Consiglio di Stato, sez. V, 17 aprile 2020, n. 2464
1. Nel giudizio impugnatorio, la legittimazione ad agire spetta al soggetto che afferma di essere titolare della situazione giuridica sostanziale di cui lamenta l’ingiusta lesione per effetto del provvedimento amministrativo, posizione speciale e qualificata, che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo, mentre l’interesse al ricorso consiste nel vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa.Alla luce delle predette coordinate, bene ha fatto il giudice di primo grado a rilevare l’inammissibilità delle doglianze proposte dalla società avverso i provvedimenti con cui l’Amministrazione l’ha ammessa alla gara e le ha aggiudicato la procedura.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 3640 del 2014, proposto da
La Proxima s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ruggiero Musio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Badoero, 67;
contro
Comune di Volturara Irpina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Sorice, con domicilio eletto presso il signor Giuseppe Mazzitelli in Roma, via Eudo Giulioli, 47/B/18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno (sezione seconda) n. 420/2014, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Volturara Irpina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 27 febbraio 2020 il Cons. Anna Bottiglieri; nessuno comparso per le parti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con determina dirigenziale n. 1 del 12 agosto 2008 il Comune di Volturara Irpina indiceva gara per l’alienazione di un immobile adibito a casa per anziani, denominato “Casa Iapicca”, prevedendo, tra le condizioni di partecipazione, la costituzione di un deposito cauzionale pari a € 210.000, corrispondente al 15% del prezzo di stima dell’immobile individuato dall’Agenzia del territorio, mediante versamento della somma alla tesoreria comunale, in contanti o mediante assegno circolare non trasferibile.
La Proxima s.r.l., unica partecipante alla gara, ometteva il versamento della cauzione, presentando in sua vece una dichiarazione che autorizzava il Comune a trattenere il relativo importo dal maggior credito (€ 325.951,00) che la società, come da allegata attestazione comunale del 17 luglio 2008, vantava nei confronti del Comune medesimo in virtù della convezione stipulata nel 2000 per la gestione della struttura.
La commissione di gara con verbale n. 2/2008 si riservava di decidere sull’ammissione della società alla procedura, riserva che scioglieva positivamente all’esito dell’acquisizione di un parere legale sull’ammissibilità della cauzione mediante compensazione; indi con determina n. 42/2009, notificata all’interessata il 18 dicembre 2009, l’Amministrazione aggiudicava la gara alla società, stabilendo il termine ultimativo del 4 gennaio 2010 per la presentazione di quanto necessario per la stipula del contratto.
Poiché la società non dava riscontro alla predetta comunicazione, con determina n. 5/2010 l’Amministrazione stabiliva di incamerare il deposito cauzionale, come previsto dal bando e dalla citata determina n. 42/2009 per l’ipotesi di mancata presentazione dell’aggiudicatario alla stipula contrattuale nel termine previsto, detraendo contabilmente il relativo importo dal credito vantato dalla società nei confronti del Comune; l’incameramento veniva in tal modo effettuato con provvedimento dirigenziale n. 1/2010.
La società impugnava i provvedimenti n. 5/2010 e n. 1/2010 relativi all’incameramento della cauzione con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, che, nella resistenza dell’Amministrazione comunale, respingeva il ricorso con sentenza della seconda sezione n. 420/2014, compensando tra le parti le spese del giudizio.
La Proxima ha gravato la predetta sentenza, deducendo con un unico motivo error in iudicando, travisamento ed erroneità. Ha domandato la riforma della sentenza appellata e l’annullamento degli atti impugnati in primo grado.
Il Comune si è costituito in resistenza, concludendo con più memorie per la reiezione dell’appello, di cui ha illustrato l’infondatezza.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 27 febbraio 2020, preso atto dell’istanza a firma congiunta depositata dalle parti per la trattazione dell’appello sulla base delle depositate deduzioni.
DIRITTO
1. La sentenza appellata ha ritenuto inammissibili i due primi motivi del ricorso proposto da La Proxima s.r.l. avverso i provvedimenti con cui il Comune di Volturara Irpina ha disposto a danno della società, aggiudicataria della gara di cui in fatto bandita per l’alienazione di un immobile comunale, l’incameramento della cauzione versata in sede di partecipazione alla procedura, per mancata presentazione di quanto necessario per la stipula contrattuale, come da richiesta del Comune.
Il primo giudice ha ritenuto che detti motivi “pongono in discussione la validità di atti in ordine ai quali la parte non ha alcun interesse ad opporsi, trattandosi di provvedimenti assunti in adesione alla dichiarata volontà (ed al correlato interesse) della stessa di partecipare alla gara al fine di esserne proclamata aggiudicataria. In tal senso, la doglianza si traduce in un vero e proprio abuso del processo, ossia in uno sviamento della funzione di questo, che si realizza attraverso un’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 6 agosto 2012 n. 4510; Sez. III, 17 maggio 2012 n. 2859)”.
Al fine della comprensione di siffatta motivazione occorre premettere che con i motivi di ricorso dichiarati inammissibili la società aveva sostenuto: a) l’illegittimità della sua ammissione alla gara, per non aver presentato la cauzione nei termini previsti dal bando (versamento alla tesoreria comunale della relativa somma in contanti o mediante assegno circolare non trasferibile), bensì mediante autorizzazione alla compensazione parziale di un maggior credito vantato dalla società verso l’Amministrazione comunale; b) l’illegittimità dell’aggiudicazione della gara in suo favore, perché avvenuta senza avviso in data diversa da quella stabilita nel bando.
2. Tanto chiarito, può passarsi allo scrutinio del primo mezzo dell’appello proposto dalla società, che si dirige avverso la predetta declaratoria di inammissibilità.
3. Con detto mezzo si sostiene che la conclusione del primo giudice è erronea, in quanto la società ha sicuramente interesse ad agire avverso l’incameramento della cauzione, che ha leso con caratteri di attualità e concretezza la propria sfera giuridica, di cui ha chiesto la reintegrazione mediante la proposta domanda demolitoria.
La società ribadisce pertanto anche in questa sede, richiamando le regole che governano da un lato la materia della contabilità pubblica e dall’altro le procedure a evidenza pubblica, l’illegittimità dell’accettazione da parte del Comune della compensazione operata dalla società in luogo del versamento del deposito cauzionale mediante contanti o assegno circolare non trasferibile, per violazione dell’art. 3 del bando della procedura, che ai fini della costituzione della cauzione prevedeva esclusivamente tali modalità, e dell’art. 12, comma 3, della delibera consiliare n. 7/2008 che, nell’approvare il regolamento per l’alienazione dei beni immobili comunali, stabilisce che “non sono ammesse offerte non presentate secondo le modalità del bando”. Conclude che l’anomala modalità di costituzione della cauzione da parte della società ha inficiato l’intera procedura di gara, ledendo la par condicio e l’interesse legittimo degli altri potenziali concorrenti, che non hanno partecipato alla procedura non ipotizzando di poter usufruire della compensazione in luogo del versamento della cauzione. La società evidenzia inoltre che l’asta pubblica non si è svolta nel giorno previsto dal bando, ovvero il 13 ottobre 2008, essendo stata lungamente sospesa.
Conclude pertanto per l’illegittimità della sua ammissione alla gara e della conseguente aggiudicazione della procedura in suo favore, nonchè, in conseguenza, dell’incameramento della cauzione.
3.1. Le predette doglianze sono completamente destituite di fondamento.
3.2. L’appellante non può infatti invocare né l’illegittimità dei provvedimenti con cui l’Amministrazione l’ha ammessa alla procedura e le ha aggiudicato la gara, nè l’illegittimità in via derivata degli atti di incameramento della cauzione.
3.2.1. Quanto ai provvedimenti di ammissione e di aggiudicazione, si osserva che il processo amministrativo non costituisce una giurisdizione di diritto oggettivo, volta a ristabilire una legalità che si assume violata, ma ha la funzione di dirimere una controversia fra un soggetto che si afferma leso in modo diretto e attuale da un provvedimento amministrativo e l’amministrazione che lo ha emanato (di recente, Cons. Stato, V, 9 dicembre 2019, n. 8399; precedentemente, 19 febbraio 2007, n. 826).
In particolare, il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende a un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione (Cons. Stato, II, 20 giugno 2019, n. 4233).
Le condizioni soggettive per agire in giudizio sono, come noto, la legittimazione processuale, cosiddetta legittimazione ad agire, e l’interesse a ricorrere (Cons. Stato, IV, 21 gennaio 2019, n. 508).
Nel giudizio impugnatorio, la legittimazione ad agire spetta al soggetto che afferma di essere titolare della situazione giuridica sostanziale di cui lamenta l’ingiusta lesione per effetto del provvedimento amministrativo, posizione speciale e qualificata, che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo, mentre l’interesse al ricorso consiste nel vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa (Cons. Stato, IV, 1° giugno 2018, n. 3321; 19 luglio 2017, n. 3563).
Alla luce delle predette coordinate, bene ha fatto il giudice di primo grado a rilevare l’inammissibilità delle doglianze proposte dalla società avverso i provvedimenti con cui l’Amministrazione l’ha ammessa alla gara e le ha aggiudicato la procedura.
Si tratta infatti di provvedimenti completamente favorevoli alla società, che ha ottenuto prima l’adesione dell’Amministrazione alle modalità con cui ha ritenuto di presentare la cauzione, poi la piena soddisfazione dell’interesse sostanziale azionato con la domanda di partecipazione alla procedura.
Non si vede, pertanto, quale sia l’interesse, giuridicamente rilevante, della medesima a opporsi a tali atti né in cosa consista la reintegrazione della lesione che l’eventuale accoglimento della tesi dell’illegittimità degli atti stessi potrebbe comportare.
E’ infine appena il caso di aggiungere che la lesione dell’interesse legittimo azionabile nel giudizio amministrativo ha, come detto, carattere personale, oltre che attuale e concreto: non vale pertanto prospettare – come fa l’appellante – la lesività dell’ammissione e dell’aggiudicazione per violazione della par condicio, censura che è inammissibile non solo perché invocata “contra se”, ma anche in quanto ventilata nell’asserito interesse di terzi, cui sarebbe vieppiù attribuibile, in via meramente astratta (non risulta che gli atti di gara siano stati impugnati), la veste di controinteressati, ovvero di soggetti con cui la società non può vantare alcuna comunanza di posizioni.
3.2.2. Quanto agli atti di incameramento della cauzione, essi sono effettivamente provvedimenti che hanno determinato una lesione della sfera giuridica della società.
Ma la società può far valere avverso tali atti solo vizi propri, dovendosi escludere la possibilità che essi possano risentire di vizi direttamente derivanti dai vizi dell’ammissione e dall’aggiudicazione, come sembra ritenere la società quando evoca (implicitamente) la sussistenza di una invalidità a effetto caducante.
Sul punto, va richiamato il consolidato insegnamento giurisprudenziale per il quale, in presenza di vizi accertati dell’atto presupposto, deve distinguersi tra invalidità a effetto caducante e invalidità a effetto viziante, nel senso che nel primo caso l’annullamento dell’atto presupposto si estende automaticamente all’atto consequenziale, anche quando questo non sia stato impugnato, mentre nel secondo caso l’atto conseguenziale è affetto solo da illegittimità derivata, e pertanto resta efficace ove non impugnato nel termine di rito. La prima ipotesi, quella dell’effetto caducante, ricorre nella sola evenienza in cui l’atto successivo venga a porsi nell’ambito della medesima sequenza procedimentale quale inevitabile conseguenza dell’atto anteriore, senza necessità di ulteriori valutazioni, il che comporta, dunque, la necessità di verificare l’intensità del rapporto di conseguenzialità tra l’atto presupposto e l’atto successivo, con riconoscimento dell’effetto caducante solo qualora tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito dello stesso contesto procedimentale, come conseguenza ineluttabile rispetto all’atto precedente, senza necessità di nuove valutazioni di interessi (Cons. Stato, V, 10 aprile 2018, n. 2168; 26 maggio 2015, n. 2611; 20 gennaio 2015, n. 163; IV, 6 dicembre 2013, n. 5813; 13 giugno 2013, n. 3272; 24 maggio 2013, n. 2823; VI, 27 novembre 2012, n. 5986; 5 settembre 2011, n. 4998; V, 25 novembre 2010, n. 8243).
Dai predetti principi deriva l’insussistenza nella fattispecie di una ipotesi di invalidità a effetto caducante, per due concorrenti ragioni: a) gli atti che la società inquadra come presupposti dell’incameramento della cauzione (ammissione e aggiudicazione) sono come detto pienamente favorevoli alla medesima e insuscettibili di essere da questa contestati: non vi è quindi a monte alcun accertamento giudiziale della loro illegittimità che possa trasmettersi agli atti successivi; b) non vi è alcuna consequenzialità necessaria tra l’ammissione e l’aggiudicazione, da un lato, e l’incameramento della cauzione, che non è una conseguenza inevitabile della partecipazione alla gara con esito positivo: questa costituisce anzi un evento patologico della procedura di evidenza pubblica, dipendente da fatti sopravvenuti alla sua conclusione, da valutarsi dall’Amministrazione in via del tutto autonoma rispetto alle questioni vagliate nel corso della procedura.
3.3. Il capo della sentenza appellata in esame deve pertanto trovare conferma.
4. Il primo giudice ha respinto l’unica censura proposta dalla società avverso i provvedimenti di incameramento della cauzione con la seguente motivazione: “Infondata è, invece, la terza ed ultima censura, relativa alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento di incameramento della cauzione, stante la natura automatica e vincolata che connota l’atto finale, in applicazione dell’art. 75, comma 6, D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, secondo cui ‘la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario’ (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-ter, 11 marzo 2013 n. 2542; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 2 aprile 2007 n. 3025)”.
Anche tale conclusione va confermata.
4.1. Il ricorso in appello è revisio prioris instantiae: esso, ai sensi dell’art. 101 Cod. proc. amm., deve necessariamente contenere “le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata”, e in questo senso è la consolidata giurisprudenza, secondo cui nel giudizio amministrativo costituisce specifico onere dell’appellante formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, atteso che l’appello al Consiglio di Stato non si può limitare a una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi dal giudice di primo grado, ma deve contenere una critica obiettiva ai capi di sentenza appellati (tra tante, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2019, n. 8415; IV, 10 settembre 2018, n. 5294; III, 26 gennaio 2018, n. 570).
Tale onere non è stato assolto dall’appellante.
Le argomentazioni con cui la società chiede la riforma del predetto capo di sentenza si esauriscono infatti nella pedissequa riedizione della originaria censura di carenza della comunicazione ex art. 7, l. 7 agosto 1990, n. 241, e della prospettazione delle sue conseguenze in punto di impossibilità di partecipare al procedimento e di espletare al riguardo ogni possibile difesa, senza alcuna critica delle ragioni che la sentenza impugnata ha posto a base della reiezione di tali doglianze.
5. Per tutto quanto precede l’appello deve essere respinto.
Le spese di giudizio del grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte appellante alla refusione in favore della parte resistente delle spese di giudizio del grado, che liquida nell’importo pari a € 5.000,00 (euro cinquemila/00) oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Guida alla lettura
Al fine di meglio perimetrare il thema tractandum del pronunciamento in commento, giova compendiare sinteticamente le circostanze fattuali della dedotta vicenda.
Nella peculiare fattispecie portata al vaglio della V sez. del Consiglio di Stato, la stazione appaltante ha disposto l’escussione della garanzia provvisoria versata dell’aggiudicataria a causa della mancata stipulazione del contratto nel termine previsto.
La concorrente è indi insorta nanti il giudice amministrativo, censurando il provvedimento d’incameramento della cauzione per presunta invalidità degli atti a esso presupposti, quali le determinazioni di ammissione e di aggiudicazione disposte in proprio favore.
Ebbene, i Giudici di Palazzo Spada hanno respinto l’appello, confermando la declaratoria d’inammissibilità del ricorso per carenza delle fondamentali condizioni soggettive per agire in giudizio.
A tal fine, il Collegio ha innanzitutto valorizzato la tradizionale qualificazione del processo amministrativo come giurisdizione di tipo soggettivo.
Difatti, secondo il granitico orientamento giurisprudenziale, cui si allinea il pronunciamento in commento, la tutela in sede giurisdizionale amministrativa non è funzionale al ripristino della legalità oggettiva dell’agire pubblico ma è volta a dirimere una controversa fra un soggetto che si afferma leso da un provvedimento amministrativo e l’amministrazione che lo ha emanato (cfr., tra le numerosissime, Cons. Stato, sez. V, 9/12/2019, n. 8399).
In tale ottica, il Consiglio di Stato ha ribadito che per poter utilmente adire il giudice amministrativo è necessario che siano integrate le condizioni della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21/1/2019, n. 508).
Com’è noto, per ciò che concerne specificamente la domanda demolitoria, la legittimazione ad agire è riconosciuta in capo a chi si afferma titolare di una posizione qualificata, di cui lamenta la lesione per effetto di un provvedimento amministrativo; l’interesse al ricorso consta dell’utilità concreta che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa (ex multis Cons. Stato, sez. IV, 1/6/2018, n. 3321; 19/7/2017, n. 3563).
Alla luce delle predette coordinate ermeneutiche, il Supremo Consesso amministrativo ha rilevato la manifesta inammissibilità delle doglianze prospettate dalla ricorrente avverso i provvedimenti di ammissione e aggiudicazione pronunciati in proprio favore per carenza di legittimazione e d’interesse in ordine all’impugnativa.
L’assunto che precede si fonda sulla considerazione evidente che i provvedimenti in parola incidono in senso completamente favorevole nella sfera giuridica dell’aggiudicataria.
La ricorrente non ha sofferto alcuna lesione di una posizione giuridica qualificata per effetto dei contestati atti onde per cui non potrebbe ricavare alcuna effettiva utilità dall’accoglimento delle relative censure.
Ciò premesso, il Giudicante ha confermato la legittimità dell’incameramento della cauzione operato dalla stazione appaltante, respingendo la doglianza dell’illegittimità derivata per vizi degli atti presupposti.
Specificamente, nella fattispecie de qua il Consiglio di Stato ha escluso la configurabilità di un’invalidità a effetto caducante stante i. la legittimità degli atti presupposti per l’inammissibilità delle relative censure e ii. l’insussistenza di un rapporto di consequenzialità necessaria tra i provvedimenti di ammissione e aggiudicazione, da un lato, e l’incameramento della cauzione dall’altra, atteso che detto provvedimento non è la logica conseguenza della partecipazione alla gara con esito positivo.