Consiglio di Stato, Sez. V, 4 maggio 2020, n. 2796
La clausola sociale, sebbene preordinata alla promozione della stabilità occupazionale, deve essere interpretata evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; con l’ulteriore corollario che l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante
Osserva il Collegio che la clausola sociale, in base alla quale è fatto obbligo in capo al nuovo gestore di riassumere i dipendenti della precedente gestione (art. 50 d. lgs. n. 50/2016), deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali ed eurocomuni in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza. In caso contrario, la stessa risulterebbe lesiva della concorrenza, operando nel senso di scoraggiare la partecipazione alla gara e di limitare ultroneamente la platea dei partecipanti, incidendo in guisa non proporzionata sulla libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto[1].
Pertanto, il plausibile obiettivo di favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori non può operare a detrimento delle proporzionate esigenze organizzative dell’impresa subentrante, qualora questa ritenga di potere ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, ottenendo in questo modo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento.
LEGGI LA SENTENZA
Pubblicato il 04/05/2020
N. 02796/2020REG.PROV.COLL.
N. 08582/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8582 del 2019, proposto da
Serenissima Ristorazione S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Calgaro e Andrea Manzi, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, alla via Confalonieri, n. 5;
contro
Comune di Reana del Rojale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Cabrini, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
Centrale unica di committenza per i Comuni di Reana del Rojale e di Magnano in Riviera, Comune di Magnano in Riviera, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Dussmann Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luca Raffaello Perfetti, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, sez. I, n. 387/2019, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Reana del Rojale e di Dussmann Service S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2020 il Cons. Giovanni Grasso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con determina n. 243 del 27 luglio 2018, la Centrale unica di committenza per i Comuni di Reana del Rojale e Magnano in Riviera indiceva una procedura evidenziale per l’assegnazione del servizio, a ridotto impatto ambientale, di refezione per le scuole e per i dipendenti del comune di Reana del Rojale (lotto 1) e di Magnano in Riviera (lotto 2).
All’esito della acquisizione della valutazione comparativa delle offerte, risultava aggiudicataria per entrambi i lotti Dussmann Service s.r.l., che superava anche il vaglio giustificativo della ritenuta anomalia della formulata proposta negoziale.
2.- Con rituale ricorso dinanzi al TAR per il Friuli Venezia Giulia, Serenissima Ristorazione s.p.a., seconda classificata nella graduatoria finale inerente il lotto n. 1, impugnava la relativa aggiudicazione, sul critico assunto, affidato ad unico ed articolato motivo di gravame, della manifesta inadeguatezza della operata verifica di anomalia.
Segnatamente, a fronte di un utile stimato pari ad € 4.795,78 l’aggiudicataria controinteressata: a) avrebbe asseritamente sottostimato il costo del personale previsto in organico; b) non avrebbe rispettato i costi tabellari ministeriali; c) avrebbe abusivamente valorizzato tassi di assenteismo e altri fattori di riduzione del costo orario degli attuali dipendenti e di quelli da assumere in forza della scolpita clausola sociale; d) avrebbe abusivamente inquadrato e valorizzato plurime figure professionali, a cominciare dal direttore del Servizio, inquadrato al 4° livello, in luogo che al pertinente 2° livello, del CCNL.
3.- Con la sentenza in epigrafe, resa in forma semplificata nel rituale contraddittorio delle parti, il primo giudice respingeva il ricorso, sul complessivo ed argomentato assunto:
a) che le valutazioni della stazione appaltante in ordine alla congruità dell’offerta potessero essere sindacate dall’autorità giudiziaria solo in caso di macroscopica erroneità o irragionevolezza o di decisivo errore di fatto, non ricorrente nella specie;
b) che la ridetta valutazione di congruità, il cui fine ultimo era l’accertamento dell’affidabilità dell’offerta nel suo complesso, dovesse essere operata globalmente e non limitata ai singoli elementi dell’offerta;
c) che i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali – lungi da costituire un limite inderogabile – rappresentassero un mero parametro per la valutazione di congruità, con la conseguenza che l’eventuale scostamento delle relative voci di costo da tali parametri non legittimasse, di per sé, un giudizio di insuperabile anomalia, dovendosi considerare anormalmente basse solo le offerte che si fossero discostate in modo evidente da tali valori medi;
d) che la stazione appaltante, nel valutare la congruità dell’offerta, avesse correttamente tenuto in doverosa considerazione le particolarità dell’organizzazione imprenditoriale e, segnatamente, le economie di scala conseguibili;
e) che la scelta dell’inquadramento contrattuale del lavoratore rientrasse nella non sindacabile autonomia negoziale delle parti.
4.- Avverso la ridetta statuizione insorge, con atto di appello notificato nei tempi e nelle forme di rito, Serenissima Ristorazione s.p.a., che ne argomenta la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l’integrale riforma.
Nella resistenza del Comune di Reana del Rojale e di Dussmann Service s.r.l., alla pubblica udienza del 23 aprile 2020 la causa è stata riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato e va respinto.
2.- Sotto un primo profilo censorio, l’appellante lamenta che la controinteressata avrebbe operato, nel computo del costo della manodopera, uno scostamento “eccessivo e non giustificato” rispetto ai valori risultanti dalle pertinenti tabelle ministeriali, palesandosi, sul punto, illogica ed immotivata la decisione operata dalla stazione appaltante in ordine alla ritenuta congruità e sostenibilità dell’offerta.
2.1.- Il motivo non è persuasivo.
Importa premettere, in termini generali, che, relativamente ai “costi della manodopera”, il d.lgs. n. 50/2016 prevede:
a) che, in chiave prefigurativa, la stazione appaltante ne indichi espressamente l’ammontare nel corpo degli atti indittivi della procedura evidenziale, ai fini della determinazione dell’importo complessivo posto a base di gara (art. 23, comma 16), facendo, all’uopo, riferimento parametrico al “costo del lavoro” desunto dalle tabelle elaborate annualmente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali “sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali” ovvero, in mancanza di contratto collettivo applicabile, al “contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione”;
b) che – con esclusione degli affidamenti per importi inferiori alla soglia di cui all’art. 36, comma 2 lettera a) e dei servizi di natura intellettuale – ciascun operatore concorrente sia onerato (a pena di esclusione: cfr. Cons. Stato, ad, plen., 28 ottobre 2019, n. 11) della (autonoma e) separata evidenziazione, nel complessivo corpo della propria offerta economica, dei “propri costi” (art. 95, comma 10), vale a dire della concreta ed individualizzata struttura della corrispondente voce di costo;
c) che – in presenza di uno scostamento al ribasso tra i parametri tabellari inerenti e quelli propositivamente articolati – la stazione appaltante attivi (in ogni caso: cfr. art. 95, comma 10 ad finem) la verifica di anomalia (art. 97, comma 5 lettera d), con il vincolo alla (automatica) esclusione di offerte per le quali il “costo del personale” risultasse “inferiore ai minimi salariali retributivi”, che – in quanto “inderogabili” per privata autonomia – sono sottratti alla facoltà giustificativa (art. 97, comma 6).
Si tratta, con ogni evidenza, di un profilo di peculiare rilievo, essendo il sistema complessivamente informato al canone del rispetto degli obblighi gravanti sugli operatori economici in relazione alla normativa ed alla disciplina contrattuale lavoristica (art. 30, commi 3 e 4).
Nondimeno, per consolidato intendimento, il riferimento alle ridette tabelle ministeriali assume (a dispetto della formula linguistica alquanto impropriamente adoperata all’art. 97, comma 5 cit.) il valore di espressione del “costo medio orario” del lavoro, elaborato (come già previsto dall’art. 86, comma 3 bis del d. lgs. n. 163/2016) su basi statistiche: onde esse non rappresentano (a differenza delle retribuzioni minime) un limite inderogabile per gli operatori economici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell'offerta (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2018, n. 2691; Id., sez. III, 18 settembre 2018 n. 5444; Id., sez. V, 6 febbraio 2017, n. 501; Id., sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4912).
Conclusione avvalorata dal richiamato art. 95, comma 10 che – evocando l’indicazione di “propri” costi di manodopera – sottende, con ogni evidenza, il carattere non rigido e, quindi, soggettivamente modulabile, della relativa articolazione: con il corollario che il mero scostamento dai dati tabellari, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un automatismo espulsivo, rilevando solo se obiettivamente sproporzionato, concretamente ingiustificato e presumibilmente idoneo a compromettere la (complessiva) affidabilità dell’offerta.
2.2.- Ciò posto, nella vicenda in esame, in sede di giustificazione dell’anomala struttura dei costi per il personale, Dussmann service s.r.l. ha evidenziato:
a) la possibilità di azzerare la voce relativa alla “rivalutazione del TFR”, pur prevista nelle tabelle ministeriali, alla luce della normativa sopravvenuta che, per le imprese con più di cinquanta dipendenti, non prevedeva più l’obbligo di procedere alla periodica rivalutazione delle somme accantonate;
b) l’operato abbattimento della percentuale di adesione al “fondo di previdenza complementare”, in concreto incidente, sul proprio complessivo personale, per una percentuale pari al 4,437%;
c) l’abbattimento dell’aliquota IRAP, nulla per i lavoratori a tempo indeterminato ex art. 1, comma 20 l. 23 dicembre 2014, n. 190;
d) la valorizzazione dei tassi di assenteismo reali per “malattia, infortunio e maternità” e per “permessi e assemblee”, elaborati annualmente sulla base della media riferita ai tassi di assenteismo realmente accertati nell’esecuzione delle proprie commesse.
2.3.- L’appellante contesta rilevanza e congruità di tali giustificazioni, in quanto:
a) la controinteressata avrebbe applicato costi orari non solo inferiori a quelli relativi al febbraio 2018, ma addirittura più bassi di quelli indicati nelle tabelle ministeriali del 2013;
b) l’individuazione dei costi sarebbe avvenuta in base al proprio “costo storico”, pur in presenza di una “clausola sociale” che avrebbe, vincolativamente, imposto l’assunzione del personale già alle dipendenze del gestore uscente, con il proprio, specifico profilo (e carico) di anzianità;
c) il significativo scostamento dalle tabelle ministeriali non avrebbe potuto essere giustificato in base ai dati dell’assenteismo (per malattia, gravidanza e infortunio) risultanti dalle (mere) statistiche aziendali: trattandosi, per un verso, di elementi aleatori e, per distinto e concorrente verso, di profili rigidi, correlati a diritti dei lavoratori e non gestibili né modulabili ex ante in prospettiva organizzativa;
d) non sarebbero stati computati i maggior costi riconnessi al corretto inquadramento di talune figure di coordinamento componenti il suo organico e precisamente, con particolare riferimento al preposto alla direzione del servizio (inquadrata al 4° livello del CCNL anziché al 2° livello), ai costi relativi alle figure della dietista (prospetticamente impiegata su entrambi i lotti oggetto di gara) e del coordinatore del servizio;
e) l’utilizzo di tirocinanti e apprendisti sarebbe stato in contrasto con la tipologia di addetti previsti nell’organigramma dell’offerta tecnica presentata, non garantendo le professionalità, e quindi il livello di servizio, dichiarati;
f) non sarebbe stato previsto, come necessario, il costo per materie prime e personale per i pasti da fornire agli alunni e gli animatori dei centri estivi.
2.4.- Le censure non sono condivisibili.
Premesso che non risultano, in concreto, derogati i trattamenti salariali minimi (il che avrebbe imposto l’automatica esclusione dell’offerta), osserva, anzitutto, il Collegio che, in relazione alle tabelle utilizzate, Dussmann Service s.r.l. si è limitata ad aggiornare la tabella “Costo orario del lavoro per i dipendenti da aziende del settore Turismo – comparto Pubblici Esercizi Ristorazione collettiva”, relativa all’anno 2013 e pubblicata sul portale del Ministero del Lavoro, con i valori dei minimi tabellari stabiliti dal CCNL Pubblici Esercizi, Ristorazione e Turismo per i dipendenti dalle aziende dei settori pubblici esercizi, ristorazione collettiva e commerciale e turismo, di data 8 febbraio 2018 e decorrenza dal 1° gennaio 2018.
Non è, perciò, fondato, il rilievo – affidato dall’appellante alle precisazioni trasfuse nelle proprie memorie difensive – per cui sarebbero state (abusivamente) utilizzate le tabelle ministeriali pubblicate (solo) in data 27 giugno 2019 sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro, e quindi dopo la scadenza del termine per la presentazione dei giustificativi: dalla documentazione versata in atti risultando, per contro, che per la verifica di congruità sono state utilizzate le tabelle ministeriali del costo orario del lavoro all’epoca vigenti e risalenti al 2013, considerando, per l’appunto e correttamente, i minimi retributivi stabiliti dal CCNL in vigore dal 1° gennaio 2018.
2.5.- In relazione alla contestata operatività della clausola sociale – specificamente prevista da bando di gara e preordinata alla promozione della stabilità occupazionale, nel rispetto della contrattazione collettiva di categoria (cfr. art. 50 d. lgs. n. 50/2016) – osserva il Collegio che, in via di principio, non è revocabile in dubbio che la sua presenza assuma rilievo ai fini della verifica dell’anomalia dell’offerta, proprio perché gli operatori economici concorrenti sono obbligati a tenere conto, nel formulare l’offerta, del trattamento salariale e contrattuale già riconosciuto ai lavoratori assorbiti dal precedente appaltatore (al segno che l’art. 97, comma 5 lettera a) ha cura di specificare che debba postularsi anormalmente bassa e suscettibile di esclusione l’offerta non rispettosa degli obblighi in materia sociale stabiliti dalla normativa europea e nazionale, oltreché dai contratti collettivi).
Nondimeno, occorre considerare che, per consolidato orientamento (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. III, 9 novembre 2018, n. 6326 e Id., 27 settembre 2018, n. 5551), siffatta clausola deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali ed eurocomuni in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza: in caso contrario, la stessa risulterebbe lesiva della concorrenza, operando nel senso di scoraggiare la partecipazione alla gara e di limitare ultroneamente la platea dei partecipanti, incidendo in guisa non proporzionata sulla libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto.
Ne discende che tale clausola deve essere interpretata evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; con l’ulteriore corollario che l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 maggio 2017, n. 2078).
In definitiva, il plausibile obiettivo di favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori non può operare a detrimento delle proporzionate esigenze organizzative dell’impresa subentrante, la quale ritenga di potere ragionevolmente svolgere il servizio utilizzando una minore componente di lavoro rispetto al precedente gestore, e dunque ottenendo in questo modo economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento (cfr. Cons. St., sez. V, 7 giugno 2016, n. 2078; Id.., sez. III, 30 marzo 2016, n. 1255; Id., sez. VI, 27 novembre 2014, n. 5890).
A maggior ragione deve ammettersi l’estensione anche al personale assunto in forza della clausola sociale (ed analoghe considerazioni devono valere anche per il personale neoassunto, peraltro limitato a tre unità lavorative) dei medesimi fattori di riduzione del costo del lavoro applicabili al personale già alle dipendenze dell’assuntore subentrante, inclusi quelli relativi ai tassi di assenteismo reali per “malattia, infortunio e maternità” e “permessi e assemblee”.
Al riguardo, la società appellata ha non implausibilmente evidenziato (con valutazione ritenuta congrua dalla stazione appaltante) che la riduzione delle ore medie lavorate non era il frutto di una scelta casuale e discrezionale, quanto il risultato di attenti dati statistici, per di più rilevati nell’ambito dell’organizzazione aziendale di un operatore notoriamente leader nel settore della ristorazione.
2.6.- Con riferimento alla contestata valorizzazione del dato statistico aziendale relativamente all’assenteismo per malattia, gravidanza, infortunio o permesso a vario titolo, il Collegio osserva che – in assenza di macroscopici errori di valutazione – solo uno scostamento vistoso e significativo dalle indicazioni parametriche delle tabelle ministeriali avrebbe potuto indurre, a fronte del carattere complessivo e globale dell’apprezzamento della struttura dei costi, a ritenerne l’inadeguatezza (Cons. Stato, sez. III, 18 settembre 2018, n. 5444; non diverso, sul punto, l’intendimento di Cons. Stato, sez. III, 4 gennaio 2019, n. 90, pur richiamata dall’appellante quale precedente favorevole, che, in effetti, postula uno scostamento “veramente significativo” e concretamente “vistosissimo”, non dimostrato nella fattispecie in esame).
2.7.- In ordine ai residui profili, opina il Collegio:
a) che non abbia rilievo il contestato inquadramento della figura del direttore del servizio (al 4° in luogo che al 2° livello del contratto collettivo applicabile): e ciò non solo e non tanto in considerazione dell’autonomia negoziale riconosciuta alle parti, quanto in forza del rilievo – valorizzato dalla difesa dell’appellata – per cui in ogni caso la circostanza non sarebbe stata di per sé in grado di alterare l’esito delle giustificazioni, una volta operate, a proprio favore, le proporzionate riduzioni dei costi rispetto ai maggiori oneri tabellari;
b) che il monte ore settimanale della responsabile del servizio non era incompatibile con i parametri di cui al d.lgs. n. 66/2003, relativamente al ricorso al lavoro straordinario;
c) che gli oneri relativi alla figura della dietista fossero non arbitrariamente ricompresi, come espressamente chiarito in sede giustificativa, tra i costi generali;
d) che gli scatti di anzianità non riguardassero le tre figure ASM di nuova assunzione, trattandosi di scatti quadriennali, a fronte di un appalto di durata biennale;
e) che l’offerta formulata dall’aggiudicataria non prevedeva l’impiego di apprendisti e tirocinanti, il riferimento ai quali era stato operato, in guisa argomentativa, solo quale esempio di ulteriori e possibili risparmi di costo;
f) che anche con riferimento alla fornitura del servizio per gli alunni e gli animatori dei centri estivi l’aggiudicataria ha fornito indicazioni che non appaiono prima facie prive di plausibilità, in quanto plasmate sul rilievo della prevedibile rimodulazione delle relative esigenze prestazionali.
2.8.- Alla luce delle considerazioni che precedono, che valgono ad assorbire ogni altro rilievo e a rendere superflua la disamina delle eccezioni assorbite in prime cure e devolutivamente reiterate ad infringendum dall’appellata, l’appello merita di essere complessivamente respinto.
Sussistono, ad avviso del Collegio, giustificate ragioni – avuto riguardo alla peculiarità delle questioni emerse – per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2020 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Raffaele Prosperi, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
[1] In senso conforme, Cons. Stato, Sez. III, 18 settembre 2018, n. 5444; Id., Sez. III, 8 giugno 2018, n. 3471; Id., Sez. V, 17 gennaio 2018, n. 272. V. però, Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2020, n. 973; nonché il parere reso in tema di Linee guida recanti la disciplina delle clausole sociali (art. 50 d.lg. 18 aprile 2016, n. 50, come modificato dal d.lg. 19 aprile 2017, n. 56), secondo cui occorre che l'offerta debba contenere un vero e proprio « piano di compatibilità » o « progetto di assorbimento », nel senso che essa debba illustrare in qual modo concretamente l'offerente, ove aggiudicatario, intenda rispettare la clausola sociale, ovvero, detto altrimenti, spiegare come e in che limiti la clausola stessa sia compatibile con l'organizzazione aziendale da lui prescelta. Tale piano di compatibilità dovrebbe anche rendere esplicito quale concreta condotta l'aggiudicatario intenda adottare per rispettare l'obbligo nei confronti dei lavoratori interessati, condotta che dovrebbe coincidere con la formulazione di una vera e propria proposta contrattuale. Di contro, il bando di gara dovrebbe inserire tra i criteri di valutazione dell'offerta quello relativo alla valutazione del piano di compatibilità, assegnando tendenzialmente un punteggio maggiore, per tale profilo, all'offerta che maggiormente realizzi i fini cui la clausola tende (Cons. Stato, Comm. spec., 21 novembre 2018, n. 2703).