Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2020 n. 3874

L’istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte; dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto. Al contempo essa è posta, a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni.

L’inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo (obbligatoria secondo la disciplina del tempo), sulla base di un’istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell’amministrazione, non comporta anche il diritto all’automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l’Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti.

La posizione dell’appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuare la revisione in base ai risultati dell’istruttoria, poiché questa è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante, che deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l’interesse pubblico connesso al risparmio di spesa, ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato. 

L’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con la prima solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione – su istanza di parte – di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo.

La revisione dei prezzi dei contratti si applica solo alle proroghe contrattuali, come tali previste ab origine negli atti di gara ed oggetto di consenso “a monte”, ma non anche agli atti successivi al contratto originario con cui, mediante specifiche manifestazioni di volontà, è stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario per quanto concerne la remunerazione del servizio, senza che sia stata avanzata alcuna proposta di modifica del corrispettivo. 

Il criterio distintivo tra proroga e rinnovo va individuato nell’elemento della novità: ricorre un’ipotesi di proroga solo allorquando vi sia integrale conferma delle precedenti condizioni (fatta salva la modifica di quelle non più attuali), con il solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, per il resto regolato dall’atto originario. Anche la sola modifica del prezzo comporta, invece, un’ipotesi di rinnovo, nella quale non ha luogo la revisione del prezzo (il cui scopo è già realizzato in virtù del suo adeguamento). Insomma, se cambia la fonte del rapporto e sussistendo una nuova negoziazione, l’appaltatore non potrà invocare l’adeguamento dei prezzi, pur se la prestazione persiste nei termini precedenti.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1671 del 2016, proposto da
Consorzio Nazionale Servizi Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimiliano Brugnoletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Bertoloni, 26/B;

contro

Comune di Pomezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ciro Alessio Mauro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessio Mauro in Roma, Viale Bruno Buozzi, 87;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda bis, 21 luglio 2015, n. 9945, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pomezia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2020 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Tomaselli, su dichiarata delega di Brugnoletti, e Mauro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo per il Lazio, il Consorzio Nazionale Servizi Soc. Coop. (di seguito “il Consorzio”) domandava l’accertamento del suo diritto alla revisione del prezzo dei corrispettivi, senza soluzione di continuità, di cui al contratto di appalto rep. 6307 del 27 luglio 2007 avente ad oggetto il servizio di nettezza urbana e servizi di igiene complementare nel comune di Pomezia e la condanna dell’Ente al pagamento della somma dovuta a tale titolo maturata sui corrispettivi dal 6 dicembre 2012, quantificati al 31 dicembre 2013 in € 869.993,34, oltre IVA, interessi e rivalutazione monetaria.

1.1. Con il predetto contratto il Comune di Pomezia aveva affidato il servizio di igiene urbana al raggruppamento temporaneo di imprese costituito tra lo stesso Consorzio (mandatario) e la mandante Aimeri Ambiente s.r.l. (al tempo Manutecoop Servizi Ambientali s.p.a.), per un periodo di cinque anni, a decorrere dal 5 giugno 2007.

1.2. Alla scadenza originariamente prevista, con ordinanze sindacali contingibili e urgenti (n. 44 del 10 maggio 2012 e n. 58 del 5 giugno 2012) il termine veniva prorogato sino al 5 dicembre 2012 “agli stessi prezzi, patti e condizioni di cui al citato contratto”. Inoltre, le parti stipulavano, il 31 luglio 2012, un accordo bonario ex art. 240 del D.Lgs. n. 163 del 2006 per regolare alcune questioni insorte durante l’esecuzione del servizio.

1.3. In seguito, stante l’indisponibilità della mandante Aimeri Ambiente s.r.l. a proseguire il servizio (comunicata dal Consorzio con nota del 27 novembre 2012), il Comune disponeva (giusta ordinanza sindacale n. 89 del 4 dicembre 2012 ex art. 191 del D.Lgs. n. 152 del 2006) che il servizio venisse eseguito, nelle more dell’espletamento della nuova procedura, soltanto dal Consorzio mandatario.

Il Comune e il Consorzio stipulavano, pertanto, un apposito atto aggiuntivo (rep. n. 8769 del 12 marzo 2013) con validità fino al 5 giugno 2013, rinviando (testualmente) “per tutto quanto non esplicitamente menzionato nel Capitolato speciale d’appalto” (allegato a tale atto) a quanto stabilito con contratto rep. 6307 del 2007 e relativi Capitolati “del cui contenuto le parti sono a conoscenza e che, anche se non materialmente allegati, si intendono parte integrante e sostanziale del presente contratto”.

1.4. Il Consorzio lamentava, dunque, che, nonostante avesse continuato a gestire il servizio ininterrottamente, come stabilito poi anche dalle ordinanze sindacali n. 19 del 4 giugno 2013 e n. 37 del 4 dicembre 2013, fino alla consegna dell’appalto (avvenuta il 31 marzo 2015) all’aggiudicatario della nuova gara (risultato, all’esito, lo stesso Consorzio), il Comune aveva tuttavia rigettato, con determina dirigenziale n. 12 del 18 febbraio 2014, la richiesta di adeguamento dei corrispettivi pattuiti con l’originario contratto, avanzata in ragione dell’esecuzione a favore dell’Ente del servizio di igiene urbana, senza soluzione di continuità, sin dal giugno 2007, sulla base, tra l’altro, di un parere negativo del 4 febbraio 2014, espresso dal Dirigente Settore Tutela Ambiente del Comune.

2. Il ricorso avverso tali provvedimenti era, in particolare, affidato ai seguenti motivi di diritto: “Violazione artt. 115 D.Lgs. 163/2006 e art. 6 L. 537/1993; art. 4 contratto di appalto rep. 6307 del 27 luglio 2007 e art. 26 del capitolato connesso al contratto; eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta; violazione art. 97 Cost.”.

2.1. Il Consorzio sosteneva che la fonte del rapporto contrattuale in essere tra le parti fosse costituita, sempre e soltanto, dall’originario contratto del 27 luglio 2007, proseguito nel tempo mediante proroghe contrattuali: secondo la tesi del ricorrente, gli unici elementi di novità rispetto alle precedenti pattuizioni, contenuti nell’atto aggiuntivo rep. 8769 del 12 marzo 2013, erano la prosecuzione del rapporto contrattuale con la sola mandataria del raggruppamento affidatario e la durata del contratto, comportanti non rinnovo contrattuale ma mera proroga. Dal che il diritto alla revisione del prezzo per i servizi eseguiti a favore del Comune in virtù del contatto originario e al riconoscimento degli importi maturati nei periodi di proroga contrattuale.

2.3. Si costituiva il Comune di Pomezia e replicava a tali doglianze, evidenziando la diversità del nuovo contratto del 2013 rispetto a quello del 2007 e precisando, altresì, che il provvedimento sindacale n. 89 del 2012 era atto extra ordinem pienamente valido ed efficace, divenuto incontrovertibile in difetto di impugnazione diretta.

3. Con la sentenza indicata in epigrafe, l’adito Tribunale, premessa una sintetica ricostruzione della vicenda sottesa al ricorso e rilevato che si verteva in controversia (in tema di revisione prezzi, al tempo disciplinata dall’art. 115 del previgente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006) devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. e) punto 2) Cod. proc. amm. (sia per l’an sia per il quantum della pretesa), respingeva il ricorso: riteneva, infatti, che nella fattispecie oggetto di causa non ricorresse un’ipotesi di proroga, bensì di rinnovo contrattuale, comportante una nuova negoziazione con il medesimo soggetto (in virtù dell’ordinanza sindacale n. 89 del 4 dicembre 2012 e del conseguente atto aggiuntivo) e non soltanto un mero differimento del termine finale del rapporto, per il resto regolato dall’atto originario, e che non fosse perciò dovuta la revisione del prezzo pattuito.

4. Avverso la sentenza il Consorzio ha proposto appello, chiedendone la riforma per i seguenti motivi di impugnazione: “1) Error in iudicando. Violazione dell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 6 della legge n. 537 del 1993. Violazione dell’art. 4 del contratto di appalto rep. n. 6397 del 27 luglio 2007 e dell’art. 26 del capitolato speciale di appalto connesso al contratto. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. 2) Error in iudicando. Violazione dell’art. 191 del D.Lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta. Violazione dell’art. 97 della Costituzione”; 3) Error in iudicando. Violazione dell’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006. Violazione dell’art. 191 del d.lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere per illogicità e ingiustizia manifesta. Violazione dell’art. 97 della Costituzione”.

L’odierno appellante ha reiterato le domande formulate in primo grado, chiedendo l’accertamento del suo diritto alla revisione del prezzo e la condanna del Comune appellato al pagamento della somma dovuta a tale titolo maturata nei periodi di proroga, complessivamente quantificata fino al 31 marzo 2015 (data dell’avvio del servizio all’esito della nuova gara) in € 2.127,696,66 (di cui € 839.885,51 per il periodo dal 6 dicembre 2012 al 31 dicembre 2012, ed € 1.287,811, 15 per quello dal 1 gennaio 2014 al 31 marzo 2015), oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria.

4.1. Si è costituito anche nel presente giudizio il Comune e ha resistito all’appello, argomentandone le ragioni di inammissibilità (per novità della domanda di pagamento della revisione prezzi anche per il periodo successivo al 2012) e infondatezza e chiedendone il rigetto.

4.2. All’udienza del 27 febbraio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. La presente controversia ha ad oggetto la domanda di revisione dei prezzi sui corrispettivi ricevuti in relazione al contratto di appalto per il servizio di nettezza urbana e di igiene complementare nel Comune di Pomezia.

5.1. Come accennato in fatto, la sentenza appellata ha respinto il gravame proposto dal Consorzio ricorrente, muovendo dalla considerazione per cui il contratto del 2007 con l’ATI scadeva il 5 giugno 2012 e fu concordemente prorogato al 5 dicembre 2012: indisponibile l’ATI stessa alla prosecuzione del contratto (come comunicato dal Consorzio con nota del 27 novembre 2012), l’affidamento, con ordinanza sindacale n. 89 del 4 dicembre 2012, fu fatto al Consorzio Nazionale Servizi soltanto ed ex novo fu stipulato, il 12 marzo 2013, (sempre e soltanto) con quest’ultimo e senza la partecipazione della mandante Aimeri Ambiente, il relativo contratto.

5.2. Così ricostruito il rapporto contrattuale per cui è causa, il primo giudice ha ritenuto che l’atto aggiuntivo (conseguito all’ordinanza di affidamento del servizio soltanto al Consorzio ricorrente) non fosse qualificabile come proroga con previsione di un nuovo corrispettivo, poiché non si proseguiva alle precedenti identiche condizioni, sussistendo almeno la modificazione soggettiva dell’appaltatore.

6. L’appellante contesta tale ricostruzione della vicenda ed il rigetto del ricorso di prime cure che ne è conseguito, tornando a sostenere che anche alla scadenza contrattuale del termine inizialmente prorogato (il 5 dicembre 2012) e alla stipula del relativo atto aggiuntivo (rep. 8565 del 12 settembre 2012) sono seguite, solo e sempre, ulteriori proroghe del medesimo rapporto contrattuale, e mai un rinnovo: ciò in quanto sia l’ordinanza n. 89 del 2012 sia l’atto aggiuntivo del 12 marzo 2013 non contengono mutamento di alcuna delle condizioni del contratto, risultando perciò irrilevante l’intervenuta modificazione soggettiva.

6.1. Assume l’appellante che il contratto di appalto gestito dal 2007 a favore del Comune (e giunto a naturale scadenza il 5 giugno 2012) sarebbe stato pertanto reiteratamente prorogato, senza soluzione di continuità, fino al 31 marzo 2015.

6.2. Avrebbe dunque errato il Comune, prima, e il Tribunale amministrativo, poi, a ritenere non dovuta la revisione dei prezzi sin dal 6 dicembre 2012, sul rilievo che gli atti impugnati, con cui è stata disposta la prosecuzione del servizio, configurerebbero un caso di rinnovo e non di proroga.

6.3. In particolare, la sentenza appellata, pur muovendo da una premessa corretta (ovvero dall’ontologica distinzione tra rinnovo e proroga) nonché da altrettanto corrette considerazioni in ordine alla modifica del prezzo, è pervenuta tuttavia a conclusioni non condivisibili ed erronee laddove ha ritenuto che l’ordinanza n. 89/2012 e l’atto aggiuntivo del 12 marzo 2013 contenessero elementi novativi rispetto al precedente contratto. In nessuno di tali atti vi sarebbe invece, rinegoziazione delle condizioni contrattuali (neanche del prezzo), poiché la prosecuzione del servizio è stata imposta dall’Amministrazione senza alcun profilo di discontinuità con il precedente contratto (se non il differimento del termine): è stato infatti espressamente previsto che “il servizio continuerà ad essere svolto agli stessi prezzi, patti e condizioni di cui al contratto rep. n. 6307 del 27/7/2007”.

6.4. Le statuizioni di prime cure sarebbero, dunque, contraddittorie per avere, da un lato, affermato che vi è rinnovo quando le parti rideterminano le condizioni contrattuali, dall’altro definito tale una fattispecie (quale quella oggetto di giudizio) ove non è prevista alcuna modifica delle clausole contrattuali, tanto meno quella relativa al prezzo.

6.5. Secondo l’appellante, nessun elemento di sostanziale novità sarebbe riscontrabile nella fattispecie sì da giustificare l’individuazione di un caso di rinnovo nei provvedimenti che hanno disposto la prosecuzione del servizio: tale non è la modifica del raggruppamento affidatario, risultando il diniego della mandante inidoneo a far venire il rapporto contrattuale con la stazione appaltante, che sarebbe proseguito, senza alcuna soluzione di continuità, con l’assunzione delle prestazioni da parte del Consorzio mandatario, titolare dei requisiti per poterle eseguire.

6.5.1. La modificazione soggettiva della compagine del raggruppamento affidatario, per la rinuncia della mandante e la sua indisponibilità “a proseguire il rapporto contrattuale”, non sarebbe, dunque, idonea a configurare la prospettata radicale modifica del rapporto contrattuale. A seguito del recesso della mandante dall’A.T.I., la mandataria è stata designata come l’unico soggetto al quale affidare le relative proroghe contrattuali: tale modificazione non può però comportare ipotesi di rinnovo poiché, in caso di recesso di una sola componente del raggruppamento, il contratto prosegue automaticamente in capo alle rimanenti imprese, ove queste siano in possesso dei requisiti necessari per l’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’appalto.

6.5.2. La sentenza appellata sarebbe allora incorsa nell’errore di far discendere dalla suddetta modifica soggettiva un’ipotesi di novazione contrattuale tale da determinare una soluzione di continuità che interrompe la decorrenza della revisione del prezzo.

6.5.3. Né l’atto aggiuntivo del 12 marzo 2013 configurerebbe nuovo contratto, essendosi con esso il Comune limitato a formalizzare quanto già disposto con l’ordinanza contingibile e urgente n. 89 del 4 dicembre 2012 con la quale era stato ordinato al Consorzio, nelle more dell’espletamento della nuova gara, di proseguire nell’esecuzione del servizio. Dalla lettura delle clausole ivi contenute (cfr. artt. 3, 4, 7, 8, 9 e 10 dell’atto aggiuntivo) emergerebbe, infatti, palesemente la natura di proroga tecnica della disposta prosecuzione: esse, lungi dall’essere espressione di una nuova volontà negoziale intervenuta tra le parti, sarebbero, sempre secondo l’appellante, la prova della prosecuzione, senza soluzione di continuità, della stessa identica volontà negoziale formalizzata nell’originario contratto del 2007, ad eccezione degli adeguamenti necessari per la mutata compagine del raggruppamento. Il rapporto tra le parti non avrebbe, di conseguenza, subito modifiche (salvo che per la sola durata) e sarebbe stato sempre regolato dal medesimo complesso di prescrizioni contrattuali, rimaste immutate nel tempo, per forma e contenuti, anche allorquando il servizio è stato proseguito dal solo Consorzio.

6.5.4. La sentenza appellata avrebbe poi omesso di considerare che è la stessa Amministrazione (nella determinazione dirigenziale contenente l’impegno di spesa dell’11 giugno 2013) a definire “proroga tecnica del servizio alle medesime condizioni contrattuali” l’atto aggiuntivo con cui è stata disposta la prosecuzione del servizio da parte del solo Consorzio: prosecuzione che non era stata, peraltro, concordata tra le parti, ma unilateralmente imposta dal Comune a fronte dell’indisponibilità di tutta l’A.T.I., ricorrente inclusa.

6.5.6. La sottoscrizione dell’atto aggiuntivo del 2013 non ha, dunque, costituito esercizio ex novo della volontà negoziale delle parti (come dimostrerebbe la sua perfetta sovrapponibilità al precedente del 12 settembre 2012): in entrambi i casi, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti per definire l’effettiva tipologia negoziale, dal contenuto sostanziale delle prestazioni ivi stabilite si evince che la volontà manifestata dall’Amministrazione sarebbe stata soltanto quella di disporre delle proroghe contrattuali, non essendo tra le parti intercorso alcuno scambio di volontà qualificabile come rinegoziazione del complesso delle condizioni pattuite.

6.3.6. Anche l’ulteriore elemento indicato nella sentenza impugnata a sostegno della tesi del rinnovo contrattuale, ovvero che l’atto aggiuntivo del 12 marzo 2013 è stato preceduto da una determinazione a contrarre (e quindi da un’autonoma istruttoria nell’ambito di un distinto iter procedimentale preordinato alla costituzione di un nuovo rapporto contrattuale), sarebbe privo di portata decisiva.

La determinazione in oggetto sarebbe, infatti, atto endoprocedimentale con efficacia meramente interna, privo di rilevanza ai fini qualificatori della fattispecie, ove si consideri altresì che anche il contratto del 12 settembre 2012, stipulato a seguito della prima proroga (tale essendo, pacificamente, quella disposta alla prima scadenza contrattuale), era stata preceduta da una determina a contrarre.

6.6. Con il secondo motivo di gravame, l’appellante lamenta che i primi giudici avrebbero invece omesso di considerare una circostanza decisiva ai fini del corretto inquadramento giuridico della fattispecie, ovvero che l’ordinanza n. 89 del 4 dicembre 2012, con cui il Comune ha disposto la prosecuzione del servizio, è stata emessa ai sensi dell’art. 191 del D.Lgs. n. 152 del 2006.

6.6.1. A fronte dell’indisponibilità del raggruppamento affidatario alla prosecuzione del servizio, il Comune ha ordinato al solo Consorzio di garantire il servizio di igiene ambientale, nelle more della definizione della nuova procedura di gara, per ulteriori sei mesi: ha dunque imposto, con un atto unilaterale, al gestore uscente, stante la situazione di grave urgenza, di continuare ad eseguire le prestazioni affidate.

6.6.2. La sentenza appellata sarebbe così incorsa nell’errore di ancorare, recependo acriticamente le tesi del Comune resistente, la manifestazione di volontà del Consorzio all’atto aggiuntivo del 12 marzo 2013, non considerando che questo trae invece origine dall’ordinanza sindacale n. 89/2012, atto autoritativo assunto al fine di evitare che il Comune rimanesse sprovvisto del servizio di igiene urbana e, secondo l’appellante, presupposto delle successive proroghe contrattuali.

6.6.3. Con tale provvedimento sindacale si affidava il servizio al Consorzio “agli stessi prezzi, patti e condizioni previste dal Contratto Rep. 6307/07”, senza procedere ad alcuna rinegoziazione delle condizioni in precedenza pattuite: in tesi, detta ordinanza costituirebbe unica fonte degli obblighi, sì che con il successivo atto aggiuntivo si sarebbe solo regolamentato compiutamente quanto già imposto dal provvedimento autoritativo. Dal raffronto tra i due atti, emergerebbe infatti che nell’ordinanza era già indicata la durata contrattuale nonché gli altri elementi, quali il prezzo e le condizioni di esecuzione, in assoluta continuità con il contratto stipulato nel 2007.

6.6.4. Per l’appellante, l’atto aggiuntivo, quale documento eterointegrato dal provvedimento autoritativo, non può assumere, di conseguenza, i connotati di un nuovo contratto derivante dall’incontro delle volontà delle parti, costituendo solo una più compiuta e definitiva regolamentazione dell’originario rapporto, di cui era stata ordinata la prosecuzione in via di urgenza: tanto è dimostrato dalla circostanza che il Consorzio appellante aveva manifestato esattamente l’opposta volontà comunicando anche la propria indisponibilità alla prosecuzione del servizio, unilateralmente imposta dal Comune.

6.6.5. A ciò si aggiunga poi che l’atto aggiuntivo espressamente rimandava “per tutto quanto non esplicitamente menzionato… a quanto stabilito con contratto Rep. 6307 e relativi capitolati”, senza recare diverse e ulteriori statuizioni: le sue clausole riportano, infatti, la medesima formulazione di quelle inserite nell’originario contratto di appalto, con l’unica differenza dell’importo della cauzione prevista (perché commisurata al valore dei servizi prestati per il periodo in questione).

6.6.7. In conclusione, l’atto aggiuntivo, lungi dal configurarsi quale nuovo contratto espressione della comune volontà negoziale delle parti, sarebbe indicativo dell’assoggettamento del Consorzio alla volontà unilaterale dell’Amministrazione di proseguire l’attività oggetto dell’originario contratto di appalto e di prolungarne la durata, costituendone mera estensione.

6.7. Infine, con il terzo ed ultimo motivo di impugnazione, l’appellante evidenzia un ulteriore profilo di erroneità della sentenza di prime cure fondato sulla natura dell’istituto della revisione prezzi.

6.7.1. Se è vero che la finalità dell’istituto è quella di mantenere indenne l’appaltatore dall’aumento dei costi registrati nel corso dell’esecuzione del contratto, costituendo, al contempo, garanzia per l’Amministrazione di ricevere costantemente il servizio agli stessi standards qualitativi stabiliti al momento sottoscrizione del contratto e per tutta la sua durata, senza esporla all’aumento incontrollato dei prezzi, e che la revisione spetta nel solo caso di proroga ma non in quella di rinnovo, allo stesso modo non è revocabile in dubbio che la fattispecie in esame non sia riconducibile né ad una proroga né ad un rinnovo, ma integri un tertium genus, trattandosi di mera prosecuzione del rapporto contrattuale.

Ciò in quanto sia l’ordinanza sindacale, con cui è stata (unilateralmente) imposta dal Comune la prosecuzione del servizio, sia l’atto aggiuntivo, con il quale il Consorzio si è assoggettato a tale ordine e ne ha preso atto (senza né rinnovare l’originario contratto né prorogarlo), hanno invece unicamente postergato la validità delle precedenti pattuizioni contrattuali per ragioni di estrema urgenza, senza lasciare alcuno spazio all’autonomia negoziale.

6.7.2. Se l’unico effetto dell’atto impositivo è stato, dunque, quello di perpetuare il rapporto contrattuale già in essere con il gestore uscente del servizio, estendendo la sola durata del servizio, e se il prezzo di quest’ultimo è stato quantificato in base a quanto previsto dal contratto ormai scaduto, non potrebbe comunque negarsi al Consorzio appellante di ottenere la revisione dei prezzi per i servizi eseguiti a favore del Comune in virtù del contratto originario fino al 31 marzo 2015 (data di avvio dell’esecuzione del nuovo contratto).

6.7.3. Ad ogni modo, poiché lo scopo della revisione è quello di mantenere inalterato il sinallagma contrattuale, con l’obiettivo di garantire la permanenza del medesimo standard qualitativo per l’intera durata del rapporto, a nulla rileverebbe a che titolo (se per rinnovo o per mera proroga) ne sia disposta la prosecuzione: la revisione dei prezzi, stante la sua obbligatorietà (in base alla disciplina del tempo, pena la sua disapplicazione) nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, non sarebbe poi di per sé incompatibile con il rinnovo del contratto, come la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire, spettando all’esecutore a prescindere dalla qualificazione come rinnovi o proroghe.

7. I motivi di appello, che, stante la loro connessione, possono essere trattati unitariamente, sono tutti infondati.

7.1. La controversia si concentra sul profilo, in diritto, della qualificazione dei rapporti susseguitisi nel tempo all’originario affidamento in termini di proroga ovvero di rinnovo contrattuale.

7.2. In primo luogo, giova evidenziare in linea generale che la revisione prezzi (al tempo disciplinata per gli appalti di servizi o forniture dall’art. 115 del D.Lgs. n. 163 del 2006 che ha recepito la disposizione di cui all’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537) si applica ai contratti di durata, ad esecuzione continuata o periodica, trascorso un determinato periodo di tempo dal momento in cui è iniziato il rapporto e fino a quando lo stesso, fondato su uno specifico contratto, non sia cessato ed eventualmente sostituito da un altro.

Con la previsione dell’obbligo di revisione del prezzo i contratti di forniture e servizi sono stati muniti di un meccanismo che, a cadenze determinate, comporti la definizione di un “nuovo” corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto, conseguente alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale, con beneficio per entrambi i contraenti, sì da incidere sull’equilibrio contrattuale: in tal modo, se, per un verso, l’appaltatore vede ridotta, anche se non eliminata, l’alea propria dei contratti di durata, per altro verso la stazione appaltante vede diminuito il pericolo di un peggioramento della qualità o quantità di una prestazione, divenuta per l’appaltatore eccessivamente onerosa o, comunque, non remunerativa.

7.3. Il Collegio ritiene altresì opportuno richiamare, sinteticamente, i consolidati principi giurisprudenziali in subiecta materia.

L’istituto della revisione dei prezzi ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994; Cons. di Stato, Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985); dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052; Sez. III 4 marzo 2015 n. 1074; Sez. V 19 giugno 2009 n. 4079). Al contempo essa è posta, a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, 5 marzo 2018, n. 1337; Consiglio di Stato, Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074; in termini: Consiglio di Stato, Sez. III, 19 luglio 2011, n. 4362; Consiglio di Stato, Sez. V, 14 maggio 2010 n. 3019; Consiglio di Stato, Sez. V, 26 agosto 2010 n. 5954; Consiglio di Stato, Sez. V, 6 settembre 2007, n. 4679).

È stato anche chiarito che l’inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo (obbligatoria secondo la disciplina del tempo), sulla base di un’istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell’amministrazione, non comporta anche il diritto all’automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l’Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti (Cons. di Stato, sez. III. 6 agosto 2018, n. 4827; Sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25; 19 giugno 2018, n. 3768).

In tal senso si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza, rilevando altresì che la posizione dell’appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuare la revisione in base ai risultati dell’istruttoria, poiché questa è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l’interesse pubblico connesso al risparmio di spesa, ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato.

La giurisprudenza ha inoltre affermato che l’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con la prima solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione – su istanza di parte – di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo.

7.4. Tanto premesso in linea generale, è dirimente, come poc’anzi accennato, ai fini della presente decisione sul diritto del Consorzio ricorrente alla revisione dei prezzi, qualificare anzitutto i contratti sottoscritti e stipulati con il Comune di Pomezia come proroghe contrattuali o come rinnovi. Nel caso in cui l’appaltatore abbia espresso la propria volontà di rinnovare il rapporto contrattuale è in re ipsa che lo stesso accetti la nuova determinazione del prezzo e non avrà diritto alla sua revisione, che invece spetterà nel caso in cui si sia concordato il mero slittamento temporale del termine del servizio.

La revisione dei prezzi dei contratti si applica, infatti, solo alle proroghe contrattuali, come tali previste ab origine negli atti di gara ed oggetto di consenso “a monte”, ma non anche agli atti successivi al contratto originario con cui, mediante specifiche manifestazioni di volontà, è stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario per quanto concerne la remunerazione del servizio, senza che sia stata avanzata alcuna proposta di modifica del corrispettivo (Consiglio di Stato, Sez. III, 22 gennaio 2016, n. 209: in termini: Consiglio di Stato, Sez. III, 18 dicembre 2015, n. 5779; Consiglio di Stato, Sez. V, 25 novembre 2015, n. 5356; Consiglio di Stato, Sez. III, 11 luglio 2014, n. 3585).

7.5. Il criterio distintivo tra proroga e rinnovo va individuato, dunque, nell’elemento della novità: ricorre un’ipotesi di proroga solo allorquando vi sia integrale conferma delle precedenti condizioni (fatta salva la modifica di quelle non più attuali), con il solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, per il resto regolato dall’atto originario (cfr. in termini Cons. di Stato, III, 9 maggio 2012, n. 2862; Cons. di Stato, III, 23 marzo 2012, n. 1687). Anche la sola modifica del prezzo comporta, invece, un’ipotesi di rinnovo, nella quale non ha luogo la revisione del prezzo (il cui scopo è già realizzato in virtù del suo adeguamento).

Insomma, se cambia la fonte del rapporto e sussistendo una nuova negoziazione, l’appaltatore non potrà invocare l’adeguamento dei prezzi, pur se la prestazione persiste nei termini precedenti.

7.6. Orbene, il Collegio qui rileva che la sentenza di prime cure ha correttamente applicato tali principi.

7.7. Il Consorzio appellante ha fruito di rinnovo, per oggettiva volontà delle parti espressa nel contratto del 12 marzo 2013, e non di una mera proroga, che è spostamento della sola scadenza e prosecuzione alle stesse condizioni.

7.7.1. Infatti, il contratto del 12 marzo 2013 consegue a scadenza del precedente e all’indisponibilità dell’A.T.I. affidataria a proseguire nella gestione del servizio: quello che segue è nuovo accordo con il solo Consorzio mandatario e senza la mandante Aimeri; dal che un mutamento soggettivo fondamentale a cui si è accompagnata una rivolizione novativa dell’oggetto.

A quest’ultimo riguardo, si osserva che l’atto aggiuntivo del 2013 (seguito al provvedimento sindacale n. 89/2012 di affidamento del servizio al solo Consorzio) costituisce una specifica manifestazione di volontà con cui è stato dato corso tra le parti ad un distinto, nuovo e autonomo rapporto giuridico, ancorché di contenuto analogo (quanto, in particolare, all’oggetto dell’appalto, inerente all’affidamento del medesimo servizio di igiene urbana nel territorio comunale) a quello originario.

7.7.2. Risulta a questo punto irrilevante la circostanza che il servizio non sia stato mai interrotto, ma sia proseguito fino alla consegna all’aggiudicatario della nuova gara, e che nella determinazione dirigenziale recante il relativo impegno di spesa, richiamata da parte appellante, si sia fatto riferimento alla “proroga del servizio”: si tratta, infatti, di elementi estrinseci, di rilievo indiziario in un’ottica di corretto inquadramento della fattispecie, ma comunque superabili da indici interpretativi di maggior rilievo sostanziale, quali quelli poc’anzi segnalati.

7.7.3. Del pari è irrilevante che entrambe le fattispecie a confronto, proroga e rinnovo, condividano una serie di aspetti procedurali, quale la propedeutica fase istruttoria ad opera dell’Amministrazione.

Diversa è infatti la pregnanza dell’istruttoria richiesta nei due casi poiché, mentre nell’ipotesi della proroga rimangono fermi i requisiti fattuali e le condizioni originariamente previste - con la conseguenza che l’Amministrazione deve compiere una valutazione volta unicamente a verificare se l’interesse pubblico, nella sua attuale conformazione, possa essere ancora soddisfatto attraverso il regime (“medesimo rapporto”) ormai consolidatosi, già dettato dal precedente atto amministrativo- viceversa, nel caso di rinnovo, trattandosi di un “nuovo rapporto” tra le parti, l’Amministrazione ha il dovere di svolgere una nuova valutazione e comparazione di interessi assolutamente identica, dal punto di vista procedimentale, a quella originariamente compiuta in sede di rilascio del primo provvedimento, non potendosi riconoscere all’originario assetto del rapporto alcuna efficacia ormai consolidata (rispetto al futuro). In sostanza, nel caso di rinnovo l’Amministrazione non è tenuta solo a verificare se medio tempore siano intervenuti elementi (giuridici o fattuali) nuovi e rilevanti tali da imporre una modifica del precedente regime – come nel caso appunto della mera proroga – ma è deputata anche (e soprattutto) a sindacare nuovamente le valutazioni già compiute illo tempore, sotto il profilo della opportunità e della legittimità, al momento della adozione del primo titolo (in sostanza, non solo l’an ma anche il quomodo dell’azione amministrativa).

7.8. Nel caso di specie, alla luce degli atti depositati in giudizio, si versa senz’altro in ipotesi di rinnovo.

7.8.1. Molteplici elementi depongono, infatti, in tal senso.

7.8.2. Vi è anzitutto da osservare che, quando il Comune ha inteso adottare meri atti di proroga, lo ha fatto espressamente (cfr. atto aggiuntivo al primo contratto di appalto n. 6307 del 2007, recante la proroga fino al 5 dicembre 2012), riferendosi in modo chiaro alla necessità di predisporre l’attivazione della proroga contrattuale, agli stessi prezzi, patti e condizioni di cui al contratto stipulato, con espressa opzione per l’estensione del servizio (cfr. in particolare ordinanze n. 44 del 10 maggio 2012 e n. 58 del 5 giugno 2012 che espressamente richiamano: a) la scadenza imminente dell’appalto, prevista per il 5 giugno 2012; b) le pattuizioni di cui all’art. 7 del contratto del 2007 che prevedevano l’obbligo dell’appaltatore a proseguire l’esecuzione del servizio in proroga per un tempo di sei mesi dalla sua scadenza; c) la necessità di completare l’iter amministrativo per la redazione degli atti della nuova gara).

7.8.3. Inoltre, a siffatta conclusione (corretta alla stregua dei principi e delle coordinate ermeneutiche sopra richiamate) il primo giudice è a ragione pervenuto, soprattutto, avuto riguardo alla modificazione soggettiva intervenuta in seno all’originaria A.T.I. ed al nuovo contratto n. 8760 del 2013, preceduto da autonoma determinazione dirigenziale a contrarre n. 293/DIR 10 dell’11 dicembre 2012. Peraltro, come si dirà innanzi, tale nuovo accordo ha contemplato specifiche clausole al suo interno, anch’ esse negoziate tra le parti.

7.8.4. Si è dunque trattato di rinnovo del contratto originario (e non di mera proroga) posto che non si è verificato il mero spostamento in avanti del termine di scadenza del rapporto, bensì la rinegoziazione del complesso delle condizioni contrattuali, preceduta da autonoma istruttoria dell’Amministrazione, diretta a verificarne l’attuale convenienza, cui è seguito, senz’altro, un rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale.

7.9. Tanto emerge, inequivocabilmente, dagli sviluppi procedimentali bene richiamati nella sentenza appellata e posti a fondamento della decisione di rigetto del ricorso.

7.9.1. Con nota prot. n. 8565 del 12 settembre 2012 è stata comunicata l’indisponibilità dell’intero raggruppamento di imprese al proseguimento del rapporto contrattuale in A.T.I.

7.9.2. Con ordinanza n. 89 del 4 dicembre 2012, al fine di garantire la prosecuzione del servizio per motivi correlati all’igiene e alla sanità pubblica, ne è stato disposto l’affidamento al Consorzio.

In particolare, in detta ordinanza sindacale, richiamati nelle premesse il contratto del 12 settembre 2012 tra il Comune e l’A.T.I. (quale atto aggiuntivo al contratto originario e regolante la sua proroga) e la comunicazione del novembre 2012 con cui il Consorzio mandatario ha comunicato l’indisponibilità della mandante Aimeri “a proseguire il rapporto contrattuale in A.T.I.”, si è dato atto della necessità di “farsi carico di predisporre in proprio idonei ed urgenti interventi tesi a fronteggiare eventuali emergenze di natura igienico sanitarie e a salvaguardare e a tutelare la salute pubblica e l’ambiente” e della ricorrenza dei presupposti di necessità ed urgenza per procedere all’affidamento temporaneo del servizio rifiuti “per sei mesi e comunque fino alla consegna dell’appalto al nuovo soggetto aggiudicatario della gara espletanda”.

Il presupposto dell’affidamento ivi disposto al solo Consorzio non è dunque la scadenza del contratto in essere e la necessità di differirla, ma l’esigenza di far fronte a situazioni di emergenza a tutela della salute pubblica e dell’ambiente.

7.9.3. Inoltre, al successivo contratto del 12 marzo 2013 non ha più preso parte l’originario raggruppamento, ma il solo Consorzio, stante la dichiarata indisponibilità dell’Aimeri Ambiente a proseguire l’originario servizio: con esso le parti non si sono perciò limitate a spostare in avanti il termine stabilito, ma hanno disciplinato, rinegoziandolo, l’intero accordo, formalizzando le rispettive volontà e regolamentando i reciproci obblighi.

7.9.4. Alla luce delle considerazioni svolte, non ricorre, nel caso oggetto di giudizio, mera proroga, trattandosi di nuova e distinta manifestazione di volontà resa da soggetti in parte qua diversi da quelli di cui all’originario contratto. L’innegabile diversità, sotto il profilo oggettivo e oggettivo, delle due fattispecie susseguitesi nel tempo infrange l’unitarietà della vicenda contrattuale, con impossibilità di ricondurre le pattuizioni intercorse tra le parti ad un medesimo unico accordo.

7.9.5. Sussiste, in definitiva, il prioritario presupposto individuato dalla giurisprudenza per distinguere tra rinnovo e proroga: il primo comportante una nuova negoziazione con il medesimo soggetto che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali; la seconda consistente nel solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario.

7.9.6. A fronte di un nuovo contratto tra le parti e in presenza di una rinnovata manifestazione di volontà è da escludersi che sussista un’ipotesi di mera proroga, assoggettabile alla revisione dei prezzi (Cons. di Stato, III, 24 gennaio 2019, n. 613).

Ne consegue che è infondata la tesi prospettata dall’appellante secondo cui il fondamento del rapporto di cui all’atto aggiuntivo del 2013 andrebbe identificato nel contratto del luglio 2007: esso va invece rinvenuto nell’ordinanza sindacale n. 89/2012 nella quale si dava atto dell’impossibilità di proroga del contratto a causa dell’indisponibilità dell’appaltatrice e della necessità di garantire comunque il servizio, cui seguiva tra le parti autonoma e distinta convenzione. Non rileva, pertanto, la circostanza che l’ordine di prosecuzione del servizio sia stato in origine unilateralmente imposto dall’ordinanza sindacale, stante la successiva stipulazione, con rilievo assorbente, di apposito e nuovo contratto tra il Comune e il Consorzio.

In definitiva, si è trattato di autonomo affidamento al solo Consorzio, con soluzione del rapporto in essere e costituzione di un nuovo rapporto contrattuale. La revisione prezzi è stata, pertanto, legittimamente prevista (cfr. accordo bonario del 31 luglio 2012) dal 1 gennaio 2012 fino alla scadenza del contratto (il 5 dicembre 2012, tenuto conto dell’intervenuta proroga intercorsa dal 5 giugno 2012), liquidata per il corrispondente periodo (determinazione 77/DIR/10 del 22 maggio 2014) e negata per quello successivo.

7.9.7. Le argomentazioni dell’appellante non scalfiscono la correttezza del ragionamento posto a fondamento delle statuizioni di prime cure che correttamente hanno inquadrato la vicenda nell’ambito di un nuovo rapporto contrattuale.

7.9.8. Avvalora poi la correttezza di tale interpretazione la clausola contenuta nell’art. 2 del nuovo contratto ove si statuisce che il Comune affida all’appaltatore, che accetta, l’appalto di seguito specificato, prevedendo che i servizi del presente contratto vengono specificati nell’allegato capitolato speciale d’appalto e che solo per quanto non esplicitamente menzionato si rinvia a quanto stabilito nel contratto del 2007 e ai relativi capitolati.

È dunque evidente che il richiamo al precedente contratto è stato effettuato con valenza meramente integrativa (nei limiti di quanto non esplicitamente menzionato) e non sostitutiva del nuovo diverso accordo sottoscritto dalle parti.

L’atto aggiuntivo contiene, infatti, la rinegoziazione delle condizioni contrattuali quanto, ad esempio: a) alla durata (fissata in sei mesi dalla data di avvio del servizio avvenuta il 6 dicembre 2012, con possibilità di proroga alla scadenza alle medesime condizioni per un ulteriore periodo e con obbligo in ogni caso per l’appaltatrice di continuare a prestare la sua opera); b) all’ammontare dell’appalto e alle modalità dei pagamenti (con previsione di un corrispettivo semestrale autonomamente stabilito); c) alla costituzione di un’autonoma cauzione “a garanzia della perfetta ed integrale esecuzione del presente contratto”d) al personale (con specifico impegno alla riassunzione dei dipendenti provenienti dal precedente appalto); e) finanche alla regolamentazione delle spese contrattuali (“inerenti e conseguenti al presente atto …ad esclusivo carico della ditta aggiudicataria”).

7.9.9. Per le ragioni esposte, è ininfluente che la prosecuzione del servizio sia stata inizialmente disposta con ordinanza contingibile e urgente: l’atto aggiuntivo costituisce, infatti, nuova ed autonoma estrinsecazione della comune volontà negoziale delle parti, manifestata nelle clausole contrattuali che la ditta affidataria ha dichiarato espressamente di accettare.

8. In conclusione, l’appello va respinto.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante Consorzio Nazionale Servizi Soc. Coop. alla rifusione delle spese di giudizio a favore del costituito Comune di Pomezia che liquida forfettariamente in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre oneri e accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020.

 

 

Guida alla lettura

Con la pronuncia del 16 giugno 2020 la V Sezione del Consiglio di Stato ha soffermato la sua attenzione sul tema della revisione dei prezzi del contratto di appalto.

In materia di contratti pubblici l’originario principio della immodificabilità del prezzo pattuito è stato demolito con l’introduzione dell’art. 115 nel previgente Codice appalti (d.lgs. n. 63/2006) il quale introduce nel settore della contrattualistica pubblica un meccanismo similare a quello di cui all’art. 1664 c.c., in tema di revisione del prezzo del contratto di appalto privatistico.

Si afferma, così, che il contratto pubblico deve necessariamente recare una clausola di revisione periodica del prezzo (il comma 1 dell’art. 115 cit., infatti, afferma che: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo).

La giurisprudenza amministrativa, pronunciatasi al riguardo, ha chiarito che lo scopo di tale clausola è quello di tutelare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi da parte degli appaltatori delle P.A. non subiscano col tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295; Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994).

L’assenza o l’illegittimità di tale clausola comporta l’applicazione della normativa civilistica (artt. 1339, 1419 c.c.).

Con l’introduzione del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) la disciplina della revisione dei prezzi trova una nuova sedes materiae (art. 106, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 50 cit.).

La nuova previsione legislativa dispone che: “Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti: a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro. Per i contratti relativi ai lavori, le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate, sulla base dei prezzari di cui all’articolo 23, comma 7, solo per l’eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà. Per i contratti relativi a servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208). Ai sensi della disposizione da ultimo citata, poi, “qualora si sia verificata una variazione nel valore dei predetti beni, che abbia determinato un aumento o una diminuzione del prezzo complessivo in misura non inferiore al 10 per cento e tale da alterare significativamente l’originario equilibrio contrattuale, come accertato dall’autorità indipendente preposta alla regolazione del settore relativo allo specifico contratto, ovvero, in mancanza dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’appaltatore o il soggetto aggregatore hanno facoltà di richiedere, con decorrenza dalla data dell’istanza presentata ai sensi del presente comma, una riconduzione ad equità o una revisione del prezzo medesimo”.

Dal semplice raffronto tra le due disposizioni di legge (quella del codice del 2006 e quella del codice 2016) è dato comprendere come l’avvento della nuova disciplina in materia ha comportato un ampliamento di operatività della stessa: mentre, infatti, l’originario art. 115 cit. espressamente limitava la possibilità di revisionare in via periodica il prezzo nei soli casi di contratti di servizi o forniture; l’attuale art. 106 cit. estende tale facoltà anche ai casi di contratti di lavoro.

Ultimo aspetto di rilievo attiene al profilo della giurisdizione: l’originaria querelle interpretativa appare oggi fortemente ridimensionata, se non del tutto superata, dal Codice del processo amministrativo. L’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 c.p.a., infatti, espressamente sancisce la giurisdizione esclusiva del g.a. per tutte le controversie “…relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica”.

Così inquadrata la tematica in oggetto, va rilevato come i Giudici, al fine di qualificare i rapporti susseguitesi nel tempo all’originario affidamento in termini di proroga ovvero di rinnovo contrattuale, focalizzano l’attenzione sull’istituto della revisione del prezzo.

Tale meccanismo che, a cadenze determinate, comporta la definizione di un “nuovo” corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto, conseguente alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale, produce un duplice beneficio diretto a entrambi i contraenti, tale da incidere sull’equilibrio contrattuale.

Così, da un lato, l’appaltatore vede ridotta, anche se non eliminata, l’alea propria dei contratti di durata, dall’altro, la stazione appaltante vede diminuito il pericolo di peggioramento della qualità o quantità di una prestazione, divenuta per l’appaltatore eccessivamente onerosa o, comunque, non remunerativa.

L’istituto della revisione dei prezzi, afferma il Collegio, “ha la finalità di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse (incidente sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta), e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte; dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto. Al contempo essa è posta, a tutela dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi sopraggiunte durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una surrettizia riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni”.

Soffermando l’attenzione sulle modalità attraverso le quali procedere all’effettiva revisione del prezzo di un contratto e sulla corrispondente situazione giuridica soggettiva insistente in capo al privato, poi, la Sezione rileva come l’inserzione di una clausola sulla base di un’istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell’amministrazione (l’innanzi citato art. 106 d.lgs. n. 163/2006 - disciplina applicabile allo specifico caso oggetto di disamina da parte dei Giudici – dispone(va) che “…la revisione avviene sulla base di un’istruttoria condotta dalla P.A.”) non comporta anche il diritto all’automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l’Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti.

La posizione dell’appaltatore va dunque correttamente qualificata in termini di interesse legittimoquanto alla richiesta di effettuare la revisione in base ai risultati dell’istruttoria, poiché questa è correlata a una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante, che deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l’interesse pubblico connesso al risparmio di spesa, e alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato

Richiamando granitica giurisprudenza pronunciatasi in materia, inoltre, i Giudici sostengono che “l’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con la prima solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione – su istanza di parte – di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo”.

Cosi delineato l’istituto della revisione dei prezzi, la Corte rileva come esso possa trovare applicazione esclusivamente rispetto ai casi di proroghe contrattuali “come tali previste ab origine negli atti di gara ed oggetto di consenso “a monte”, ma non anche agli atti successivi al contratto originario con cui, mediante specifiche manifestazioni di volontà, è stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario per quanto concerne la remunerazione del servizio, senza che sia stata avanzata alcuna proposta di modifica del corrispettivo”.

Particolare rilievo assume, allora, la distinzione tra proroga e rinnovo del contratto, la quale poggia sull’esistenza del criterio della novità: ricorre un’ipotesi di proroga solo allorquando vi sia integrale conferma delle precedenti condizioni (fatta salva la modifica di quelle non più attuali), con il solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, per il resto regolato dall’atto originario. Anche la sola modifica del prezzo comporta, invece, un’ipotesi di rinnovo, nella quale non ha luogo la revisione del prezzo (il cui scopo è già realizzato in virtù del suo adeguamento).

In conclusione, sostiene il Collegio, “se cambia la fonte del rapporto e sussistendo una nuova negoziazione, l’appaltatore non potrà invocare l’adeguamento dei prezzi, pur se la prestazione persiste nei termini precedenti”.