, 2007, 129 ss., che sottolinea come, nel settore antitrust, la “politica della concorrenza”, volta alla promozione del confronto competitivo tra operatori economici, costituisce uno dei valori fondanti dell’Unione Europea.

[vii] Significativa espressione utilizzata da Sandulli, Il problema della legittimazione ad agire in giudizio da parte delle autorità indipendenti, Relazione al convegno del 28 febbraio 2013 su Le Autorità Amministrative Indipendenti Bilancio e prospettive di un modello di vigilanza e regolazione dei mercati.

[viii] Cfr. Clarich, Il public enforcement” del diritto antitrust nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi dellart. 21-bis della l. n. 287/90, in Conc. e merc., 2018, 102; Ramajoli, La legittimazione a ricorrere dellAutorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, Giuffrè, 2018, 89; Lazzara, Legittimazione straordinaria ed enforcement pubblico dellAutorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Dai compiti di segnalazione allimpugnazione degli atti contrari alle regole della concorrenza e del mercato, Giuffrè, 2018, 67.

[ix] In senso contrario Cintioli, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dellAutorità garante della concorrenza e del mercato (art. 21 bis della legge n. 287 del 1990), in www.giustamm.it: “La risposta devessere negativa. Non è possibile ritenere che lAutorità, in quanto tale, sia titolare di un interesse legittimo in senso proprio, potendo (e dovendo) attivarsi per la tutela e realizzazione di un interesse generale alla concorrenza che, per un verso, finisce per coincidere con una sommatoria di interessi di mero fatto ascrivibili alla collettività e, per altro verso, restando così generico, non soddisfa di certo i caratteri di una situazione soggettiva imputabile ad un soggetto di diritto”. La posizione negativa sembra condivisa anche da Arena, Atti amministrativi e restrizioni della concorrenza: i nuovi poteri dellAntitrust italiana, Relazione al X Convegno Antitrust svoltosi a Treviso nei giorni 18 e 19 maggio 2012.

[x] In questo senso, Cons. Stato, Comm. Spec., 4 aprile 2018, n. 1119.

[xi] Secondo tale tesi, i due commi sarebbero a tal punto coordinati da far sorgere un’unica fattispecie, ove l’Autorità può impugnare le categorie di atti indicate al comma 1-bis (bandi, altri atti generali, provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto), pur in presenza dei presupposti e nel rispetto del procedimento di cui al comma 1-ter (e, cioè, rispettivamente, in presenza di gravi violazioni del Codice dei contratti pubblici e con la previa adozione di un parere motivato nei confronti della stazione appaltante cui le stesse non si sono adeguate nei termini perentori stabiliti dalla disposizione). Ad illustrare le due diverse tesi, prima degli interventi chiarificatori, Lipari, La soppressione delle raccomandazioni vincolanti e la legittimazione processuale speciale dellANAC, in www.italiappalti,it, 2017,  pp. 22-24.

[xii] Cfr. Con Cons., Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4.

[xiii] Carbone, Modelli processuali differenziati, legittimazione a ricorrere e nuove tendenza del processo amministrativo nel contenzioso sugli appalti pubblici, Giuffrè, 2018, p. 436.

[xiv] Così, Cons. Stato, Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4. Nello stesso senso, cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 11 maggio 2018, n. 6. Tale impostazione volta a qualificare l’interesse al corretto svolgimento delle gare come interesse diffuso, peraltro, si rinviene non solo nella giurisprudenza amministrativa, ma anche nella relazione illustrativa del regolamento di attuazione adottato dall’ANAC, ove si afferma che i commi 1-bis e 1-ter dell’art. 211 del Codice «sviluppano l’impostazione concettuale e le finalità che sono alla base dei numerosi esempi di apertura alla legittimazione di soggetti pubblici e di associazioni che possono agire per la tutela – si badi bene – di interessi superindividuali». Così, Relazione illustrativa del «Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’art. 211, commi 1-bis e 1-ter del d.lgs. n. 50/2016» adottato dall’ANAC.

[xv] Clarich, I poteri di impugnativa dellAGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. 287/90, Relazione al Convegno “Evoluzioni del ruolo e delle competenze delle autorità antitrust”, Roma 27 marzo 2013, p. 866.

[xvi] Così, Ramajoli, Il potere dazione dellAutorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 94, ove afferma che «non pare corretto far risalire una qualificazione sostanziale da una norma di tipo processuale».

[xvii] Cfr. Corte Cost., sent. 14 febbraio 2013, n. 20.

[xviii] Cudia, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Maggioli, 2012, p. 139, ove l’Autrice afferma che il vincolo costituzionale in ordine alla giurisdizione è solo nel senso dell’illegittimità costituzionale di una norma che privasse del diritto di azione chi sia titolare di una situazione rilevante.

LEGGI LA SENTENZA

 Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso in appello numero di registro generale 2396 del 2020 proposto da:

Asmel - associazione per la sussidiarietà e la modernizzazione degli enti locali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuliano Berruti e Marco Monaco con domicilio elettori presso lo studio Giuliano Berruti in Roma, via delle Quattro Fontane, 161;

 

Contro

 

ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione, in personale del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

 

Per la riforma

 

Della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. II, 3 febbraio 2020, n. 240, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2020 il Cons. Manca e data la presenza, ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo, del decreto-legge n. 28/2020, dell’avvocato Berruti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. - L’Autorità Nazionale Anticorruzione (in prosieguo: Anac o Autorità), nell’esercizio della legittimazione ad agire riconosciuta dall’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici (approvato con il d.lgs. n. 50 del 2016), con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia impugnava gli atti della procedura di gara indetta da ASMEL Consortile s.c.a.r.l., quale centrale di committenza delegata da diversi enti locali, relativa alla procedura aperta per l’affidamento di una o più convenzioni quadro «per la fornitura di apparecchi per illuminazione pubblica equipaggiati con sorgente a led, sistemi di sostegno degli apparecchi a led, dispositivi per il telecontrollo/telegestione e accessori smart city per gli Enti associati ASMEL», di cui al bando di gara pubblicato il 7 agosto 2019.

2. - Il ricorso si incentrava essenzialmente sull’illegittimità degli atti delle procedura di gara per il difetto della qualifica di centrale di committenza attribuibile alla ASMEL Consortile s.c.a.r.l., che non poteva essere considerata come amministrazione aggiudicatrice, non essendo in possesso dei requisiti per bandire una gara per la stipula di convenzioni quadro per l’acquisizione di forniture a favore di pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i) [che contiene la definizione di «centrale di committenza»] e lett. m) [definizione di «attività di committenza ausiliarie»] e dell’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.

L’Anac, inoltre, rilevava l’illegittimità del bando di gara nella parte in cui imponeva ai concorrenti, per poter partecipare alla procedura, il pagamento del costo del servizio svolto da ASMEL Consortile quale centrale di committenza per conto degli enti locali, in violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici.

Infine, con il terzo motivo deduceva la violazione dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici (per aver previsto, nel disciplinare di gara, requisiti economico-finanziari e di esperienza professionale del tutto sproporzionati rispetto all’oggetto del contratto); con il quarto motivo lamentava l’illegittimità del bando di gara per aver fissato un termine per il ricevimento delle offerte inferiore a quello minimo stabilito dall’art. 60, comma 1, del Codice dei contratti pubblici.

3. - Con la sentenza qui appellata, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha accolto i primi due motivi del ricorso.

4. - La sentenza è impugnata dall’associazione ASMEL (Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali, in prosieguo “Asmel Associazione”), la quale detiene il 25% delle quote sociali della Asmel Consortile s.c.a.r.l.

5. - Si è costituita in giudizio l’Anac, preliminarmente eccependo l’inammissibilità dell’appello per violazione del principio di integrità del contraddittorio, per l’omessa notificazione al Comune di Olgiate Olona, parte del giudizio di primo grado rimasta contumace.

Nel merito, chiede che l’appello sia respinto, riproponendo, ai sensi dell’art. 101, comma 2, del Codice del processo amministrativo, i motivi assorbiti in prime cure.

6. - All’udienza pubblica del 9 luglio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

7. - Si può prescindere dall’esame della questione di inammissibilità dell’appello, sollevata dall’appellata Anac, posto che il gravame è infondato nel merito.

8. - Con il primo motivo, l’appellante assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo dell’Anac. Con l’eccezione, Asmel lamentava non solo il mancato tempestivo deposito in giudizio della deliberazione del Consiglio dell’Autorità con la quale l’Anac aveva deciso di esercitare il potere di ricorso ai sensi dell’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici, ma anche l’inadeguata motivazione circa le ragioni che hanno giustificato l’esercizio della legittimazione ex lege all’impugnazione degli atti di gara. L’Anac, infatti, ad avviso dell’appellante, che richiama sul punto anche il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 1119 del 26 aprile 2018, avrebbe dovuto fornire una motivazione specifica e adeguata con riferimento ai presupposti normativi delineati dall’art. 211, come previsto anche dal regolamento approvato dall’Autorità sull’esercizio di detti poteri.

Tra i presupposti normativi di cui ANAC avrebbe dovuto dar conto, l’appellante include anche la dimostrazione della sussistenza degli elementi tipici dell’autotutela amministrativa di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990. Oltre alle eventuali illegittimità degli atti di gara, occorrerebbe valutare anche la sussistenza dell’interesse pubblico concreto e attuale. Secondo l’appellante, nel caso di specie le delibere dell’ANAC sarebbero prive di una motivazione in tal senso.

8.1. - L’eccezione va respinta.

8.2. - Sulla base delle norme richiamate, di rango legislativo, la legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo è attribuita all’Anac secondo due modalità distinte: la prima è quella del citato art. 211, comma 1-bis, il quale prevede il potere dell’Autorità di «agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture»; la seconda presuppone l’emissione di un parere motivato da parte dell’Anac, la quale indica alla stazione appaltante le «gravi violazioni», ovvero i vizi di legittimità che inficiano i provvedimenti presi in considerazione dall’Autorità, invitando la medesima stazione appaltante a conformarsi; solo «se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall'ANAC, [questa] può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo» (art. 211, comma 1-ter, cit.).

8.3. - Il regolamento dell’Anac, approvato con deliberazione del 13 giugno 2018, specifica le fattispecie legittimanti la prima tipologia di ricorso, delineando le diverse ipotesi di «contratti a rilevante impatto» (art. 3 del regolamento) e le categorie di atti impugnabili (art. 4); e, con riferimento alla seconda tipologia, definisce l’ambito delle «gravi violazioni delle norme in materia di contratti pubblici» (art. 5).

8.4. - In entrambe le ipotesi, la motivazione della decisione dell’Autorità di agire in giudizio deve rendere conto della sussistenza dei presupposti ricavabili dall’art. 211 del Codice dei contratti pubblici e, nei termini in cui siano conformi, dalle disposizioni regolamentari citate, dalle quali, peraltro, non si evincono ulteriori elementi cui sia condizionato l’esercizio del potere di azione attribuito all’Anac. In particolare, la norma primaria non subordina il potere di agire dell’Anac a ulteriori valutazioni (i cui esiti dovrebbero riflettersi nella motivazione) che investano le ragioni di interesse pubblico, specifico e concreto, all’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato ad immagine di quanto previsto per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

8.5. – La conclusione è evidente per l’ipotesi di ricorso diretto nei confronti degli atti di gara relativi a contratti di rilevante impatto, in cui l’interesse a ricorrere dell’Autorità sorge in coincidenza con il rilievo delle violazioni delle norme in materia di contratti pubblici (fermi restando gli altri presupposti relativi alla rilevanza del contratto e alle tipologie di atti impugnabili); ma ciò vale anche per il caso del ricorso preceduto da parere rimasto senza seguito da parte della stazione appaltante. Parere che non è riconducibile all’ambito degli strumenti di autotutela, posto che non ha natura vincolante per l’amministrazione destinataria e nemmeno crea un obbligo di agire in autotutela e in conformità al suo contenuto (come, invece, prevedeva l’art. 211, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, per la «raccomandazione vincolante» dell’Anac, al cui mancato adeguamento seguiva l’applicazione di una sanzione pecuniaria: disposizione abrogata dall’art. 123, comma 1, lett. b), del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56).

Non si può assumere, quindi, che quel parere costituisca l’atto di avvio di un procedimento di riesame in autotutela da parte della stazione appaltante, con le conseguenze che – quanto a disciplina della fattispecie e, in specie, necessaria valutazione degli interessi coinvolti - deriverebbero da tale premessa (si osservi che il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, n. 1119 del 26 aprile 2018, reso sullo schema di regolamento per l’esercizio dei poteri di cui all’art. 211 cit., qualifica il parere di cui al comma 1-ter come atto «privo di natura provvedimentale, trattandosi di un atto di sollecitazione all’eventuale autonomo esercizio del potere di autotutela da parte della stazione appaltante […]»: punto III.3.2.)

8.6. - La legittimazione a ricorrere attribuita per legge all’Anac si inserisce nel solco di altre fattispecie di fonte legislativa che in passato hanno riconosciuto alle autorità indipendenti il potere di agire in giudizio (si possono richiamare l’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990 per l’AGCM; e, più recentemente, l’art. 36, comma 2, lett. m) e n), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per l’Autorità di regolazione dei trasporti; per altre ipotesi si rinvia a Cons. Stato, Ad. plen., n. 4 del 2018, al punto 19.3.4.) non può essere qualificata nemmeno come legittimazione straordinaria o eccezionale rispetto al criterio con cui si identifica la condizione dell’azione rappresentata dall’interesse ad agire o a ricorrere, ossia il collegamento dell’interesse a ricorrere con la titolarità (o l’affermazione della titolarità) di un interesse tutelato dall’ordinamento sul piano sostanziale. Collegamento soggettivo che, nel caso di specie, si instaura senz’altro tra l’Autorità e gli interessi e funzioni pubbliche che la legge affida alla sua cura; questi non hanno ad oggetto la mera tutela della concorrenza nel settore [concorrenza per il mercato], ma sono più in generale orientati - per scelta legislativa e configurazione generale di questa Autorità, come ricavabile dalle sue molte funzioni - a prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici (tanto che la norma primaria dice solo che la ragione dell’azione sta nella violazione de «le norme in materia di contratti pubblici»), anche indipendentemente da iniziative o interessi dei singoli operatori economici o dei partecipanti alle procedure di gara (il cui interesse è piuttosto individuale, non generale come quello curato dall’Anac, ed è diretto al bene della vita connesso all’aggiudicazione, sicché esso - soprattutto nella fase della indizione della gara - non sempre coincide con gli interessi curati dall’Anac, come sopra ricordato: cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4 del 2018 cit., al punto 19.3.5.).

L’Anac, pertanto, è titolata a curare anche in giustizia, seppure nei termini generali e nelle forme proprie del processo amministrativo, gli interessi e le funzioni cui è preposta dalla legge e sintetizzate dai precetti di questa: perciò le è consentito (anche) di agire in giudizio seppur nei limiti segnati dall’art. 211 e dal suo regolamento (così anche la citata pronuncia della Adunanza Plenaria, n. 4 del 2018, che - pur qualificando il potere di agire ex art. 211 cit. come un caso di «legittimazione processuale straordinaria» - precisa che «la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 [non] si muove nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse […] a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: essa ha subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge»).

Pertanto, anche sotto questo profilo non si giustifica la necessità di una particolare motivazione della decisione di agire in giudizio da parte dell’Anac.

8.7. - Applicando alla fattispecie queste conclusioni, va rilevato che le deliberazioni depositate in giudizio illustrano in maniera adeguata ed esaustiva le ragioni che hanno portato l’Autorità alla proposizione del ricorso impugnare gli atti della procedura di gara indetta da Asmel Consortile, con riguardo ai presupposti legittimanti cristallizzati nell’art. 211 cit. e nel regolamento del 13 giugno 2018. Il che si evince dall’esame sia della delibera del 4 settembre 2019 (doc. 24 del fascicolo di primo grado, deposito Anac del 22.10.2019), con cui il Consiglio dell’Autorità ha fatto proprio il parere indirizzato ad Asmel (contenente i vizi di legittimità contestati) e, constatato l’inadempimento della stazione appaltante, ha determinato di procedere all’impugnazione ai sensi dell’art. 211, comma 1-ter, del bando della procedura aperta indetta da Asmel Consortile, facendo altresì proprie le considerazioni delle relazioni dell’Ufficio vigilanza collaborativa; sia della delibera del 18 settembre 2019 (doc. 25 del fascicolo di primo grado, deposito Anac del 22 ottobre 2019) con cui il Consiglio, «in ragione del valore del contratto», ha ritenuto sussistere i presupposti per l’impugnazione anche ai sensi del dell’art. 211, comma 1-bis, più volte citato.

8.8. - In conclusione, l’eccezione di rito dedotta con il primo motivo d’appello va integralmente respinta.

9. - Con il secondo motivo, l’appello critica la sentenza per aver affermato che Asmel non ha i requisiti per esplicare il ruolo di stazione appaltante e di centrale di committenza, non essendo un’amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. i), del Codice dei contratti pubblici.

9.1. - Sotto un primo profilo, riprendendo in parte i rilievi basati sull’insussistenza dei presupposti legittimanti l’esercizio dell’azione ai sensi dell’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici, l’appello sottolinea che la sentenza avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il motivo, in quanto il potere di azione conferito all’Anac consentirebbe di impugnare atti specifici emanati da una qualunque stazione appaltante, ma non potrebbe «contestare in giudizio la qualificazione della stessa a indire una procedura ad evidenza pubblica, come è avvenuto nel caso di specie, altrimenti vi sarebbe un difetto di legittimazione processuale dell’ANAC, che non può censurare atti che non promanino da stazioni appaltanti» (p. 12 dell’appello).

9.2. - Inoltre, posto che Asmel Associazione è iscritta all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti istituita presso l’Anac (condizione sufficiente, ad avviso dell’appellante, per legittimarla ad operare come centrale di committenza), se l’Autorità avesse voluto contestare tale qualifica, avrebbe dovuto avviare un apposito procedimento di ritiro in autotutela della predetta iscrizione, ma non servirsi della peculiare legittimazione attiva attribuita dall’art. 211 per ottenere il medesimo risultato.

10. – Le questioni sono manifestamente infondate, ove si tenga conto (con riferimento alla prima) che, come si è già veduto, il potere di azione in giustizia attribuito all’Anac è per prevenire illegittimità nel settore dei contratti pubblici, con particolare riferimento all’impugnazione dei bandi e degli altri atti generali, in relazione a «gravi violazioni» del Codice dei contratti pubblici, per cui sarebbe irragionevole un’interpretazione limitante tale potere dell’Anac proprio quando il vizio di legittimità investa lo stesso presupposto legittimante l’indizione della gara; quanto al secondo rilievo, l’Anac non ha contestato l’iscrizione di Asmel all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (come si vedrà meglio nell’esame degli ulteriori profili del secondo motivo d’appello), per cui non era necessario avviare un procedimento in autotutela.

11. – Proseguendo nell’esposizione del secondo motivo d’appello, l’appello sottolinea come la qualifica di centrale di committenza in capo ad Asmel, e la sua legittimazione alla indizione della procedura di gara per conto degli enti locali associati, derivi dall’essere un’associazione tra amministrazioni aggiudicatrici (rappresentate dai piccoli comuni associati) e, a sua volta, amministrazione aggiudicatrice per l’art. 3, comma 1, lett. a), del Codice dei contratti pubblici (che definisce «amministrazioni aggiudicatrici», le «amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti»).

La Asmel Associazione, inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, avrebbe tutti i requisiti dell’organismo di diritto pubblico, per cui, anche sotto questo profilo, dovrebbe essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice. Diversamente da quanto affermato dalla sentenza, l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico in capo ad Asmel Associazione non comporta il conferimento di funzioni pubblicistiche, dagli enti pubblici soci alla stessa Asmel, ma è lo strumento per consentire ai medesimi enti soci di raggiungere l’obiettivo della centralizzazione delle commesse pubbliche degli enti locali di minor dimensione.

12. - In via subordinata, l’appellante impugna il capo della sentenza che ha implicitamente riconosciuto la giurisdizione amministrativa, posto che, una volta escluso che Asmel Associazione potesse essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice, il Tribunale amministrativo avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, essendo dirimente, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), del Codice del processo amministrativo, la qualificazione soggettiva di “amministrazione aggiudicatrice” per ritenere la giurisdizione esclusiva sulle controversie relative a procedure di affidamento di contratti pubblici.

13. - Le censure così sintetizzate sono infondate.

13.1. - In punto di fatto, occorre precisare che la procedura di gara per cui è controversia è stata indetta da Asmel Consortile S.C. a r.l. nella asserita qualità di centrale di committenza.

13.2. - Secondo l’art. 37, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, «se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia», come nel caso di specie, tra le diverse modalità consentite per l’acquisizione di beni, servizi o lavori, è previsto il ricorso a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati.

13.3. - Peraltro, come ben rilevato dall’Anac, per poter acquisire la qualifica di centrale di committenza o di soggetto aggregatore, occorre che il soggetto sia non solo iscritto all’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, istituita dall’art. 33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ma anche all’elenco dei soggetti aggregatori (inizialmente istituito presso l’AVCP e attualmente compreso nelle competenze dell’Anac, per effetto dell’art. 213, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, secondo cui «E' istituito, presso l'Autorità, nell'ambito dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l'elenco dei soggetti aggregatori»).

L’iscrizione a detto elenco è disciplinata dall’articolo 9 (Acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento) del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, il quale prevede, al comma 2, che i soggetti che intendono operare come soggetti aggregatori o centrali di committenza, diversi dalla Consip e dalle centrali di committenza istituite dalle singole regioni, devono richiedere all’Anac l’iscrizione nell’elenco; l’iscrizione è condizione necessaria per «stipulare, per gli ambiti territoriali di competenza, le convenzioni di cui all'articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 […]» (comma 2, secondo periodo, dell’art. 9 cit.); vale a dire, per stipulare le convenzioni quadro che sono oggetto del bando di gara indetto da Asmel Consortile (quale centrale di committenza) e impugnato dall’Anac col ricorso in primo grado.

13.4. - Che le qualificazioni come stazione appaltante o come centrale di committenza siano diverse, lo si ricava, anzitutto, dalla lettera dell’art. 9 del citato decreto-legge n. 66 del 2014, che separa l’elenco dei soggetti aggregatori dall’anagrafe unica delle stazioni appaltanti (il comma 1 dell’art. 9 istituisce l’elenco «nell’ambito dell’Anagrafe unica […]»).

In secondo luogo, la distinzione è sottesa alla disciplina sostanziale prevista per i soggetti (diversi da Consip e dalle centrali di committenza regionali, iscritti di diritto) che chiedono l’iscrizione nell’elenco, i quali debbono dimostrare il possesso dei requisiti delineati dal comma 2 dell’art. 9 cit. («il carattere di stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda»), come precisati nel d.P.C.M. 11 novembre 2014 (adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 9 cit.); requisiti, la cui verifica è riservata all’Anac.

13.5. - La soluzione trova conferma anche nell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, che ha introdotto un nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, non ancora entrato in vigore, basato sull’istituzione di «un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza», cui possono accedere gli operatori economici in possesso dei requisiti descritti ai commi 3 e 4 dell’art. 38. Anche secondo quest’ultima disposizione, dell’elenco fanno distintamente parte le stazioni appaltanti, le centrali di committenza e i soggetti aggregatori che conseguano la qualificazione rilasciata dall’Autorità.

13.6. - Il trattamento normativo differenziato opera, infine, anche nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 216, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede che «[f]ino alla data di entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all'articolo 38, i requisiti di qualificazione sono soddisfatti mediante l'iscrizione all'anagrafe di cui all'articolo 33-ter del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221». Gli effetti (provvisori) della qualificazione (e in particolare la possibilità di pretendere dall’Anac il rilascio del «codice identificativo della gara (CIG)» necessario per l’effettuazione delle procedure di gara: art. 38, comma 8) si producono, infatti, solo per le stazioni appaltanti, in quanto siano iscritte all’anagrafe unica; non per le centrali di committenza e i soggetti aggregatori (per i quali, come si è veduto, è necessario – sulla base dell’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014 cit. – anche l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori).

13.7. - In conclusione, né la Asmel Consortile s.c. a r.l. (che, come veduto, ha indetto la procedura di gara spendendo la qualifica di centrale di committenza), né Asmel Associazione (indicata nel bando come stazione appaltante), possono essere qualificate come centrali di committenza o soggetti aggregatori, non risultando iscritte all’anzidetto elenco ed essendo insufficiente, a tali fini, la loro iscrizione all’anagrafe unica delle stazioni appaltanti.

14. - Per completezza di analisi, occorre altresì rilevare che l’Autorità, con deliberazione n. 32 del 30 aprile 2015, ha espressamente negato che Asmel Consortile sia in possesso dei requisiti soggettivi e organizzativi necessari per l’inserimento nell’elenco dei soggetti aggregatori di cui all'art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014, e, conseguentemente, ha escluso il presupposto di legittimazione per espletare attività di intermediazione negli acquisti pubblici.

Avverso detta deliberazione, Asmel ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo per il Lazio, che lo ha respinto con sentenza 22 febbraio 2016, n. 2339.

In sede di appello della sentenza, il Consiglio di Stato (con ordinanza di questa V Sezione, 3 gennaio 2019, n. 68), in via pregiudiziale, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’U.E. alcuni quesiti (riferiti, per quanto concerne il diritto nazionale, all’art. 33 [Appalti pubblici e accordi quadro stipulati da centrali di committenza], comma 3-bis, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, applicabile ratione temporis alla materia delle modalità con le quali i comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori beni e servizi).

In particolare, la Sezione ha chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulle seguenti questioni pregiudiziali:

- «se osta al diritto comunitario, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che limita l’autonomia dei comuni nell’affidamento ad una centrale di committenza a due soli modelli organizzativi quali l’unione dei comuni se già esistente ovvero il consorzio tra comuni da costituire»;

- «se osta al diritto comunitario, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale come l’art. 33, comma 3bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 che, letto in combinato disposto con l’art. 3, comma 25, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in relazione al modello organizzativo dei consorzi di comuni, esclude la possibilità di costituire figure di diritto privato quali, ad es, il consorzio di diritto comune con la partecipazione anche di soggetti privati»;

- infine, «se osta al diritto comunitario e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma nazionale, come l’art. 33, comma 3bis, che, ove interpretato nel senso di consentire ai consorzi di comuni che siano centrali di committenza di operare in un territorio corrispondente a quello dei comuni aderenti unitariamente considerato, e, dunque, al massimo, all’ambito provinciale, limita l’ambito di operatività delle predette centrali di committenza».

La Corte di Giustizia dell’U.E., con sentenza Sez. II, 4 giugno 2020, in C-3/19, ha chiarito che il diritto euro-unitario, alla luce dei principi di principi di libera prestazione dei servizi e di massima apertura alla concorrenza delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, non osta «a una disposizione di diritto nazionale che limita l’autonomia organizzativa dei piccoli enti locali di fare ricorso a una centrale di committenza a soli due modelli di organizzazione esclusivamente pubblica, senza la partecipazione di soggetti o di imprese private», né «a una disposizione di diritto nazionale che limita l’ambito di operatività delle centrali di committenza istituite da enti locali al territorio di tali enti locali».

Nella pendenza della vicenda contenziosa riferita, ai fini della controversia in esame è rilevante rimarcare, nondimeno, che Asmel Consortile mai ha acquisito l’iscrizione nell’elenco dei soggetti aggregatori o delle centrali di committenza.

15. - Ciò posto, per ragioni logiche appare necessario esaminare a questo punto la questione di giurisdizione sollevata (in via subordinata) dall’appellante, la quale sostiene che il mancato riconoscimento della qualifica di amministrazione aggiudicatrice in capo ad Asmel comporti il venir meno della giurisdizione amministrativa sulla controversia in esame.

15.1. - L’eccezione va respinta.

15.2. - Il punto oggetto dell’accertamento fin qui svolto non riguarda, infatti, la natura di amministrazione aggiudicatrice (o, in alternativa, di soggetto di diritto privato) di Asmel Associazione, ma il solo difetto della sua qualificazione come centrale di committenza o soggetto aggregatore e conseguentemente la sua incapacità a svolgere le relative funzioni. Il che costituisce uno specifico vizio della procedura di gara avviata da Asmel (attraverso Asmel Consortile), maturato in un ambito pubblicistico, trattandosi di una procedura di scelta del contraente posta in essere da soggetto che, in astratto, potrebbe essere tenuto all’applicazione dell’evidenza pubblica, ma che, in relazione alla concreta vicenda in esame, ha illegittimamente esercitato il potere.

In questa prospettiva, non sono pertinenti i plurimi richiami dell’appellante ai precedenti giurisprudenziali (anche di questa Sezione), che hanno dichiarato il difetto di giurisdizione amministrativa dopo aver escluso in radice la natura di amministrazione aggiudicatrice (o di soggetto equiparato all’amministrazione aggiudicatrice) del soggetto che aveva adottato i provvedimenti impugnati.

16. – Traendo le conclusioni dalle considerazioni fin qui svolte, diviene irrilevante stabilire se Asmel Associazione rientri nella definizione legale di organismo di diritto pubblico (questione diffusamente trattata nella sentenza impugnata e nell’appello).

17. - Per ragioni analoghe, nemmeno ricorrono i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (richiesto dall’appellante al fine di stabilire se Asmel debba essere qualificata come organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del Codice dei contratti pubblici e delle direttive europee in materia di appalti e concessioni).

18. - Con il terzo motivo, l’appellante critica la sentenza per aver accolto il secondo motivo di impugnazione proposto dall’Anac, sull’illegittimità del punto 3.2.5 del disciplinare di gara che – in asserito contrasto con l’art. 23 della Costituzione e l’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici - imponeva di corredare l’offerta con un atto unilaterale d’obbligo, con cui i concorrenti si obbligavano a versare ad Asmel Associazione un corrispettivo di € 80.000,00, nell’ipotesi di aggiudicazione della gara.

Ad avviso dell’appellante, il corrispettivo si giustificherebbe per le attività svolte in veste di stazione appaltante e di centrale di committenza; e troverebbe copertura legislativa nell’art. 16-bis del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, secondo cui, nei contratti con la pubblica amministrazione, sono poste a carico del contraente privato le spese contrattuali.

18.1. - Il motivo è infondato.

18.2. - Come ben rilevato dal giudice di prime cure, la clausola della lex specialis comporta la violazione dell’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici (ai cui sensi: «[è] fatto divieto di porre a carico dei concorrenti, nonché dell'aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme di cui all'articolo 58», inserito dall'art. 28, comma 1, del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56), norma che preclude alle stazioni appaltanti di riversare i costi derivanti dall’utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione, non solo nei confronti dei concorrenti ma anche dell’eventuale aggiudicatario.

L’invocazione dell’art. 16-bis del r.d. n. 2440 del 1923 non merita di essere condivisa, posto che quest’ultima norma ha riguardo alle spese per la stipula e la registrazione dei contratti, mentre l’art. 41, comma 2-bis, ha un oggetto diverso e specificamente riferito ai costi di gestione delle piattaforme telematiche.

18.3. - Nemmeno può essere utilmente richiamata, sul punto, la recente pronuncia di questa V Sezione (19 maggio 2020, n. 3173), che ha rilevato l’inammissibilità del motivo sollevato da un operatore economico che non ha partecipato alla procedura di gara, dal momento che l’obbligo graverebbe esclusivamente sull’aggiudicatario. Nella controversia qui in esame non si pone una questione di difetto di interesse a ricorrere, posto che – come già rilevato – l’interesse sotteso al ricorso in primo grado dell’Anac tende alla tutela della legalità nelle procedure di gara e, quindi, può essere fatto valere anche prima della conclusione e dell’aggiudicazione della gara.

19. - L’annullamento del bando e degli altri atti di gara impugnati con il ricorso dell’Anac, per i vizi fin qui accertati, comporta anche l’assorbimento del terzo motivo del ricorso introduttivo (essenzialmente incentrato sulla violazione dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici, per aver previsto, nel disciplinare di gara, requisiti economico-finanziari e di esperienza professionale del tutto sproporzionati rispetto all’oggetto del contratto) e del quarto motivo (illegittimità del bando di gara per aver fissato un termine per il ricevimento delle offerte inferiore a quello minimo stabilito dall’art. 60, comma 1, del Codice dei contratti pubblici), riproposti dall’appellata Anac ai sensi dell’art. 101, comma 2, del Codice del processo amministrativo, posto che dall’eventuale accoglimento non conseguirebbe alcuna ulteriore utilità giuridica per la ricorrente.

20. – L’appello, in conclusione, va respinto.

21. – Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, in ragione della complessità delle questioni esaminate e decise.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Valerio Perotti, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere, Estensore